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L' "opera" di Virgilio si sviluppa tutta nel periodo augusteo. Nel periodo repubblicano precedente la poesia aveva visto la rivoluzione letteraria dei neoteroi che avevano affidato alla poesia, elaborata e formalmente raffinata come voleva la poetica callimachea, l'espressione dell'individuo nei suoi vari aspetti. I suoi maggiori rappresentanti, Lucrezio e Catullo, avevano, in modo diverso, escluso il cittadino; i poeti augustei fanno propria, sul versante letterario, la lezione dei poeti nuovi, ma prendono coscienza della crisi dell'impero e dei problemi ad essa connessi e, pur non accostandosi alla vita politica attiva, recuperano un impegno sociale sconosciuto ai poeti della generazione precedente. Anche Virgilio, che in giovinezza frequentava l'ambiente epicureo, che predicava l'ataraxia e il distacco dalla politica, a cui spingeva anche la corruzione e la discordia civile, una volta entrato in contatto con l'ambiente di Ottaviano tramite il circolo di Mecenate, maturò un ideale etico-politico, in linea con la politica culturale del princeps, che mostra nuova sensibilità ai problemi della società a lui contemporanea.
Precedente a questa evoluzione è la composizione delle Bucoliche, 10 carmi chiamati anche egloghe (=carmi scelti), la prima opera di cui abbiamo notizia certa e quella maggiormente legata all'epicureismo e all'ambiente neoterico, ma già ((nuova».
Nuovo era in Roma, anche se non mancavano carmi isolati che trattavano temi pastorali, il genere, quello bucolico, conosciuto attraverso il suo massimo rappresentante Teocrito di Siracusa, poeta di età ellenistica (vissuto verso la metà del III sec. a.C.), autore di Idilli di argomento rustico. In essi i personaggi, ambientati in un paesaggio edenico, conservano tratti di realismo, anche se guardati con distacco, che in Virgilio scompariranno così da divenire spesso proiezione dei sentimenti e pensieri del poeta stesso. Motivo centrale il canto -spesso in forma di gara - su cui si incentrano il tema dell'infelicità d'amore e quello della natura. Di questo mondo Virgilio fa una rivisitazione intellettuale che comportò un'ulteriore idealizzazione del mondo rappresentato già idealmente da Teocrito, anche se non mancano allusioni alla realtà dei fatti, pur sempre trasfigurata dalla realtà della poesia. Si fissa così quel codice del genere bucolico che, con il suo paesaggio ideale, l'Arcadia, fornirà il modello a poeti posteriori fino al Rinascimento e alla poesia del '700.
Le egloghe, il cui legame architettonico conferisce una certa unitarietà, trattano i seguenti argomenti:
1. Titiro e Melibeo, due pastori, espongono in un dialogo le loro diverse vicissitudini: l'uno, conservando il suo podere grazie all'aiuto di un giovane potente, continuerà a godere della sua tranquillità, l'altro sarà costretto a vagare lontano dalle sue terre di cui è stato spossessato.
2. Il pastore Coridone alza un lamento d'amore per Alessi per il quale si strugge invano.
3. Tra i pastori Menalca e Dameta si svolge una gara di canto in forma amebea (cioè a botta e risposta) su temi vari: amorosi, poetici e pastorali.
4. Di controversa interpretazione soprattutto per l'identificazione del puer (v. introd. al carme p. 20), la IV egloga profetizza, in occasione della nascita di un fanciullo, l'avvento dell'età dell'oro.
Due pastori, in forma dialogata, elevano un canto per la morte di Dafni, mitico rappresentante della poesia pastorale, e la sua apoteosi.
Si può considerare un canto alla piacevolezza e alla potenza della poesia. In forma narrativa, si apre con una dichiarazione di poetica; nel proemio infatti c'è il rifiuto della poesia epica e l'intenzione di dedicarsi a quella bucolica. Segue la narrazione di quando il vecchio Sileno, sorpreso nel sonno e catturato da due ragazzi ed una ninfa, fu costretto a cantare per loro. Il canto di Sileno, con tratti lucreziani, rievoca la nascita del mondo con riferimenti a numerosi miti.
Melibeo racconta una gara di canto fra due pastori arcadi (quindi buoni cantori) con relativo giudizio finale.
Gara fra due pastori che cantano entrambi amori senza speranza. L'egloga è dedicata ad Asinio Pollione.
In forma di dialogo fra i due pastori-poeti Licida e Meri, vengono ricordate, come nella I egloga, le vicende di esproprio delle terre in seguito alle guerre civili.
Virgilio conforta per le sue pene d'amore l'amico Cornelio Gallo, poeta elegiaco, abbandonato dall'amata.
Le Georgiche
Dopo il grande successo delle Bucoliche Virgilio, che faceva parte del circolo di Mecenate, su suo invito, se vogliamo accettare le indicazioni della Vita di Donato, si accinge a scrivere le Georgiche.
Quest'opera si pone nella tradizione del genere della poesia didascalica. Precedenti da cui fu senz'altro influenzato furono, in Grecia, il poema di Esiodo (VII sec. a.C.) Le opere e i giorni, che Virgilio cita espressamente come suo modello, le opere di Nicandro (Il sec. a.C.) ed il poema di Arato (III sec. a.C.) I fenomeni; in Roma, il poema filosofico La natura di Lucrezio, verso il quale il poeta mantovano nutrì la più profonda ammirazione.
Argomento specifico è l'agricoltura, tema trattato in prosa da Catone (I metà del Il sec. a.C.) nel De agri cultura e da Varrone nel 37 a.C. nel De re rustica. A differenza delle opere di questi due scrittori che avevano l'unico scopo di dare consigli pratici all'agricola, le Georgiche risultano, con la loro forte tensione etica, poema di ben altro respiro, confluendo in esse anche l'esperienza lucreziana.
Di Lucrezio Virgilio sembra porsi interlocutore; diversa è l'ideologia (individuabile nel poema virgiliano particolarmente nelle digressioni) sottesa alle opere dei due poeti, diverse le risposte da loro fornite all'interrogativo dell'uomo alla ricerca della felicità: e se Lucrezio ritiene che l'uomo possa trovare gli elementi necessari per raggiungere la pace dell'anima nella filosofia epicurea, Virgilio li intravvede nella vita rustica (Georg. Il 490 ss). Il discorso virgiliano si innesta così, chiaramente, nell'operazione culturale voluta da Augusto, che tendeva alla restaurazione del mos maiorum, dei cui valori era depositario l'agricola (destinatario, almeno apparente, dell'opera) con il suo paziente labor e la vita a contatto della natura. Ed è nella sua rappresentazione e nella definizione del rapporto dell'uomo con essa che appare evidente l'influenza di Lucrezio; egli aveva operato un processo di umanizzazione della natura che trovò rispondenza nella sensibilità di Virgilio il quale quindi lo riprese e massimizzò dando ad elementi naturali e ad animali accenti umani. Non mancano elementi di evidente influsso lucreziano anche su un piano formale: l'organizzazione generale dell'opera (ad es. la struttura in diadi, l'inserimento di digressioni), l'ideale della ricerca del nuovo, la dizione poetica. A fianco di analogie si intravvedono chiare differenze nella tensione e nelle scelte ideologiche: «schematizzando, e facendo appello ad un binomio di categorie astratte, potremmo dire che se Lucrezio tende a ricondurre tutta la realtà delle cose, e con esse la stessa cultura umana, alla natura, lo sforzo di Virgilio va in senso opposto: per quel che può, egli asseconda la trasformazione della natura in cultura degli uomini)> (Conte).
Le Georgiche sono divise in quattro libri: il I si apre con una dedica a Mecenate e tratta precetti di carattere generale per la cerealicoltura; si conclude con la descrizione dei presagi meteorologici, seguiti alla morte di Cesare, che pronosticarono l'avvento delle guerre civili; il II, dopo una breve invocazione a Bacco, passa a parlare della coltura degli alberi, e in particolare dell'olivo e della vite; nell'ultima parte vi è l'elogio della vita campestre; il III contiene un ampio proemio in cui sono esposte da Virgilio alcune dichiarazioni di poetica; si tratta poi dell'allevamento del bestiame, buoi e cavalli, capre e pecore; si chiude infine con la descrizione della peste nel Norico, che provocò una grande moria di animali; il IV ha per tema l'allevamento delle api ed in particolare viene analizzata la perfetta organizzazione del loro mondo; la parte finale è costituita da un lungo epillio che narra il mito di Aristeo.
Conclusa la composizione delle Georgiche, lette da Virgilio stesso, in alternanza con Mecenate, ad Ottaviano che era fermo ad Atella a causa di una malattia, si dedicò a quella dell'Eneide di cui si occupò fino alla morte.
Come leggiamo nel proemio del III libro delle Georgiche Virgilio già allora doveva avere in animo il progetto di scrivere un poema mirante ad esaltare la figura di Ottaviano e le sue imprese, ma solo più tardi si dovettero concretizzare in lui le modalità e l'argomento preciso dell'opera che non fu, come forse ci si aspettava, un poema storico, ma un poema epico.
Il genere epico in Roma già conosceva una tradizione letteraria di derivazione ellenistica: nel III sec. a.C. Livio Andronico aveva tradotto nel metro nazionale romano, il saturnio, l'Odissea; all'inizio del 11 sec. a.C. Nevio aveva composto, sempre in saturni, un poema di argomento storico, il Bellurn Poenicuna; infine Ennio, il grande pater Ennius, aveva codificato il linguaggio e la struttura del poema epico scegliendo come metro il verso omerico dell'esametro per i suoi Annales, che trattavano in ordine cronologico tutta la storia di Roma dalle origini. Evidente l'intento di celebrare la grandezza di Roma e la virtus del popolo romano su cui essa si fondava. Ma se l'epica delle origini doveva costruire un epos nazionale, l'epica d'età augustea aveva una diversa esigenza; per il programma ideologico culturale del princeps si rivelava necessario ((ridare vita e voce ai valori della romanità" (Pasoli). Dopo il disimpegno politico dei neoteroi della generazione precedente, dopo le guerre civili, bisognava ricostruire quei valori del rnos maiorurn che avevano costituito il tessuto connettivo della società romana, fornire un modello di società rinnovata etica-mente e politicamente, instaurare un clima di serenità e completa fiducia nella persistenza della pace e nella missione imperiale di Roma. Questo era l'intento di Augusto che Virgilio perseguì in particolare con la sua opera epica (ma già aveva iniziato con le Georgiche). Scegliendo un'opera epica, e non storica, Virgilio poté spostare l'ottica dalle vicende contemporanee ai tempi remoti: ciò gli consentì di proiettare la storia in tempi futuri rispetto all'azione connotandola di quella forza e di quella suggestione magico-religiosa che sole hanno le profezie. Al mito viene così affidata l'esaltazione dell'ideologia del <'ritorno alle origini» e la celebrazione della dinastia di Augusto attraverso quella del fondatore della stirpe, Enea. La ricostruzione mitica permise a Virgilio di collegarsi con il grande precedente epico di Omero, a cui si ricollega gareggiando con lui (aemulatio) secondo il gusto letterario del tempo.
L'Eneide è strutturata in due parti: i primi sei libri, con la descrizione dei viaggi di Enea, si ispirano all'Odissea, gli ultimi sei, con la narrazione delle guerre affrontate da Enea contro le popolazioni indigene del Lazio, all'Iliade. Nel poema sono anche presenti le esperienze dei poeti alessandrini Apollonio Rodio, Callimaco, i poeti epigrammatici, dei quali ampia era la sua conoscenza: la trattazione del racconto vede ad es. l'inserimento di miti con varianti meno note e il ricorso all'allusività non solo di poeti epici precedenti, ma anche di Lucrezio e dei poetae novi, Catullo in particolare. L'Eneide si può considerare dunque il compendio di tutta l'esperienza poetica precedente: si possono infatti rintracciare forme drammatiche e liriche che conferiscono un tono nuovo all'epica: prima di Virgilio questo genere letterario era caratterizzato dalla oggettività: il poeta cioè raccontava le imprese degli eroi secondo un solo «punto di vista» così che poeta e personaggio venivano ad identificarsi con il risultato di rendere oggettiva la narrazione; con Virgilio ciò non accade. Il personaggio, dal poeta approfondito psicologicamente, vive le azioni secondo un'ottica che non coincide obbligatoriamente con quella dell'autore, il quale a sua volta interviene' con osservazioni, commenti e considerazioni proprie presentate sia direttamente che indirettamente: per questo si è parlato di stile soggettivo nell'epica virgiliana, stile che ha permesso all'autore una partecipazione al racconto che non conosce precedenti nell'epica. Nonostante la pluralità dei punti di vista, l'Eneide non risulta un poema frammentato: gli assicura coesione l'unitarietà del progetto: filo conduttore rimane la storia della missione universale di Roma, missione voluta dal fato, come risulta evidente dal protagonista, il pius Enea, «il personaggio più profondamente virgiliano: aspira alla pace, ma sa che la pace e la salvezza si conquistano attraverso la lotta, con una dedizione totale al compito che a ognuno di noi ha assegnato la sorte» (Setaioli). In ciò è racchiuso il messaggio e il senso di tutta l'opera virgiliana: nell'eterno conflitto fra il sogno arcadico della pace e la realtà della storia, che è la guerra» (Trama), l'uomo è chiamato a «fare la sua parte».
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