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LUIGI PIRANDELLO
LA VITA
Luigi Pirandello, nato ad Agrigento nel 1867, compì i suoi studi a Palermo, Roma e si laureò in lettere presso l'università di Bonn (in Germania) nel 1891. Tornato in Italia nel 1892, prese residenza a Roma, dove trascorse poi gran parte della sua vita, collaborando a vari giornali e riviste, e insegnando per oltre vent'anni letteratura italiana presso l'Istituto Superiore di Magistero Femminile (dal 1897 al 1922). Il dissesto finanziario causato dalla perdita della rendita di una miniera di zolfo (lascito paterno), lo costringerà a mettersi in concorrenza anche sul mercato editoriale vendendo le sue novelle e romanzi. E' da notare che nel 1904 ebbe inizio una grave crisi mentale della moglie ( iniziata proprio grazie al dissesto finanziario, e sfociata in una forma morbosa e violenta di gelosia nei confronti del marito), che costituì per lo scrittore una vera e propria tragedia familiare (il matrimonio doveva essere infatti "di convenienza" ma si trasformò sfortunatamente in matrimonio d'amore in quanto, come affermava lo stesso Pirandello <Non ci si può sposare innamorati, perché il matrimonio deve essere un patto lucido e consapevole: in un matrimonio senza amore, la donna si adatta al marito, assume il suo ruolo e lo porta avanti creando un'unione solida e portatrice di grandi risultati>), che non rimase senza influsso sulla sua dolorosa concezione del mondo. Negli anni del dopoguerra si dedicò sempre più decisamente all'attività teatrale e fu così che nel 1925 fondò a Roma il Teatro d'arte, dando vita - per alcuni anni- ad una propria compagnia drammatica. In politica, aderì al partito fascista, ma non si espresse mai apertamente su questo tema. Mussolini, gli fece costruire un teatro, a Roma, anche se non apprezzava le sue opere (lontane anni luce dal trionfalismo del regime). Nel 1934, mentre si faceva sempre più largo e profondo l'interesse suscitato in tutto il mondo dalla sua opera teatrale, gli fu conferito Premio Nobel per la letteratura. Morì a Roma, in seguito ad un attacco di polmonite, nel 1936.
L'ARTE E LA PERSONALITA'
Vissuto nel periodo a cavallo tra '800 e '900, fra il naturalismo e l'inizio del decadentismo (periodo delle insicurezze decadentiste, dei "sensi" di Baudelaire, della solitudine di Pascoli, delle tensioni avanguardistiche) Pirandello, come Svevo, è definito uno scrittore isolato, difficile da inquadrare in un movimento letterario ben definito. Nelle sue opere sono rappresentate le riflessioni sull'esistenza, sul male di vivere e sul ruolo dell'uomo nella società; vi si afferma, infatti, l'impossibilità al conseguimento d'alcuna soluzione positiva alla crisi che coinvolge e sconvolge i singoli individui, il tessuto sociale e le istituzioni
Pirandello imposterà i suoi primi scritti come verista, fotografando la realtà siciliana (estremamente utile sarà l'esperienza fatta in un'estate di "lavoro" alla cava di zolfo paterna), e denunciandola socialmente; il realismo di Pirandello, si discosta comunque dai temi del verismo Verghiano: in Verga, esiste un analisi esterna dei personaggi e delle situazioni, intrisa di particolari idealismi (la religione, l'onore.), mentre nell'analisi Pirandelliana i personaggi vivono una realtà non univoca, ma multiforme e sfaccettata, prigionieri di un mondo illusorio e incoerente, un mondo in cui l'inutilità e la miseria della loro vita appaiono come l'unico scenario di base in cui si snoda la vicenda umana, percepita, peraltro in modo sempre diverso a seconda di chi la osserva. Inoltre, Pirandello analizza non solo la classe operaia più umile, ma anche la borghesia, con le sue nevrosi, le sue frustrazioni.
Nella vita e nel suo flusso eterno, Pirandello avverte, da un lato disordine, causalità e caos, dall'altro percepisce disgregazione e frammentazione. Egli sente i rapporti sociali inautentici, rifiuta le forme e le ipocrisie imposte dalla società; a questo proposito, il pessimismo dello scrittore è totale e ciò lo si nota anche, nelle sue opere, dalla caratterizzazione dei personaggi, i quali sono posti sempre in situazioni paradossali, svelando così la contraddittorietà dell'esistenza umana. Vede, Pirandello, un mondo vuoto, privo di ideali: si è perso il gusto dell'eroe, del giusto. Ognuno vive la propria promiscuità, e lo scrittore gliela getta in faccia attraverso le sue opere. Egli punta il dito contro la classe borghese, vuota di ideali e cultura, che crea angosce, ansia, sopraffazione. Dal rifiuto della società organizzata nasce una figura ricorrente in Pirandello, quella del 'forestiero della vita', l'uomo cioè che si isola e si esclude, colui che guarda vivere gli altri e se stesso dall'esterno con un atteggiamento 'umoristico', in una prospettiva di autoestraniazione. La poetica pirandelliana viene così a basarsi su alcuni nuclei concettuali: il vitalismo e il caos della vita. Il vitalismo è la tesi secondo cui la vita non è mai né statica né omogenea, ma consiste in un'incessante trasformazione da uno stato all'altro; la vita è, in definitiva, una contraddizione insanabile: è caos, movimento, mentre gli uomini cercano disperatamente di fissare delle forme stabili, ma l'unico momento in cui vi riescono coincide con la loro morte; la frattura è così inconciliabile. Il relativismo nel sostenere che è impossibile giungere a stabilire una verità, insieme al soggettivismo, legano Pirandello al clima culturale del primo Novecento, cioè alla fase in cui si compie la crisi del Positivismo. Pirandello rifiuta il Positivismo, movimento che riteneva la scienza capace di dare risposte certe alle angosce e all'infelicità della vita (movimento ateo), e si reputa testimone attento e consapevole della crisi della sua epoca, vivendone le contraddizioni. Egli interpreta in modo originale l'atmosfera decadente, traendo dall'esperienza concreta del suo tempo i suggerimenti per un'analisi lucida ed amara della natura della realtà; ma, se per alcuni motivi la sua posizione rientra nell'ambito di quello che si è soliti definire Decadentismo, sotto altri aspetti (espressionismo) egli lo ha già superato.
Pirandello è stato considerato un autore 'filosofico' più attento ai contenuti che alle soluzioni stilistiche e che non si limita a teorizzare le sue concezioni, ma le usa come materia, ne fa l'oggetto delle proprie composizioni. Con le sue opere, la letteratura italiana esce dall'ambito nazionale e acquista respiro europeo. E', infatti, uno dei pochi autori italiani importanti, conosciuto a livello internazionale con Svevo, Ungaretti, la generazione d'inizio secolo, e quindi, dopo l'arrivo (nonostante il regime fascista) della letteratura americana e nordeuropea in Italia, Gadda, Pasolini, Calvino negli anni '50/'60.
.TEMATICHE PIRANDELLIANE
La pazzia - Il senso della pazzia è una delle tematiche più importanti nell'universo Pirandelliano: la pazzia è quando noi non ci rendiamo più conto di avere sul volto una maschera (oppure, rendendocene conte, ce la togliamo) maschera che cambiamo tante volte al giorno, a seconda del ruolo che dobbiamo sostenere. Quando non ci si rende conto di aver la maschera, o non la si indossa più, si può essere se stessi, dire agli altri in faccia ciò che siamo, ciò che pensiamo; gli altri vedendoci diversi ci crederanno pazzi. Essere se stessi, liberarsi delle convenzioni, non atteggiarsi, non comportarsi come la gente vorrebbe che ci si comportasse. Il pazzo si fa portare dall'immaginazione e capisce che è padrone della vita trovando se stesso. Pirandello arriva a queste considerazioni attraverso le vicissitudini familiari della moglie l'inizio della situazione di instabilità emotiva, e quindi di pazzia della consorte coincidono, e ne sono causate, dal tracollo economico seguito all'allagamento delle miniere di zolfo avite. La moglie, già mentalmente instabile (si dice che ciò fu dovuto alle gravidanze), subisce un gravissimo shock. Nel 1904 impazzisce del tutto (esternando ciò in convulsi atti di gelosia e accuse di tradimento).
Le realtà soggettive - Lo scrittore fa curare la moglie senza però ottenere risultati (sarà internata, e morirà in ospedale psichiatrico nel 1952). Arriva così alla conclusione di lasciarla alle sue convinzioni, di non contrariarla. Infatti, quando vogliamo sconvolgere l'equilibrio raggiunto da un altro, gli facciamo del male; occorre rispettare il mondo interiore, la realtà che l'altro si è costruito, nella quale crede e sta bene sino a che qualcuno non cerca di strappargliela. Ognuno vive sul proprio piano, ha la sua realtà, percepisce una realtà diversa e opposta da quella di tutti gli altri, l'importante è lasciarlo dove vuole stare (anti positivismo). Ma alfine, qual'è la visione giusta, "normale" della realtà? Quella usualmente mediata dalla ragione "media" comunemente accettata, o quella deformata, come se fosse "percepita da oltre uno specchio"? Così come non esiste una visione "univoca" della realtà, così, per assioma, non esiste una visione "giusta" della realtà: possono esistere solo ideologie, culture della realtà che mirano a definirsi come le uniche giuste, veritiere e corrette: fanatismi religiosi, movimenti politici, immersi peraltro nel secolo dei "dubbi", della mancanza di certezze.
La frammentazione dell'essere - l'uomo non ha una sola identità, ma tante quante gli altri gliene attribuiscono. Quando la certezza dell'essere se ne va costatando che gli altri ci vedono in modo, anzi, in miriadi di modi (un modo per ogni altro) diversi da come ci vediamo, da come avevamo creduto di essere da sempre, le certezze si disgregano, si "impazzisce", si capisce che ognuno di noi è una persona diversa per tutti gli altri, ogni persona vede, percepisce, prende di noi cose diverse, e non i tratti salienti da noi usualmente considerati (rif.: "Uno, nessuno e centomila"). La vita è movimento, ma l'uomo, per poter vivere ha bisogno di fissare dei ruoli, ma la forma chiusa è immobilità, quindi morte; non c'è soluzione. Ci si vede vivere dall'esterno osservando la gabbia in cui si è stati costretti a costruire la propria vita.
La maschera - Non potendo quadrare il mio io, non so chi io sia, non sono, e perciò non posso comunicare agli altri. Il vivere è perciò una pena. Ci si atteggia a qualcosa che non si è, si modifica qualcosa di cui non si è sicuri e perciò ci si rende ridicoli: quindi noi continuamente ci mascheriamo, per convenire alle aspettative della gente, alle convenzioni sociali. Il mondo è fatto di continui atteggiamenti per apparire, e perciò l'uomo si dilania; va così incontro alle psicosi dell'uomo moderno.
L'umorismo - L'umorismo, nel significato comune del termine, indica la percezione o la rappresentazione, in riferimento a determinate situazioni, del ridicolo (nelle cose, nell'uomo ecc.), allo scopo di suscitare ilarità. Generalmente, fermandosi a questo primo livello di "lettura" senza successive analisi, l'umorismo è, quindi, quasi sinonimo di comico. L'umorismo Pirandelliano, invece, nasce dalle situazioni di dolore, dalle sofferenze e dal "divenire" patetico degli altri (sottintendendo il compatimento e la pietà, certo, ma anche la speranza che a noi non capiti mai una simile situazione). L'umorismo di Pirandello, parte dal comico come avvertimento del contrario (la situazione anomala e ridicola che suscita l'ilarità), per poi arrivare, tramite una riflessione mirata alle cause che hanno determinato tale comportamento o situazione, cogliendone gli aspetti intrinsechi, spesso dolorosi e pietosi ad un sentimento del contrario. Nelle sue opere Pirandello lavorerà solo sull'aspetto umoristico delle vicende e delle persone, puntando sempre ad una riflessione palese, o indotta nel lettore, sulle angosce e l'amarezza derivanti dal vivere determinate situazioni.
L'antieroe - Pirandello guarda dentro l'uomo. Anche l'eroe (che di solito ha una morale con certezze granitiche, che non pecca) non è vero che alla fine è felice, anzi, può perdere, essere preso in giro, fallire. E' l'antieroe, il protagonista dei romanzi del '900, l'inetto alla vita, l'incapace, il complessato, il perdente.
LE OPERE
Pirandello iniziò la propria attività letteraria componendo alcune interessanti raccolte poetiche, tra cui si possono ricordare:
Mal giocondo (1889), in cui il poeta esprime il suo amaro sentimento della vita;
Pasqua di Gea (1891), una serie di liriche legate al suo soggiorno in Germania ed all'amore per una giovane tedesca
Elegia renane (1895) in cui il poeta riprende volutamente le "Elegie romane" di Goethe
Zampogna 81901) una serie di liriche dal tono distesamente discorsivo;
Fuori di chiave (1912) in cui il poeta esprime il suo atteggiamento ironico e sarcastico di fronte alla vita
Pirandello scrisse anche vari romanzi, nei quali rappresentò la sua visione pessimistica della vita e del mondo, mettendo in evidenza una sua nota d'umorismo triste ed inquieto. Tra i suoi vari romanzi si possono ricordare, in primo luogo, i seguenti:
L'esclusa (composto nel 1893 e pubblicato poi nel 1901);
Il turno (composto nel 1895 e pubblicato poi nel 1902);
Il fu Mattia Pascal (1904) *Vedi analisi.
I vecchi e i giovani (pubblicato parzialmente in rivista nel 1909, e poi in edizione integrale e riveduta nel 1931);
Uno,nessuno e centomila (1926) - E' il romanzo della frammentazione distruttiva dell'Io, del corpo e della personalità. Il protagonista si rende conto di essere una persona diversa per chiunque lo conosce. Pirandello evidenzia così la destrutturazione totale di se stessi, dovuta anche alla società moderna in cui si vive, il tentativo di estraniazione verso se stessi, verso un'entità che non si riconosce più come propria, alla ricerca di una solitudine totale, possibile solo se estranea addirittura a se stessi, sino ad arrivare al consolatorio limbo senza tempo e senza "nomi" della "lucida pazzia" del rifiuto di qualsiasi forma e ruolo. L'uomo non esiste più, in quanto tale; è questo lo stadio finale dell'impossibilità della ricomposizione, con se stessi, con la società.
Il Fu Mattia Pascal
Analisi*
Pubblicato nel 1904, in piena era Giolittiana, "Il Fu Mattia Pascal" è il primo romanzo italiano scritto in forma "autobiografica", redatto cioè in prima persona, con la presentazione quindi di una visione esclusivamente soggettiva della vicenda, visione che nega la realtà se non colta con quella particolare percezione: la razionalità realista non esiste più, per ogni persona esiste, così, una visione personalissima della realtà. Tale situazione costringe il lettore ad una personificazione con il protagonista, ed al successivo sforzo di uscire da questo stato di "simbiosi"..Romanzo con modalità di narrazione autodiegetica: la scrittura è in prima persona, il narratore è interno, conosce tutta la vicenda, ma nello svolgersi della vicenda c'è il punto di vista interno del "personaggio", che vive momento per momento lo svolgersi della storia, senza sapere cosa avverrà nell'attimo successivo, il narratore fa soltanto qualche intervento chiarificatore ogni tanto. Il romanzo ha una struttura circolare, infatti inizia dalla conclusione, rivendicando la condizione particolare di Mattia Pascal, ritenuto morto, che assume una nuova identità, uccide fittiziamente anche quest'ultima, e quindi ritorna se stesso ma al di fuori della sua normale vita precedente, condizione di chi è fuori dal tempo e quindi fuori dalla vita (questo particolare tipologia di narrazione è estremamente innovativa) Nella prima premessa, abbiamo una presentazione diretta del personaggio effettivo,che si divide in 3 personaggi virtuali: 2 "morti" ed uno che aspetta, vivendo appartato, la morte definitiva. Mattia Pascal è descritto come un buono a nulla, incapace di far tutto, inetto alla vita: Mattia Pascal vede così il mondo con il suo occhio strabico, e perciò in maniera non uniforme (simbolismo dei 3 personaggi in uno), con un "taglio" non giusto; gli è impossibile essere in sintonia con la realtà, e prima ancora, con "gli altri se stesso".
Il concetto di caos, sempre presente nella produzione pirandelliana, è ben raffigurato dalla presentazione della biblioteca (.una babele di libri.). La seconda premessa, più filosofica a quest'opera, ben riportata all'inizio del libro nel famoso <.Maledetto sia Copernico.-.la luna non sta nel ciel per il lume di notte.> indica, dopo la rivelazione di Copernico, la scoperta della nullità dell'essere umano, in un universo non più finalizzato alla creazione dell'uomo, come da quasi due millenni ormai si credeva, una condizione per cui non vale la pena di imparare, di studiare, di scrivere il racconto della propria vita, per quanto bizzarro, perché siamo creature insignificanti. E' assurdo cercare una spiegazione dei fenomeni quando l'uomo è solo un granellino di sabbia nell'universo. Nonostante questa presa di posizione. Mattia inizia a raccontare la propria singolare storia; il romanzo, dopo le premesse è alquanto lineare nel suo svolgersi. Con questo romanzo Pirandello si pone quindi nel solco della fine dell'egocentrismo umano, con un percorso strutturato dal geocentrismo aristotelico, all'antropocentrismo medievale/rinascimentale, ed infine all'egocentrismo moderno, processo iniziato in modo dirompente da Copernico ed accentuato in scienza ed in letteratura da Galileo, Leopardi, Pascoli.
Le vicende del romanzo
Cap. 3 "La casa e la talpa" Infanzia di Mattia. Il padre muore quando lui ha 4 anni, lasciando la moglie e i 2 figli (Roberto è maggiore di Mattia di 2 anni) con una buona rendita: con i soldi che aveva guadagnato il padre aveva infatti acquistato vari poderi e case in paese, immobili che però ora la madre di Mattia, creatura angelicata ed inadatta alla conduzione di un fondo terriero, affida la gestione dei possedimenti a tale Batta Malagna (la "talpa"), ; errore quanto mai tragico. Malagna, descritto come un personaggio laido, servile, manesco, è in realtà un abile ladro; col passare degli anni riesce, infatti, a trafugare poco alla volta il patrimonio ai Pascal, sin quasi a ridurli sul lastrico.Invano zia Scolastica, sorella del padre, forse l'unico personaggio"positivo" della famiglia Pascal, l'unica capace di reagire coerentemente ed anche fieramente alle avversità della vita, cerca di convincere la cognata a sposare Gerolamo Pomino, unico tra i suoi ex corteggiatori ad essersi rivelato un integerrimo uomo di famiglia. La vedova non ritiene nemmeno necessario mandare i figli a scuola: li affida all'aio Pinzone, personaggio buffo e subdolo, che li educa a modo suo tralasciando le nozioni di reale uso pratico. Prima che Mattia compia 20 anni, i poderi dei Pascal sono già in mano agli usurai: Berto si salva grazie ad un buon matrimonio. Inetto ad assumersi qualsiasi responsabilità, incapace di lavorare seriamente e di contrastare Malagna, del quale conosce comunque le mosse e le intenzioni. Si trova ben due volte in competizione col Malagna in questioni d'amore: in primis per le virtù d'Oliva, contadinella bella e procace figlia del fattore delle "Due Riviere", un ex podere dei Pascal., di cui Mattia è innamorato, e che aveva corteggiata prima che sua madre glielo proibisse, ma che cede alle lusinghe (economiche) del Malagna, da poco vedovo e desideroso di una moglie giovane che possa dargli eredi, il quale, poi, vista l'infertilità della seconda moglie (di cui lui è in realtà la causa, come anche per il primo matrimonio), rende la vita della novella sposa un inferno. Malagna dedica quindi le sue attenzioni alla cugina Romilda, concupita anche dall'amico di Mattia, Gerolamo Pomino. Timido ed ingenuo, Pomino prega Mattia di aiutarlo a conquistare Romilda, ma Mattia se ne innamora, corrisposto; Pomino è fuori gioco, ma, viste le diverse condizioni economiche, la vedova Pescatore, madre terribile di Romilda, cerca di gettare la figlia tra le braccia di Malagna. Dopo una notte d'amore con Mattia, Romilda resta incinta, e Malagna subito s'approfitta della situazione cercando di spacciarsi per il padre, e minacciando la moglie, or che si è visto di chi era la colpa della mancanza d'eredi, di ripudiarla. Oliva, disperata corre da Mattia, il quale gli spiega la reale situazione ed escogita l'unico modo per salvare la sua posizione di moglie agiata.Oliva resta incinta e lo stesso Malagna, or con un figlio "legittimo", intima a Mattia di riparare; i due giovani si sposano, ma ora sul capo di Mattia pende terribile l'ira della defraudata (dei soldi del Malagna) vedova Pescatore, che gli rende la vita un inferno, la casa una prigione. Mattia riesce comunque, nonostante il tradimento perpetrato nei confronti dell'amico Pomino, ad ottenere dal padre di lui, consigliere comunale, un posto di come bibliotecario presso la biblioteca comunale Boccamazza, posto che qualunque sfaccendato potrebbe tenere, in modo da poter mantenere al limite del decoro la famiglia.
Il matrimonio precipita subitaneamente: le figlia amatissime dal protagonista muoiono una subito dopo la nascita, l'altra un anno dopo quasi in contemporanea con la seconda figlia muore anche la madre di Mattia, l'unica che lo amava veramente. Lo shock è tremendo, Mattia pensa di farla finita e si ritrova alla Stia, la vecchia proprietà dei Pascal, presso la gora del mulino, dove viene visto e calmato da un ex dipendente di suo padre.
Questo episodio è scritto attraverso una particolare tecnica narrativa, che consiste nell'inserire luoghi, oggetti o personaggi apparentemente senza un motivo, quasi per caso, ma che poi, diverranno, più avanti nella narrazione, elementi fondamentali per la trama (infatti, proprio nella gora della Stia, sarà ritrovato un cadavere che verrà riconosciuto come il suo)
Incapace dunque dell'ultimo catartico gesto del togliersi la vita per disperazione, fugge da Miragno verso la Francia, profittando in una piccola somma di denaro inviata dal fratello per la sepoltura della madre, che però era rimasta inutilizzata, in quanto alle onoranze funebri aveva già provveduto l'energica zia Scolastica,
Il salto tra il 5 capitolo (dove si narra della disperazione di Mattia) ed il 6 capitolo (che inizia con il roteare della pallina nella roulette) lascia al lettore il compito di capire cosa sia successo, dove ci si trova, e quale situazione sta affrontando ora il protagonista. I soldi del fratello ed il viaggio a Nizza, quindi a Montecarlo, cambiano la vita di Mattia. Recatosi a Montecarlo per tentar la fortuna, tentato a sua volta da un manualetto su come "Gagner à la roulette", con i pochi soldi che ha appresso, Mattia vince una fortissima somma di denaro. Dopo 13 giorni di parentesi dalla solita vita e di gioco al Casinò, Mattia riesce a mantenere una buona somma di denaro che, senza strafare gli consentirebbe di vivere di rendita.
Nel capitolo vi è anche una descrizione del vizio del gioco, immagine pregnante di tale devianza e dei personaggi che vi gravitano intorno, con i loro eccessi e le loro idiosincrasie: estrarre la logica dal caso, percorso illogico e prettamente decadentista, caro agli intellettuali decadentisti e simbolisti (Svevo, ne "La coscienza di Zeno", è, per esempio, convinto di sapere esattamente dove "la vita andrà", quale direzione prenderà, ma tutte le volte che si appresta a seguire questo scoperto intendimento, viene beffato dalla vita, che "va" in tutt'altra direzione, e puntualmente lo beffa, lo colpisce alla cieca ributtandolo nel caos). E', infatti, impossibile trovare una logica in un mondo ormai totalmente illogico: Nice ha distrutto la visione della morale perbenista borghese, Freud ha rivoluzionato la visione della coscienza di se stessi, Hofmanstal afferma l'ormai totale impossibilità di comunicare, la totale assenza di un codice; il mondo è allo sfascio si avvertono chiaramente tutti i segni di una realtà che sta finendo. Le avanguardie letterarie ed intellettuali, sorte in questo periodo, ne sono ben conscie, e sanno di essere orai all'anno zero, di dover creare nuovi codici, nuovi modi di vedere il reale; la 1^ guerra mondiale, al di là dello sconvolgimento fisico del mondo, rappresenta anche simbolicamente la distruzione della coscienza e della forma del vecchio mondo ottocentesco.
Il capitolo 7 si intitola emblematicamente "Cambio treno", ed è qui che avvengono la prima morte e la prima rinascita del protagonista. Il capitolo inizia in modo fortemente autoironico, sul sottofondo tragico della situazione familiare di Mattia, che, sul treno del ritorno, dopo le elucubrazioni euforiche di come trattare moglie e suocera ora che è in possesso di una piccola fortuna, pensa poi alla sua reale situazione familiare, al posto da bibliotecario sicuramente ormai perso, ed ai creditori che lo attendono e che gli dreneranno immancabilmente la vincita. Il pensiero di Mattia va anche ad un giovane giocatore suicidatosi a Montecarlo, cosa che lo ha profondamente sconvolto. Ma la notizia che travolge la sua vita la legge su un giornale, appena rientrato in Italia, sul treno: ovvero l'articolo secondo cui Mattia Pascal, è stato riconosciuto nel cadavere di un suicida nella gora della Stia, a Miragno. Dopo il disorientamento iniziale, Mattia si rende conto di essere libero, dalla moglie e dalla suocera, che subitamente lo avevano riconosciuto nel cadavere di quel poveraccio, dai creditori, dalla vita misera di prima, libero e moderatamente ricco.
Ancora è utilizzato il meccanismo dell' inserimento di un oggetto quasi casualmente, un pensiero buttato lì, che però anticipa una condizione reale della narrazione: ovvero il pensare al suicida che lascia i suoi oggetti sul ponte, il cappello in particolare, cosa che farà come Adriano Meis per inscenare il finto suicidio a Roma.
La constatazione della libertà lo pervade di un'euforia estrema; assapora così la leggerezza della sua nuova condizione.
"Artifex", ovvero l'uomo forgia la sua fortuna, formula tratta dall'umanesimo
Il nuovo modo di guardare le cose con l'occhio del sentimento modifica il rapporto con la realtà. Così Mattia riparte da zero, sciolto da ogni intreccio, separato dalla vita comune, Inizia così il processo di trasformazione mentale e fisica del "nuovo" personaggio: si rade la barba, si procura un nuovo nome, s'immagina il passato del suo nuovo essere (le immagini fantasiose del suo "passato" si rincorrono: il vuoto creatosi con la scomparsa di Pascal deve essere assolutamente e subitaneamente riempito), e cerca la visione del suo futuro, un futuro necessariamente costruito su di una vita errabonda, in compagnia di se stesso, alla ricerca del bello e della pace nei paesaggi, nelle cose inanimate, nei libri, reso spettatore estraneo delle beghe degli esseri umani, lontano dalle loro cure, senza legami ed amicizie, fili che la fortuna ha per lui troncato, e che sa essere pericolosissimo tentare di riannodare, vista la sua particolare condizione di "non essere", ombra tra gli uomini, proiezione di uno spettro che vede scorrere la vita, la osserva da lontano senza potervisi immergere. Inizia in tal modo, per il protagonista, un rapido percorso d'abbandono, di straniamento dal suo essere precedente. Il suo primo passo è la solitudine, il volontario allontanamento dagli uomini, giacché il rapporto con gli altri presuppone l'appartenenza a precisi ruoli, ora abbandonati in nome di una libertà che al momento gli appare la più ampia e desiderabile possibile, ma che ben presto, nel giro di due anni, comprenderà essere, in realtà, una prigione di vuoto e di nulla, giacché l'uomo non può vivere solo nella società, senza fissare ruoli precisi.
Nel saggio "l'Umorismo" Pirandello vede la vita come un fiume tumultuoso in cui gli uomini si ostinano a fissare delle forme: il problema deriva dal fatto che nel momento in cui si fissa l'immagine in forma, si muore. Il paradosso è estremo: non si può vivere nel mondo degli uomini senza una forma precisa, un ruolo preciso nella vita ma si muore nel momento che se n'assume una definitiva (forma che spesso i personaggi pirandelliani non riconoscono come propria): ci si guarda dal di fuori, si vede la propria forma e non ci si riconosce, ci si rifiuta. La forma ha la capacità di uccidere la vita. La vita umana è quindi una gran contraddizione, in quanto è movimento; l'immobilità è la negazione della vita, e la vita è impossibile senza l'assunzione di una forma che porta all'immobilità
Ma ora Mattia è diventato Adriano Meis, e pensa al suo passato come a quello di un'altra persona, vive la vita agiata del viaggiatore, del turista, lontano dalle cure degli uomini, la trasformazione è quasi completa: l'unica cosa che lo ricollega ancora all'"altro" è l'occhio strabico di "Lui". Questo particolare, associato ad altri meno importanti, crea un'ansia in Meis, che, non particolarmente contento del suo nuovo aspetto, attribuisce la colpa dei suoi difetti all'"altro". Gli altri uomini, chiusi nelle loro forme, prendono Meis per uno straniero, e ciò è vero, giacché Meis è estraneo alla vita, non è più niente; la libertà estrema lo ha portato al vuoto totale, egli vive per sé e di sé (cosa terribile).
Anche qui si anticipa il tema della futura ultima vita a Miragno, in cui egli vive guardando vivere gli altri, ed è registrato nello stato civile di quel paese come morto
Si trova qui uno dei fondamentali temi della narrativa pirandelliana: la disgregazione dell'essere, della personalità; disgregazione che sfocia nella visione non univoca della realtà. Ogni persona vede la realtà a modo suo, la percepisce in maniera diversa da quella degli altri (altro tema importantissimo della visione pirandelliana), analizzato con il metodo dell'umorismo (l'umorismo intrinseco nella lettura del Foglietto, il giornale di Miragno, su cui è stampato il necrologio di Pascal è ferocemente umoristico). Questo percorso, iniziato, purtroppo, per Pirandello dall'analisi delle condizioni della pazzia della moglie, trova un'estrinsecazione letteraria ancor più accentuata e completa in "Uno, nessuno e centomila", dove la disgregazione della realtà, dell'essere, la visione multiunivoca, giungono sino all'estremo grado: quello della vera, pur se lucida, pazzia, dell'annullamento dell'essere in nome dell'impossibilità di una ricomposizione del vero, ed anche in "Così è se vi pare", in qui non c'è soluzione alla decodifica della realtà.
Adriano Meis, la nuova identità di Mattia Pascal, è fuggito dalla forma, dal flusso della vita, ma la mancanza di rapporti umani è la negazione della forma. La contraddizione emergerà ne momento in cui si fermerà a Roma, assumendosi un ruolo, ma innescando un meccanismo che lo porterà immancabilmente alla nuova negazione di se, all'ulteriore disgregazione del suo Io, fino a portarlo alla "morte" di Meis, ed alla rinascita di Pascal, ma non del vecchio Pascal (la ricomposizione della realtà è impossibile), bensì di un nuovo Pascal, ora escluso dalla vita, spettatore, non attore, della vita dei suoi amici e conoscenti, proiezione vivente del se stesso morto, in attesa della morte reale, l'unica possibilità estrema di ricomposizione.
Meis dunque arriva a Roma (Cap 10 "Acquasantiera e portacenere").
In questo capitolo Pirandello, per bocca di uno dei personaggi, dà un quadro estremamente acuto e desolante della condizione di degrado di Roma, "costruita come un'acquasantiera dai papi (a modo loro, s'intende), è trasformata dai nuovi italiani in un portacenere: una città morta, che, chiusa nel sogno della sua grandezza passata, non può adattarsi a vivere come una semplice metropoli moderna".
Qui Meis, compie dunque lo sbaglio di volersi fermare, di voler ricostruire qualche debole legame con la realtà, con gli esseri umani, costruirsi una "forma"; ma la sorte forgia per lui un legame troppo forte: l'amore. S'innamora, infatti, d'Adriana, la sua ospite. Adriana: forse il vero amore di Mattia, è timida, gentile, educata, riservata, tenera come il pane ma allo stesso tempo dura come la roccia regge da sola le sorti di un'intera famiglia, e si oppone accanitamente alle sue nozze forzate: lo stesso Mattia la chiama la 'mammina di casa'. E' un personaggio quindi, del tutto positivo, anche se, purtroppo, destinato ad una sorte infelice, di sofferenza, che deve, e sa, affrontare senza l'aiuto ed il sostegno di alcuno, ma unicamente con la propria forza e la propria fede. Adriana riesce a sopportare nel silenzio il suo dolore, e nel silenzio vive la sua storia d'amore con Meis. La loro relazione sarà, infatti, fatta di sguardi, dolci allusioni, comprensione e solidarietà, è una relazione perfetta "tra anime". Adriana troverà nel suo compagno un alleato ed un difensore contro le bassezze del cognato, Papiano, un alleato che però non potrà sostenerla a lungo e che presto fuggirà un'impossibile storia d'amore con lei per non renderla ancora più infelice.
Inizia così un'opera di "restaurazione" di legami, positivi e negativi, con il particolare genere umano dell'entourage di Adriana, di cui il padre, Anselmo Paleari è il personaggio più singolare dell'intera vicenda, cui Pirandello affida tuttavia un ruolo importantissimo. La sua presenza all'interno del romanzo non è molto influente per quanto riguarda lo svolgersi dei fatti della narrazione, (egli vi contribuisce solo con "l'avvenimento" della seduta spiritica), ma per quanto riguarda la riflessione filosofica del romanzo stesso. Per mezzo di lui, infatti, parla spesso Pirandello per porre considerazioni, insinuare dubbi, ed esporre teorie sulla vita e sull'uomo, al suo protagonista ed al lettore. Il Paleari, convinto seguace di Epicuro, è all'apparenza un personaggio quasi comico, con il suo ciabattare per la casa, i suoi continui strampalati discorsi sulla morte e certe noiose conversazioni che impone a Meis, ma con le sue parole egli espone molte delle considerazioni filosofiche dell'autore stesso, come la teoria del "lanternino" come sentimento della vita, o le osservazioni che egli fa relativamente allo "strappo nel cielo di carta" del teatro delle marionette ed altre ancora.
Le fasi dell'innamoramento, (peraltro corrisposto), tra Adriana e Meis, sono descritte nel capitolo 11: Meis decide inoltre di eliminare l'ultima vestigia di Pascal, così si fa operare all'occhio. La trasformazione deve esser totale, completa, la disgregazione raggiungere lo zenit. L'amore di Adriana lo porta a sperare di poter finalmente, dopo due anni di non vita, crearsi una nuova vera vita con lei, ma altri personaggi con cui ha dovuto creare nuovi legami, lo portano a capire che la sua condizione di "fantasma", è incompatibile con questo sublime progetto.
Nel capitolo 12 "L'occhio e Papiano" Meis si rivela come l'antieroe, fedele trasposizione dell'inetto Mattia, ma non tanto per sua pusillanimità o inettitudine morale, cosa che poteva riguardare il vecchio se stesso, ma per l'impossibilità, data dalla sua condizione di forma effimera, di potersi far valere nella società delle forme reali. Terenzio Papiano, il suocero del suo padrone di casa, genero vedovo di Adriana, a cui aspira per motivi di denaro(non restituire la dote della prima moglie, sorella defunta di Adriana) è il "cattivo" sui generis di questo tratto di vicenda, Papiano, malvagio e disonesto individuo inoltre presunto amante della signorina Silvia Caporale, ospitata in casa Paleari anche per le sue presunte doti medianiche, cosa a cui era interessato il padrone di casa, e lo stesso Papiano, che n tal modo, mediante le millantate doti di Silvia e l'aiuto del fratello epilettico che nel buoi di sedute spiritiche in casa Paleari impersonava una spirito, manteneva una sorta di controllo sul singolare vecchio, non vede di buon occhio la presenza di Meis nella casa, subodorandone la strana situazione ed individuandolo ben presto come un pericoloso rivale nell'amore di Adriana ed intralciatore dei suoi piani. Papiano è il personaggio tipo, la marionetta fine al suo mondo immutabile, colui che ha il ruolo prefissato, che non modifica mai, il suo rivale che, oltre alla competizione per l'amore di Adriana, ruberà anche una parte della fortuna di Meis (esattamente quanto avrebbe dovuto aver in dote con il matrimonio della sorella di Adriana).
Capitolo 14 "Il lanternino"
Questo capitolo è importante per capire la filosofia di Pirandello: è una discussione fra Anselmo Paleari, portavoce di Pirandello, e Meis.
Paleari invita Adriano ad uno spettacolo di marionette automatiche, l'"Elettra" e chiede a Meis cosa pensa succederebbe se nel cielo di carta del teatrino comparisse un buco. La risposta è che "Oreste rimarrebbe sconcertato da quel buco nel cielo.diverrebbe Amleto". Il teatrino è simbolo evidente della nostra condizione esistenziale di uomini insignificanti, che si muovono nella vita come in un teatro, inconsapevoli della propria reale condizione, perché convinti della propria dignità, della propria centralità e della non vanità del proprio agire. Lo strappo nel cielo di carta rappresenta il nostro comprendere di non essere al centro dell'universo, e la consapevolezza della propria piccolezza insignificante nell'economia della storia e dell'universo. Se il cielo si strappasse Oreste rimarrebbe incapace di agire, e diverrebbe Amleto: all'uomo alimentato da grandi valori si sostituirebbe l'uomo contemporaneo pensoso, diviso, contraddittorio ed incapace di decisioni e azioni quale è Amleto.
"A noi uomini, nascendo, è toccato un tristo privilegio: quello di sentirci vivere, con la bella illusione che ne risulta: di prendere cioè come realtà fuori di noi questo nostro interno sentimento della vita mutabile e vario, secondo i tempi, i casi e la fortuna". E questo sentimento della vita per il signor Anselmo era appunto come un lanternino che ciascuno di noi porta con sé acceso; un lanternino che ci fa vedere sperduti sulla terra, e ci fa vedere il male e il bene; un lanternino che proietta tutt'intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l'ombra nera.".
In queste righe Pirandello spiega il suo pensiero sull'inconsistenza dell'io con un'immagine, quella del lanternino: il nostro io è appunto inconsistente, così come la realtà oggettiva, che prende senso solo in relazione al nostro lanternino, essendone la necessaria proiezione. Oltre al lanternino esistono poi, secondo il Paleari-Pirandello, dei lanternoni molto più grossi, che prendono vita dal sentimento comune di tutti gli uomini. I lanternoni sono i termini astratti, come la verità, la virtù, la bellezza e l'amore, e quindi sono ciò da cui derivano naturalmente tutte le ideologie ed i sistemi di valori cui la gente crede. Questi lanternoni però, talvolta si spengono, e si cade così in un periodo di crisi, in cui gli uomini, non essendo illuminati da alcun lanternone che indichi loro la strada, sono smarriti e confusi. Secondi il Paleari poi, il momento che stanno vivendo è proprio uno di quei momenti di crisi in cui mancano i lanternoni, "gran buio e gran confusione"
Alla fine di questo capitolo vi è l'importante passo del bacio con Adriana, che sconvolge Meis, che gli fa sperare, infine in una ricomposizione finale della sua vita, in un futuro di felicità.
Cap. 15 "Io e l'altro" Meis scopre il furto perpetrato a suo danno da Papiano. Questo episodio, trasforma l'eroe Meis, colui che si era prefissato il raggiungimento di una vita normale, il completamento di un nuovo ruolo reale e l'emancipazione di Adriana e della sua famiglia dall'influenza di Papiano, in un antieroe inetto, in "Amleto" l'eroe del dubbio, dell'incapacità della vendetta, incapace del recupero e della ricomposizione della realtà e dell'ordine. Anche una disputa atta a venir risolta con un duello, per cui Meis non trova padrini, stanti i documenti da esibire per rispettare il complicato codice "cavalleresco" indispensabile a tale ufficio, rende Meis tragicamente consapevole di non essere in grado di assumere un vero ruolo perché semplicemente non esiste: non è mai veramente nato, vissuto, non è registrato in nessun stato anagrafico di nessun paese, non può far valere alcun tipo di diritto: chiunque può sbeffeggiarlo, derubarlo, calpestarlo come la sua ombra, e lui non può opporsi, Di conseguenza non può assumere ruoli, non può sposare Adriana, non può vivere. Il "gioco dell'ombra e dell'uomo", simbolismo emblematico e straziante con cui si chiude il cap. 15, si risolve nel cap.16, in cui il protagonista "suicida" Meis (dopo aver pensato ad un suicidio reale), e nel momento stesso del finto suicidio torna ad essere Mattia Pascal redivivo, intenzionato a tornare a Miragno e a vendicarsi dei congiunti.. Come per la prima trasformazione vi era stata una subitanea disgregazione dell'essere, uno sdoppiamento per cui Meis vedeva l'altro se stesso come un'altra persona, anche in questo momento Mattia, riappropriatosi del suo nome e delle sue reali origini vede il suo alter ego come l'altro; la frammentazione della personalità è completa: Mattia, Meis ed il nuovo Pascal, di nuovo se stesso ma diverso da prima in quanto vivo ma ufficialmente morto.
Cap 17 "Reincarnazione". Mattia torna a casa. prende il primo treno per Pisa, dove trascorre un paio di giorni: per fortuna i giornali di Roma non danno gran peso al suo suicidio, fornendo vaghe notizie in proposito. Quindi si reca dal fratello Berto ad Oneglia; questi, che incredulo per la sua ricomparsa come tutta la famiglia, lo riaccoglie comunque a braccia aperte e lo mette a parte del fatto che Romilda si è risposata con Pomino: contro il parere del fratello e del cognato, decide di recarsi a Miragno la sera stessa, con la prospettiva di riprendersi la moglie.
Tornato, incontra la vedova Pescatore, Pomino e Romilda che hanno avuto una figlia. La presenza della piccola storna Mattia dai suoi propositi di vendetta e di riappropriazione del suo ruolo in toto; si contenterà di far sapere che è vivo, riprendendo il suo posto alla biblioteca, vedendo vivere gli altri ed andando di tanto in tanto a far visita alla "sua " tomba. Come Adriano Meis, la vita per lui doveva scorrere senza che lui potesse accostarvisi, come il "fu Mattia Pascal" la vita non è più per lui. È fuori dal tempo, non è più nulla, solo il fantasma di due uomini, che vede scorrere la vita altrui in attesa della morte
SUPPORTI AUDIOVISIVI
L'uomo dal fiore in bocca (versione con V. Gassman) - Il protagonista parla di angosce, ansia, sofferenza (di lui non si specificano le generalità né l'appartenenza ad una determinata classe sociale, né il lavoro ecc.) L'ultima frase dimostra il suo attaccamento alla vita, ora che è cosi vicino alla morte: mai ha guardato il mondo così con attenzione, ha bisogno di riempire ogni momento, Parla dell'ansia dell'uomo senza età né luogo, l'ansia del tempo, del quanto resta ancora da vivere.
La patente - (versione con A. De Curtis) - L'uomo non può mai essere se stesso, è condizionato da come lo considerano gli altri.
Enrico IV - (Teatro Alighieri Ra marzo '99) Chi è realmente il pazzo? Cos'è la pazzia?
IL TEATRO PIRANDELLIANO
L'esperienza di teatro, come commediografo e regista, di Pirandello, risulta estremamente innovativa in quanto porta ad una vera rivoluzione del concetto di rappresentazione teatrale..L'autore riversa le sue tematiche nelle rappresentazioni. In teatro rompe con le forme tradizionali: riduce al minimo la scenografia ed i costumi, in quanto gli attori devono essere vestiti in modo semplice per attirare l'attenzione del pubblico sul testo. Pirandello rompe la barriera tra la vita reale, il proscenio degli spettatori, e la finzione, il palcoscenico, operazione questa totalmente innovativa, ardita e disorientante; così, spesso, gli attori entrano dalla platea, seduti tra gli spettatori ed iniziano a recitare, oppure interagiscono con gli spettatori (in realtà attori). Pirandello vuole così dare agli spettatori l'idea che siano essi stessi gli attori (teatro nel teatro, metateatro); lo spettatore deve chiedersi se recita esso stesso, magari tutti i giorni, a sua insaputa. Così Pirandello rovescia l'idea: il teatro è realtà e la finzione è ciò che c'è attorno. gli attori si mascherano, il pubblico per atteggiarsi, non si maschera neppure.
In "Sei personaggi n cerca d'autore", addirittura arrivano sulla scena, durante una prova in teatro, sei "personaggi", seppur reali ed in carne ed ossa, ma non persone reali, personaggi nati dalla fantasia di un autore che non ha saputo, o voluto dar loro vita compiuta nella finzione scenica, e che cercano un autore che voglia dar loro vita sul palcoscenico, almeno per la durata del loro dramma, in quanto il personaggio vive solo se esiste la storia da rappresentare (in palcoscenico vi sono infatti attori, persone reali, non personaggi, uomini per cui è impossibile entrare effettivamente nella forma artistica,in quanto dotati delle variabili umane dell'impossibilità di fissare una forma). La vita quindi non ha bisogno di essere rappresentata, si rappresenta da sé, mentre la verosimiglianza cerca in tutti i modi di imitare la vita.
Pirandello da allora farà scuola: Ibsen, Ionesco ed altri avranno lui come riferimento (si va verso il teatro dell'assurdo).
CRITICHE ED INTERPRETAZIONI
Il primo rilevante tentativo di un'interpretazione dell'opera pirandelliana è da vedere nel saggio del Tilgher (1922), il quale ha posto l'accento sulla filosofia implicita nell'arte del Pirandello, insistendo sul fondamentale dualismo tra la vita e la forma, che ne costituirebbe la base e il problema centrale. Il Tilgher affermò poi che il pensiero del Pirandello '.non rimane astratto e puramente teorico, ma si fonde con la passione, e l'impregna di sé e a sua volta si colora alla sua fiamma (.)'.
<Come giudizio conclusivo, oltre al convinto riconoscimento delle sue autentiche doti poetiche e della sua lucida coscienza critica e culturale, è peraltro da rilevare l'eccezionale importanza del Pirandello anche nella storia della tecnica teatrale, sia per quanto riguarda la modernità e la complessità dei problemi affrontati, sia per novità del linguaggio e delle forme di rappresentazione (lingua molto espressiva; sintassi analitica; ecc.). E' proprio vero '.senza il suo esempio, non si spiega gran parte del teatro moderno, non tanto italiano, quanto europeo ed americano (.); (Sapegno).>
Appunti su: 0, le tematiche di pirandello, le elucubrazioni in pirandello, quale atteggiamento assume adriano meis verso le considerazioni del signor Anselmo, tematiche in pirandello, |
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