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Luigi Pirandello: prigionieri della forma




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Luigi Pirandello:
prigionieri della forma


1. La vita

Luigi Pirandello nacque il 28 Giugno 1867 a Girgenti (quella che in epoca fascista fu  denominata Agrigento) da una famiglia molto ricca. La sua infanzia fu caratterizzata dalla difficoltà di comunicare con gli adulti, in special modo con il padre, e ciò lo stimolò ad affinare le sue capacità espressive e ad analizzare il modo di comportarsi degli altri per imparare a corrispondervi al meglio. La sua famiglia lo avvicinò al credo cattolico, inculcandogli tuttavia elementi di superstizione popolare. Si allontanò dalla Chiesa per un fatto apparentemente di poco conto: il sacerdote della parrocchia che frequentava truccò l'estrazione di un'immagine sacra per far vincere il giovane Luigi. Da questa azione risultò profondamente sconvolto, e da quel momento decise di vivere la religiosità in modo del tutto personale. Fin da piccolo si appassionò di letteratura: all'età di undici anni scrisse "Barbaro", la sua prima opera oggi andata perduta. Dopo il ginnasio, per un breve periodo aiutò il padre nel commercio dello zolfo; questa esperienza gli permise di conoscere il mondo degli operai delle miniere. Riprese gli studi: frequentò lettere a Roma e si laureò in glottologia (filologia romanza) a Bonn, città nella quale entrò in contatto con la cultura tedesca e con gli autori romantici. Nel 1892, terminati gli studi, si trasferì a Roma, dove, mantenuto dagli assegni mensili del padre, si dedicò totalmente alla letteratura. Qui conobbe Luigi Capuana e, grazie a lui, cominciò a frequentare i salotti intellettuali e ad acquistare una certa fama. Nel 1894 sposò Maria Antonietta Portulano a Girgenti: se inizialmente questo fu un matrimonio di interesse, presto fra i due nacque veramente l'amore. La condizione agiata della moglie e la sostanziosa dote da lei portata alle nozze permise ai due di trasferirsi a Roma. Da loro nacquero tre figli: Stefano, Rosalia e Fausto. Nel 1903 un allagamento alla miniera di zolfo del padre provocò il declassamento sociale della famiglia. Antonietta, venuta a conoscenza della notizia, ebbe una delle sue crisi isterico-depressive che presto avrebbero costretto il marito a farla internare in un ospedale psichiatrico. La malattia della moglie spinse Pirandello ad approfondire la nuove teorie sulla psicanalisi di Freud, e da lì i meccanismi della mente e il comportamento della società davanti alle malattie mentali. Spinto da ristrettezze economiche e dallo scarso successo fino a quel momento ottenuto dalle sue opere, intensificò la sua attività letteraria. Nel 1904 conobbe l'acclamazione del pubblico con Il fu Mattia Pascal, opera tuttavia troppo innovativa per riscuotere successo tra la critica. Il pieno successo arrivò solo nel 1922, quando si dedicò totalmente al teatro. Spesso nella sua vita si dichiarò apolitico, tuttavia è ben nota la sua adesione al fascismo e la sua firma al Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile. Le ragioni della sua posizione politica furono certamente dettate dalle sue tesi patriottiche e dalla necessità di essere libero di fondare la sua compagnia teatrale. Nel 1925, con Marta Abba e Ruggero Ruggeri creò la "Compagnia del teatro d'arte", con la quale cominciò a girare il mondo e a far conoscere le sue opere. Nel 1934 fu insignito del premio Nobel per la letteratura. Morì nel 1936 di polmonite a Cinecittà, durante le riprese del film ispirato a Il fu Mattia Pascal. Lasciò incompiuto I giganti della montagna. Il regime fascista avrebbe voluto esequie di Stato. Tuttavia, fu rispettata la sua volontà:

«Carro d'infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m'accompagni, né parenti né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta»

Per evitare consacrazioni monumentali sulla sua tomba, espresse il desiderio che il suo corpo fosse cremato.


2. Il pensiero

Cerchiamo di riassumere il pensiero di Pirandello in tre principali linee guida:

il vitalismo;

il relativismo conoscitivo;

l'umorismo;


2.1 Il vitalismo

Per Pirandello la realtà è vita, perpetuo divenire di cui gli uomini fanno parte. Tuttavia, nonostante essi siano trascinati da questo eterno movimento, tendono ad affermarsi come "esseri distinti dal resto": per raggiungere tale scopo trovano necessaria la creazione di forme. Noi di noi stessi e gli altri di noi creiamo delle maschere:  tuttavia, l'immagine che noi abbiamo di noi è diversa da quella che ciascuno degli altri ha di noi. In questa concezione Pirandello fu notevolmente influenzato dalla teorie delle alterazioni della personalità dello psicologo Binet, secondo il quale nella società l'io viene disintegrato totalmente. Questa disintegrazione è espressione della realtà spersonalizzante del Novecento, nella quale la macchina sostituisce l'uomo e nella metropoli l'uomo fa parte di una folla anonima. La presa di coscienza di tale situazione provoca, nei personaggi pirandelliani, dolore e smarrimento, angoscia ed orrore, ma soprattutto solitudine. Le maschere a cui gli altri costringono gli uomini sono identificate come una trappola per l'individuo. In questo contesto la società diventa il luogo di più grande solitudine per l'uomo. L'istituzione per eccellenza nella quale emerge il concetto di "trappola" è la famiglia, diventata opprimente. Pirandello guarda anche con pessimismo totale la condizione socio-economica del suo tempo. L'unica soluzione a questa situazione diventa la fuga nell'irrazionale, rappresentata nelle opere pirandelliane dalla figura dell'eroe estraniato. L'eroe decide di isolarsi e di guardare dall'esterno la vita. Da ciò emerge una sorta di filosofia del lontano, una lucida contemplazione della mancanza d'azione del reale: non potendo fare nulla per eliminare le maschere, decide consapevolmente di astenersi da qualsiasi azione.


2.2 Il relativismo conoscitivo

Spesso Pirandello viene indicato tra gli esponenti del Decadentismo. Tuttavia, talvolta mostra delle reticenze o dei superamenti di certi aspetti. Per meglio chiarire, creiamo un parallelismo:

Il processo conoscitivo

Decadentismo

Il reale è unificato da una fitta rete di "corrispondenze" che possono condurre all'epifania: con tale termine si intende una rivelazione improvvisa determinata da un dettaglio apparentemente poco significativo, uno slancio di partecipazione mistica che può portare alla contemplazione dell'essenza ultima della realtà.




Pirandello

Per Pirandello non sono più possibili le epifanie: la realtà non è organica e ordinata, ma si sfalda in una molteplicità di frammenti. Essendo la realtà un continuo divenire, non vi è una prospettiva privilegiata da cui guardarla. Il relativismo conoscitivo consiste nel fatto che non esiste una verità assoluta, perché ognuno ha la sua verità. Da ciò deriva l'incomunicabilità tra gli uomini: non è
possibile far comprendere ad un altro ciò che io ho compreso. Inevitabilmente, questa consapevolezza rende l'uomo sempre più solo e lo fa scoprire "nessuno".


La visione dell'io

Decadentismo

Il Decadentismo rifiuta una visione razionale della realtà e conduce alla chiusura dell'io. L'io così si identifica con il mondo, vincendo il dualismo (l'io e il mondo) con il panismo (l'io è il mondo). Il centro del reale è quindi l'interiorità e il soggetto è identificato come un'entità assoluta.


Pirandello

Per Pirandello il soggetto non è un assoluto. Come la conoscenza, l'io si frantuma, si annulla in una miriade di parti che lo rendono un io relativo. L'io diventa relativamente "nessuno".

Al relativismo conoscitivo Pirandello individua tre reazioni:

Reazione passiva

L'uomo accetta la maschera che gli altri gli hanno messo e vive la sua vita nell'infelicità, trovando insanabile la frattura tra ciò che vorrebbe essere e ciò che gli altri credono che lui sia. È il caso de Il fu Mattia Pascal.

Reazione ironico-umoristica

Il personaggio non si rassegna alla sua maschera, ma decide di sfruttarla a suo vantaggio. Accetta il suo ruolo con atteggiamento ironico, aggressivo o umoristico. È il caso de Il gioco delle parti, La patente, Pensaci Giacomino.

Reazione drammatica

Il personaggio vuole togliersi la maschera che gli è stata imposta, ma non riesce in questa impresa e reagisce con la disperazione. A questo punto, non gli resta che accettare fino in fondo il ruolo che il mondo gli ha dato, fino alla solitudine disperata che conduce o al suicidio o alla pazzia. È il caso di Uno nessuno e centomila, Enrico IV, Sei personaggi in cerca d'autore e Il gioco delle parti.


2.3 L'umorismo

La visione pirandelliana dell'arte e della poetica sono contenute in un saggio denominato L'umorismo. Secondo tale concezione, l'opera d'arte nasce dal movimento libero della vita interiore. Ogni opera d'arte, come la vita, non è mai puramente tragica o totalmente comica. Comicità e tragicità si compenetrano nello spettacolo della vita. La percezione della loro compresenza si avverte attraverso due stadi, che Pirandello espone a partire dall'esempio di una donna di mezz'età con i capelli tinti e i vestiti griffati:

innanzitutto, in chi la guarda, avviene l'avvertimento del contrario. La donna è l'esatto contrario di quello che dovrebbe essere e da ciò si percepisce inizialmente il comico;

in un secondo tempo emerge la riflessione, attraverso la quale comprendiamo che il comportamento della donna ha radici in una sofferenza profonda. Si passa così al sentimento del contrario, attraverso il quale si supera il comico e si giunge all'umorismo. La riflessione dunque permette di cogliere il ridicolo, ma ne individua anche il sostrato dolente.

L'arte contemporanea risulta sdoppiata: non mostra più una prospettiva univoca, ma deve sempre vedere l'oggetto anche dal punto di vista opposto. Essa è l'esatta espressione di un mondo in cui la coscienza non è più ordinata, ma frantumata, ambigua. Pirandello stesso ritiene che tutte le sue novelle sono testi "umoristici", in cui la componente comica e quella tragica sono mescolate. In questa teoria Pirandello è molto vicino a un critico russo suo contemporaneo, Bachtin: quest'ultimo afferma che, nella letteratura "carnevalesca", il comico interviene sempre a rovesciare ciò che è serio. Ciò che Bachtin chiama "comico" in Pirandello diventa "umorismo".


3. Il teatro

Il teatro pirandelliano è decisamente rivoluzionario: se la vita è una finzione, una rappresentazione, il teatro è una finzione al quadrato, poiché simula la vita. Sono quattro le fasi che caratterizzano il suo teatro:

Le commedie siciliane, prima fase, dove i protagonisti riflettono sulla loro condizione. Tra queste ricordiamo Pensaci Giacomino e Il berretto a sonagli;

Le commedie borghesi, come Il piacere dell'onestà, Il gioco delle parti, Così è (se vi pare);

La terza fase è quella del "teatro nel teatro", e si compone di una trilogia: Sei personaggi in cerca d'autore (dove si evidenzia lo scontro tra i personaggi e gli attori che li interpretano), Ciascuno a suo modo (lo scontro tra attori e pubblico) e Questa sera si recita a soggetto (lo scontro tra attori e regista);

La quarta ed ultima fase è quella delle commedie fiabesche, delle quali la più importante è I giganti della montagna.


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