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Il romanticismo - alessandro manzoni- la vita e le opere, giacomo leopardi -la poetica




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Il romanticismo

Il termine 'romanticismo' indica il momento umano in cui il sentimento prevale sul ragionamento. Il movimento romantico nasce, in opposizione al neoclassicismo, come manifestazione d'individualità contro la bellezza astratta di tradizione greco-romana, esplicandosi come manifestazione del sentimento dell'artista. Il romanticismo riconosce la continuità tra arte e vita, e vede quindi l'artista impegnato nelle lotte nazionali: l'artista romantico vive intensamente tutte le vicende della sua epoca, anche quelle politiche. Poiché l'opera d'arte non è soggetta a regole, quelle regole che si apprendono dalla scuola, ciò significa che artisti si nasce, non si diventa attraverso lo studio. E poiché la scuola impone proprio quelle regole, obbligando a un solo modo di esprimersi e reprimendo ogni tentativo di affermazione individuale, bisogna combattere contro di essa, che è la morte della libertà dell'artista. L'opera d'arte non è frutto della razionalità, ma dell'intuito, del sentimento. Solo il genio, dotato di facoltà superiori, è capace di creare dal nulla, perpetuando con l'opera il suo pensiero. I temi romantici non sono tratti dal mito, ma, per lo più, dal medioevo. Ciò spiega perché, più che in Italia, il cui passato è legato alla civiltà romana, queste idee sono sostenute in Germania, in Inghilterra, in Francia. E spiega anche l'origine della parola romantic che, in Inghilterra, fin dal XVII sec., significava "romanzesco" e, nel secolo successivo, diviene sinonimo di medievale o gotico. Il romanticismo, trae origine dalle teorie estetiche illuministiche, infatti è il Settecento che sostiene la poetica che culmina, fra il 1770 e il 1780, nel movimento culturale tedesco detto Sturm un Drang (tempesta e impeto) contraddistinto da un'esplosione di passionalità, di individualismo, di irrazionalità e di riaccostamento all'arte medievale.

Caratteri generali e differenze con il neoclassicismo

Il romanticismo è un movimento artistico dai contorni meno definiti rispetto al neoclassicismo. Benché si affermi in Europa dopo che il neoclassicismo ha esaurito la sua vitalità, ossia intorno al 1830, in realtà era nato molto prima. Le prime tematiche che lo preannunciavano sorsero già verso la metà del XVIII secolo. Esse, tuttavia, rimasero in incubazione durante tutto lo sviluppo del neoclassicismo, per riapparire e consolidarsi solo nei primi decenni dell'Ottocento. Il romanticismo ha poi cominciato ad affievolirsi verso la metà del XIX secolo, anche se alcune sue suggestioni e propaggini giungono fino alla fine del secolo. Il romanticismo è un movimento che si definisce bene proprio confrontandolo con il neoclassicismo. In sostanza, mentre il neoclassicismo dà importanza alla razionalità umana, il romanticismo rivaluta la sfera del sentimento, della passione ed anche della irrazionalità. Il neoclassicismo è profondamente laico e persino ateo; per contro il romanticismo è un movimento di grandi suggestioni religiose. Esso non è uno stile, in quanto non si fonda su dei princìpi formali definiti, ma può essere considerato una poetica, in quanto, più che alla omogeneità stilistica, tende alla omogeneità dei contenuti. Quest'ultimi sono sintetizzabili in quattro grandi categorie:
1. l'armonia dell'uomo nella natura
2. il sentimento della religione
3. la rivalutazione dei caratteri nazionali dei popoli
4. il riferimento alle storie del medioevo.

La rivalutazione dei sentimenti e delle passioni

Uno dei tratti più caratteristici del romanticismo è la rivalutazione del lato passionale ed istintivo dell'uomo. Questa tendenza porta a ricercare le atmosfere buie e tenebrose, il mistero, le sensazioni forti, l'orrido ed il pauroso. L'artista romantico ha un animo ipersensibile, sempre pronto a continui turbamenti. L'artista non si sente più un borghese ma inizia a comportarsi sempre più in modo anticonvenzionale. In alcuni casi sono decisamente asociali e amorali. Sono artisti disperati e maledetti che alimentano il proprio genio di trasgressioni ed eccessi. L'artista romantico è un personaggio fondamentalmente pessimista. Vive il proprio malessere psicologico con grande drammaticità. L'arte romantica riscopre anche la sfera religiosa, dopo un secolo, il Settecento, che era stato fortemente laico ed anticlericale. La riscoperta dei valori religiosi era iniziata già nel 1802 con la pubblicazione, da parte di Chateaubriand, de Il genio del Cristianesimo. Negli stessi anni iniziava, soprattutto in Germania, grazie a Schelling, una concezione mistica ed idealistica dell'arte intesa come dono divino. L'arte deve scoprire l'anima delle cose, rivelando concetti quali il sentimento, il religioso, l'interiore.

Il romanticismo italiano

Il romanticismo italiano è un fenomeno che ha tratti caratteristici diversi dal romanticismo europeo. Le tensioni mistiche sono del tutto assenti, così come è assente quel gusto per il tenebroso e l'orrido che caratterizza molto romanticismo nordico. Queste diversità hanno fatto ritenere che l'Italia non abbia avuto una vera e propria arte romantica ma solo una imitazione del vero romanticismo nordico. Se la questione appare oggi superata, ciò che interessa è capire in che cosa si può individuare un'esperienza romantica nell'arte italiana dell'Ottocento. È da premettere che, in Italia, il romanticismo coincide cronologicamente con quella fase storica che definiamo Risorgimento. Ossia il periodo, compreso tra il 1820 e il 1860, in cui si realizzò l'unità d'Italia. Questo processo di unificazione fu accompagnato da molti fermenti che coinvolsero non solo la sfera politica e diplomatica ma anche la cultura del periodo. I contenuti culturali furono indirizzati al risveglio della identità nazionale e alla presa di coscienza dell'importanza della unificazione. Secondo le coordinate del romanticismo, che in tutta Europa rivalutava le radici delle identità nazionale, il riferimento storico divenne il medioevo. E così anche l'Italia, che pure aveva vissuto periodi storici più intensi e pregnanti proprio in età classica con l'impero romano, si rivolse al medioevo per ritrovarvi quegli episodi che ne indicassero l'orgoglio nazionale. Questo impegno civile e politico unifica tutte le arti del romanticismo italiano, dalla letteratura alla pittura, dalla musica al melodramma, eccetera. Ma l'arte che più di ogni altra si affermò nel romanticismo italiano fu soprattutto la letteratura, grazie ad Alessandro Manzoni e al suo romanzo I promessi sposi. Questo predominio della letteratura sulle arti visive è stata una costante di tutta la successiva cultura italiana dell'Ottocento, determinando non poco il ritardo culturale che l'Italia accumulò nel campo delle arti visive rispetto alle altre nazioni europee, e alla Francia in particolare.

In Italia si comincia a parlare di Romanticismo nel 1816, quando sulla rivista 'Il Conciliatore' appare l'articolo scritto da Madame de Stael, 'Sulla maniera e la utilità delle traduzioni', nel quale l'autrice delinea la necessità di rinnovare, in Italia, una letteratura troppo legata all'imitazione dei classici. Fu da questo articolo che nacque il dibattito fra classicisti e romantici.
Pietro Giordani, in una risposta alla de Stael, pur condividendo il giudizio sulla necessità di rinnovare la nostra cultura, invita a studiare i propri classici, dei greci e dei latini.
Anche Giacomo Leopardi cerca di inserirsi nel dibattito, con lettere che non verranno mai pubblicate, nelle quali contrapponeva la poesia moderna (nata nell'epoca della scienza, distruttrice di illusioni) a quella classica (vicina alla natura e capace di illudere).
La presa di posizione del Leopardi ci permette di capire come nel Romanticismo vi sono molti aspetti contraddittori; molto spesso, chi si rivela romantico finisce col rivelare aspetti classicisti, ed il contrario accade per i classicisti. Anche Manzoni, definito capofila teorico del Romanticismo, rivela la propria estraneità ad alcune tendenze tipiche del
movimento.


ALESSANDRO MANZONI- La vita e le opere

L'uscita dal collegio nel 1801 rappresenta una svolta, perché permette a Manzoni di entrare in contatto con l'ambiente culturale milanese. L'incontro con Vincenzo Monti gli fa conoscere la poesia neoclassica, mentre quello con Vincenzo Cuoco lo mette in contatto con l'ala liberale e moderata del Risorgimento italiano, che sosteneva la necessità di privilegiare la via delle riforme rispetto ai metodi rivoluzionari e che eserciterà una notevole influenza su Manzoni, spingendolo ad attenuare il radicalismo dell'adolescenza. Del 1803 è l'idillio Adda, una delle prove più riuscite del suo neoclassicismo.

I soggiorni parigini. Nel 1805 Manzoni giunge a Parigi, accogliendo l'invito della madre e del conte Imbonati, con il quale Giulia conviveva da diversi anni dopo aver divorziato dal marito nel 1792. Imbonati, amico dei fratelli Verri e di altri intellettuali milanesi, muore però poco prima dell'arrivo di Manzoni, che ne onora la memoria con un componimento in endecasillabi sciolti intitolato Carme in morte di Carlo Imbonati. Tornato nel 1807 a Milano per la morte del padre, Manzoni conosce Enrichetta Blondel, figlia di un banchiere ginevrino. Il matrimonio è celebrato con rito calvinista nel 1808.

La conversione. Dal 1807 al 1808 Manzoni risiede tra Milano e Brusuglio, in Brianza, poi torna con la madre e la moglie a Parigi, dove nasce la prima figlia, Giulia Claudia, ma nel 1810 è di nuovo in Lombardia. Del 1809 è la pubblicazione del poemetto neoclassico Urania (dedicato a una delle nove muse), in cui viene esaltata la funzione civilizzatrice della poesia. Ma si tratta dell'ultima opera neoclassica di Manzoni, che ormai si orienta sempre più verso un ben diverso orizzonte ideologico e poetico. In questi anni matura infatti la conversione religiosa dello scrittore, il quale, anche in seguito a lunghe conversazioni con religiosi di ispirazione giansenista, approda a un cattolicesimo estremamente severo e rigoroso. Nel 1810 celebra il matrimonio con Enrichetta - che abiura il calvinismo - secondo il rito cattolico.

La stagione creativa. Gli anni sacri. Del 1812 è il progetto degli Inni sacri che avrebbe dovuto comprendere dodici poesie dedicate alle principali festività cristiane. In realtà, verranno composti soltanto cinque inni: i primi quattro (La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale e La Passione) saranno pubblicati nel 1815, mentre La Pentecoste, abbozzata per la prima volta nel 1817, sarà completata nel 1822.
Dal 1811 Manzoni vive tra il palazzo milanese di piazza Belgioioso e la villa di Brusuglio. Intensi restano però i rapporti con gli intellettuali parigini, che si concretizzano in nutriti scambi epistolari, soprattutto con Claude Fauriel, e in un nuovo soggiorno a Parigi tra il 1819 e il 1820. La famiglia intanto è sempre più numerosa: dopo Giulia (1808), nascono Pietro (1813), Cristina (1815), Sofia (1817), Enrico (1819) e Clara (1821), che muore a due anni. Sarebbero poi nati Vittoria (1822), Filippo (1826) e Matilde (1830). Un'altra figlia, Luigia, era nata e morta lo stesso giorno, nel 1811.

 Le tragedie Nel 1814 e nel 1815 Manzoni scrive due canzoni di ispirazione politico-civile, rispettivamente Aprile 1814 e Il proclama di Rimini. Tra il 1816 e il 1820, con diverse interruzioni dovute alla stesura di altre opere, si colloca la composizione della tragedia Il conte di Carmagnola ,seguita dalla Lettera al critico francese Chauvet, in cui Manzoni difende le sue scelte anticlassiciste e spiega le ragioni della propria adesione al romanticismo. Dopo le Osservazioni sulla morale cattolica (1819), nel 1820 Manzoni comincia la stesura di una nuova tragedia, Adelchi, ambientata al tempo della caduta del regno longobardo in Italia a opera dei franchi e pubblicata nel 1822 insieme al Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia.
Sono anni di ininterrotto fervore creativo: le opere e i progetti si succedono gli uni agli altri senza che i precedenti siano stati terminati. Il 1821 è l'anno di composizione delle due odi civili Marzo 1821 e Il cinque maggio,che danno voce, rispettivamente, alle speranze presto deluse per il rapido raggiungimento dell'indipendenza italiana e a un bilancio, in chiave cristiana, della vicenda terrena di Napoleone, protagonista degli eventi storici accaduti durante la giovinezza dello scrittore.

Il romanzo Dall'aprile 1821 al settembre 1823 Manzoni si dedica alla composizione di un romanzo storico. Appena terminata la prima stesura del romanzo, oggi indicata come Fermo e Lucia, comincia un'impegnativa opera di rifacimento strutturale e di riscrittura linguistica, coronata dalla pubblicazione dei Promessi sposi nel 1827 (la cosiddetta edizione 'ventisettana'). L'autore però, insoddisfatto della veste linguistica dell'opera, compie nello stesso anno, con tutta la famiglia, un viaggio in Toscana, con l'obiettivo di studiare dal vivo il linguaggio toscano e soprattutto il fiorentino. Il fiorentino parlato dalle persone colte - cioè, un dialetto distillato letterariamente - sarà il modello di riferimento della seconda edizione del romanzo, pubblicata, dopo lunghi studi e un'attenta revisione, tra il 1840 e il 1842. Insieme all'edizione definitiva dei Promessi sposi compare, completamente rifatta rispetto a una prima stesura mai data alle stampe, la Storia della colonna infame un testo di carattere saggistico in cui l'autore affronta il tema della giustizia ricostruendo un processo avvenuto nel 1630, ai tempi della peste a Milano.

Il rifiuto del romanzo storico La stagione creativa del Manzoni romanziere si chiude nel 1827; la successiva revisione dei Promessi sposi sarà infatti soltanto linguistica e la Storia della colonna infame può essere considerata un'opera storiografica. Alla base di questa rinuncia sta il rifiuto, maturato in sede teorica, del romanzo storico. Come si legge nel saggio Del romanzo storico e, in genere, de' componimenti misti di storia e d'invenzione (elaborato intorno al 1830 e pubblicato, dopo numerose revisioni, nel 1850), il romanzo storico è per Manzoni un genere ibrido e incoerente, che non rispetta la storia e anzi la falsifica con elementi romanzeschi. Il romanzo storico, inoltre, non gode più, a parere di Manzoni, del successo di pubblico che aveva ai tempi di Walter Scott e ha pertanto perduto efficacia come forma di letteratura divulgativa. Effettivamente, in Europa la fortuna del romanzo storico stava declinando: Stendhal, Balzac e poi Flaubert avrebbero attinto il materiale per i loro romanzi dal presente, ossia dall'attualità osservata e studiata con uno sguardo attento alle relazioni fra l'individuo, le dinamiche sociali e gli avvenimenti storici.

La morte di Enrichetta La vita familiare di Manzoni, a partire dagli anni Trenta, si fa sempre più cupa. La moglie Enrichetta Blondel muore dopo anni di malattia il giorno di Natale del 1833. La prima figlia, Giulia, dopo alcuni anni di infelice vita coniugale (il matrimonio con Massimo D'Azeglio era stato praticamente imposto dai familiari), muore nel 1834, lasciando una figlia di un anno. Altre tre figlie - Cristina, Sofia e Matilde - muoiono tra il 1841 e il 1856. I figli Enrico e Filippo, poi, sono una fonte continua di dispiaceri, a causa della loro vita dissoluta fra debiti e carcere. Filippo sarebbe morto nel 1868. Dei dieci figli soltanto Enrico e Vittoria sopravviveranno al padre.

Il nuovo matrimonio Nel 1837 Manzoni, non sentendosi in grado di badare alla numerosa famiglia e vivamente consigliato dai parenti, si risposa con Teresa Borri vedova Stampa. Ospite spesso del figlio di Teresa, Stefano Stampa, a Lesa, in una villa sul lago Maggiore, frequenta il sacerdote e filosofo Antonio Rosmini, che dirige nella vicina Stresa il suo Istituto della Carità. All'influenza di Rosmini si deve la composizione del trattato Dell'invenzione (1850), centrato su un'idea fondamentale della poetica manzoniana: il poeta non crea ma 'inventa', nel senso latino del termine, cioè 'trova' la poesia che è già nella realtà. Rosmini, di dodici anni più giovane di Manzoni, muore nel 1855. Nel 1853 era morto un altro caro amico, Tommaso Grossi, e nel 1861 scomparirà anche la seconda moglie.

L'inaridirsi della vena poetica. In questa seconda fase della vita dello scrittore, la vena poetica manzoniana sembra quasi completamente inaridita. Degli inni Il Natale del 1833 (che non va confuso con l'inno sacro Il Natale) e Ognissanti, ultimi tentativi di meditazione religiosa in forma poetica, restano solo frammenti. Il Natale del 1833 cerca di risolvere in chiave cristiana il mistero della morte di Enrichetta Blondel, ma la parola poetica si arresta di fronte alla visione terribile della divinità: 'Mentre a stornar la folgore / trepido il prego ascende / sorda la folgor scende / dove tu vuoi ferir!' (i frammenti sono datati 14 marzo 1835). L'inno Ognissanti, ideato intorno al 1830 e solo in parte realizzato nel 1847, è dedicato alle esistenze votate a Dio, che vivono nello spazio di una preghiera e muoiono in un sogno di santità. Dopo questo ultimo tentativo, il tempo della poesia sembra chiudersi sulla tragica consapevolezza della lontananza di Dio dalla vita e dalla storia.

Gli studi linguistici e storici. Proseguono nel frattempo gli studi linguistici, che hanno tenuto costantemente impegnato lo scrittore a partire dagli anni Trenta, tanto da essere sintetizzati nella formula 'l'eterno lavoro sulla lingua'. Tali studi, culminanti nello strenuo lavoro di revisione linguistica dei Promessi sposi, mirano soprattutto a contribuire all'unità linguistica italiana. Il lavoro sulla lingua si traduce anche in intervento politico quando, nel 1868, Manzoni accetta di presiedere una commissione ministeriale incaricata di formulare progetti per diffondere in tutte le classi sociali la conoscenza della lingua italiana. Gli studi linguistici sono in questo periodo interrotti soltanto da quelli storici. La principale opera storica intrapresa da Manzoni è La Rivoluzione francese del 1789 e la Rivoluzione italiana del 1859, dove la prima rivoluzione è considerata illegittima e distruttiva perché mossa da folle violente di facinorosi che rappresentano soltanto una piccola parte della nazione francese, mentre la seconda è vista come legittima e costruttiva perché moderata e sostenuta dalla volontà dell'intera nazione italiana.

Il decadimento degli ultimi mesi. Il 6 febbraio 1873, andando a messa nella chiesa milanese di San Fedele, Manzoni cade sui gradini, batte la fronte e torna a casa insanguinato. Da allora la sua mente non è più lucida e il decadimento fisico procede rapidamente. Le sue condizioni si aggravano quando il figlio Pietro, presso il quale lo scrittore abita negli ultimi anni, si ammala gravemente. Nonostante la notizia della morte di Pietro, avvenuta il 24 aprile, gli sia tenuta nascosta, l'assenza del figlio torna negli incubi dello scrittore, che confonde le immagini della malattia con le memorie dell'epoca del Terrore, oggetto delle sue letture e dei suoi studi. Il 22 maggio 1873 Manzoni muore a Milano.

Il contatto con l'ambiente culturale di Milano e Parigi.
La personalità e il pensiero manzoniano si sviluppano a contatto con due dei centri culturali più vivi dell'Europa di fine Settecento e inizio Ottocento: Milano e Parigi. Gli intellettuali milanesi del Settecento, primi fra tutti i fratelli Pietro e Alessandro Verri con la rivista 'Il Caffè', avevano vivacemente osteggiato l'idea classicista di una letteratura che finiva per copiare continuamente se stessa isolandosi in un circolo chiuso sempre più lontano dalla realtà. Non il gioco formalistico della poesia arcadica, ma i temi più attuali della politica e dell'economia, della medicina e del diritto, delle scienze e del lavoro, occupavano infatti le pagine del 'Caffè'. A Parigi Manzoni entra in contatto con gli ambienti intellettuali e in particolare con Claude Fauriel e con il gruppo dei cosiddetti 'idéologues', pensatori liberisti in economia, liberali in politica e mossi da vivaci interessi per gli studi storici.

Il problema della lingua nazionale. Manzoni assorbe questi fermenti culturali e incomincia a maturare l'idea di una letteratura capace di intervenire sulla realtà. Per fare questo la letteratura deve innanzitutto rivolgersi a un pubblico ampio, dotandosi di uno strumento linguistico adeguato; tuttavia, a differenza della lingua degli scrittori francesi, compresa senza difficoltà dal popolo, l'italiano letterario appare del tutto inadatto a comunicare con un pubblico diverso dalla ristretta cerchia dei letterati. Il problema della mancanza di una lingua nazionale è in buona parte l'effetto della divisione politica italiana che ha diversificato l'evoluzione delle parlate locali, approfondendo il solco tra le lingue parlate e la lingua scritta - ossia fra i diversi dialetti e la lingua letteraria -, e ha impedito la creazione di una lingua italiana parlata. Non a caso, il problema dell'unità linguistica sarà, anche per Manzoni, strettamente congiunto a quello dell'unità nazionale.
Il biennio francese 1805-1807 risulta fondamentale per la formazione dello scrittore. Il Carme in morte di Carlo Imbonati (scritto nel 1805 e pubblicato nel 1806) già rivela la tensione etica che è alla base della scrittura manzoniana: il mondo loda ad alta voce la virtù ma la deride nel profondo del cuore, il pensiero è sempre diverso dalla parola, il delitto di chi vince non è più un delitto; di fronte alla vittoria permanente dei malvagi e all'umiliazione continua dei buoni, a chi è giusto non resta che essere fedele a se stesso. Si delinea così una prima poetica manzoniana: 'Sentir [] e meditar: di poco / esser contento: da la meta mai / non torcer gli occhi, conservar la mano / pura e la mente: de le umane cose / tanto sperimentar, quanto ti basti / per non curarle: non ti far mai servo: / non far tregua coi vili: il santo Vero / mai non tradir: né proferir mai verbo, / che plauda al vizio, o la virtù derida.' (vv. 207-215).

La conversione religiosa e il superamento della poetica neoclassica. Stretto e complesso è il rapporto tra conversione letteraria e conversione religiosa. È infatti proprio la scoperta della fede a condurre Manzoni al superamento di una letteratura edonisticamente consolatoria a favore di una poesia ricca di tensioni morali e religiose. Questo mutamento di prospettiva appare in tutta la sua evidenza mettendo a confronto il poemetto mitologico Urania, composto nel 1809, con il progetto degli Inni sacri, che occuperà Manzoni fra il 1812 e il 1815. Urania si colloca a pieno titolo nell'orizzonte della poesia neoclassica e, proprio per questo motivo, sarà ben presto condannato dallo stesso autore. Una condanna che significa anzitutto rifiuto della poesia intesa come contemplazione della bellezza e, in particolare, della mitologia come travestimento luminoso del presente e costruzione di un mondo ideale, perfetto, lontano dalla realtà e dalla storia - proprio quella realtà e quella storia che sono alla base della meditazione e della produzione romantica.

L'abbandono del lirismo soggettivo: lo 'sliricamento'. Gli Inni sacri, invece, aprono un diverso orizzonte, sia etico che poetico. Questi componimenti si pongono infatti al di fuori della tradizione italiana dominante, rappresentata dalla linea Petrarca-Tasso e centrata sulla lirica come espressione soggettiva del poeta. Da essi è bandita qualsiasi forma di effusione soggettiva per lasciare spazio alla rappresentazione oggettiva del popolo cristiano nelle sue varie manifestazioni: non poesia soggettiva, egocentrica manifestazione del genio poetico individuale, ma poesia corale, preghiera in versi. Manzoni cerca per gli Inni una lingua poetica nuova, che tenda ad annullare gli orpelli decorativi e molti moduli retorici della tradizione classicista per riflettere in pieno la tensione etica del messaggio cristiano e l'annuncio di verità in esso contenuto. Gli ideali illuministi di libertà, uguaglianza e fratellanza non sono affatto negati, ma piuttosto arricchiti dalla fede. Il quinto inno sacro, La Pentecoste, elaborato con lunghe interruzioni tra il 1817 e il 1822, è in effetti un inno alla libertà, alla pace, alla giustizia sociale, una preghiera allo Spirito santo perché illumini l'umanità.

L'apertura alla storia nelle tragedie. Le aspirazioni propriamente politiche, sempre vive in Manzoni, subiscono invece amare delusioni: subito dopo la caduta definitiva di Napoleone egli compone la canzone Aprile 1814, sulle speranze di libertà suscitate dalla cacciata dei francesi, e quando Gioacchino Murat lancia da Rimini, il 30 marzo 1815, il primo appello unitario agli italiani, lo scrittore risponde prontamente cominciando a comporre la canzone Il proclama di Rimini; ma il testo rimarrà incompiuto, quando, ai primi di maggio, Murat sarà sconfitto dagli austriaci. La delusione del presente, che sembra negarsi alla scrittura e all'azione, indirizza Manzoni verso la storia e la tragedia. La tragedia permette di estendere alla storia universale lo sguardo che negli Inni si limita alla storia sacra, e proprio alla stesura di una tragedia, Il conte di Carmagnola, si dedica Manzoni negli anni fra il 1816 e il 1820. Questi anni, in cui Manzoni scrive anche le Osservazioni sulla morale cattolica (1819), sono quelli di maggior vivacità del movimento romantico italiano, che lo scrittore segue con attenta partecipazione senza tuttavia prendere posizioni pubbliche. Sono gli anni in cui si pubblica la rivista 'Il Conciliatore' (1818-1819), a cui collaborano molti degli amici di Manzoni (fra cui l'ammiratissimo poeta dialettale Carlo Porta e i patrioti risorgimentali Federico Confalonieri e Silvio Pellico). 'Il Conciliatore' diffonde a Milano e in tutta Italia gli ideali di una letteratura romantica, attenta alla realtà e alla storia, contrapposta alla letteratura classicista, chiusa in un mondo di figurazioni mitologiche e in un sogno di perfezione formale fine a se stessa.

La sfiducia nell'azione politica. Anche la seconda tragedia, Adelchi, è legata alla riflessione sulla storia. Il personaggio di Adelchi riflette il dramma dell'intellettuale risorgimentale che comprende come non ci possa essere azione significativa senza violenza e morte, e come gli ideali più alti possano essere strumentalizzati dalla logica utilitaristica del potere. È il dramma dello stesso Manzoni, incapace di partecipare alle lotte risorgimentali - nelle quali sono invece coinvolti, fino all'arresto o all'esilio, alcuni degli amici più cari, come Borsieri, Pellico e Confalonieri.

Gli umili protagonisti. La tragedia rimane comunque un genere fortemente aristocratico e quindi nemmeno nella forma del dramma storico può essere in grado di riflettere in pieno la rivoluzione romantica, intesa, secondo una felice metafora di Gianfranco Contini, come 'diritto di cittadinanza accordato a tutti gli elementi della realtà'. Del resto, la tragedia non permette ai soggetti collettivi - che secondo Manzoni sono i veri protagonisti della storia - di diventare oggetto di rappresentazione se non nel ridotto spazio dei cori. Inoltre, a Manzoni non interessano la storia ufficiale, il resoconto delle guerre e delle azioni diplomatiche, le gesta dei sovrani e degli uomini illustri, ma la ricostruzione della storia di tutti i giorni, delle azioni e delle persone dimenticate dai documenti ufficiali, della vita di tutti coloro che sono passati sulla terra senza lasciare traccia. La prospettiva manzoniana è dunque ugualitaria e cristiana: gli umili, presenti in passato nelle opere letterarie solo come oggetto di derisione o come personaggi comici, diventano i protagonisti della nuova storia ricreata dalla poesia in modo non arbitrario, ma sulla base di tutte le testimonianze recuperabili e del metodo di indagine più rigoroso. Tutto questo è veramente possibile solo all'interno di un genere letterario ben diverso da quello della tragedia: il romanzo storico, che proprio intorno al 1820 stava conoscendo un grande successo in Europa grazie alle opere di Walter Scott.

La scelta del romanzo storico. La scelta di un genere popolare come il romanzo storico - un genere che non è oppresso da regole e che va incontro ai gusti del tempo - si iscrive dunque in una poetica 'democratica', in un progetto educativo e divulgativo. In tale direzione l'ostacolo maggiore era senz'altro rappresentato dall'assenza di una lingua italiana comune che potesse sostituire la lingua letteraria, adatta soltanto per la comunicazione fra le persone colte e per la diffusione di un messaggio elitario. Fra i dialetti parlati dal popolo e l'italiano ormai quasi artificiale dei letterati non c'erano vie intermedie e lo stesso Manzoni, in grado di parlare e di scrivere con la massima spontaneità in francese o in milanese, si trovava impacciato a esprimersi in una lingua che fosse comprensibile senza difficoltà in ogni parte d'Italia.

La storia come verità. Dal 1827 Manzoni si dedicherà soltanto a opere di storia, di linguistica, di teoria della letteratura. Le ragioni del silenzio poetico e artistico sono molteplici e complesse, ma sembrano dettate dal rigore teorico ferreo con cui egli affronta il rapporto fra la verità storica, l'unica da cui si possano trarre conoscenze sicure sulla natura umana, e l'invenzione poetica, sentita sempre più come arbitraria e falsificante. Già l'evoluzione del romanzo dal Fermo e Lucia ai Promessi sposi lascia sempre meno spazio all'elemento romanzesco e al gusto del racconto 'nero', iscrivendo la vicenda, pur con i suoi personaggi ed eventi immaginari, nel quadro di una storia reale, accertata da studi e ricerche sempre più documentate. Dalla poesia alla tragedia, dalla tragedia al romanzo, l'approssimazione alla verità - e soprattutto alla verità degli umili e delle masse anonime - si conclude dunque con la storia, vista con occhi sempre più disincantati.

La lingua come istituto sociale. La secolare questione della lingua italiana, da sempre considerata esclusivamente in termini estetici e retorici, viene riportata da Manzoni alla storia: la lingua non va più considerata come un insieme di scelte stilistiche, ma come un mezzo di comunicazione sociale. Un progetto politico globale sull'Italia non può dunque prescindere dall'unità linguistica degli italiani. Nelle pagine del trattato Della lingua italiana (1830-1859), elaborato per circa trent'anni e poi lasciato incompiuto, viene demolito con rigore implacabile il sistema linguistico dominante nella letteratura italiana, sostenuto dall'Accademia della Crusca e centrato sulla lingua del Trecento letterario come lingua italiana autentica e perfetta. I vantaggi politici, sociali, culturali, pratici di un mezzo espressivo, comunicativo e moderno comune a tutti gli italiani sono anteposti nettamente a una concezione estetica e retorica della lingua: la lingua è un istituto sociale, non un oggetto di trastullo per gli scrittori; per questo non contano le regole grammaticali, ma soltanto l'uso.


Tratto da Moduli di letteratura italiana ed europea,
di A. Dendi, E. Severina, A. Aretini
Carlo Signorelli Editore, Milano

GIACOMO LEOPARDI


Leopardi è come Foscolo un classicista, un illuminista e un ateo convinto. Contrasta i romantici, vede nelle loro illusioni un modo per sfuggire alla realtà; per lo stesso motivo condanna i cattolici e i credenti in generale: la fede è un modo per sfuggire alla realtà, ritiene che i religiosi non abbiano il coraggio di accettare che dopo la morte non c' è nulla.


Fino al 1809 la sua educazione è affidata a dei precettori, dai quali all' età di 11 non ha ormai più nulla da imparare, per questo continua da solo la sua educazione nella biblioteca paterna

Tra il 1809 e il 1816 Leopardi legge quasi tutti i 16.000 testi della biblioteca in quelli che egli stesso chiama i "sette anni di studio matto e disperatissimo". Impara il greco, il latino e l' ebraico ed acquisisce una prodigiosa cultura da filologo e da erudito settecentesco. Ma questo periodo di studio esagerato gli rovina la salute (comincia ad avere i primi problemi agli occhi) e compromette l' equilibrato sviluppo nel periodo più delicato della formazione psicofisica

Nel 1816 Leopardi stringe amicizia con Pietro Giordani, un classicista che si accorge subito del grande genio del ragazzo, e che lo spinge ad entrare attivamente nella polemica tra classicisti e romantici scoppiata a seguito dell' articolo di Madame de Stael "Sulla maniera e l' utilità delle traduzioni", Leopardi scrive così un articolo in merito, intitolato "Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica"

Nel 1823, ottenuto il permesso dal padre, si allontana per la prima volta da Recanati per recarsi a Roma, ospite di uno zio. Il viaggio si rivela una grande delusione: il mondo fuori da Recanati non è come se lo era immaginato. L' unica esperienza di questo viaggio che ricorderà con piacere sarà la visita alla tomba del Tasso.

Tra il 1827 e il 1833 Leopardi è a Bologna, Pisa e Firenze (dove conosce Fanny Targioni Tozzetti, Viesseux e gli intellettuali del giornale "L' Antologia")

Nel 1833 va definitivamente via da Recanati, recandosi a Napoli dall' amico Ranieri

Muore a Napoli il 14 giugno 1837 probabilmente di colera


La Poetica

Il dolore esistenziale

La poesia di Leopardi, non nasce solo da un senso di inadeguatezza alla realtà, di sproporzione fra reale e sovrannaturale, ma soprattutto da un dolore che è motore primario del fare poetico, dolore universale e insieme profondamente intimo e personale. Il tema del dolore appartiene sia al Leopardi dello Zibaldone che a quello dei Canti, ma ha diverse vesti: il dolore per la propria patria, l'Italia, divisa e preda di dominazioni straniere; il dolore per lo sfiorire rapido e inavvertito della giovinezza;lo scorrere inesorabile del tempo; il dolore per la morte e soprattutto per la morte intesa in senso materialistico, come termine ultimo della vita. Eppure da questo dolore traspare a volte come l'avvertimento di un senso del destino come realtà positiva, traspare a tratti, e l'Autore quasi se ne vergogna, ritornando sui suoi passi, nel cosiddetto pessimismo cosmico tratto fondamentale della sua poetica. Ma il pessimismo non cancella il bisogno, il desiderio (dal latino sidera, stelle) di infinito insito in ogni uomo, per cui anche il 'naufragar' può essere 'dolce in questo mare', che altro non è se non il mistero dell'Essere.

I Canti

Si può subito osservare come nei 'Canti pisano-recanatesi', composti negli anni 1828-31, quando è ormai nettissima e irreversibile la convinzione dell'universale e necessaria infelicità degli uomini, voluta dalla Natura, permangano ben saldi gli elementi costitutivi della poetica degli Idilli, ovvero il vago, l'indefinito, la rimembranza. Per questa ragione, fra l'altro, i Canti pisano-recanatesi sono stati a lungo indicati come 'Grandi idilli'.

Nei difficili anni che seguono il definitivo allontanarsi da Recanati, non cambia il nucleo concettuale della filosofia leopardiana, mentre emergono significativi mutamenti di poetica nei Canti del 'Ciclo di Aspasia' e nella Ginestra: non più linguaggio sfumato, evocazione degli anni giovanili, serene rappresentazioni di paesaggio, ma un linguaggio fermo, scabro, a volte ironico o sarcastico fino all'asprezza.

Il linguaggio

Caratteristico del poeta è l'essenzialità del linguaggio che, con rapidissime immagini e sapienza ritmica e sintattica, crea brani di straordinaria suggestione.
Nello 'Zibaldone' Leopardi annota una propria descrizione circa il linguaggio adottato nella poesia: egli scrive di adoperare 'una lingua per i morti', sottolineando l'uso di parole arcaiche, desuete, fuori dal loro contesto. L'infinito è paradigmatico per potenza espressiva. L'idea dell'immensità e dell'eternità sono rese con un limitatissimo impiego di mezzi lessicali, che consente alle idee di giganteggiare nel deserto delle parole.
Anche per questo Leopardi è classico, anche se la sua ansia, il tedio della vita, e la personalità esasperata ne fanno un romantico. In Leopardi, accanto alla poetica dell'idillio che si esprime, romanticamente, nel dualismo paesaggio - stato d'animo, si può trovare, parallelamente, una poetica non idilliaca, dalle immagini incisive e dalla sintassi perentoria.
In Leopardi l'originario slancio sentimentale si evolve in una complessa vicenda spirituale. Il poeta parte dal razionalismo illuministico giungendo a negarlo ed a condannare la stessa ragione.

Il pessimismo leopardiano

Inizialmente il pessimismo di Leopardi è personale (o soggettivo), in seguito il poeta introduce il pessimismo storico, pensiero secondo cui l'infelicità è sempre esistita. Tuttavia gli antichi non se ne accorgevano o non se ne rendevano conto, perché distratti dalle illusioni e, in virtù di ciò, meno consapevoli della presenza del Male.
Per Leopardi le epoche passate sono quindi migliori di quelle presenti. La natura, in questa fase del pensiero leopardiano, è ancora considerata benigna, perché, provando pietà per l'uomo, gli ha fornito l'immaginazione, ovvero le illusioni, le quali producono nell'uomo una felicità che non è reale perché mascherano la vera realtà che è fatta di sofferenza. Nel mondo dei moderni queste illusioni sono però andate perdute perché la ragione ha smascherato il mondo illusorio degli antichi e ridato vita alla realtà nuda e cruda dei moderni.

Sviluppando ulteriormente la sua riflessione (come attestano numerose pagine dello 'Zibaldone'), Leopardi perviene al cosiddetto pessimismo cosmico, ovvero alla concezione della natura come maligna, cioè di una natura che non vuole più il Bene e la felicità per i suoi 'figli'. La natura è infatti la sola colpevole dei mali dell'uomo; essa è ora vista come un organismo che non si preoccupa più della sofferenza dei singoli, ma che svolge incessante e non curante il suo compito di prosecuzione della specie e di conservazione del mondo, in quanto meccanismo indifferente e crudele che fa nascere l'uomo per destinarlo alla sofferenza. Leopardi sviluppa quindi una visione più meccanicistica e materialistica della natura, una natura che egli con disprezzo definisce 'matrigna'

L'uomo deve perciò rendersi conto di questa realtà di fatto e contemplarla in modo distaccato e rassegnato, come un saggio che pratica l'atarassia (per la dottrina epicurea 'assenza di turbamento') e la lucida contemplazione del reale. Il destino dell'uomo, ovvero la sua malattia, è in fondo lo stesso per tutti. In questa fase non ci sono reazioni titaniche perché Leopardi ha capito che è inutile ribellarsi, ma che bisogna invece raggiungere la pace e l'equilibrio con se stessi, in modo da opporre un efficace rimedio al dolore. Leopardi reputa proprio la sofferenza la condizione fondamentale dell'essere umano nel mondo, arrivando perfino a dire che "tutto è male".

Ne La ginestra, il penultimo testo da lui scritto, Leopardi propone come soluzione l'alleanza e la solidarietà fra gli uomini, che, si configura come l'unica vera via d'uscita di fronte ai mali della modernità: essa rimane però, pur sempre, un'utopia.

La natura nemica dell'uomo

Ben presto però il contrasto tra ideali e realtà, tra aspirazioni e limiti imposti dalla vita, porta il poeta a concludere che l'infelicità non è conseguenza del progresso, bensì stato naturale di ogni essere vivente e che la natura è nemica dell'uomo. Leopardi afferma che si insegna all'uomo che la morte prematura è un bene, ma egli la teme, la vita è fragile cosa e più che dono è disgrazia, ma l'uomo teme la morte. La virtù morale è più preziosa della bellezza, ma un'anima sublime in un corpo sgraziato è derisa e misconosciuta (Ultimo canto di Saffo). L'uomo aspira a cose infinite ed eterne, ma vivere è un continuo morire (Infinito).
L'uomo è destinato a non godere d'alcun bene, si dispera, è afflitto da un tedio mortale che lo spinge al suicidio, dal quale lo trattengono la paura della morte e la superstizione religiosa. L'aspirazione all'irraggiungibile verità è il massimo tormento della vita ed è senza speranza, infatti l'uomo è destinato a non sapere perché sia nato, viva, soffra, dove vada (Canto notturno di un pastore errante nell'Asia) e tale forzata cecità uccide l'anima umana (L'infinito:), poiché questa è la legge inesorabile dell'universo. Leopardi matura un sentimento anti deminichiano molto spiccato nel corso del suo pensiero;questo giustifica la sua inversione del pensiero e delle considerazioni sulla natura e sul mondo.

Le fasi del pessimismo leopardiano

Dapprima vi è il dolore personale che diviene per lui strumento di conoscenza. Il poeta pensa che la vita sia stata spietata con lui (esperienza personale/dolore personale), ma che altri possono essere felici (pessimismo personale o soggettivo).

Segue il dolore storico. Leopardi non interpreta più il dolore come personale ma come 'storico': non solo lui ma anche tutta l'umanità è destinata a soffrire a causa dell'evoluzione della coscienza e della ragione dell'uomo maturo che rende limitato e passeggero il piacere umano. La natura è ancora vista come benevola, ma è la ragione umana matrigna.

Il dolore storico volgerà infine al grado 'cosmico' che nasce nel momento in cui Leopardi arriva ad una conclusione assolutamente negativa: la condizione d'infelicità è propria del genere umano in quanto tale, ed è da attribuirsi alla Natura stessa. Infatti questa, mettendoci al mondo, ha fatto sì che in noi nascesse il desiderio del piacere infinito, senza però darci i mezzi per raggiungerlo. Questa concezione, che è alla base della maggior parte della produzione poetica di Leopardi, emerge per la prima volta con assoluta chiarezza nel 'Dialogo della Natura e di un Islandese', un'Operetta morale scritta nel 1824. In questo Dialogo la Natura si mostra del tutto indifferente alla sofferenza dell'uomo, che è soltanto un elemento del ciclo universale di produzione e distruzione. Nella Ginestra, del 1836, Leopardi ribadisce che la Natura non ha per gli uomini riguardo maggiore di quello che ha per le formiche: eppure 'l'uom d'eternità si arroga il vanto'.


Il romanticismo è un vasto movimento culturale.

Nasce verso la fine del '700 (in Inghilterra e in Germania)   e domina la scena europea per tutta la prima metà dell' '800. Pur essendo un movimento molto complesso ed eterogeneo, lascia trasparire alcuni denominatori comuni. Vediamoli.

Il romanticismo si oppone all'illuminismo

Gli illuministi, grazie alla ragione (e con l'ausilio della scienza e della tecnica) erano convinti di potere sciogliere ogni dubbio, di potere dare una risposta esatta ad ogni domanda. Alcuni intellettuali però (i romantici, appunto) avvertirono i limiti della ragione: sentirono cioè che la sola ragione non era in grado di spiegare tutto (chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo? che senso ha la vita?); in particolare nessuna teoria razionale e scientifica riusciva a spiegare in modo soddisfacente l'origine di alcuni sentimenti, di alcuni stati d'animo che derivano dalle zone più profonde e misteriose dell'Io.

Inoltre gli illuministi, sempre grazie alla ragione (e con l'aiuto della scienza e della tecnica) erano sicuri di potere risolvere tutti i problemi e di potere costruire una società felice e perfetta. Invece, nei giovani intellettuali romantici sorge il dubbio sulla possibilità della ragione di liberare l'uomo dal dolore e dalle imperfezioni; essi si rendono drammaticamente conto che esiste una frattura insanabile fra ideale (un mondo bello, sereno, felice, senza problemi e senza dolore) e realtà (il mondo in cui effettivamente si vive, pieno di problemi, contraddizioni, dolore) e ciò provoca lo stato d'animo forse più tipico del romanticismo: la profonda insoddisfazione del presente ( => malinconia, tristezza ). Questo stato di insoddisfazione sarà amplificato ancora di più, poi, dalla delusione per il fallimento della Rivoluzione Francese: nata sull'onda dell'entusiasmo per gli ideali illuministici, la rivoluzione non aveva saputo costruire la società perfetta, ma aveva provocato terribili guerre fratricide (terrore rosso, terrore bianco) e alla fine si era spenta nella dittatura napoleonica e nella restaurazione.

Logico pertanto che si registri un distacco amaro e spesso violentemente polemico dagli ideali illuministici.

l'Illuminismo,quindi aveva posto la ragione al di sopra di tutto; i romantici, invece, anche se riconoscono alla ragione una certa validità conoscitiva, esaltano il sentimento (l'emozione, lo stato d'animo). L'eroe romantico è quello che riconosce il primato del sentimento sulla ragione, che agisce in base alle sue pulsioni istintive, alle sue emozioni, alle sue passioni.

Il romanticismo rivaluta l'animo

L'illuminismo riteneva valide solo le verità che si potevano dimostrare attraverso i sensi e/o la ragione, pertanto aveva negato l'esistenza dell'anima. Per molti illuministi l'uomo era semplicemente una macchina fatta di ossa, muscoli e ingranaggi a cui la ragione dava movimento. I romantici, invece, esaltano l'animo come sede interna, profonda, misteriosa di tutte le pulsioni spirituali, affettive, sentimentali.

Il romanticismo rivaluta l'individualismo

Per molti illuministi tutti gli uomini sono uguali perché tutti gli uomini sono provvisti di ragione; per i romantici, invece, ogni uomo è diverso dagli altri perché prova sensazioni, stati d'animo, sentimenti diversi dagli altri. Ogni individuo, infatti, ha dei sentimenti privati, ha una sua specifica condizione esistenziale, ha una sua "anima". Questo insistere sulla sfera personale, porta talvolta alla celebrazione dell'individualismo esasperato che può avere manifestazioni diverse come il vittimismo (tendenza al ripiegamento interiore, al chiudersi in se stessi, ad investigare continuamente il proprio animo, all'autobiografismo) o il titanismo (esaltazione della propria personalità, del proprio genio creatore, della propria condizione di ribelle che lotta con ogni mezzo contro la morale conformista, contro il grigiore del vivere quotidiano; voglia di vivere gesta eroiche ed esaltanti).

Il romanticismo rivaluta lo spiritualismo

Mentre gli illuministi erano tendenzialmente atei e materialisti, in molti romantici troviamo un'altissima tensione spirituale che si manifesta in varie forme: anelito verso l'infinito, desiderio di immortalità, culto dei più alti valori spirituali (compreso il culto per la patria, per l'umanità),  profonda ansia religiosa. Vengono così rivalutate anche le religioni tradizionali e si registra soprattutto una entusiastica riscoperta del cristianesimo evangelico.

Il romanticismo rivaluta la storia

Gli illuministi tradizionali non si curavano molto del passato che ritenevano un cumulo di errori; i romantici, invece, nutrono un appassionato amore per la storia vista nel suo perenne e dialettico divenire. In particolare i romantici rivalutano il medioevo perché in quel periodo trionfava la spiritualità cristiana e soprattutto perché nel medioevo sono nate le moderne nazioni europee.

Il romanticismo esalta il concetto di nazione

Infatti, mentre gli illuministi avevano tendenze cosmopolite, i romantici danno un'enorme importanza alle origini etnico-geografiche degli uomini. Ogni individuo, per i romantici, deve molto alle abitudini, agli usi, ai costumi, alle tradizioni del luogo in cui è nato. E' il romanticismo, in pratica, che crea ed esalta il concetto di nazione (a cui sono strettamente correlati, ovviamente, i concetti di popolo e di patria). Ed è in nome di questi ideali romantici che i popoli oppressi o dominati da potenze straniere (italiani, polacchi, greci) combattono per la loro libertà e indipendenza.  Questo amore per le proprie radici (etniche, storiche, politiche, culturali) porta gli intellettuali romantici a studiare e ad esaltare le tradizioni popolari come le antiche fiabe, leggende, saghe

Il romanticismo esalta la libertà creativa

Dal punto di vista delle poetiche, si è soliti dire che il romanticismo si oppone al classicismo. Anche se tale affermazione (come tutte le affermazioni categoriche) non è esatta (esiste un "classicismo romantico" e un "romanticismo classico" o, più semplicemente, ci sono autori che elaborano una loro personalissima poetica che attinge da entrambe le tendenze) serve però a sintetizzare in qualche modo le tendenze poetiche del romanticismo. Così come i neoclassici tendevano all'imitazione degli antichi, ad usare la mitologia, a seguire i modelli e le regole i romantici in genere perseguono l'ideale della libertà creativa. In campo artistico, infatti, il romanticismo sostiene la libertà dell'artista da tutto ciò che ne condiziona l'ispirazione. L'arte deve essere la libera creazione del sentimento individuale. Per questo l'artista romantico

v    rifiuta il condizionamento da regole esterne  (politiche, sociali, religiose)

v    rifiuta il concetto di arte come imitazione di opere del passato

v    rifiuta i generi tradizionali

v    rifiuta di seguire le regole classiche

v    rifiuta i modelli esemplari.

Insomma: la poesia deve essere una creazione libera, autonoma, originale, che sgorga dal profondo dell'animo; il poeta romantico scrive solo quando è ispirato dal suo genio, e lo fa abbandonandosi alla spontaneità, alla sincerità, all'urgenza dei suoi sentimenti.

Altre caratteristiche centrali dell'estetica romantica (soprattutto di quella tedesca e nordica) sono

v    l'amore per  il libero gioco della fantasia,
l'attrazione per il sogno e per le altre manifestazioni dell'inconscio,

v    la tendenza ad abolire le distinzioni fra poesia e prosa (si tende a creare della prosa lirica e della lirica prosastica).

Passiamo ora all'analisi dei filoni romantici d'Oltralpe.

Il romanticismo tedesco

In Germania le avvisaglie del nuovo gusto sono innumerevoli e diventa inutile (e forse impossibile) citarle tutte. Indubbiamente  comunque lo "Sturm und drang" ("Tempesta e impeto"), un movimento letterario sorto attorno al 1770, ha dato uno dei contributi maggiori alla formazione della sensibilità romantica. Esso infatti fu animato da un gruppo di intellettuali (Goethe, Schiller, Burger, Herder) in decisa polemica con la cultura illuministica e contrari soprattutto alla soggezione culturale francese. Nei loro testi è evidente

v    la presa di distanza dai miti razionalistici,

v    l'esaltazione del sentimento,

v    l'abbandono spesso drammatico alle passioni,

v    la rivalutazione dell'individualismo,

v    il recupero delle antiche tradizioni popolari,

v    l'amore per la storia vista nel suo perenne divenire,

v    l'attrazione verso i temi suggestivi della morte e per le atmosfere notturne.

Da segnalare poi che, nell'ambito dello "Sturm und drang", avviene la nascita del primo grande eroe romantico, il giovane Werther,  protagonista del romanzo di Goethe.

Werther ama Carlotta, una ragazza sensibile e deliziosa che, nonostante si senta attratta dal protagonista (a cui concede persino un bacio!) non sa rinunciare al fidanzato Alberto (amico intimo, tra l'altro, di Werther). Werther, disperato perché non può avere tutto per sé l'oggetto del desiderio, angosciato da un amore profondo e da una spietata solitudine esistenziale, si suicida.

Il romanzo, con straordinaria intensità espressiva (una prosa che spesso si fa lirica) dà forma ad alcune delle più importanti tematiche romantiche (il paesaggio pittoresco, la sublimità della passione amorosa, la centralità dell'io) e soprattutto delinea un personaggio che diventerà emblematico, quello - per dirla con lo stesso Goethe - di un giovane che si smarrisce in sogni fantastici e che mina col pensiero la sua essenza. Werther avrà una lunga sequenza di imitatori (sia nei romanzi che nella realtà), una serie di romantiche "anime belle", di "puri", di sognatori che vivono intense esperienze interiori (nutrite di letteratura), ma che non sanno (o non vogliono) adattarsi alla realtà.

Come abbiamo visto, quindi, tutti quei fermenti in qualche modo alternativi ai miti centrali dell'illuminismo, tutte quelle tendenze cioè che, per comodità, potremmo definire "preromantiche", vanno via via confluendo in un complesso movimento spirituale e culturale. Tale movimento trova la sua consacrazione ufficiale proprio in Germania (e proprio nello stesso anno in cui parte ufficialmente il romanticismo inglese) nel 1898, quando cioè inizia la pubblicazione della rivista  "ATHENEUM" a cui collaborano intellettuali come i fratelli Schlegel, Novalis, Tieck. La stessa parola "romanticismo" (che deriva ovviamente dall'aggettivo "romantic") è usata per la prima volta da Federico von Schlegel per indicare  quel tipo di letteratura moderna che si contrappone alla letteratura antichizzante (classicismo).

Gli intellettuali di Atheneum riprendono alcuni temi dello "Sturm und Drang" e, attraverso una serie di interventi (articoli, saggi, "manifesti", lezioni) propongono la nascita di una vera e propria scuola romantica che:

v    sviluppi la nuova anima romantica (che si contrappone alla ragione illuminista),

v    rivaluti la spiritualità ed in particolare il cristianesimo (in contrapposizione con l'ateismo illuministico e col paganesimo dell'antichità),

v    approfondisca lo studio della storia e soprattutto del medioevo (in contrapposizione con l'astoricità dell'illuminismo, e dell'amore per Roma e l'antica Grecia del classicismo),

v    insegni ai poeti che lo scopo dell'arte è l'anelito all'infinito,

v    rivaluti le tradizioni popolari, ecc..

Dalla Germania (e dall'Inghilterra) il Romanticismo si diffonde più o meno rapidamente in tutta Europa fino a divenire il movimento culturale dominante, tanto è vero che il periodo che va dall'inizio del secolo al 1848 circa viene definito appunto età del romanticismo.

In Germania, ma anche in altri paesi, esiste un primo, un secondo ed un terzo romanticismo. Senza contare che il romanticismo tedesco è diverso da quello inglese; quello francese è diverso da quello tedesco ed inglese; quello italiano è assolutamente diverso da quello francese, tedesco Per non parlare poi del fatto che autori dello stesso paese (e dello stesso periodo) interpretano il romanticismo in maniera assai diversa: Manzoni e Leopardi, ad esempio, sono i nostri più grandi autori romantici, ma si rifanno a filosofie, concezioni estetiche e poetiche diametralmente opposte.  Esiste  un romanticismo reazionario: molti intellettuali, delusi per il fallimento degli ideali illuministi e della Rivoluzione Francese, delusi per il dispotismo napoleonico, stanchi dopo anni di sommosse, guerre, caos auspicano un periodo di pace, di quiete, di ordine sociale e politico; per questo rivalutano la religiosità tradizionale (dogmatica ed oscurantista), la monarchia assoluta (ultramontanismo) ed invocano la repressione di ogni velleità riformista e democratica.

Esiste, però, anche un romanticismo liberale che esalta le libertà individuali e sociali, che si batte per la libertà dei popoli oppressi e che si rifà, se mai, al cristianesimo evangelico; così come esiste un romanticismo democratico, rappresentato, ad esempio, da Mazzini e dai mazziniani che lottano per un'Italia libera, unita, repubblicana e democratica. Esistono romantici che predicano l'impegno socio-politico, e romantici che praticano il disimpegno totale; romantici che si pongono alla testa dei popoli e romantici che si chiudono vittimisticamente in se stessi; romantici che inseguono la realtà e romantici che fuggono da essa Segni talmente contrastanti ed opposti da rendere disperata qualsiasi sintesi, anche se qualche critico ha pensato di poter individuare nel marasma della letteratura romantica due linee di tendenza abbastanza definite: una che fa capo alla poetica dell'io (in genere rappresentata dalla lirica individuale ed introspettiva prodotta dallo scrittore che, non essendo in sintonia con la società, si chiude in se stesso e si macera in uno scavo introspettivo teso a cantare l'infelicità, l'angoscia esistenziale, il desiderio d'evasione) e l'altra che pratica una poetica del reale (rappresentata soprattutto da quegli scrittori che, servendosi anche della ragione - depurata dai suoi eccessi - vanno alla ricerca delle verità e si concentrano sullo studio e sulla rappresentazione realistica della società nelle sue dinamiche concrete).



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Appunti su: https:wwwappuntimaniacomumanisticheletteratura-italianoil-romanticismo-alessandro-man24php, quali aspetti del romanticismo troviamo nella poesia di Alessandro Manzoni3F, alessandro manzoni2C uno dei principali esponenti del romanticismo italiano (movimento letterario2C, pascoli e manzoni romanticismo,



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