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Di poco posteriore al Principe e ai Discorsi, e terza opera importante uscita dall'esilio, è l'Arte della guerra, che alle altre due si collega per unità d'interessi e problemi.
Essa si compone di sette libri e presenta un'immaginaria conversazione, tenutasi negli Orti Oricellari, di cui è protagonista il condottiero romano Fabrizio Colonna; ne sono oggetto precetti di ordine tecnico sul reclutamento di soldati, sul modo di governarli, di organizzare e condurre una battaglia, sulle vettovaglie, gli alloggiamenti, le fortificazioni.
Alla proclamata autonomia dello Stato, deriva conseguentemente l'autonomia militare, perché la sua sopravvivenza può e deve dipendere solo dalle milizie nazionali e non da quelle ausiliarie o mercenarie: l'idea fondamentale dell'opera è quindi sempre quella della superiorità e dell'importanza delle milizie cittadine; l'esperienza del 1512, quando i militi fiorentini erano fuggiti davanti ai mercenari spagnoli, non aveva, infatti, scoraggiato Machiavelli, né lo aveva indotto ad un ripensamento.
Certamente, nell'Arte della guerra serpeggia la stessa passione del Principe, la sofferenza cioè per la debolezza degli stati italiani di fronte ai potenti invasori stranieri; indicativa in tal senso risulta essere la severa condanna rivolta nella pagina conclusiva dell'opera, ai principi italiani e in cui trova conferma il profondo realismo politico di Machiavelli: "Credevano i nostri principi italiani, prima che essi assaggiassero i colpi delle oltremontane guerre, che a uno principe bastasse sapere negli scrittori pensare una acuta risposta, scrivere una bella lettera, mostrare ne' detti e nelle parole arguzia e prontezza, sapere tessere una fraude, ornarsi di gemme e d'oro dormire mangiare con maggior splendore che gli altri; né si accorgevano i meschini che si preparavano ad esser preda di chiunque li assaltasse".
Forse però in entrambe le opere, nel Principe cioè e nell'Arte della guerra, Machiavelli ha voluto esprimere anche intenzione pratica di mostrare ai Medici tanto la sua esperienza politica quanto quella militare.
L'abbinamento politico a quello militare è uno dei punti di maggiore originalità dell'opera insieme al sovvertimento della tradizionale concezione degli eserciti; secondo Machiavelli, infatti, la sicurezza dello stato non dovrebbe più riposare sulla cavalleria (classica arma della feudalità e nobiltà) ma sulla fanteria (espressione della vitalità popolare). Machiavelli però, tenendosi troppo aderente agli antichi, non avverte le novità del suo tempo: gli sfugge l'importanza delle armi da fuoco e le conseguenze che ne sarebbero derivate per l'arte della guerra.
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