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Opere minori di ariosto




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OPERE MINORI DI ARIOSTO


Le liriche sono in latino ('Carmina') e in italiano ('Rime') e non hanno altro valore che di indicare quale fu il tirocinio artistico del Poeta. Quelle in volgare risentono anch'esse dell'influenza del Petrarca (nell'ambito della dottrina bembesca), ma i motivi assorbiti sono originalmente trasformati.

Le commedie sono un tentativo di dare all'Italia una commedia originale, naturalmente sull'esempio dei classici (Plauto e Terenzio). Sono cinque: 'La cassaria'(composta dapprima in prosa e rappresentata a Ferrara il 5 marzo 1508, rielaborata e riscritta poi in endecasillabi sdruccioli e così rappresentata il 19 febbraio 1531 a Ferrara. È la prima commedia regolare del teatro italiano. Benché il titolo e la trama ricalchino quelli di alcune commedie di Plauto e Terenzio, La Cassaria, che ha come principale motore dell'azione il servo Volpino, è invenzione originale dell'Ariosto).

, 'I suppositi' (composta dapprima in prosa e rappresentata a Ferrara il 6 febbraio 1509 e a Roma, davanti a Leone X, il 6 marzo 1519; riscritta poi in endecasillabi sdruccioli fra il 1529 e il 1531. Centro dell'azione, e motivo di tante complicazioni, è lo scambio delle parti fra il padroncino Erostrato e il servo Dulippo allo scopo di conquistare la bella Polinesta. L'espediente dello scambio di persona è desunto dai Captivi di Plauto).

'Il negromante' (in endecasillabi sdruccioli, iniziata nel 1509 e condotta a termine nel 1520, a istanza di Leone X, il quale però non la fece rappresentare. In forma rielaborata, essa fu messa in scena a Ferrara nel carnevale del 1528. Mentre alcuni elementi della trama derivano dalla tradizione classica, altri sono moderni. Tutta moderna è la figura del Negromante, che presenta analogie con un personaggio della Calandria del Bibbiena).

'La Lena' (in endecasillabi sdruccioli, rappresentata per la prima volta a Ferrara, nel carnevale del 1528, replicata l'anno seguente, con l'aggiunta di due scene e un nuovo prologo. Frutto della maturità del poeta, è commedia mossa e vivace, nella quale hanno spicco i personaggi di Lena ruffiana e del servo Corbolo. Mentre alcuni motivi derivano, secondo la consuetudine, dalla tradizione latina, altri sono derivati dalla novellistica volgare, e ad essa (Boccaccio, Decameron, VII, 2) risale anche l'espediente della botte in cui il giovane Flavio, amante di Licinia, si nasconde per non essere colto dal padre di lei).

'Gli studenti' (quest'ultima, rimasta incompiuta, fu condotta a termine dal fratello Gabriele che la pubblicò col titolo di 'Scolastica' ). Le prime due commedie seguono negli ambienti e nei personaggi il modello latino, mentre le altre mettono in scena situazioni e personaggi tipici dell'età contemporanea.

Dal punto di vista artistico non hanno un gran valore, neppure le migliori ('Il negromante' e 'La Lena'), perché anch'esse peccano di incoerenza psicologica nei personaggi e sono labili e incerte nei motivi: ciò è naturale giacché l'Ariosto ha il temperamento del poeta lirico, non quello di drammatico.

Le Satire sono sette e rappresentano il tentativo di richiamare in vita un genere classico da lungo tempo obliato. Seguono il modello oraziano, dal momento che l'Ariosto non solo ha simpatia letteraria per Orazio, ma ha anche affinità spirituale con questo. E come quelle del Venosino, le satire dell'Ariosto hanno un carattere discorsivo, sono ricche di un'arguzia ilare e vivace, si ispirano di frequente a fatti personali dell'autore, cercano di nascondere in un'apparente trascuratezza la realtà di uno stile meditato ed eletto.

Ludovico Ariosto: Orlando furioso

E' un poema cavalleresco dedicato ad Ippolito d'Este. Fu iniziato tra il 1502 e il 1503 e pubblicato a Venezia il 1516 in 40 canti, Nel 1521 usci una seconda edizione migliorata nella lingua e nello stile e nel 1532 la terza e definitiva in 46 canti. Le fonti dell'opera sono: l' 'Orlando innamorato' del Boiardo (di cui si riprendono i personaggi principali e gli antefatti), il 'Morgante' del Pulci, i romanzi bretoni,l' 'Odissea', l' 'Eneide', le 'Metamorfosi' di Ovidio, la 'Tebaide' di Stazio.

L'Ariosto imita ancora Orazio, Properzio, Lucano, Apuleio ed altri.

E' difficile, se non impossibile, sunteggiare la trama dell' opera, che è ricchissima di episodi, neppure sempre integralmente esposti nel medesimo luogo, ma spesso interrotti e ripresi varie volte. E' possibile invece distinguere tre motivi fondamentali cui assegnare di volta in volta i singoli episodi: il motivo erotico (l' amore di Orlando per Angelica e quello di Ruggero e Bradamante), il motivo encomiastico (glorificazione della oasa d'Este discendente dalle nozze di Ruggero e Bradamante) e il motivo epico (guerra tra Agramante e Carlo Magno attorno alle mura di Parigi).

Il Poeta rappresenta mirabilmente tutto un mondo meraviglioso ed affascinante, in cui s'immerge dominandolo. A questo mondo fantastico è imposta la legge del movimento, ordinato e regolato dal Poeta, che ha la virtù di dar vita e grazia a tutto ciò che tocca, di rappresentare con esattezza tutto ciò che crea. L'opera ha una suggestione tutta sua, che deriva da quella composizione, operata dal Poeta, di realtà e fantasia.

Il poema ha avuto in tutti i tempi grande fortuna, ma i critici si sono sforzati sempre vivamente di individuarne l'unità artistica, per definirne il valore. Da ultimo il Croce ha affrontato il problema e lo ha risolto individuando l'unità di ispirazione nel sentimento dell'armonia: il poeta avrebbe accettato con lo stesso interesse tutti i vari sentimenti umani perché sommamente impressionato dalla divina armonia che li regola. Da ciò dipende l'inconsistenza della fisionomia dei singoli personaggi, non mai completamente definiti, in quanto non hanno un significato reale in se stessi, ma rappresentano l'immensa varietà degli atteggiamenti dell' Uomo investito e nutrito dall'infinita gamma dei sentimenti. L'Ariosto fu il cantore per eccellenza di tutti i sentimenti umani, dell'amore come dell'odio, del coraggio come della viltà, ed ognuno rappresentò nelle varie sfaccettature in cui si presenta nella realtà della vita. Ecco perché l'Ariosto è giustamente considerato uno dei maggiori poeti 'lirici' di tutti i tempi


varie su ariosto

I) Senso concreto e realistico dell'esistenza: si piega alle esigenze economiche dei suoi familiari; cerca un compromesso coi "potenti" (laici ed ecclesiastici) per avere non solo di che vivere, ma anche per ottenere il riconoscimento del suo valore artistico (che in effetti si verificherà nei circoli letterari borghesi). Non infierisce sui vinti quand'era governatore in Garfagnana, anche se non lo si vede mai opporsi alla volontà dei suoi superiori (l'unico caso è quello in occasione del trasferimento a Buda del card. Ippolito).

II) Rapporto di amore-odio verso la corte: di "amore" perché, anch'egli, in quanto intellettuale di origine nobiliare, faceva parte di quegli ambienti: poi perché sperava di ottenere buoni uffici, incarichi e riconoscimenti letterari; di "odio" perché si sentiva strumentalizzato, non valorizzato come intellettuale ma solo come diplomatico; inoltre non gli piacevano le corti che si combattevano tra loro, disposte persino ad allearsi con lo straniero, senza tener conto degli interessi nazionali. Infine era consapevole dei valori superficiali delle corti, anche se non riteneva di aver la forza sufficiente per opporvisi: lui stesso dirà d'aver scritto il Furioso per il divertimento dei Signori. L'Ariosto non pensò di scrivere un poema che servisse a una causa ideale o politica: sapeva benissimo che i suoi lettori non sarebbero stati capaci di recepirla. Egli in un certo senso dava per scontato che la classe borghese, pur ricca sul piano economico e potente su quello politico, non aveva molto da dire su quello ideale.

III) Interesse per ogni aspetto della vita degli uomini: rispetta e comprende i sentimenti dell'uomo, che mette sempre al centro delle sue preoccupazioni e della sua produzione letteraria. Contesta gli aspetti deteriori della sua epoca: attivismo frenetico, culto della ricchezza e amore per il lusso, ambizioni sfrenate e sete di potere, mercato delle cariche e corruzione ad ogni livello. Rifiuta gli atteggiamenti da eroe e da moralista: piuttosto guarda con ironia e indulgenza i difetti propri e altrui.

O R L A N D O F U R I O S O

I) La prima edizione è del 1516, la terza del 1532. La differenza sta nello stile e soprattutto nella lingua, in quanto nell'ultima sono state tolte le espressioni emiliane e gli elementi dialettali, sostituiti con i modelli toscani, sulla lezione del Bembo. Con l'Ariosto, in pratica, la toscanità comincia ad imporsi anche nell'Italia settentrionale.

II) E' un poema cavalleresco, in quanto la materia narrativa è tratta dalla tradizione epico-cavalleresca (romanzo cortese, cantàri, chanson de geste: tradizione questa ripresa dal Boiardo con l'Orlando innamorato). Le fonti del poema vanno ricercate anche nei poemi classici (Iliade, Eneide, ecc.: ad es. la pazzia d'Orlando ricorda l'ira di Achille). I tre contenuti fondamentali sono: epico (lotta tra cristiani e musulmani), erotico (la passione d'Orlando per Angelica) ed encomiastico (Ariosto fa discendere la casa d'Este dall'amore di Bradamante e Ruggero).

III) L'Ariosto riprende il poema del Boiardo laddove questi l'aveva lasciato, quando Carlo Magno, preoccupato delle rivalità che Angelica accende tra i cavalieri cristiani, sottraendoli così alla difesa di Parigi assediata dai musulmani, la affida al duca Namo di Baviera, perché la custodisca, promettendola a chi (fra Orlando e Rinaldo) si fosse distinto di più nella battaglia imminente. Ma Angelica, approfittando della confusione che segue alla sconfitta dei cristiani, fugge, sicché i cavalieri ricominciano a cercarla, imbattendosi in varie avventure.

IV) Nell'Orlando Furioso le avventure sono più complicate ed è difficile riassumerle. I filoni narrativi principali sono tre: 1) la battaglia intorno a Parigi, che poi si sposta in Africa e si conclude con la vittoria dei cristiani (l'eroe è Orlando); 2) la storia di Angelica, che fuggita dal duca Namo, viene inseguita dai cavalieri cristiani e saraceni, invaghiti di lei. Angelica però sceglierà di sposare un giovane soldato saraceno (Medoro) ferito in battaglia e da lei curato. Orlando, accortosi del fatto, impazzisce dal dolore e distrugge, percorrendo Francia e Spagna, tutto ciò che gli si para davanti; finché il cavaliere cristiano Astolfo, salito con l'Ippogrifo (cavallo alato) sulla Luna -dove erano raccolte tutte le cose che gli uomini avevano perso sulla Terra-, vi prende il senno di Orlando racchiuso in un'ampolla che farà poi annusare ad Orlando, restituendogli la ragione. Così Orlando può tornare a combattere contro i saraceni determinando la loro definitiva sconfitta. 3) La storia di Orlando viene spesso interrotta dal poeta con l'inserimento del terzo filone narrativo: l'amore di Bradamante, sorella del cavaliere cristiano Rinaldo, per l'eroe saraceno Ruggero. Bradamante, dopo una serie di fantastiche avventure, riesce a sposare Ruggero, che intanto si era fatto cristiano. Il poema infatti si chiude con la vittoria in duello di Ruggero contro il saraceno Rodomonte. Da questa coppia sia il Boiardo che l'Ariosto fanno discendere gli Estensi.

Caratteristiche del poema

I) Stilisticamente è raffinato, cioè senza dialettismi ma anche senza enfasi drammatica, senza ricerca del sublime. La varietà delle vicende è notevole. Gli eventi sono intrecciati in maniera magistrale: nessun personaggio viene sacrificato a vantaggio di altri, nessuna situazione resta incompiuta. Le vicende danno l'impressione di poter continuare all'infinito. Si alternano continuamente, per evitare che un tema narrativo prenda il sopravvento, il tono drammatico con l'idillico e il comico, l'amoroso con l'avventuroso, il realistico col fantastico, le scene di forza con quelle di tenerezza. Non esiste un luogo fisso: l'azione è sempre dinamica e mutevole.

II) Vi è un quadro estremamente vario della psicologia umana: passioni e sentimenti si avvicendano di continuo, senza che mai uno prevalga sull'altro (amore, eroismo guerriero, gusto dell'avventura si armonizzando perfettamente). Tuttavia, nessun personaggio presenta un complesso sviluppo psicologico individuale, cioè un contrasto interiore di bene e male (ad es. Bradamante impersona la fedeltà e solo questa), benché l'Ariosto eviti con cura la figura dell'eroe invincibile, sovrumano. La stessa donna non è più un angelo o un demone (come nel Medioevo), ma un essere umano. Tuttavia i personaggi restano individualistici, generalmente incuranti dell'interesse generale.

III) Non esiste un riferimento ideale particolare: l'Ariosto esclude dalle vicende terrene ogni intervento provvidenziale o divino. La religione non è mai vista come fonte di dissidio interiore né come guida dell'agire umano. Essa è piuttosto una condizione che influisce esteriormente su alcune situazioni (ad es. Ruggero deve convertirsi al cristianesimo per sposare Bradamante). I personaggi si muovono sulla base dei loro istintivi impulsi vitali. I caratteri sono naturali, a volte volubili (ad es. Angelica da fredda e altera diventa dolce con Medoro; l'eroe forte e avveduto Orlando diventa pazzo d'amore).

IV) Vi sono anche alcuni temi pessimistici: l'amore non apprezzato e non corrisposto, i desideri perseguiti con affannosa tensione e mai appagati, l'inutile correre degli uomini dietro le proprie illusioni (vedi ad es. il castello di Atlante, ove viene rinchiuso Ruggero per impedirgli di sposare Bradamante. Qui i cavalieri vengono attratti dalla falsa immagine -suscitata dal mago- di un bene a lungo cercato, come ad es. una persona amata, ma una volta entrati nel castello l'immagine subito scompare, per ricomparire appena essi ne escono). La pazzia, la vanità, le illusioni dimorano stabilmente sulla Terra, mentre la ragione è sulla Luna. Infine il prevalere della "fortuna" (caso) sulla capacità dell'uomo di dominare il proprio destino. L'Ariosto guarda con ironia, cioè con distaccata superiorità le assurde vicende degli uomini, vittime delle loro illusioni e delle loro passioni: però è un'ironia comprensiva non sprezzante.

V) Vi sono anche elementi di critica politica: contro il malgoverno e la follia dei principi italiani che, lottando tra di loro, facevano entrare gli stranieri in patria: cosa peraltro che impediva di combattere i turchi, che allora erano molto potenti.

L'umanesimo dell'Ariosto

Chi scrive un grande poema deve per forza essere un "grande personaggio" (come ad es. Dante con la sua Commedia)? Alcuni storici della letteratura rischiano, in tal senso, di lasciarsi sedurre dal culto della personalità.

In fondo che significa "grande personaggio": un uomo impegnato in politica? L'Ariosto non lo era e molti di quelli che, ai suoi tempi, lo erano, difficilmente potrebbero essere definiti dei "grandi personaggi" sul piano umano. La politica, allora (come oggi d'altronde), era solo un mezzo per far carriera o quattrini, per aumentare prestigio e potere personale.

Forse perché l'Ariosto ha rifiutato -seppur moderatamente- questo tipo di politica, noi non possiamo accettare ch'egli abbia potuto fare un "grande" poema? Perché alcuni critici si lamentano che la sua vita non è stata niente di particolare?

Se vogliamo, l'Ariosto, sul piano umano, è stato un "grande personaggio", poiché è riuscito a conservare la propria dignità umana (come meglio ha potuto) in mezzo agli intrighi delle corti, alle lotte tra le signorie, alla corruzione del papato e della borghesia. E' vero, ha accettato molti compromessi, ma chi li accetta non può forse scrivere grandi capolavori?

Da un uomo che ha rischiato di morire ucciso più di una volta, che è stato usato come diplomatico e ambasciatore per tante difficili missioni, che ha svolto addirittura funzioni politiche, amministrative e militari, come quando fu capitano della rocca di Canossa e governatore della Garfagnana, si vuole forse pretendere l'impossibile?

In fondo l'Ariosto è vissuto in un periodo di decadenza, in cui la borghesia non credeva più nella possibilità di nazionalizzare i propri ideali di libertà e autonomia, di laicità e razionalismo, di umanesimo e naturalismo, di scientificità e tecnologia (per non citare il problema dell'unificazione linguistica). La borghesia portava avanti questi ideali restando divisa fra le molte e rivali signorie. Per un intellettuale umanista doveva essere molto difficile sopportare la contraddizione tra l'affermazione teorica dei valori rinascimentali e la loro ambigua realizzazione pratica. Tutto sommato, l'Ariosto se la cavò egregiamente: avendo scelto una vita "borghese", poteva andargli peggio.

TASSO

Le 'Rime', circa 2000, sono di vario metro e di varia ispirarione. Molte di esse sono dedicate a due donne da lui amate, Lucrezia Bendidio di Padova e Laura Peperara di Mantova, o alle principesse di casa d'Este, e rappresentano l'arte migliore del canzoniere. Altre sono encomiastiche o di argomento religioso.

Il 'Torrismondo' e una tragedia si stampo classico che si rifè per l'argomento all' 'Edipo re' di Sofocle e per lo stile alle tragedie di Seneca (gusto, dell'orrore). Il Re Torrismondo, in cinque atti e in versi, portata a compimento nel 1587 a Mantova. Vi è ripresa la materia dell'incompiuta tragedia Galealto, re di Norvegia, cui il poeta aveva dato mano al tempo della composizione della Gerusalemme liberata. Non senza scoperte reminiscenze dell'Edipo re di Sofocle e ispirandosi per la descrizione del paesaggio e dei costumi nordici all'opera di Olaus Magnus Historia de gentibus septentrionalibus, tradotta dal latino in italiano nel 1565, il poeta vi tratta dell'incesto che inconsapevolmente Torrismondo, re della Gotia, compie con sua sorella Alvida, creduta figlia del re di Norvegia, e della tragica fine dei due giovani. Divenuto amante di Alvida, sposa promessa del re di Svezia Germondo. Torrismondo però scopre che Alvida è sua sorella e cerca di convincerla ad accettare le nozze con Germondo, ma la donna crede ad un inganno dell'amante che vorrebbe liberarsi di lei e si uccide. Sul suo cadavere si uccide anche Torrismondo, ossessionato dal rimorso. Opera macchinosa e più eloquente che poetica, il Torrismondo trova accenti di commozione lirica in alcuni momenti in cui é cantata l'infelicità del destino umano.

Negli ultimi anni di vita il Tasso si dedico alla composizione di poemetti di argomento sacro, quali il 'Monte Oliveto', 'Le lacrime di Maria Vergine', 'Le lacrime di Cristo' e il 'Fondo creato', nel quale, ad imitazione di Dante e di Lucrezio, svolge il racconto biblico della creazione.

I 'Dialoghi' sono 27 discorsi di varia filosofia e letteratura scritti fra il 1578 ed il 1595.

'La Gerusalemme conquistata', rifacimento della Gerusalemme liberata cui il Tasso attese negli ultimi anni della sua vita per dare il poema che fosse conforme alle idee estetiche esposte nei Discorsi del poema eroico e ai suoi scrupoli religiosi. Venne pubblicata nel 1593. A parte alcuni sparsi acquisti di poesia, è l'opera di un artista stanco, e la retorica vi prevale sulla poesia: vennero soppressi gli episodi di Olindo e Sofronia, di Erminia fra i pastori, del viaggio alle Isole Fortunate, e il tono generale mutò sia per la ricerca di eloquenza e sonorità nella versificazione, sia per l'ampliarsi delle parti encomiastiche, le minuziose descrizioni dei fatti d'arme, le troppe notizie storiche e geografiche. In difesa del nuovo poema il Tasso compose il lucido scritto critico Del giudizio sovra la sua Gerusalemme da lui medesimo riformata.

La poetica del Tasso è esposta nei 'Discorsi dell'arte poetica' (1567-1570) e nei 'Discorsi del poema eroico'(1594). In essi il Poeta cerca di conciliare le esigenze della tradizione classica, tanto cara ai letterati del Rinascimento (prima metà del Cinquecento), con quelle della nuova spiritualità religiosa dell'età controriformistica (seconda metà del Cinquecento).

Egli pertanto afferma che la poesia è imitazione della natura, non però in riferimento alla realtà oggettiva ('vero'), sì invece alla interpretazione ideale della realtà ('verisimile'). Quindi deve prendere spunto dalla storia, per dotarsi di una certa autorevolezza, ma deve anche cedere alle esigenze fantastiche del poeta. Inoltre, specie nel genere del poema eroico, la poesia non può privarsi del 'meraviglioso',del 'sovrannaturale'', elementi tipici dei poemi classici, ma deve sostituire alla mitologia antica, quella pagana, la mitologia moderna, quella cristiana (insomma santi, angeli e demoni, in luogo delle divinità pagane). Inoltre le tre unita aristoteliche di luogo di tempo e di persona vanno conciliate con le esigenze di libertà dei poeti moderni: pertanto, se 'uno' deve essere il personaggio centrale dell'opera (Goffredo, per quanto riguarda la 'Gerusalemme Liberata'), 'una' l'azione principale (la liberazione di Gerusalemme ad opera dei Crociati) ed 'uno' il luogo (il campo di battaglia intorno alle mura della città santa), ciò non toglie che da essi possano derivare innumerevoli episodi e personaggi tratti in situazioni, momenti e luoghi diversi.

aminta

E' un dramma pastorale diviso in cinque atti, con un prologo, alcuni cori e intermezzi, ed un epilogo. Fu composto nel 1573 e rappresentato quello stesso anno nell'isoletta di Belvedere sul Po, durante una festa di corte.

Il pastore Aminta ama, non corrisposto, Silvia. La fanciulla, catturata da un satiro e legata nuda ad un albero, è liberata da Aminta, ma fugge via, per la vergogna, senza degnare neppure di uno sguardo il suo salvatore. Aminta si dispera e medita il suicidio, che tenta di fatto quando viene a sapere che Silvia, durante la fuga, è stata assalita e sbranata dai lupi: il suo mantello è stato, infatti, trovato insanguinato nel bosco. IL dramma è però a lieto fine, in quanto Silvia è riuscita a salvarsi dai lupi abbandonando il velo insanguinato e il tentativo di suicidio di Aminta non è riuscito Perché una siepe ha attutito la caduta di Aminta gettatosi in un precipizio. Silvia, commossa per il gesto d'amore, si concede ad Aminta.

L'opera ha un tono piuttosto lirico che drammatico e fa l'elogio dell'età dell'oro, quando l'uomo viveva a contatto con la natura, libero dagli impacci di una morale convenzionale creata dalla cosiddetta civiltà, quando era 'lecito ciò che piace' e non c'erano remore all'effusione di ,una sana sensualità. L' 'Aminta' esprime 'una fondamentale aspirazione dell'anima e della poesia tassiana: l'abbandono al piacere, a una voluttà obliosa, il vagheggiamento di un libero espandersi dell'anima e dei sensi, o meglio di una sensualità trasfigurata in dolcezza, in pura, immediata gioia vitale senza più la coscienza del limite e del peccato' (Pazzaglia). E si inquadra benissimo nel clima della vita vagheggiata alla corte estense, alcune personalità della quale è forse possibile intravedere nei personaggi dell'opera.

g.liberata

Poema in venti canti di ottave, sulla prima crociata, composto fra il 1565 e il 1575 circa. L'azione comincia nella primavera dell'ultimo anno di guerra, quando i crociati hanno eletto loro capo Goffredo di Buglione e marciano verso Gerusalemme, difesa da Aladino. Al racconto propriamente epico dell'assedio, che fra varie difficoltà si protrae per circa tre mesi, s'intrecciano patetiche storie d'amore: della fanciulla Erminia per Tancredi, di Tancredi per Clorinda che l'eroe cristiano uccide in duello non avendola riconosciuta, di Armida e Rinaldo, per non dire del significativo episodio di Olindo e Sofronia nel canto II. Gli ostacoli maggiori alla vittoria cristiana sono posti, oltre che dal valore di guerrieri pagani quali Argante e Solimano, dall'incantesimo fatto dal mago Ismeno alla selva da cui i cristiani dovrebbero prendere legname per le loro macchine di guerra, da una spaventosa siccità e, prima di tutto, dalla diserzione di Rinaldo. Questi infatti, venuto a contesa con Gernando di Norvegia, lo uccide e per sottrarsi alla giusta punizione abbandona l'esercito e finisce per cedere agli incantesimi di Armida, la bellissima maga che era venuta nel campo dei crociati per distogliere dalla guerra il fiore degli eroi. Dal luogo di delizie creato per lui da Armida nelle Isole Fortunate, Rinaldo viene però distolto da Carlo il Danese e Ubaldo. Egli ritorna così all'impresa, cui è chiamato per destinazione divina, come già Achille all'assedio di Troia; ma Armida, da incantatrice divenuta una infelice donna innamorata, giura la vendetta. Avvenuta la purificazione dell'eroe sul monte Oliveto, si combatte intorno a Gerusalemme la battaglia decisiva, che dà la città santa in mano ai crociati: Rinaldo si riconcilia con Armida e dalla loro unione discenderà la stirpe degli Estensi; Goffredo scioglie il voto entrando nel tempio di Gerusalemme e deponendovi le armi. Anticipato dalle centosedici ottave del giovanile Gierusalemme, il poema del Tasso venne pubblicato, contro la volontà dell'autore, in forma scorretta e pietosamente mutilato da Celio Malespini a Venezia nel 1579. Due edizioni complete e corrette vennero procurate l'anno seguente da Angelo Ingegneri, al quale si deve il titolo di Gerusalemme liberata.

Il poema, che formalmente si lega ai tentativi dei letterati del maturo Cinquecento di accordare la materia epica con la cavalleresca, come ogni autentico capolavoro è risultato opera originalissima. C'era nel Tasso una sincera aspirazione all'eroico, ma in lui più forti erano il sentimento tragico della vita e una profonda aspirazione a un mondo di felicità perduta. Perciò nella compagine epica prevalgono gli accenti lirici e patetici, e assumono un rilievo eccezionale le storie d'amore; l'ottava stessa, dopo le sapienti orchestrazioni dell'Ariosto, trova una musicalità franta e patetica. Per questi caratteri, nonostante la grande sapienza letteraria di cui il Tasso dà prova, il poema fu, come poche altre opere della letteratura italiana, veramente popolare; e creò uno stile nuovo che, se si estenuò nelle grazie melodrammatiche del Settecento, poté ancora suggestionare poeti quali Foscolo e Leopardi.

6. LA STRUTTURA E LA TRAMA

La Gerusalemma liberata è un poema epico composto da venti canti in ottave di endecasillabi. Ne è argomento la fase finale della prima crociata, che si conclude con la conquista di Gerusalemme. Dopo lo scontro decisivo tra le forze cristiane e l'esercito egiziano accorso a dar man forte agli assediati, la Città Santa è presa d'assalto ed espugnata. L'ultima resistenza dei musulmani, asserragliati nella torre di David col re Aladino e con Solimano, capo dei predoni arabi, è vinta e Goffredo entra da trionfatore nel tempio, dove scioglie il voto davanti al Santo Sepolcro di Cristo.
Non è il caso di soffermarsi sulle numerose inesattezze storiche del racconto giacché, come si è chiarito nei capitoli precedenti, al poeta è concessa una libertà che allo storico non è consentita: mentre quest'ultimo è vincolato dalla fedeltà alle fonti, il primo può spaziare nel campo della finzione letteraria, attenendosi unicamente al criterio del verosimile.
La materia è distribuita nei venti canti in modo disuguale (il numero medio di ottave per canto è vicino a cento: il XV, che è il più breve, ne conta 66; il XX, il più lungo, 144) e, come ha acutamente rilevato il critico Ezio Raimondi, è strutturata nel suo svolgimento secondo il modello della tragedia classicistica, che prevede una divisione in cinque atti. Questa ripartizione, che costituisce un'ulteriore conferma dell'avvicinamento dei generi epico e tragico nel secondo Cinquecento, non è esplicita - Tasso non ne fa cenno - , ma si coglie con chiarezza e senza forzature ad un'attenta lettura del poema. Si propone qui di seguito un compendio della trama per atti e per canti (per un'esposizione più particolareggiata si veda l'appendice).

6.1 Atto I (canti I-III) Gerusalemme
Dopo il proemio la scena si apre sull'accampamento cristiano, dove Goffredo viene eletto comandante supremo dell'esercito [I], quindi si sposta all'interno della città di Gerusalemme. Qui si svolge il drammatico episodio di Olindo e Sofronia: la donna, per evitare rappresaglie ai danni della comunità cristiana, si è accusata del furto di un'icona della Vergine, che il re Aladino aveva fatto sottrarre al tempio dei cristiani e collocare in una moschea; viene pertanto condannata al rogo. Olindo, segretamente innamorato di lei, si autoaccusa nel tentativo di salvarla, ma invano. Interviene la vergine guerriera Clorinda, che ottiene dal re la liberazione dei due giovani, promettendogli in cambio il proprio aiuto in guerra [II]. L'esercito crociato giunge finalmente sotto le mura di Gerusalemme e si scontra subito con il nemico; rifulge il valore di Argante e di Clorinda tra i pagani, di Tancredi e Rinaldo tra i cristiani [III].



Differenze fra i poemi di Ariosto e Tasso


Il poema di Ariosto è epico cavalleresco, scritto in ottave e attraverso le avventure dei personaggi celebra la casa d'Este. Il poema è dedicato ad Ippolito d'Este; lo stesso titolo "Orlando furioso" indica che sono raccontate vicende del ciclo carolingio, unite però alle avventure del ciclo bretone. La tematica è perciò amorosa e Ariosto la integra alla tematica della follia (Orlando furioso per amore). Queste tematiche sono trattate attraverso il fiabesco e il meraviglioso. Anche la struttura dell'opera è tipica dei poemi cavallereschi e cioè è aperta. Una struttura si dice aperta quando le vicende si snodano le une dalle altre ed è l'autore a decidere di porre fine alle avventure dei personaggi che però potrebbero continuare all'infinito.

Il poema di Tasso è epico tradizionale, anch'esso scritto in ottave. Celebra la chiesa, l'eroismo guerresco e le idealità religiose. Possiamo notare il carattere tradizionalistico dell'opera anche dalla sua struttura che è chiusa. La struttura chiusa è in pratica tipica dei poemi tradizionali e consiste nel conoscere, da parte dell'autore, già all'inizio della composizione, quale sarà l'inizio, lo svolgimento e la conclusione delle vicende narrate.


Il poema di Ariosto ha lo scopo di intrattenere il pubblico

Il poema di Tasso ha lo scopo dell'insegnamento morale oltre che, naturalmente dell'intrattenimento.


Tasso utilizza come modello l'epica classica (Omero con l'Iliade e Virgilio con l'Eneide)

I modelli cui si rifà Ariosto sono i poemi cavallereschi medievali e i cantari popolari. Nell'Orlando furioso ci sono anche reminiscenze classiche. Ariosto, in base al principio d'imitazione umanistico rinascimentale, trae per intero episodi da autori come Virgilio e Ovidio (Eneide, Metamorfosi). Gli esempi presi sono mitologici dei quali sono riportati alcuni versi delle opere originali. Il risultato è che l'opera assume un rivestimento di forme classiche che però sono rielaborate secondo la visione della vita rinascimentale. L'autore realizzando un opera originale riprende l'opera di Matteo Maria Boiardo dal punto in cui lui l'aveva interrotta.


La materia dell'Orlando furioso è la guerra tra Carlo Magno e i Saraceni (mori d'Africa); essa inizia con l'assedio di Parigi.

Il poema di Tasso narra la conquista di Gerusalemme e la liberazione del Santo Sepolcro nel 1099, durante la prima crociata, da parte dell'esercito guidato da Goffredo di Buglione. Il racconto quindi, anziché su una storia leggendaria, si basa su fatti storici realmente accaduti ma lontano nel tempo in modo che l'autore possa inserire fantasia e finzione. L'episodio trattato dal Tasso è attuale. Infatti, in questo periodo si ha l'avanzata dei turchi nel Mediterraneo e la loro sconfitta a Lepanto nel 1570/1571 come ugualmente furono sconfitti durante la 1° crociata per liberare il Santo Sepolcro.


Tasso rispetta il precettismo della 2° metà del 1500 in base alle unità aristoteliche rispettando l'unità d'azione. Tutta l'organizzazione dell'intreccio è basata sull'assedio di Gerusalemme e sulla conquista del Santo Sepolcro. Vi è un eroe centrale, Goffredo di Buglione, che riesce a contenere tutte quelle azioni disgregatrici che allontanano gli altri eroi dal campo cristiano (Goffredo li riporta sempre nel campo mantenendo in questo modo l'unità d'azione). Questo significa che nel poema non sono assenti azioni secondarie, dovute alle avventure dei diversi personaggi, però ogni avventura secondaria è sempre dominata dall'azione principale.

Nel poema dell'Ariosto abbiamo tre filoni narrativi che sono:

La guerra dei mori contro Carlo Magno

Amore di Orlando per Angelica e pazzia di Orlando (Angelica è in continua fuga ed è continuamente ricercata da Orlando che diventerà pazzo quando Angelica si sposerà con Medoro. Alla fine Orlando recupererà il senno grazie al cugino Astolfo che andrà a recuperarlo sulla Luna)

Storia di Ruggero e Bradomante

Il terzo filone narrativo ha carattere encomiastico perché dai due personaggi sopra citati l'Ariosto farà discendere la casa d'Este. La storia di Ruggero e Bradomante si svolge affrontando continui contrasti perché Ruggero, essendo pagano, non poteva sposare Bradomante che era cristiana per questo alla fine Ruggero si convertirà al cristianesimo.

Oltre a questi tre filoni sono portate avanti, in parallelo, tantissime altre storie della stessa importanza di quelle dei filoni principali con una tecnica particolare che era già stata utilizzata in minor misura dal Boiardo nell'Orlando innamorato.

Questa tecnica ha nome francese entrelacement e consiste nel portare avanti una storia fino al punto culminante, interromperla per creare nel lettore la suspance e per continuare un'altra storia che era stata interrotta al suo momento culminante per poi interromperla nuovamente e continuarne un'altra.

Oltre a questa tecnica molte volte il racconto è introdotto per inserire altre parti che non hanno continuità con la storia e la spezzano es. novelle a carattere mitologico o comico che hanno lo stesso rapporto all'interno dell'opera delle novelle con la cornice del Decameron di Boccaccio.

Inoltre abbiamo allusioni ad avvenimenti storici contemporanei e ancora delle parti in cui l'autore interviene in prima persona (io narrante indipendente dai personaggi).Questi interventi in generale hanno carattere morale rispetto al comportamento dei personaggi, in genere assumono anche carattere universale perché sono riferiti (prendendo spunto dal comportamento del personaggio) a tutto il genere umano (processo di universalizzazione dei concetti).      

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