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Modo e voce




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Modo e voce



Modo e voce nella tecnica dello stream of consciousness


L'innovazione, forse, più grande apportata dal nuovo genere dello stream of consciousness è proprio quella riguardante il rapporto fra modo e voce.

Intendiamo per modo narrativo "la categoria che definisce () la regolazione quantitativa e qualitativa del messaggio" . L'emittente, in altre parole, può scegliere la quantità d'informazioni più o meno particolareggiate da veicolare all'interno del suo romanzo, in maniera più o meno diretta, decidendo quindi di apparire ad una distanza variabile da ciò che narra; e può anche scegliere di trasmettere queste informazioni adottando la prospettiva, o visione, o punto di vista di uno o più personaggi. Secondo Genette, dunque, alla categoria del modo appartengono le due modalità della distanza e della prospettiva.

La voce è, invece, "l'istanza produttrice del discorso narrativo, da non confondersi con l'istanza di scrittura, così come il narratore è diverso dall'autore" .

In definitiva potremmo sintetizzare affermando che la categoria del modo è quella che permette, sia a livello dell'emittenza sia della ricezione, di determinare quale sia l'ottica attraverso la quale la vicenda viene filtrata (chi vede?); mentre quella della voce consente di identificare chi enuncia, chi parla.

In un romanzo in cui l'intento dell'autore sia quello di dare al lettore l'impressione di trovarsi insediato nella mente del personaggio, i confini tra modo e voce tendono a confondersi. Trattandosi di un tentativo di riproduzione dei processi interiori del soggetto, nello stream of consciousness novel pensieri, parole e percezioni pretendono di essere quelli che effettivamente attraversano la mente di lui o di lei. Scompare, dunque, la rassicurante figura del narratore onnisciente che nelle forme tradizionali di racconto aveva guidato spesso per mano il lettore lungo l'azione.

Posto che continui ad essere presente, il narratore ha, comunque, perduto il proprio ruolo di primo piano e tende a confondere la propria voce con quella del protagonista, fino ad arrivare ad un massimo grado di sperimentazione mimetica, in cui il narratore finge di cedere letteralmente la parola al suo personaggio. Osserva Genette che: "Una delle grandi vie d'emancipazione del romanzo moderno consisterà nello spingere all'estremo, o meglio al limite, questa mimesi del discorso, cancellando le ultime tracce dell'istanza narrativa e dando immediatamente la parola al personaggio" .

Prospettiva, distanza e voce sono, quindi, categorie fondamentali nella strutturazione del racconto e nel romanzo moderno vengono totalmente riorganizzate. Su questa strada si pose Dorothy Richardson quando nel 1913, avvertendo l'insufficienza dei metodi che la tradizione le offriva, si propose di oltrepassarli dando vita ad un nuovo tipo di narrazione.



La prospettiva in Pointed Roofs.


La prospettiva è il punto ottico a partire dal quale la vicenda viene filtrata; essa non necessariamente coincide con l'espressione o voce, sebbene le due istanze siano strettamente correlate fra loro. Il narratore può, per esempio, raccontare in prima persona fatti ed eventi così come lui stesso li ha percepiti, oppure può narrare in modo oggettivo gli avvenimenti dall'esterno, oppure ancora può immedesimarsi in un'ottica che non è la propria, scegliendo in questo caso se palesarsi o rimanere completamente

celato.

In Pointed Roofs la decisione di Richardson, come sappiamo, fu quella di lasciare che la stessa Miriam parlasse per sé, e la forma adottata fu quella di un racconto in terza persona a focalizzazione interna; in cui, cioè, il narratore pur non essendo uno dei personaggi, ne adotta però il punto di vista. Ne risultò una storia raccontata dalla protagonista, ma in terza persona, con evidente confusione fra personaggio focale e istanza narrativa.

Come Kristin Bluemel ci fa notare , l'illusione di dare liberamente accesso alla coscienza del personaggio è raggiunta sin dalla primissima pagina: "Miriam left the gaslit hall and went slowly upstairs. The March twilight lay upon the landing but the staircase was almost dark and silent. There was no one about. It would be quiet in her room. She could sit by the fire and be quite and think things over until Eve and Harriett came back with the parcels. She would have time to think about the journey and decide what she was going to say to the Fräulein" . Evidentemente il romanzo esordisce in modo non convenzionale: non sappiamo chi è Miriam, nessun dettaglio introduttivo ci viene fornito, ci ritroviamo abbandonati nel mezzo di una storia alla quale, da soli, dobbiamo dare un senso.

"All we know is that someone called Miriam is at the center of our narrative world, that she is conscious of light and shadow and her immediate phisical surrounding, and that she is concerned about people who are somehow related to a journey" .

Dopo le prime tre righe, che potrebbero apparire piuttosto impersonali, l'espressione chiave, che ci permette di comprendere che la prospettiva adottata è quella di Miriam, è la seguente: "It would be quiet in her room". Chiaramente non può trattarsi di una predizione da parte dell'autore. Richardson sta riproducendo il pensiero della sua eroina, la quale pregusta la solitudine della sua stanza in cui potrà ritirarsi per meditare in tutta tranquillità. Intento dell'autrice è, in sostanza, di celare al lettore la sua presenza e quella di un eventuale narratore la cui voce viene ad identificarsi con quella della protagonista.

Citando ancora Bluemel diremo che: "In Pilgrimage disguise

is so complete that it does not make sense to speak about a 'narrator'; there is only the voice of the character"[7].

In questo modo di procedere si ravvisa la chiara influenza del modello narrativo jamesiano. La stessa scrittrice, imponendo al suo romanzo una restrizione del campo visivo limitato alle sole percezione di Miriam, riconosceva il suo debito nei confronti di Henry James e dell'uso del punto di vista che questi aveva fatto in The Ambassadors; romanzo che Richardson aveva letto, al suo apparire, nel 1903.

Inizialmente Dorothy aveva provato grande ammirazione per lo scrittore angloamericano che "Had achieved the first completely satisfying way of writing a novel" . Più tardi prese, però, le distanze da questo suo modello. In una lettera del 1948 a Henry Savage, Richardson scriveva: "His style, fascinting at first meeting for me can only be, very vulgarly, described as a non-stop waggling of the backside as he hands out on a salver, sentence after sentence, that yes, if the words had no meaning, would weave its own spell. So what? One feels, reaching the end of the drama in a resounding

box, where no star shines & no bird sings."[9]

Nonostante questo successivo cambiamento di opinione, nella sua opera Richardson dimostrava di aver perfettamente assimilato la lezione appresa attraverso la lettura del romanzo jamesiano, anche se ella s'inoltrava ancora di più sul terreno della sperimentazione.

Per sottolineare l'originalità del metodo di scrittura richardsoniano, Bluemel mette a confronto l'apertura di Pointed Roofs con quella di The Ambassadors. Come Richardson, anche James si guarda dal fornire quelle informazioni che nel racconto classico consentivano al lettore di orientarsi: presentazione dei personaggi, giustificazione dei loro pensieri e delle loro azioni; ma ad ogni modo il suo romanzo offre il conforto di una presenza narrativa: "An authoritative 'I' who emerges mid-paragraph to explain about the protagonist's preoccupations. This 'I' is seldom seen thereafter, but its willingness to reveal itself at the start is one of the factors


that separates James's and Richardson's experiments with narrative"[10].

Inoltre in James l'ordine degli eventi è ancora sequenziale e il passaggio dal mondo dell'interiorità a quello degli accadimenti esteriori viene abilmente manipolato dall'autore attraverso interpretazioni e commenti. In sostanza, pur se la più caratteristica innovazione della sua opera consiste nell'aver spostato l'attenzione dalla realtà esterna ai contenuti mentali, James si ferma ad un livello che è ancora palesemente quello della verbalizzazione e della razionalità.

Richardson, invece, intendeva dare un'oggettiva rappresentazione della realtà interiore così come questa veniva effettivamente vissuta, al limite fra cosciente e subcosciente, senza mediazioni dell'intelletto e senza artificio alcuno che potesse manipolarne la ricezione da parte del lettore.

Concluderemo con Fromm dicendo che Richardson "Combined the lesson of Henry James with the lesson of Quaker life: an impersonal narrative, like 'discovery about onself', could be highly personal as well;

it could have an objective existence and a subjective identity" .



Distanza in Pointed Roofs.


Il narratore può decidere di situarsi a una distanza più o meno grande dalla vicenda raccontata. Risalendo a Platone, Genette opera, a questo proposito, una distinzione fra due modi narrativi opposti: "a seconda che il poeta 'parli a suo nome, senza cercare di farci credere che sia un altro a parlare', (procedimento chiamato da Platone racconto puro), o che, al contrario 'si sforzi in tutti i modi di darci l'illusione che non è Omero a parlare', bensì un qualche personaggio, se si tratta di parole pronunciate: è quel che Platone chiama imitazione in senso proprio, o mimesi" .

Il racconto mimetico, in cui l'oggetto narrativo sembra raccontarsi da solo, è indicato come quello che si pone in assoluto ad una distanza minore. Tale realizzazione è quella alla quale Richardson mirò nel corso della stesura di Pointed Roofs e in tutta la sua produzione successiva. Pointed Roofs è, infatti, come abbiamo visto una storia raccontata da un

personaggio, ma in terza persona. In tal modo "Il lettore percepisce l'azione filtrata attraverso la coscienza di un determinato personaggio, ma la percepisce direttamente, esattamente nel modo in cui essa arriva a colpire quella coscienza, evitando la distanza inevitabilmente connessa alla narrazione retrospettiva in prima persona"[13], tipica della forma tradizionale di racconto autobiografico. Il concetto introduce alla distinzione sottilissima fra i due metodi di rappresentazione del flusso di coscienza, che Richardson alterna nel suo primo romanzo: descrizione fatta dal romanziere onnisciente e monologo interiore indiretto.

Citando Wilcock, il Debenedetti definisce il primo metodo come la "riproduzione del contenuto e dei processi della psiche del personaggio, mediante una descrizione onnisciente basata sui metodi della narrativa tradizionale" , e trova che differisca poco dal monologo interiore indiretto; questo viene descritto come una variante del monologo interiore diretto, che rivela la presenza del narratore attraverso l'uso della terza persona e, quando necessario, della descrizione e dell'esposizione.

Anche Humphrey, pur percependo una distinzione fra i due

metodi, è poco chiaro nell'esplicitarla: "The distinction is implicit in the

definition of the two techniques, especially in that part of the definition of indirect monologue which states that 'an omniscient author presents unspoken material directly from the psyche'. This is the fundamental difference that separates them widely and that changes their respective possible effects, textures, and scopes"[15].

Si tratta della distinzione lieve che separa il discorso trasposto in stile indiretto, in cui il narratore può arbitrariamente riassumere o citare le parole dei personaggi, dal discorso trasposto in stile indiretto libero, ad un livello di mimesi più elevato, in cui il personaggio si esprime attraverso la voce del narratore.

Nel nostro caso ritengo più opportuno parlare di una distinzione fra pensiero indiretto e pensiero indiretto libero. Alcuni esempi da Pointed Roofs serviranno a chiarire meglio: "Clara Bergman followed, Miriam watched her as she took her place at the piano -how square and stout she looked and old, careworn, like a woman of forty. She had high square shoulders

and high square hips - her brow was low and face thin, broad and flat. Her eyes were like the eyes of a dog and her thin-lipped mouth long and straight until it went steadily down at the corners. She wore a large fringe like Harriett's- and a thin coil of hair filled the nape of her neck. She played, without music, her face lifted boldly. The notes rang out in a prelude of unfinished phrases -the kind, Miriam noted, that had so annoyed her father in what he called new-fangled music- she felt it was going to be a brilliant piece -fireworks -execution -style -and sat up self-consciously and fixed her eyes on Clara's hands. 'Can you see the hands?' she remembered having heard someone say at a concert. How easily they moved. Clara still sat back, her face raised to the light. The notes rang out like trumpet-calls as her hands dropped with an easy fling and sprang back and dropped again. What loose wrists she must have, thought Miriam"[16].

Il punto di vista è chiaramente quello di Miriam. Le sue

percezioni visive ed uditive appaiono comunque mediate in maniera piuttosto evidente dall'intervento dell'autore. Il metodo, dunque, è quello convenzionale della descrizione in terza persona. Una tecnica, osserva Humphrey, che risale almeno al Robinson Crusoe, con l'unica ma fondamentale differenza che la vita che essa rappresenta è quella interiore del suo personaggio[17].

Riprendiamo la lettura di un altro brano: "Miriam closed her eyes again. Luther. pinning up that notice on a church door.. (Why is Luther like a dispeptic blackbird? Because the Diet of Worms did not agree with him.) .and then leaving the notice on the church door and going home to tea.coffee.some evening meal.Käthe. Käthe.happy Käthe. .They pinned up that notice on a Roman Catholic church.and all the priests looked at them.and behind the priests were torture and dark places.Luther looking up to God.saying you couldn't get away from your sins by paying money.standing out in the world and Käthe making the meal at home.Luther was fat and German. Perhaps his face perspired.Eine feste Burg; a firm fortress.a round tower made of old brown bricks and no windows.. No need for Käthe to smile.. She had been a nun.and then making a lamplit meal for Luther in a wooden German house.and Rome waiting to kill them" .

Anche qui c'è ancora l'uso della terza persona e dei tempi narrativi (imperfetto, passato remoto) però la distanza del racconto viene decisamente accorciata. Le frasi, separate dai puntini di sospensione, diventano sempre più autonome e appartengono più plausibilmente alla protagonista che all'autrice.

Si tratta di un esempio di pensiero indiretto libero, di cui sono spie l'insieme di segnali stilistici propri del discorso orale. Ripetizioni ("Käthe. Käthe.happy Käthe"), interrogazioni ("Why is Luther like a dyspeptic blackbird?"), esclamazioni, ecc., fanno sì che la voce di Miriam venga a confondersi con quella del narratore in modo da non poter chiaramente distinguere le parole dell'una o dell'altro.

La tecnica che prevale in Pointed Roofs è, comunque, la prima. Nella sua raffigurazione della psiche umana, Richardson partiva dunque dai tradizionali metodi di narrazione. Nei successivi capitoli-volumi di Pilgrimage avrebbe raggiunto un livello di sperimentazione sempre più alto, con l'uso più frequente del monologo interiore indiretto e, soprattutto negli scritti più maturi, anche di quello diretto.



La figura del narratore

Stabilita, ormai, l'innegabile presenza di un narratore all'interno dell'opera richardsoniana, mi pare opportuno sottolineare l'uso abbastanza singolare che la scrittrice fece di tale istanza narrativa, difficilmente riconducibile alla tradizionale forma dell'onniscienza classica.

Sebbene tutti i connotati formali indichino nella figura del narratore il responsabile dell'enunciazione, dal punto di vista contenutistico sappiamo che è il pensiero di Miriam ad esprimersi attraverso di essa. Bachtin definisce come "ibrido" un simile tipo di costruzione: "Chiamiamo costruzione ibrida un'enunciazione che per i suoi connotati grammaticali (sintattici) e compositivi appartiene ad un solo parlante, ma nella quale, in realtà, si confondono due enunciazioni, due maniere di discorso, due stili,

due "lingue", due orizzonti semantici e assiologici"[19].

Si tratta del particolare carattere pluridiscorsivo della narrativa, che consente di riportare un "discorso altrui (.) in lingua altrui" sempre, comunque, attraverso un'unica voce. Nel caso specifico, la voce narrante, pur senza scomparire del tutto, tende a farsi semplice strumento d'espressione, affinché possa emergere la vita interiore della protagonista.

In realtà, trattandosi di un racconto autobiografico, l'autore che narra di sè avrebbe dovuto coincidere con il personaggio principale; ma, come abbiamo visto, Richardson era riuscita a presentare se stessa come se stesse parlando di qualcun altro ed aveva, quindi, scelto un tipo di narrazione nascosta che sembrava essere un'oggettiva registrazione della vicenda nel suo svolgersi. Nonostante il racconto si compia al passato, infatti, l'impressione ricevuta non è quella di una narrazione a posteriori, ma simultanea all'azione.

Riprendendo Genette, Marchese definisce lo statuto del

narratore mediante il suo livello narrativo - ossia la collocazione del

narratore rispetto al discorso del racconto- e il suo rapporto con la storia.[21]

In base al primo parametro, definiremo il narratore di Pointed Roofs come extradiegetico, ossia situato allo stesso livello del pubblico. A livello di storia raccontata sarà, invece, classificato come eterodiegetico. "Si sente una voce che parla di eventi, personaggi e ambienti ma il narratore rimane nell'ombra" : nonostante cerchi di mascherare la sua presenza, almeno in questo primo capitolo-volume, l'istanza del narratore non è mai completamente annullata, sempre avvertibile come io virtuale del verbo alla terza persona, potenzialmente capace, in qualunque momento, d'intervenire.

I suoi interventi sono comunque estremamente limitati: non ci sono commenti, similitudini o paragoni che possano essergli attribuiti; nessun giudizio, che non sia quello di Miriam, su fatti e personaggi; non ci sono anticipazioni sugli eventi successivi, sembra che il narratore ne sappia quanto il lettore e che entrambi assistano al dipanarsi della vicenda.

In alcune occasioni Richardson riesce a veicolare una visione più ampia, rispetto al punto di vista ancora limitato della giovane Miriam, come nell'episodio del corteggiamento da parte di Pastor Lahmann.

Anche in questo caso, però, non c'è una diretta intromissione della voce narrante a spiegare quello che Miriam nella sua ingenuità aveva avvertito senza riuscire a capire fino in fondo: "Pastor Lahmann had made her forget she was a governess. He had treated her as a girl. Fräulein's eyes had spoiled it. Fräulein was angry about it for some extraordinary reason .

Miriam non si rende conto di aver suscitato la gelosia della Fräulein, non ne comprende il muto dramma, ma lo registra avvertendone inconsciamente la tensione. E' la coscienza di Miriam a mostrare ciò che lei vive come qualcosa d'inspiegabile, ma che ad un lettore più disincantato si rivela nel suo reale significato.

Soltanto nel corso del sesto capitolo il narratore sembra aver preso in mano le redini del racconto: "During those early days Miriam realized that the school-routine, as she knew it - the planned days - the regular unvarying succession of lessons and preparations, had no place in this new world" .

A questo esordio, non determinato dal punto di vista temporale,

seguono riflessioni e ricordi di quanto era avvenuto durante diverse settimane di permanenza al collegio. Ci si domanda: è Miriam che si è fermata a rivivere questi fatti? Giacché nessuna indicazione nel testo ci autorizza a credere che si tratti di una volontaria rievocazione da parte della protagonista, appare più probabile che il narratore, pur senza distaccarsi dalla prospettiva di questa, abbia voluto accelerare il ritmo del racconto, selezionando gli eventi più significativi che si erano verificati.

Questo caso è comunque un'eccezione alla consueta modalità del racconto, perchè la presenza del narratore rimane ovunque limitata, discreta e nascosta, la sua funzione si è ridotta ad un'impersonale mediazione della storia; in modo non dissimile da quanto accadeva nella poetica del realismo. Di realismo si parlò, infatti, a proposito della prosa richardsoniana, sebbene la scrittrice volesse dare espressione ad una realtà nuova: quella della coscienza.

Il narratario


Per completare il quadro relativo ai problemi della categoria della voce, qualche parola si dovrà ancora spendere a proposito della

figura del narratario.

Sul piano della ricezione, al narratore corrisponde il narratario, che è colui al quale il racconto si rivolge. Spesso si tratta di un vero e proprio personaggio intradiegetico con cui il narratore interloquisce e scambia, talvolta, il proprio ruolo nella gestione dell'informazione.

Nel caso, comunque, di una narrazione extradiegetica, anche il narratario sarà extradiegetico e verrà, dunque, a coincidere con il lettore virtuale o ideale, con cui ogni lettore reale si può identificare. Ad ogni modo, sebbene un romanzo, in quanto atto comunicativo, debba necessariamente avere un destinatario, "il narratore extradiegetico può anche simulare (.) di non rivolgersi a nessuno" . E' questa la maggiore specificità della narrativa di stream of consciousness.

Così come il pensiero, essendo interiore, non può avere alcun interlocutore se non la stessa persona che lo ha concepito, allo stesso modo, in un tipo di narrativa che vuole esserne fedele registrazione si esclude la presenza di un eventuale destinatario.

Per il proprio carattere di privatezza e d'intimità, l'enunciazione in cui si produce il movimento della coscienza non può essere diretta a nessun ascoltatore. I romanzi di stream of consciousness non mirano

teoricamente a nessun pubblico e persino a nessun lettore.


Espedienti tecnici

La resa narrativa di qualcosa di così sfuggente e difficilmente conoscibile come il movimento della coscienza, non fu certo di facile realizzazione.

Già in Pointed Roofs Richardson vi riusciva attraverso l'uso di espedienti tecnici che avrebbe poi sempre più affinato e che riguardavano: a) la struttura del romanzo; b) l'uso della punteggiatura; c) l'applicazione di artifici cinematografici.

a) Per rappresentare il flusso interiore della coscienza, Richardson aveva adottato un'inedita strutturazione dell'opera. All'interno dei capitoli spazi bianchi separavano sequenze narrative, per lo più brevi, marcando il passaggio dalla scena dialogata al monologare interiore del personaggio, o lo stacco fra i vari frammenti che venivano così accostati e composti in una successione irregolare dal punto di vista della cronologia temporale.

Nella definizione di Erina Siciliani, si trattava di "un'accumulazione paratattica di episodi, con sovrapposizioni e alternanze di frammenti di scene a brani che mettevano per iscritto ciò che non era mai

stato detto, il movimento della coscienza"[26].

b) Profondamente innovativo e funzionale ai suoi intenti espressivi è l'uso che la scrittrice fece della punteggiatura. La punteggiatura, o meglio, la mancanza ed assenza di questa in Pointed Roofs e nei successivi capitoli-volumi di Pilgrimage fu, inevitabilmente, oggetto di critica da parte di recensori inorriditi, che protestarono contro un simile sconvolgimento di regole e leggi consacrate per la comprensione del senso della frase, sostituite arbitrariamente da manciate di punti che spezzavano le frasi e le separavano l'una dall'altra.

Più nessuna guida, quindi, per il lettore abbandonato ad una prosa incomprensibile, priva di logica, di rigore e di accuratezza nella forma.

Richardson commentò i problemi che i suoi esperimenti nella punteggiatura potevano causare al lettore nella prefazione alla prima edizione collettanea di Pilgrimage, nel 1938: "The present writer groans, gently and resignedly, beneath the reiterated tip-tap accusing her of feminism, of failure to perceive the value of the distinctively masculine intelligence, of pre-war sentimentality, of post-war Freudianity. But when her work is danced upon for being unpunctuated and therefore unreadable, she is moved to cry aloud. For here is truth. Feminine prose, as Charles Dickens and James Joyce have delightfully shown themselves to be aware, should properly be unpunctuated, moving from point to point without formal obstructions" .

Oscillando fra un atteggiamento difensivo ed uno di scusa,

Richardson, fra le tante critiche mosse alla sua opera, ammette come fondata quella rivolta alla mancanza di punteggiatura e alla conseguente difficoltà di lettura. Ma ciò è, a suo dire, proprio della prosa femminile, una prosa che intende sfuggire a qualsiasi ostacolo formale.

Una più chiara ed estesa esposizione della sua opinione a riguardo la troviamo nel saggio About Punctuation, pubblicato per la prima volta nel 1924. In esso Richardson prendeva posizione contro le molteplici accuse che la critica le aveva rivolto; ad una scrittura in cui ".the machinery of punctuation and type, while lifting burdens from reader and writer alike and perfectly serving the purposes of current exchange, have also on the whole, devitalized the act of reading; have tended to make it less organic, more mechanical" , contrapponeva il fascino nascosto degli antichi manoscritti che insegnavano a leggere non solo con lo sguardo ma pure con la mente: ".to keep eye and brain at their task of scanning a text that moves along unbroken, save by an occasional full-stop" .

Richardson esorta, quindi, il lettore a prendere coscienza della bellezza della scrittura sacrificata ad una sistematica separazione delle frasi. Gli esempi di questo tipo in tempi moderni sono, a suo dire, ben pochi. Oltre al tentativo di H. G. Wells, crudamente osteggiato dalla critica, è nella prosa di Henry James che la scrittrice trova la più alta e significativa realizzazione.

Sulla scia del grande scrittore anglo-americano Richardson s'impegnava in questa particolare sperimentazione dell'uso della punteggiatura, in risposta all'esigenza di dare espressione all'incomunicabile:

la coscienza.

Si legga il seguente passo come esemplificazione del suo modo di procedere: "It was a fool's errand..To undertake to go to the German school and teach.to be going there.with nothing to give. The moment would come when there would be a class sitting round a table waiting for her to speak. She imagined one of the rooms at the old school, full of scornful girls..How was English taught? How did you begin? English grammarin German? Her heart beat in her throat. She had never thought of thatthe rules of English grammar? Parsing and analysisAnglo-Saxson prefixes and suffixesgerundial infinitive..It was too late to look anything up. Perhaps there would be a class tomorrow..The German lessons at school had been dreadfully good..Fräulein's grave face.her perfect knowledge of every rule.her clear explanations in English.her examples..All these things were there, in English grammar..And she had undertaken to teach them and could not even speak German. Monsieur.had talked French all the time.dictées.lectures.Le Conscrit.WaterlooLa Maison déserte.his careful voice reading on and on.until the room disappeard.She must do that for her German girls. Read English to them and make them happy..But first there must be verbs. there had been cahiers of them.first, second, third conjugation..It was impudence, an impudent invasion.the dreadful, clever, foreign school..They would laugh at her.She began to repeat the English alphabet..She doubted whether faced with a class, she could reach the end without a mistake..she reached Z and went on to the parts of the speech"[30].

La breve sequenza narrativa, separata attraverso l'uso di spazi

bianchi da ciò che precede e da ciò che segue, segna l'inizio della

meditazione notturna di Miriam, in viaggio verso Hannover da sola, in treno, fra gli altri viaggiatori addormentati.

I puntini di sospensione che spezzano le frasi o si frappongono fra un periodo e l'altro indicano dei vuoti nel pensiero cosciente della protagonista e, a secondo delle circostanze, possono segnalare il passare del tempo, il venir meno dell'attenzione o la pressione del pensiero inconscio. Esiste, quindi, una stretta connessione fra punteggiatura e coscienza, come spiega Jean Radford nel suo volume su Dorothy Richardson: "While the narrator is allowed to present only the consciousness of the protagonist, the text represent the unconscious forces working within and through that consciousness. The words on the page (the representation of consciousness) are supplemented by a range of tipographical devices: ellipses, italics, segmented passages, gaps spaces in the text. These devices represent the repressions and gaps in consciousness, or that which is left unsaid or is unsayable And in the text there are actually printed silences to register the activities of the unconscious which neither speech nor writing can reach" .

3) Altra tecnica impiegata per raffigurare il movimento della coscienza è, come si è detto, quella che consiste nell'applicare all'arte

narrativa espedienti propri del mezzo cinematografico.

Col suo dinamismo, la sua immediatezza e la sua complessa

temporalità il romanzo della Richardson, narrativa in cerca di una forma estetica, trova la sua equivalenza nel film.

Ci muoviamo nel mondo di Miriam attraverso la sua coscienza, il cui funzionamento non è dissimile da quello di una telecamera pian piano messa a fuoco e poi ritirata al termine della vicenda.

Il comporsi delle immagini nel testo, che dà luogo al curioso incastro temporale del romanzo, si realizza attraverso espedienti tipici dell'arte del cinema. Flashbacks, primi piani, dissolvenze sono i mezzi con cui ordinare il flusso delle immagini, in una forma che si avvicina a quella del montaggio.

I flashbacks sono molto numerosi nel romanzo, ma l'episodio forse più notevole, per la nitidezza dell'immagine veicolata, è quello in cui la melodia suonata da Clara durante la sua esibizione al pianoforte riporta alla memoria di Miriam il ricordo della ruota di un mulino che aveva visto nel Devonshire e l'armonia dei rumori che questo produceva nel muoversi: "Miriam dropped her eyes- she seemed to have been listening long- that wonderful light was coming again- she had forgotten her sewing- when presently she saw, slowly circling, fading and clearing, first its edge, and then, for a moment the whole thing, dripping, dripping as it circled, a weed-grown mill-wheel..She recognized it instantly. She had seen it somewhere as a child- in Devonshire- and never thought of it since- and there it was. She heard the soft swish and drip of the water and the low humming of the wheel. How beautiful.it was fading..She held it- it returned- clearer this time and she could feel the cool breeze it made, and sniff the fresh earthy scent of it, the scent of the moss and the weeds shining and dripping on its huge rim. Her heart filled. She felt a little tremor in her throat. All at once she knew that if she went on listening to that humming wheel and feeling the freshness of the air, she would cry" .

La rievocazione di quel lontano momento passato, insieme alle sensazioni e percezioni ad esso connesse, avviene con un'intensità tale da

riportarlo in vita, quasi come se Miriam lo stesse vedendo e vivendo in quel momento.

Un'altra sequenza estremamente significativa è quella in cui, all'ora del tè, Miriam approfitta del fatto che tutte le ragazze siano riunite insieme per osservarle una alla volta. Il suo sguardo si sofferma ora sull'una ora sull'altra, in una serie di primi piani attraverso i quali Richardson riesce ad offrirci una dettagliata panoramica dei diversi personaggi, pur senza distaccarsi dalla prospettiva della protagonista.

Ricordiamo, inoltre, la scena finale in cui Miriam dal finestrino del treno in partenza guarda allontanarsi la stazione di Hannover. Lo

sguardo di Miriam, ferma in un paesaggio mobile, anticipa l'occhio della telecamera.

Esiste, quindi, una stretta connessione fra la prosa richardsoniana e la nuova arte cinematografica, come lettori e recensori non mancarono di rilevare. Seppure Pilgrimage non fu mai trasposto su celluloide, infatti, nel 1922 veniva descritto da Middleton Murry, in termini spregiativi, come ".an endless film (.) as tiring as a twenty-four-hour cinematograph without interval or plot" ; nel 1931 Bryher ne parlava,

invece, come del 'vero film inglese che molti stavano aspettando'[35].

Il carattere peculiarmente filmico dell'opera di Dorothy Richardson nasce dal grande interesse che la scrittrice nutrì per il cinema, che definì come la 'forma d'arte del futuro'.

Osserva Paul Tiessen: "Richardson's stylistic innovation in her novel Pilgrimage, was deliberate; it was, moreover, inextricably related to (.) her experience of the movies, expecially the silents. (.) Richardson found in the silent film a stimulating narrative form that existed outside the realm of verbal discourse, (.). The silent film (.) was a spirit, free of

containment by spoken or written language"[36]

Assidua frequentatrice di cinematografi, a partire dal 1927 Dorothy Richardson iniziò a collaborare con Close up, prima rivista dedicata al cinema come arte, edita da W. Bryher, in cui comparve una serie di 21 saggi intitolata Continuous Performance. In essi la scrittrice si volgeva al mezzo cinematografico entusiasticamente e con alte speranze, fornendo

ampio materiale per il successivo dibattito circa il legame fra letteratura modernista e cinema. Anche in quest'ambito, comunque, il contributo apportato dalla scrittrice rimane ingiustamente nell'ombra. Come Tiessen sottolinea: "James Joyce, saying little about film, is routinely cited where there are discussions about 1920s literature and film; Dorothy Richardson, explicitly offering much and over a period of many years, is routinely ignored"[37]





G. Genette in A. Marchese, op. cit., p. 157.

Ivi, p. 168.


G. Genette, op. cit., p. 220.

K. Bluemel, op. cit., p.4.

D. Richardson, Pointed Roofs, cit., p. 15. ("Miriam lasciò la sala illuminata da lampade a gas e salì lentamente le scale. Il crepuscolo di marzo si stendeva per i pianerottoli, ma la scala era quasi al buio. Il pianerottolo su in cima era completamente buio e silenzioso. Non c'era nessuno in giro. Ci sarebbe stato silenzio nella sua stanza. Avrebbe potuto sedere vicino al fuoco, starsene tranquilla e riflettere fino al ritorno di Eve e Harriett con i pacchi. Avrebbe avuto il tempo di pensare a ciò che avrebbe detto alla Fräulein").

K. Bluemel, op. cit., p. 4. ("Tutto ciò che sappiamo è che qualcuno di nome Miriam è al centro del nostro mondo narrativo, che è cosciente di luce ed ombra e di ciò che immediatamente la circonda fisicamente e che ha a che fare con persone che sono in qualche modo legate ad un viaggio").



Ivi, p. 37. ("In Pilgrimage la finzione è così completa che non ha senso parlare di un 'narratore'; c'è solo la voce del personaggio").

D.Richardson, The Trap, Londra, 1938, Virago Press, p. 407. ("Aveva realizzato il primo modo pienamente soddisfacente di scrivere un romanzo").



Lettera di D. Richardson a Henry Savage, 25 Agosto 1948, in G.G. Fromm, Windows on Modernism, cit. p. 588. ( "Il suo stile, affascinante per me al primo incontro può solo essere, molto banalmente, descritto come un dimenarsi senza fine della parte posteriore mentre lui distribuisce, su un vassoio, frase dopo frase, che sì, se le parole non avessero significato eserciterebbero il loro fascino. E allora? Ci si sente, quando si raggiunge la fine del dramma, in uno scatola risonante, dove non splendono stelle e non cantano uccelli").





K. Bluemel, op. cit., pp. 4-5. ("Un 'io' autorevole che emerge a metà paragrafo per spiegare le preoccupazioni del protagonista. Questo 'io' s'incontra raramente da lì in poi, ma la sua volontà di rivelare se stesso all'inizio è uno dei fattori che separano gli esperimenti narrativi di James rispetto a quelli di Richardson").



G. G. Fromm, op. cit., pp. 66-67. ("Combinò la lezione di Henry James con quella della vita dei quaccheri: una narrazione impersonale, come la 'scoperta di sé', poteva essere allo stesso tempo altamente personale; poteva avere sia un'esistenza oggettiva sia un'identità soggettiva").

G. Genette, op. cit., p. 209.


N. Friedman, Point of view in Fiction, in "PMLA", 1955, cit. in G. Genette, op. cit., p.215.

G. Debenedetti, op. cit., p. 607.


R. Humphrey, op. cit., p. 35. ("La distinzione è implicita nelle definizioni delle due tecniche, specialmente in quella parte della definizione del monologo interiore indiretto in cui si afferma che 'un autore onnisciente presenta materiale non espresso direttamente dalla psiche'. E' questa la fondamentale differenza fra le due tecniche ed è una differenza che le

separa ampiamente e che cambia i loro possibili rispettivi effetti, strutture ed ambiti").


D. Richardson, Pointed Roofs, cit., pp. 43-44. ("Seguì Clara Bergman. Miriam la guardò prendere posto al pianoforte -come pareva tozza e corpulenta e vecchia, consumata dalle preoccupazioni come una donna di quarant'anni. Aveva spalle e fianchi alti e tarchiati -la fronte era bassa e la faccia sottile, larga e piatta. I suoi occhi erano come quelli di un cane e la bocca dalle labbra sottili era lunga e dritta fino agli angoli in cui andava giù piano. Portava una larga frangetta come quella di Harriett e una crocchia le riempiva la nuca. Suonava senza spartito col volto arditamente sollevato. Le note risuonarono in un preludio di frasi infinite -del tipo, notò Miriam, che aveva tanto dato fastidio a suo padre, in ciò che chiamava new fangled music -sentiva che sarebbe stato un pezzo brillante -fuochi d'artificio -esecuzione -stile -e si sollevò timidamente e fissò gli occhi sulle mani di Clara. 'Riesci a vedere le mani?' si ricordò di aver sentito qualcuno dire ad un concerto. Con che facilità si muovevano. Clara sedeva ancora, col viso sollevato alla luce. Le note risuonavano come squilli di tromba mentre le sue mani si abbandonavano con facile slancio e scattavano all'indietro per poi abbandonarsi di nuovo. Che polsi sciolti deve avere, pensò Miriam").

R. Humphrey, op. cit., p. 34.

D. Richardson, Pointed Roofs, cit., p. 169. ( "Miriam chiuse di nuovo gli occhi. Lutero.che affiggeva quella nota sulla porta di una chiesa.. (Perché Lutero è come un merlo dispeptico? Perché la Dieta di Worms non era stata d'accordo con lui.) .e poi la lasciava sulla porta della chiesa e andava a casa per il tè.il caffè.il pasto della sera.käthe. käthe.felice käthe.. Affissero la nota su una chiesa Cattolica Romana.e tutti i preti li guardavano.e dietro i preti c'erano torture e posti bui.Lutero che guardava in alto verso Dio.e diceva che non si può sfuggire ai propri peccati pagando soldi.s'imponeva nel mondo e käthe preparava il pasto in casa.Lutero era grasso e tedesco. Forse il suo volto sudava.Eine feste Burg; una salda fortezza.una torre rotonda fatta di vecchi mattoni marrone e senza finestre..Non c'era bisogno che käthe sorridesse..era stata una suora.e poi era finita a preparare un pasto alla luce di un lume per Lutero in una casa tedesca di legno.e Roma aspettava di ucciderli").


M. Bachtin, Estetica e romanzo (1975), Torino, 1979, Einaudi, p.112.

Ibidem.





A. Marchese, op. cit., p.168.

S. Chatman, op. cit., p.212, cit. in A. Marchese, p. 171.



D. Richardson, Pointed Roofs, cit., p. 130. ("Pastor Lahmann le aveva fatto dimenticare di essere un'istitutrice. L'aveva trattata come una ragazza. Gli occhi della Fräulein avevano rovinato tutto. La Fräulein era in collera per questo, per qualche straordinaria ragione").

Ivi, p. 79. ("Durante quei primi giorni Miriam si rese conto che la routine scolastica così come lei la conosceva - i giorni programmati - l'irregolare, invariabile successione di lezioni e studio non aveva luogo in questo nuovo mondo").



G. Genette, op. cit., p. 308.

Erina Siciliani, op. cit., p.21.

D. Richardson, Foreword, p. 12. ("La scrittrice in oggetto si lamenta, in modo gentile e rassegnato del reiterato tip- tap che l'accusa di femminismo, di incapacità nel percepire il valore dell'intelligenza prettamente maschile, della sentimentalità anteguerra e della tendenza a seguire Freud post-guerra. Ma quando le danze si scatenano sulla sua opera perché priva di punteggiatura e quindi illeggibile, ella è mossa a piangere forte. Perché questa è la verità. La prosa femminile, come Charles Dickens e James Joyce hanno deliziosamente mostrato di essere consapevoli, dovrebbe essere propriamente priva di punteggiatura, muovendosi da un punto all'altro senza ostacoli formali").


D. Richardson, About Punctuation, cit. in E. Siciliani, op. cit., p. 142. (".il marchingegno della punteggiatura e dei caratteri tipografici, seppure sollevino di un peso sia lo scrittore che il lettore e servano perfettamente allo scopo dello scambio d'uso corrente, ha anche, nell'insieme, devitalizzato l'atto della lettura; tendendo a renderlo meno organico, più meccanico").

Ivi, p. 141. (".mantenere l'occhio e il cervello fissi al loro scopo di esaminare un testo che scorre ininterrotto, ad eccezione di qualche punto occasionale").


D. Richardson, Pointed Roofs, cit., p.29. ("Era stata una follia..Impegnarsi ad andare alla scuola tedesca ed insegnare.andare lì.con niente da dare. Sarebbe arrivato il momento in cui ci sarebbe stata una classe seduta intorno ad una tavola ad aspettare che lei parlasse. Immaginò una delle stanze nella vecchia scuola, piena di ragazze sdegnose. Come veniva insegnato l'inglese? Da dove cominciare? La grammatica inglese.in tedesco? Il cuore le batté in gola. Non aveva mai pensato a questo..Le regole della grammatica inglese? Analisi.prefissi e suffissi anglosassoni.gerundio infinito..Era troppo tardi per rivedere qualsiasi cosa. Forse ci sarebbe stata una classe domani..Le lezioni di tedesco a scuola erano state terribilmente buone.il volto grave della Fräulein.la sua perfetta conoscenza di ogni regola.le sue chiare spiegazioni in inglese.i suoi esempi..Tutte queste cose erano lì nella grammatica inglese..E lei si era impegnata ad insegnarle e non sapeva neppure parlare in tedesco. Monsieur aveva parlato in francese per tutto il tempo.dictées.lectures.Le Conscrit.Waterloo.La Maison Déserte.la sua voce attenta che leggeva e leggeva.finché la stanza scompariva.doveva fare questo per le sue ragazze tedesche. Leggere loro in inglese e farle felici..Ma prima dovevano esserci i verbi.c'erano stati cahiers di verbi.prima, seconda, terza coniugazione..Era un'impudenza, un'impudente invasione.la spaventosa, brava scuola straniera..Le avrebbero riso in faccia..Cominciò a ripetere l'alfabeto inglese.Dubitava che davanti alla classe, avrebbe potuto raggiungere la fine senza neanche un errore..Raggiunse la Z ed, andò avanti alle parti del discorso").



Radford Jean, Dorothy Richardson, Bloomington, Indiana University Press, 1991, pp. 69-71. ("Mentre il narratore può presentare soltanto la coscienza della protagonista, il testo rappresenta le forze inconsce che operano all'interno e attraverso quella coscienza. Le parole sulla pagina (la rappresentazione della coscienza) sono integrate da una gamma di espedienti tipografici: ellissi, corsivo, passi segmentati, vuoti e spazi nel testo. Questi espedienti rappresentano le repressioni e i vuoti nella coscienza, o ciò che rimane non detto o è indicibileE nel testo in realtà sono stampati silenzi per registrare l'attività dell'inconscio che né il discorso né la scrittura possono raggiungere

D. Richardson, Pointed Roofs, cit., p.44. ("Miriam chiuse gli occhi- sembrava aver ascoltato a lungo- quella meravigliosa luce stava venendo di nuovo- aveva dimenticato il suo lavoro di cucito- quando subito vide girare lentamente, svanire e poi divenire chiaro, prima il bordo, e poi per un momento l'oggetto intero, grondante, grondante mentre girava, la ruota di un mulino pieno di erbacce..Lo riconobbe all'istante. Lo aveva visto da qualche parte da bambina- nel Devonshire- e non vi aveva più pensato da allora- ed eccolo lì. Sentiva il dolce fruscio e il gocciolare dell'acqua e il mormorio basso della ruota. Com'era bello..stava svanendo..Lo trattenne- ritornò- più chiaro questa volta e poteva sentire il venticello freddo che produceva, e odorare il suo fresco profumo di terra, odore di muschio ed erbacce luccicanti e gocciolanti dal suo vasto bordo. Il suo cuore si riempì. Sentì un piccolo tremore nella gola. Si accorse all'improvviso che se avesse continuato ad ascoltare il mormorio della ruota e a sentire la freschezza dell'aria, si sarebbe messa a piangere").


Ivi, p. 38-39.

M. Murry, cit. in P. Tiessen, Einstein, Joyce, and the Gender Politics of English Literary Modernism, in "Kinema", 1, Primavera 1993. (".un interminabile film (.) stancante quanto 24 ore di cinecamera senza intervalli o trama").



C. Watts, op. cit., p. 58.

P. Tiessen, op. cit. ("L'innovazione stilistica di Richardson nel suo romanzo, Pilgrimage, era intenzionale; essa era, inoltre, inestricabilmente legata (.) alla sua esperienza dei film, specialmente i muti (.). Richardson trovò nel film muto una stimolante forma narrativa che esisteva al di fuori del regno del discorso verbale, (.). Il film muto (.) era come uno spirito, libero dalle costrizioni del linguaggio parlato o scritto").



Ibidem. ("James Joyce, pur avendo detto poco sul film, è citato di routine laddove ci sono discussioni su letteratura e film negli anni '20; Dorothy Richardson, che esplicitamente offrì di più e per un periodo di molti anni, è di routine ignorata").

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