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Machiavelli: la lettera a francesco vettori




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MACHIAVELLI: LA LETTERA A FRANCESCO VETTORI


Machiavelli nasce nel tardo quattrocento da famiglia benestante ed è educato con molte cure, così da poter prendere parte attiva nella vita politica contemporanea.

Tappa fondamentale per quanto riguarda i suoi scritti è il 1513, data in cui viene esiliato nella tenuta dell'Albergaccio, vicino San Casciano ed è proprio qui che scrive la lettera sicuramente più nota del suo epistolario: quella a Francesco Vettori.

In questa Machiavelli descrive all'ambasciatore fiorentino come egli trascorra le sue giornate d'esilio e gli parla della sua ideologia, del suo metodo scientifico e della composizione del "Principe."

La lettera è scritta il 10 dicembre del 1513 e può essere suddivisa in tre macrostrutture fondamentali.

Nella I°, dal 1 al 17 verso, troviamo una parte introduttiva in cui è messo in evidenza il rapporto tra i due amici e L'autore dichiara di esser molto entusiasta di aver ricevuto una lettera che sembrava non voler più giungere ("..Dubitavo non avessi ritirato da scrivermi, perché vi fussi sub scritto che io non fussi buon massaro delle vostre lettere..").Nella II°sequenza, più estesa delle altre due, che va dal verso 18 al 60, troviamo la descrizione della sua vita durante l'esilio.

La sua giornata è scandita in due parti differenti: il giorno viene dedicato alla vita mondata in cui passeggia nel bosco, mangia, si reca all'osteria, gioca a carte; la notte è invece dedicata alla stesura delle sue opere e quindi ad una vita sostanzialmente letteraria ("..e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia, solimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte.").

Nella III° ed ultima parte è presentato il dubbio di Machiavelli se dover pubblicare i suoi scritti e se doverli consegnare o no a Giuliano De Medici. Infatti, chiede un buon consiglio all'amico per poter tornare a far parte della vita politica ("..desiderei adunque che voi ancora mi scrivessi quello che sapia questa materia vi paia.").

I topoi affrontati sono molteplici: innanzitutto troviamo quello della Fortuna e il rapporto che c'è tra questa e la Virtù, problema affrontato dai letterati fin dal primo Rinascimento.

Il Machiavelli « perché il nostro libero arbitrio

Non sia spento » stima che la Fortuna domini su metà, all'incirca, delle azioni umane e il resto lo lasci a noi. Ma poi, preoccupato di salvaguardare la Virtù (nel senso profano di capacità ed energia a fare), sostiene che anche la Fortuna si può tenere a bada con dei ripari come si fa coi fiumi prima che straripino. E termina col rappresentare la Fortuna, in cui Dante vedeva un'Intelligenza angelica ministra di Dio (Inferno VII), come una donna bizzarra che va maltrattata se si vuol sottometterla e che ama i giovani perché sono meno rispettivi, più feroci, con audacia la comandano.

In questo binomio fondamentale di Virtù-Fortuna il

Machiavelli da uomo rinascimentale sta per la Virtù, ma non sa nascondersi che la Virtù non può tutto e che c'è una zona nera dove essa non giunge con la sua chiarezza. Così, avendo messo al centro della storia l'uomo, vede sorgergli accanto un'ombra che può ottenebrarlo e fuorviarlo: la Fortuna, un'entità misteriosa, ora deuteragonista ora antagonista della Virtù ("...così rivolto in tra questi pidocchi traggo il cervello di muffa, e sfogo questa malignità di questa mia sorte.").

Nella seconda sequenza sembrano essere al centro dell'attenzione il tema della storia antica e il metodo scientifico e politico in quanto, pur nella sua solitudine  Machiavelli non si distacca dai problemi del suo tempo: egli affronta gli antichi per viver più intensamente i moderni, per affrontare problemi più nuovi; per impostare su nuovi principi la scienza politica, per mostrare agli italiani l'unica via possibile di progresso , di salvezza. "Venuta la sera, mi ritorno in casa, ed entro nel mio scrittoio; ed in su l'uscio mi spoglio quella veste cotidiana , piena di fango e di loto (da notare la grandezza e la dignità dell'uomo che si spoglia sull'uscio della vita quotidiana , macchiata dal fango materiale e da quello dello spirito ) e mi metto panni reali e curiali , e rivestito condecentemente entro nelle antique corti degli antiqui homini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è mio, e che io nacqui per lui..).

Ritiene che il presente e il passato confluiscano insieme, e per questo che il passato sia un maestro per il presente. Ha quindi un atteggiamento umanistico nei confronti dei classici e del mondo quotidiano, come gli umanisti infatti ricercava nei classici l'attualità ("..ho un libro sotto, o Dante o Petrarca, o uno di questi poeti minori, come Tibullo, Ovidio e simili: leggo quelle loro amorose passioni e quelli loro amori, ricordomi de' mia, godimi un pezzo in questo pensiero...").

Importante è il suo metodo scientifico e politico che si può ricavare da questa lettera: un'attenta e curata analisi politica, basata sull'esperienza del passato e del presente e volta alla ricerca di leggi universalmente valide. Il Machiavelli può essere definito un politologo che valuta con oggettività la realtà effettuale, cioè la realtà nella sua storica concretezza, nel rapporto di forze che la determinano. Queste forze costituiscono delle potenzialità e sono subordinate alle scelte e all'agire dell'uomo che le può modificare a suo piacimento. Tutto ciò non vuol far altro che dimostrare il suo rigore scientifico e politico ( ".De principatibus, dove io mi profondo quanto io posso nelle cogitazioni di questo subietto, disputando che cosa è principato, di quale spezie sono, come è si acquistano, come è si mantengono, perché è si perdono.").

Nella terza sequenza è il tema di una attiva partecipazione alla vita politica, che vede nella stesura del Principe il suo obiettivo. Machiavelli spera, infatti, che dopo aver dedicato e consegnato l'opera A Giuliano De Medici possa contare su qualche incarico per potersi conquistare la fiducia dei Medici ("...Appresso al desiderio havei che questi signori Medici mi cominciassimo adoperare, se dovessimo cominciare a farmi voltolare un sasso, perché se poi io non me li guadagnassi, io mi dorrei di me.").

Dal punto di vista stilistico è presente una grande varietà di registri. Ad esempio dall'amabilità colloquiale dell'attacco iniziale, ove è presente anche un'affettuosa ironia, si passa ad un improvviso elevarsi del tono in concomitanza del tema della Fortuna. In seguito nella descrizione del quotidiano vi è uno stile piano e descrittivo mentre in quello notturno vi è una forte tensione stilistica, presente anche alla fine della lettera, connotata da un efficace climax (noia..affanno.povertà.morte). Quest'alternarsi di registri stilistici connota il tema centrale della lettera, è infatti, la conferma di una mentalità di studioso umanista che riunisce assieme la bassa quotidianità e l'elevatezza del mondo classico, rendendo tutto ciò evidente grazie proprio all'utilizzo di registri aulici e bassi, formali ed informali.

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