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La caratteristica fondamentale della speculazione machiavelliana è l'autonomia dell'azione politica da ogni premessa etico-religiosa. Egli si distacca dal passato in quanto non intende più partire da principi trascendenti per giungere ad una normativa che coinvolga tutto l'agire umano, politica compresa.
Machiavelli propone invece un diverso percorso: risalire dalla "verità effettuale" a quelle leggi naturali in grado di realizzare la felicità terrena della comunità e in grado di determinare l'azione da svolgere per concretare la formazione, lo sviluppo e il mantenimento di tale comunità, cioè dello Stato.
Tale concezione conduce ad un riesame delle concezioni e valutazioni dell'uomo, che è l'unico protagonista dell'attività politica.
Egli deve essere fornito di quella "virtù" che lo distingue dal "vulgo", la cui natura è egoista; tale virtù è da intendersi come contemperamento di energia ed intelligenza (quindi non in senso classico come qualità prevalentemente fisica, né in senso cristiano, come cioè umile sottomissione alla divinità).
La virtù mette così l'uomo in condizione prima di conoscere e valutare ogni situazione e occasione, poi di agire con fermezza e decisione, a vantaggio suo e dello Stato.
Nondimeno l'esplicazione della virtù è limitata dalla Fortuna che non ha nulla a che vedere con la provvidenza divina medievale (che interviene dall'esterno miracolosamente, a modificare le cose del mondo) e neanche tanto con la divinità del fatalismo antico; essa è invece una forza cieca e violenta che "dimostra la sua potenza dove non è ordinata virtù a resisterle". Ma in accordo con la celebrazione umanistica delle capacità dell'uomo egli giudica che, se la Fortuna possiede metà delle azioni umane, l'altra metà è pur sempre nelle mani dell'uomo "virtuoso"; questi dovrà pertanto assecondarla, se è volta a suo profitto, o piegarla e dominarla con fermezza, se è contraria. Per la capacità di dominare gli eventi l'uomo virtuoso diviene un elemento determinante della storia.
In Machiavelli si riscontra così un atteggiamento fortemente individualistico che scaturisce dalla convinzione che la natura umana è immutabile nel tempo: il vulgo sarebbe composto generalmente da uomini "ingrati, volubili, simulatori fuggitori di pericoli, cupidi di guadagni", va quindi ricercata una legge naturale altrettanto immutabile che venga imposta e fatta rispettare da qualcuno, da un uomo appunto "virtuoso", accorto nell'arte di governo.
La concezione naturalistica dell'uomo investe anche la collettività: se l'uomo è immutabile lo è anche lo Stato. L'uomo è soggetto ad un ciclo naturale che inizia con la nascita e termina con la morte così lo Stato ha un suo principio, un suo sviluppo, una sua fine e come ogni essere vivente è soggetto a "malattie"; così, come per l'uomo è necessaria la scienza medica, per tenere in vita lo Stato occorra l'azione energica di questo o quel capo di governo.
Nella dedicatoria del Principe Machiavelli confessa di aver tratto buona parte delle sue teorie da "una lunga esperienza delle cose presenti e da una continua lezione delle antiche". Le vicende italiane e la complessità di vicende in cui egli vive suscitano, infatti, in lui il desiderio di rivolgersi al passato come termine di paragone, sicuro che la lezione degli antichi servisse ad ammaestramento a quanti si trovassero per propria virtù a reggere le sorti dei popoli; l'imitazione dell'antichità non deve quindi essere fine a se stessa, ma deve avere una reale utilità per il presente.
Tale posizione è estremamente nuova, e di questo lui stesso si rende conto ("io entro in una via non per anco da alcuno calpesta").
Non interessa a Machiavelli il "come si dovrebbe vivere", ma il "come si vive"; non lo suggestiona l'idea di una possibile perfezione, ma intende realisticamente scrutare le cause del presente disordine in vista del raggiungimento di una concreta felicità terrena dell'individuo e dello Stato. Siccome poi tali cause sono insite nell'uomo, sarà proprio l'uomo con la sua vita e la sua condotta a caratterizzare vita e condotta della Comunità, e così nel tempo la storia.
Le due opere più rappresentative di questa speculazione politica sono il Principe e i Discorsi, composte durante l'esilio di San Casciano. Tali opere sembrano essere in contrasto tra loro presentando la prima un'approfondita teoria del governo assoluto ,l'altra un esame delle forme di governo popolare instauratosi a Roma durante la Repubblica.
In realtà le due opere si integrano e si completano a vicenda in quanto hanno per oggetto le due fasi della vita di uno stato: la sua fondazione e il suo consolidamento; la prima inclina verso il principato mentre la seconda confluisce in una forma di governo popolare con il contemperamento delle esigenze espresse dalle diverse classi sociali e con la rappresentatività di tali classi al potere.
L'una non esclude l'altra: il principato, costituiti i "buoni ordini" necessari al ristabilimento della libertà, può dare luogo al governo popolare; questo a sua volta, se raggiunge un grado tale di corruzione che il principio della libertà e della convivenza possa essere minato, necessita di un rinnovamento delle leggi e degli ordinamenti, che può avvenire solo con un ritorno al principato.
L'interdipendenza delle due opere è confermata anche dai tempi di composizione: Machiavelli trae spunto dalla lettura di Tito Livio che gli offre l'esempio di uno Stato, quello romano, che aveva saputo superare le discordie interne (tra Patrizi e Plebei) nella creazione di nuovi ordini tali da condurlo ad una grandezza senza pari; dalla lezione romana nascono i primi capitoli dei "discorsi" in cui la storia romana diviene un paradigma al cui confronto le vicende italiane mostrano tutta la loro miseria. Tale valutazione lo induce a pensare che un uomo politico dotato di virtù potesse salvare l'Italia, fondando un nuovo stato che poggiasse su buoni ordini e buone armi.
Si dedica così al Principe, finito poi il quale completa i Discorsi.
Se si considerano le due opere così unitamente bisogna pensare che il motivo ispiratore dei Discorsi sia una meditazione sulla decadenza degli Stati e sulle cause di tali decadenza e del Principe volontà di riscatto da tale decadenza e la consapevolezza della difficoltà implicita in tale compito, il tutto inquadrato nelle difficili vicende storiche italiane della fine del Quattrocento e del primo Cinquecento.
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