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Matrimonio borghese nell'opera di Svevo
Uno dei motivi ricorrenti e
centrali nelle commedie di Italo Svevo è il matrimonio, con i litigi, le
ripicche, le gelosie, i piccoli e grandi ricatti economici, le crisi, le
infedeltà, le insoddisfazioni femminili. Molti critici accettano la tendenza a
considerare le posizioni di Svevo sulla centralità della figura femminile,
all'interno del matrimonio, vicina a quella di Henrik Ibsen e, in misura più
complessa e inquietante di Johan August Strindberg, che vede realizzarsi nel
legame matrimoniale tutte le violenze e le contraddizioni, le nevrosi e i
malesseri della società borghese.
Per Italo Svevo il matrimonio, con i suoi riti obbligati, con la pesante
fissità dei ruoli, è lo specchio di quella società mitteleuropea ormai alla
deriva, giacché ha perso il senso della centralità e dell'egemonia. Varie sono
le risposte, nei paesi dell'Europa Centrale, alla coscienza della crisi,
profetizzata in modo ineluttabile dai padri di tutta la cultura mitteleuropea,
da Arthur Schopenhauer a Friedrich Nietzsche. Svevo risponde come un borghese,
profondamente e drammaticamente scisso in due parti inconciliabili: l'uomo
d'affari efficiente e integrato e lo scrittore in preda ad una nevrosi
insanabile che con lucidità penetrante non può illudersi né su se stesso, né
sulla malattia che corrode l'uomo alla radice.
Se Italo Svevo cerca di salvare il suo matrimonio, quale punto fermo della sua
vita, lo scrittore che è il lui si dissocia dall'uomo e la sua critica alla
famiglia borghese, malgrado la sua sofferta tranquillità privata, non sarà per
questo meno amara e radicale. Quanto delle esperienze di vita Svevo ha
trasferito, sublimato, deformato, mimetizzato, mascherato nella sua opera, cioè
nella cura risanatrice della scrittura? Pare quasi che desideri, sotto la
maschera borghese di un matrimonio riuscito, seppellire curiosità e pulsioni
sessuali. Vuole rimuovere il desiderio e il pensiero della morte,
inconsciamente consapevole che eros e thanatos siano indivisibili. Il
rapporto tipo con la moglie si sublima o nella tendenza ad un mitico ed
universale ritorno alle 'madri', cioè alla purezza primigenia, o
diventa un legame affettivo 'da sorella', di scambievole assistenza,
di protezione del nido familiare dagli assalti e dalle contraddizioni del mondo
esterno.
Nelle sue commedie è
possibile riconoscere un'analisi impietosa del matrimonio, ora condotta con la
leggerezza e la bonaria comicità che si addice al vaudeville, ora realizzata
con l'amaro compiacimento di chi affonda il coltello nelle proprie piaghe.
All'interno del suo teatro sono riconoscibili due filoni: uno derivante da Carlo
Goldoni, leggero e amabilmente sorridente, l'altro, più introspettivo e
autobiografico, collegato alle suggestioni e agli echi della drammaturgia di
Ibsen e di Strindberg.
In una società piattamente opportunista, volta a salvare le apparenze del perbenismo,
eterna bandiera della borghesia, non c'è possibilità di fuga o di salvezza,
bensì solamente l'arte sottile di ambigue strategie di accomodamento e il gioco
intercambiabile delle maschere, da usare a seconda delle circostanze. Italo
Svevo di solito traccia una netta linea di demarcazione fra la donna-amante e
la donna-moglie-madre-sorella, vivisezionando con masochistica voluttà gli
aspetti contrastanti della femminilità. Perché c'è quasi sempre una scissione
così netta, anche all'interno del matrimonio, tra corpo e anima? Perché la
vitalità e la spontaneità sessuale sono riservate in prevalenza a donne del
popolo?
In modo più o meno consapevole Svevo ha trasferito nei personaggi maschili una
sua paura latente della donna che sovverte l'ordine e il decoro, tanto cari
alla borghesia, facendo sorgere il sospetto di una non realizzata educazione
sentimentale, di una carenza inespressa, ma non meno temuta, della virilità. Da
questa debolezza nasce il suo stupore, misto ad amara ironia, nell'analizzare
il comportamento delle donne,
L'esigenza di libertà e di scelta e la volontà di trovare nuovi spazi e nuovi
canali di comunicazione e di purificazione, di fronte alla coscienza
dell'aridità e dello svuotamento dei rapporti affettivi all'interno del ménage
coniugale, non riescono a superare i pesanti condizionamenti familiari e
sociali.
La rigenerazione, l'ultima e più complessa delle
commedie di Svevo, ricca di implicazioni psicologiche e culturali, vero
testamento spirituale dell'autore, si basa sull'idea che unicamente attraverso
un'operazione di ringiovanimento sia possibile per il settantaseienne Giovanni
Chierici ritrovare la perfetta integrità fisica e spirituale. Il contrasto
intimo che lo travaglia non è quello tradizionale fra due momenti antitetici dell'esistenza,
cioè la giovinezza e la vecchiaia, né fra i due stati ricorrenti negli altri
personaggi sveviani, cioè salute e malattia. Non è la gioventù che egli vuole
recuperare, né la vecchiaia che vuole fuggire, bensì sperimentare una stagione
nuova, mai vissuta, lontana da quanto di fisso e di rigido c'è stato nel suo
matrimonio, per aprire nuove prospettive e spiragli trasgressivi nel decoro
borghese e nella ripetitività dei ruoli.
Egli desidera con tutte le forze ritrovarsi diverso da quello che è, uscire da
una moralità che l'ossessiona e pirandellianamente porsi come altro da sé,
liberando e recuperando le energie vitali e sessuali bloccate dal conformismo.
Con raro equilibrio, tuttavia, Giovanni ' qui veramente alter ego di Svevo
' a differenza di Giovanni di Seren Lange Kierkegaard, sempre in perenne
incertezza fra il momento etico ed estetico della vita e dell'amore, sceglie la
strada della responsabilità, della moralità. Ogni trasalimento del desiderio è
rimosso, la donna, non più tentatrice, gli appare importante solo in quanto
moglie.
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