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Luigi Pirandello: la follia del vedersi vivere
La follia percorre tutta l'opera pirandelliana e fu il suo punto di partenza per esplorare quella crisi d'identità tipica del Novecento.
Pirandello è uno scrittore isolato, difficile da costringere negli schemi di uno specifico movimento letterario. Sin dalle prime opere egli evidenzia la totale disillusione circa la possibilità di trovare risposte ai problemi dell'esistenza umana: non è possibile un'interpretazione deterministica della vita che è complicata dal mescolarsi di verità e finzione.
Attraverso l'intensa produzione novellistica, alla quale è costretto anche per ragioni economiche, egli può sperimentare nuove forme espressive. Le novelle compongono uno straordinario 'serbatoio di invenzioni', idee, personaggi e situazioni, da cui lo stesso Pirandello attinge frequentemente lo spunto che dà vita alle sue opere romanzesche e teatrali. I suoi personaggi, posti in situazioni bizzarre, costituiscono sempre un caso che svela la contraddittorietà dell'esistenza. L'autore non propone soluzioni, anzi, sul piano ideologico si attesta su posizioni conservatrici, lasciando aperta, come unica strada di fuga, quella che conduce verso l'irrazionale.
Il pensiero pirandelliano trova una sistemazione propria nel suo romanzo più famoso 'Il fu Mattia Pascal' (1904) che evidenzia la divergenza tra la verità dei fatti e le loro apparenze e segna un punto di non ritorno nell'arco dell'opera pirandelliana: ritrae il sogno di un'evasione impossibile, il desiderio irrealizzabile di afferrare per sé un'identità che non sia quella imposta dal destino. Mattia e anche tutti gli altri personaggi sono però in balia del caso e degli avvenimenti esterni: sono incapaci di comunicare con gli altri e di dominare la realtà. Pirandello dichiara l'inconsapevolezza del reale, la frammentazione dell'identità psicologica dell'individuo. L'autore non si preoccupa di garantire l'autenticità del discorso (questa è la tecnica alla base dei romanzi di Svevo) ed ogni parola pronunciata dal personaggio è sempre circondata da una forte ambiguità. Il risultato è una scrittura frammentata che riflette la complessità della vita. L'ultimo romanzo di Pirandello, 'Uno nessuno e centomila' (1912-1925) porta agli estremi questa concezione artistica; è privo di intreccio, ma si svolge in prima persona seguendo la meditazione del protagonista Vitangelo Moscarda che sorge dal casuale commento della moglie: se lei lo vede diverso da come si vede lui dal punto di vista fisico, ciò avverrà anche dal punto di vista psichico. Ci sono dunque tanti Moscarda quanti sono quelli che lo vedono.
Egli si propone di distruggere il vecchio se stesso cancellando tutte le immagini che gli altri hanno di lui, ma nel tentativo di attuare questa operazione, si procura la 'maschera' di pazzo.
"Uno nessuno e centomila" è perciò il romanzo dell'incapacità di comunicare e della solitudine. Moscarda è consapevole che i giudizi di ogni uomo hanno un valore sempre soggettivo: a ciascuno le cose appaiono 'a suo modo' e chi attribuisce al proprio punto di vista una verità assoluta si allontana essa. In realtà nulla è fermo e definitivo nella vita e perciò il protagonista del romanzo accetta la disgregazione della sua personalità come positiva: 'la realtà siamo noi che ce la creiamo: ed è indispensabile che sia così. Ma guai a fermarsi in una sola realtà: in essa si finisce per soffocare'. La vita non può essere fissata in una regola e la conoscenza la blocca, la uccide in impressioni soggettive che l'uomo purtroppo considera assolute. Per conoscere 'bisogna che lei fermi un attimo in sé la vita, per vedersi. Come davanti ad una macchina fotografica. Lei si atteggia. E atteggiarsi è come diventare una statua per un momento. Lei non può conoscersi che atteggiata: statua: non viva. Quando uno vive, vive e non si vede. Conoscersi è morire.'
Nelle ultime scene di 'Così è (se vi pare)' (1918) Pirandello arriva al culmine della riflessione sull'impossibilità di arrivare alla conoscenza di una verità. Quando la signora Ponza, alla fine del dramma afferma 'Per me, io sono colei che mi si crede' getta nello sconcerto non solo i personaggi teatrali, ma anche gli spettatori. Tutti si aspettano la risoluzione dell'enigma secondo uno sviluppo normale.
Secondo Pirandello è normale non ciò che risponde alle norme, ma ciò che da ciascuno viene fatto seguendo i propri intimi bisogni, e sono questi bisogni che portano l'uomo sulla via del progresso. Il personaggio tende a ribellarsi quando si rende conto che l'osservanza delle norme gli impedisce di vivere e di migliorare la propria condizione. L'anormalità, per Pirandello, è il sottomettersi alle regole anche quando queste impediscono all'uomo di vivere, permettendogli solo di esistere.
Per capire l'opera pirandelliana bisogna quindi ribaltare il concetto di normalità-anormalità.
Vi sono anche due distinte dimensioni del reale, perché ciascuno vede la realtà secondo le proprie idee e i propri sentimenti: a fronte della realtà esterna che si presenta una e immutabile, abbiamo le centomila realtà interne di ciascun personaggio, per cui la vera realtà è nessuna.
Abbiamo la dimensione della realtà oggettiva, che è esterna agli individui e che apparentemente è uguale e valida per tutti, perché presenta per ognuno le stesse caratteristiche fisiche; e la dimensione della realtà soggettiva, che è la particolare visione che ne ha il personaggio, dipendente dalle condizioni sia individuali che sociali: vi sono tante dimensioni quanti sono gli individui e quanti sono i momenti della vita dell'individuo.
Della realtà
oggettiva esterna, così fissa ed immutabile, noi non cogliamo che quegli
aspetti che sono maggiormente adeguati a una delle nostre anime, al particolare
momento che stiamo vivendo, in base al quale riceviamo dalla realtà certe
impressioni, certe sensazioni che sono assolutamente individuali.
Per i personaggi pirandelliani non esiste, quindi, una realtà oggettiva, ma una
realtà soggettiva che, a contatto con la realtà degli altri, si disintegra e si
disumanizza, come avviene per Moscarda. Si può distinguere come la realtà è
vista dal personaggio; come la realtà esterna si impone al personaggio; come il
personaggio crede che gli altri vedano la realtà.
Questa triplice concezione della realtà è un elemento tecnico che serve a Pirandello per esaminare come sono fatti veramente dentro e capire come essi si vedono. Ciò porta a definire l'impossibilità di sfuggire alle convenzioni sociali, l'impossibilità della comunicazione con gli altri.
L'uomo non può conoscere la realtà in sé, ma può creare dei modelli interpretativi che gli permettano di mettere ordine 'nel suo piccolo mondo.
Nel pensiero di Pirandello non c'è nulla di nuovo. E' infatti una ripresa del motivo romantico della insoddisfazione e dell'inquietudine perenne dello spirito umano, esasperata nel Decadentismo. Pirandello lo rielabora, intensificandolo e rappresentandolo in situazioni paradossali ma non tanto, perché a volte esse si verificano realmente.
Dall'insoddisfazione e dall'inquietudine dell'esistenza la gente si difende con il buon senso, rassegnandosi, con l'accettazione serena dei limiti umani, convinta che non esiste né la libertà assoluta, né la verità assoluta.
Pirandello invece rappresenta lo stato d'animo di chi si ribella a questa condizione e ne fa un dramma che può portarlo anche alla pazzia.
Il suo merito è quello di smascherare e condannare nella sua opera i luoghi comuni, le ipocrisie, gli egoismi, i pregiudizi, e soprattutto i venditori di fumo, coloro cioè che approfittano della forma, entro cui si sono chiusi, per tramare i loro inganni e le loro frodi a danno degli altri. Facendo ciò, egli desidera un autentico miglioramento della società, fondato sul rispetto assoluto della persona umana.
I fondamenti teorici della concezione del mondo di Pirandello sono riscontrabili nel saggio "L'umorismo", nel quale lo scrittore espone, discute e codifica la sua poetica. La prima parte è storica, perché dedicata all'esame delle varie forme assunte dall'umorismo nel corso del tempo e ad analizzare l'opera di vari umoristi italiani e stranieri. Nella seconda parte, di carattere teorico, Pirandello distingue due stadi dell'osservazione del reale, che egli definisce 'avvertimento del contrario' e 'sentimento del contrario'.
L' "avvertimento del contrario" si ha quando ci accorgiamo di una stonatura nella realtà che ci circonda, e percepiamo in un comportamento o in un fatto un'incongruenza che ci sconcerta e ci induce a reagire in modo istintivo e immediato, come quando, vedendo una vecchia signora troppo truccata e vestita in modo inadatto alla sua età, ci mettiamo a ridere. Quando in un'opera la descrizione si limita a questa primo stadio si ha il comico.
Se però superiamo quella impressione superficiale e la trasformiamo in riflessione, all''avvertimento del contrario' subentra il 'sentimento del contrario': ciò accade quando ci soffermiamo a pensare 'perché' la signora agisce in quel modo, scoprendo che forse non prova nessun piacere ad agghindarsi così, e magari ne soffre, ma lo fa per un disperato tentativo di mantenere vivo l'amore del marito, più giovane di lei. Mettendo in luce tutto ciò, si fa umorismo.
La critica che Pirandello muove alle illusioni dell'uomo è lucida e definitiva, e la sua esigenza di verità può apparire crudele, ma proprio perché mette a nudo la sofferenza dei suoi simili, l'autore dimostra una partecipazione accorata, una sincera pietà per i suoi personaggi, nei quali vita e forma sono in continuo contrasto: personaggi lacerati, messi improvvisamente di fronte alla scoperta della frantumazione della loro identità e alla crisi di quelle certezze che la 'forma' sembrava loro garantire; non a caso le creature di Pirandello sono caratterizzate dalla 'pena di vivere così', e i loro volti, che si rivelano quando si strappano la maschera, sono 'un misto di riso e pianto'.
Sebbene Pirandello abbia deciso di dedicarsi alle opere teatrali molto tardi, è a loro che deve il suo successo. Questi testi hanno modificato in modo decisivo la tradizione teatrale italiana che, all'epoca, era ancora influenzata dal modello naturalista e da quello decadente di D'Annunzio. Pirandello tratta la vita come se fosse una recita, dove ciascuno è 'l'attore di se stesso', condannato a rappresentare la parte che il destino gli ha prefissato. Il teatro fornisce anzi uno strumento ancora più adatto per esprimere il rapporto maschera - realtà. Attraverso una mescolanza portata fino agli estremi di realtà e finzione, Pirandello frantuma la 'superficie compatta' della vita. In 'Sei personaggi in cerca d'autore' (1921) egli raffigura perfettamente la sua visione: se il teatro è metafora dell'esistenza, mostrando agli spettatori i trucchi che lo governano, ne denuncia in realtà le regole. Nelle sue ultime commedie spettatori, maschere, personaggi e attori si confondono a rappresentare gli equivoci che si nascondono dietro la vita stessa. Pirandello passa dal teatro che imita la vita, al teatro che mette in scena se stesso.
Il personaggio di Pirandello, diversamente da quello tradizionale, apre un continuo, incessante dibattito non solo con gli altri personaggi, ma idealmente con il pubblico. Lo spettatore è chiamato a 'partecipare' in modo nuovo, a 'entrare in scena' anche lui.
Questa scelta di Pirandello significa intenzione di abolire la separazione tra arte (teatro) e vita (pubblico) e di mescolarle continuamente. Il teatro non rispecchia più la vita, ma vuole rappresentare se stesso (anche perché la vita è teatro), il farsi della creazione artistica, il difficile rapporto tra autore e personaggi, che diventa espressione simbolica del rapporto universale tra l'uomo e il suo destino.
".Perché trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? Trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica, la logica di tutte le vostre costruzioni! -Eh! Che volete? Costruiscono senza logica, beati loro, i pazzi! Ma voi dite che non è vero. E perché? - Perché non par vero a te, a centomila altri. Eh, cari miei! Bisognerebbe vedere poi che cosa invece par vero a questi centomila altri che non sono detti pazzi! .Se siete accanto a un altro, e gli guardate gli occhi, potete figurarvi come un mendico davanti a una porta in cui non potrà mai entrare: chi vi entra, non sarete mai voi, col vostro mondo dentro, come lo vedete e lo toccate; ma uno ignoto a voi, come quell'altro nel suo mondo impenetrabile vi vede e vi tocca" (Atto II di "Enrico IV")
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