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Niccolo' machiavelli - il principe




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NICCOLO' MACHIAVELLI - Il Principe



La composizione del Principe risale al periodo del confino di Machiavelli all'Albergaccio, cioè al 1513. Egli ne precisa all'amico Vettori il titolo, De Principatibus e l'argomento: "che cos'è il principato, di quali spezie sono, come e' s'acquistano, come e' si mantengono, perché e' si perdono".

Dedicata dapprima a Giuliano, l'opera viene poi dedicata a Lorenzo di Piero de' Medici duca di Urbino (la lettera dedicatoria viene premessa all'opuscolo nel 1516), non per ragioni encomiastiche, ma per il fatto che anch'egli, come già Cesare Borgia, avendo un rappresentante della propria famiglia al trono pontificio (Leone X, al secolo Giovanni de' Medici), è l'unico a poter ricomporre il binomio potere temporale-potere spirituale e a disporre di uno Stato nell'Italia Centrale (come il Valentino che aveva creato, con l'appoggio di Alessandro VI Borgia, suo padre, uno stato unitario al centro della penisola, che era poi stato costretto ad abbandonare in seguito all'elezione a pontefice di Giulio II della Rovere, nemico giurato dei Borgia).

Solo un forte stato unitario avrebbe potuto infatti favorire una difesa da attacchi stranieri: è comprensibile quindi l'accorata perorazione[1] rivolta, nell'ultimo capitolo, al Signore di questo Stato affinché si metta a capo della liberazione del nostro paese dalla dominazione straniera.

Nell'elaborazione di una teoria politica come tecnica del successo, attraverso una ricerca nell'esperienza presente e in quella passata, Machiavelli è mosso quindi da un dolente amor di patria, dall'angoscia e dalla rabbia per l'infelice situazione politica italiana.

Il Principe s'inserisce inoltre in quell'indirizzo prevalente nella cultura rinascimentale che tende verso la costruzione di una città terrena più propizia ad assicurare la felicità mondana, ricercando i mezzi più adatti a conseguirla; pubblicato solo nel 1532 (ben cinque anni dopo la morte del suo autore) esso consta di 26 capitoli raggruppati intorno a quattro nuclei principali: il principato, le milizie, la figura ideale del principe, l'appassionata conclusione.


Nei primi undici capitoli Machiavelli traccia lo schema delle varie forme di principato (ereditari, misti, nuovi) e addita il sistema più idoneo per conservarli. Si sofferma in particolare sui principati nuovi, precisando di voler parlare per esempi e ricordando così i grandi uomini (Mosè, Ciro, Romolo,Teseo) che sono pervenuti al principato per propria virtù, avendo avuto la capacità di volgere a proprio favore l'occasione offerta loro dalla fortuna.

Così i principi innovatori di un nuovo ordine devono "stare per loro medesimi" e soprattutto avere armi proprie, perché tutti i profeti armati vinsero, mentre quelli disarmati "ruinorno", come avvenne a fra Girolamo Savonarola.

Machiavelli addita quindi Cesare Borgia, detto duca Valentino, a modello ideale di principe: a lui attribuisce la propria consapevolezza della realtà politica, facendo dell'ultimo tirannello del Rinascimento il primo principe moderno.

E' pur vero che Cesare Borgia, nonostante la virtù, dovette soccombere per la malasorte (in seguito ad una sua malattia ed alla morte di suo padre, Papa Alessandro VI, non riuscì a rientrare in possesso del suo Stato e fu costretto a lasciare l'Italia in seguito all'elezione del suo nemico Giulio II della Rovere), tuttavia Machiavelli non può scoraggiare colui al quale l'opera era dedicata e, contraddicendo in parte se stesso, afferma che il Valentino cadde per un solo errore: non aver saputo impedire l'elezione del Cardinale Della Rovere (cap.VII).

Sostiene inoltre che sia possibile giungere al principato per diverse vie, tanto con la scelleratezze che con il favore dei cittadini: nel primo caso si può ottenere potere, ma non gloria; il secondo presuppone che il principe sia dalla parte del popolo, che chiede solo di non essere oppresso, perché senza popolo il principato non può esistere.


Nei capitoli XII-XIV viene esaminato il problema delle milizie (ausiliaria, mercenarie, proprie, miste); l'autore ribadisce il suo convincimento che esse fossero la causa della rovina italiana ed auspica per il nuovo stato "buone armi", cioè milizie cittadine, così come aveva fatto Cesare Borgia che, dalle milizie ausiliare, era passato a quelle mercenarie, quindi a quelle proprie, acquistando di volta in volta maggior prestigio (non c'è però chi non veda in tale soluzione una certa contraddittorietà con l'assunto machiavelliano: se lo Stato è creato dal Principe e i sudditi sono "vulgo", come e in nome di cosa potrà egli chiedere loro di morire?)


Il terzo nucleo, che va dal capitolo XV al XXII rappresenta la parte più controversa dell'opera: in essa il realismo del Machiavelli raggiunge il suo apice. Nell'analizzare le arti e le qualità indispensabili ad un principe per il mantenimento dello Stato egli afferma il principio che occorre seguire la "verità effettuale della cosa" piuttosto che la "immaginazione di essa" (ricordando il contrasto tra ideale e reale, più volte menzionato in precedenza come tratto caratteristico della cultura del tempo, il principe dovrebbe seguire il reale e non l'ideale): vi sono virtù che, se praticate, possono condurre il principe alla rovina e vi sono parallelamente qualità che, pur avendo l'apparenza di vizio, servono invece alla sua sicurezza. Il principe vive e agisce tra egoismi e malvagità e se vuol mantenere lo stato deve "imparare a poter essere non buono, e usarlo e non l'usare secondo le necessità".

Così, ad esempio, nei riguardi della parola data il principe si mostrerà saggio non osservandola quando gli "torna contro", perché gli uomini "sono tristi e non la osserverebbero" al loro Signore (quindi l'ideale di correttezza nei confronti della parola data, se seguito potrebbe arrecare dei danni al principe che deve invece seguire la realtà data appunto dall'iniquità degli altri uomini e agire di conseguenza).

Nei rapporti con gli altri Stati, che sono prevalentemente rapporti di forza, egli dovrà usare " prudentia et armi", comportandosi cioè come la volpe e il leone, prendendo dell'una l'astuzia e dell'altro la forza.

Dovrà infine premurarsi di fuggire odio e disprezzo, di evitare congiure, di non alimentare divisioni tra i sudditi, di fondarsi sul favore popolare, di scegliere bene i suoi ministri.

Da tali norme si desume che il Principe, nella suprema finalità di preservare lo Stato, è al di sopra delle leggi della morale comune.


Molto interessanti sono gli ultimi tre capitoli, perché si riallacciano direttamente alla situazione italiana.

Nel capitolo XXIV vengono analizzate le ragioni per cui i principi italiani hanno perso "lo Stato loro": essi non hanno avuto, secondo Machiavelli, "prudentia et armi" (e di conseguenza neanche buone leggi), non hanno saputo guardarsi dai grandi e farsi amare dal loro popolo, pertanto non "accusino la fortuna ma la ignavia loro".

Nel capitolo XXV torna il tema della fortuna, che l'autore presenta inizialmente come limite della natura umana (l'uomo riesce nelle sue imprese solo quando esse sono conformi ai tempi). Egli però si rende presto conto che, se si considerasse l'uomo impossibilitato a modificare la propria indole e ad adeguarla alla mutevolezza delle cose, il mito stesso del principe nuovo risulterebbe vano. Presenta allora la fortuna come una fanciulla, volendo soggiogare la quale è necessario affrontarla con decisione: così egli non scoraggia né induce a rinunciare all'azione il destinatario dell'opera.

Nell'ultimo capitolo infine Machiavelli giudica il momento presente propizio ad un principe nuovo e "virtuoso" per introdurre nuovi ordini in Italia: gli errori dei principi italiani e le sventure presenti possono essere occasione al manifestarsi della virtù di un liberatore. La casa de' Medici è così esortata a farsi promotrice di una guerra Santa di liberazione dal "barbaro dominio".


Avendo concepito la scienza politica come tecnica del successo Machiavelli si pone nel Principe la questione dei rapporti tra essa e la morale, intesa (almeno in teoria) come norma trascendente fondata sulla natura e perfezionata dal cristianesimo.

Alcuni precetti, quali quelli di non sciupare denaro in vane liberalità, di essere più temuto che amato, di sembrare più che essere buono, sono riconducibili a facili norme di buon senso. Ben più grave è l'altro precetto di ricorrere alla frode e alla violenza se necessario; il valore di tale affermazione è infatti limitato: ridurrebbe la comunità civile ad una gara di sopraffazione mediante forza e astuzia; la frode stessa sarebbe spuntata salvo che si supponga, come è costretto a fare Machiavelli, che la società sia composta di ingenui dominati e raggirati da un solo astuto. D' altra parte egli in più luoghi afferma che la società non può non fondarsi sulla fedeltà dei cittadini alla morale e alla religione.

Al di là delle interpretazioni e dei giudizi numerosi sulle teorie machiavelliane, resta comunque il fatto che l'autore ricopre una posizione di notevole importanza nella storia e tale importanza non va riscontrata tanto in certi precetti di valore limitato, quanto piuttosto nell'avere posto con estrema chiarezza e concretezza di termini il problema dei rapporti tra politica e morale in un momento in cui la coscienza europea sente la difficoltà di applicare la legge morale alla vita politica, senza peraltro rinunciare ad agire in quella stessa realtà che vuol piegare ai propri fini.

Machiavelli risolve il problema rassegnandosi alla presunta necessità che l'uomo politico calpesti talvolta la legge morale per conseguire il successo, ma la moralità negata rappresenta una ferita aperta nella coscienza umana e cristiana e la storia del modo di sanare questa ferita.

Avremo modo di vedere come altri pensatori tentino successivamente di costruire una particolare eticità della politica, prendendo le mosse proprio dal Machiavelli.



Va ricordato infine che con il Principe nasce un nuovo tipo di prosa: lo stile è assolutamente nuovo, tagliente e rigorosamente geometrico. Il discorso procede infatti per dilemmi ("o.o."), con incisività, molto simile nella costruzione alla parlata comune, di inevitabile uso di anacoluti per l'incalzante fluire di distinzioni ed enumerazioni. Machiavelli si afferma così come uno dei massimi prosatori italiani.







Discorso ampio diretto ad ottenere consensi o suscitare adesione.


Costrutto sintattico in cui il primo elemento appare, rispetto ai successivi, campato in aria e allo stesso tempo posto in rilievo (es. "Quelli che muoiono bisogna pregare Iddio per loro", Manzoni).

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