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Alla base della visione del mondo pirandelliana vi è una concezione vitalistica, affine a quella di varie filosofie contemporanee (Henri Bergson, teorico dello <<slancio vitale>>). La realtà è tutta <<vita>>, perpetuo movimento, inteso come eterno divenire, incessante trasformazione da uno stato all'altro. Tutto ciò che si stacca da questo flusso e assume forma distinta e individuale, si irrigidisce e comincia, secondo Pirandello a <<morire>>. Nonostante siamo parte indistinta dell'eterno fluire della vita, tendiamo a cristallizzarci in forme individuali, a fissarci in una realtà che noi stessi ci diamo, in una personalità che vogliamo coerente e unitaria, ma che in realtà è un'illusione che scaturisce solo dal sentimento soggettivo che noi abbiamo del mondo.
Non solo noi stessi, però, ci fissiamo in una <<forma>>. Anche gli altri, vedendoci ciascuno secondo la sua prospettiva particolare, ci danno determinate <<forme>>. Noi crediamo di essere <<uno>> per noi stessi e per gli altri, mentre siamo tanti individui diversi, a seconda della visione di chi ci guarda. Ciascuna di queste <<forme>> è una costruzione fittizia, una <<maschera>> che noi stessi ci imponiamo e che ci impone il contesto sociale. Sotto questa maschera vi è un fluire indistinto e incoerente di stati in perenne trasformazione, per cui un istante più tardi non siamo più quelli che eravamo prima.
Questa teoria della frantumazione dell'Io in stati incoerenti e in continua trasformazione è un dato storicamente significativo: nella civiltà novecentesca entra in crisi sia l'idea di una realtà oggettiva, organica, definita, ordinata, univocamente interpretabile con gli schemi della ragione, sia di un soggetto unitario, coerente, punto di riferimento sicuro di ogni rapporto con la realtà. La crisi dell'idea di identità e di persona risente evidentemente dei grandi processi in atto nella realtà contemporanea, dove si muovono forze che tendono proprio alla frantumazione e alla negazione dell'individuo.
La presa di coscienza di questa inconsistenza dell'io suscita nei personaggi pirandelliani smarrimento e dolore. L'avvertire di non essere <<nessuno>>, l'impossibilità di consistere in un'identità, provoca angoscia ed orrore, e genera un senso di solitudine tremenda. Viceversa l'individuo soffre anche ad essere fissato dagli altri in <<forme>> in cui non può riconoscersi. Queste <<forme>> sono sentite come una trappola, come un carcere in cui l'individuo si dibatte, lottando invano per liberarsi.
Alla base di tutta l'opera pirandelliana si può scorgere un rifiuto delle forme della vita sociale, dei suoi istituti, dei ruoli che essa impone, e un bisogno disperato di autenticità, di immediatezza, di spontaneità vitale. L'istituto in cui si manifesta per eccellenza la <<trappola>> della <<forma>> che imprigiona l'uomo è la famiglia. Pirandello coglie il carattere opprimente dell'ambiente familiare, il suo grigiore avvilente, le tensioni segrete, le ipocrisie che si mescolano torbidamente alla vita degli affetti viscerali ed oscuri. L'altra <<trappola>> è quella economica, la condizione sociale e il lavoro, almeno a livello piccolo borghese: i suoi eroi sono prigionieri di una condizione misera e stentata, di lavori monotoni e frustranti, di un'organizzazione gerarchica oppressiva. Da questa <<trappola>> non si dà una via di uscita: il pessimismo di Pirandello è totale, non gli consente di vedere altre forme di società diverse. Per lui è la società in quanto tale, in assoluto, che è condannabile, in quanto negazione del movimento vitale. La sua critica feroce delle istituzioni borghesi resta perciò puramente negativa, non propone alternative, anzi, ideologicamente si accompagna a posizioni fortemente conservatrici, se non reazionarie.
L'unica via di relativa salvezza che si dà agli eroi pirandelliani è la fuga nell'irrazionale: nell'immaginazione che trasporta verso un mondo fantastico, oppure nella follia, lo strumento di contestazione per eccellenza delle forme fasulle della vita sociale.
Il rifiuto della vita sociale dà luogo nell'opera pirandelliana ad una figura ricorrente, emblematica: il <<forestiere della vita>>, colui che <<ha capito il giuoco>>, ha preso coscienza del carattere del tutto fittizio del meccanismo sociale e si isola, guardando vivere gli altri dall'esterno della vita e dall'alto della sua superiore consapevolezza, rifiutando di assumere la sua <<parte>>, osservando gli uomini imprigionati dalla <<trappola>> con un atteggiamento <<umoristico>>.
Il relativismo conoscitivo
Oltre che sulla visione della società, dal vitalismo pirandelliano scaturiscono importanti conseguenze sul piano conoscitivo. Il reale è multiforme, polivalente, non esiste una prospettiva privilegiata da cui osservarlo: al contrario, le prospettive possibili sono infinite e tutte equivalenti. Caratteristico della visione pirandelliana è dunque un radicale relativismo conoscitivo: non si dà una verità oggettiva fissata a priori, una volta per tutte. Ne deriva un'inevitabile incomunicabilità tra gli uomini: essi non possono intendersi, perché ciascuno fa riferimento alla realtà com'è per lui, e non sa né può sapere come sia per gli altri, proietta nelle parole che pronuncia il suo mondo soggettivo, che gli altri non possono indovinare. Questa incomunicabilità accresce il senso di solitudine dell'individuo che si scopre <<nessuno>>, mette ulteriormente in crisi la possibilità di rapporti sociali e contribuisce a svelarne il carattere convenzionale e fittizio.
La perdita di fiducia nella possibilità di sistemare il reale in precisi moduli d'ordine, il relativismo conoscitivo, il soggettivismo assoluto di Pirandello lo collegano a quel clima culturale europeo del primo Novecento in cui si consuma la crisi delle certezze positivistiche. La posizione di Pirandello, per quanto riguarda la crisi gnoseologica e il vitalismo irrazionalistico, viene quindi abitualmente fatta rientrare nell'ambito di quello che si suole definire Decadentismo. Se però prendiamo la categoria nell'accezione più rigorosa e ristretta, considerando alla base del Decadentismo la "fiducia" in un ordine misterioso che unisce tutta la realtà in un sistema di analogie universali, allora per molti aspetti Pirandello appare già al di fuori di esso. Per lui la realtà non è più una totalità organica, ma si sfalda in una pluralità di frammenti che non hanno un senso complessivo: il particolare non vibra della vita universale, ma è semplicemente una particella isolata, perché un Tutto non esiste. Se per il Romanticismo e il Decadentismo l'interiorità era il centro del reale, sede dell'esperienza originaria dell'Essere, ora questo centro scompare, il soggetto da entità assoluta diviene <<nessuno>>.
La poetica: l'<<umorismo>>
Dalla visione complessiva del mondo scaturiscono anche la concezione dell'arte e la poetica di Pirandello. Possiamo trovarle enunciate in vari saggi, tra cui il più importante e il più famoso è L'umorismo, un vero e proprio testo chiave per penetrare nell'universo pirandelliano. L'opera d'arte, secondo Pirandello, nasce dal <<libero movimento della vita interiore>>; la riflessione, al momento della concezione, resta invisibile, è quasi una forma del sentimento. Nell'opera umoristica invece la riflessione non si nasconde, non è una forma del sentimento, ma si pone dinanzi ad esso come un giudice, lo analizza e lo scompone. Di qui nasce il <<sentimento del contrario>>, che è il tratto caratterizzante l'umorismo. Lo scrittore propone un esempio: se vedo una vecchia signora coi capelli tinti e tutta imbellettata, avverto che è il contrario di ciò che una vecchia signora dovrebbe essere. Questo <<avvertimento del contrario>> è il comico. Ma se interviene la riflessione, e suggerisce che quella signora soffre a pararsi così e lo fa solo nell'illusione di poter trattenere l'amore del marito più giovane, non posso più solo ridere: dall'<<avvertimento del contrario>>, cioè dal comico, passo al <<sentimento del contrario>>, cioè all'atteggiamento umoristico. La riflessione nell'arte umoristica coglie così il carattere molteplice e contraddittorio della realtà, permette di vederla da diverse prospettive contemporaneamente. Se coglie il ridicolo di una persona, di un fatto, ne individua anche il fondo dolente, di umana sofferenza; o viceversa, se si trova di fronte al serio e al tragico, non può evitare di far emergere anche il ridicolo. In una realtà multiforme e polivalente, tragico e comico vanno sempre insieme.
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