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L'impresa fiumana - "o fiume o morte"




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L'IMPRESA FIUMANA - "O FIUME O MORTE"



Mio caro compagno, il dado è tratto! Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto, febbricitante. Ma non è possibile differire. Anche una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio

Gabriele D'Annunzio

11 settembre 1919


Così Gabriele D'Annunzio scriveva a Benito Mussolini: iniziava l'impresa di Fiume.

D'Annunzio, che non ha mai rinunciato a rivendicare i diritti dell'Italia su Fiume, organizza un corpo di spedizione. A Venezia egli raggruppa gli ufficiali che fanno parte di un nucleo d'agitazione che ha per motto 'O Fiume o morte!'. Questi ufficiali assicurano a D'Annunzio un contingente armato di circa mille uomini, ai quali altri se ne aggiungono poi durante la marcia sulla città irredenta.
Gabriele D'Annunzio si autonomina capo del corpo di spedizione e il giorno 12 settembre 1919 entra in fiume alla testa delle truppe. La popolazione alla vista di questa entrata, acclama le truppe di granatieri italiani ed il "poeta- soldato".
L'impresa di D'Annunzio riesce anche grazie alla compiacente collaborazione del generale Pittaluga, comandante delle truppe italiane schierate davanti a Fiume, il quale concede via libera al piccolo esercito. Le truppe alleate nella città non oppongono resistenza e sgomberano il territorio chiedendo l'onore delle armi. Di fronte al colpo di mano il presidente Nitti, nel duplice intento di salvare la nazione da un pronunciamento militare e di non provocare incidenti internazionali, pronuncia un violento discorso:
'L'Italia del mezzo milione di morti non deve perdersi per follie o per sport romantici e letterari dei vanesii'.
Mussolini, fronteggiando l'attacco contro il suo amico D'Annunzio, scrive sulle colonne del Popolo d'Italia:
'Il suo discorso è spaventosamente vile. La collera acre e bestiale di Nitti è provocata dalla paura che egli ha degli alleati. Quest'uomo presenta continuamente un'Italia vile e tremebonda dinanzi al sinedrio dei lupi, delle volpi, degli sciacalli di Parigi. E crede con questo di ottenere pietà. E crede che facendosi piccini, che diminuendosi, prosternandosi, si ottenga qualche cosa. E' più facile il contrario'.
D'Annunzio non reagisce agli attacchi del Presidente del Consiglio come Mussolini, ma conia per Nitti un soprannome, nel quale c'è tutto il suo disprezzo per il moderato che disapprova 'le gesta sportive'. Lo battezza 'Cagoja'.

20 settembre 1919. Gabriele D'Annunzio ottiene i pieni poteri e comincia a firmare decreti qualificandosi 'Comandante della città di Fiume'. Il 16 ottobre le truppe regolari dell'esercito continuano a bloccare la città e D'Annunzio dichiara Fiume 'piazzaforte in tempo di guerra'. Questo gli consente di applicare tutte le leggi del codice militare che in tal caso prevede anche la pena di morte con immediata esecuzione per chiunque si opponga alla causa Fiumana.
Il plebiscito del 26 ottobre segna il trionfo di D'Annunzio che ottiene 6999 voti favorevoli all'annessione su 7155 cittadini fiumani votanti.
Sull'onda del successo, D'Annunzio esprime a Mussolini un proprio progetto: marciare su Roma alla testa dei suoi uomini e impadronirsi del potere. Mussolini lo dissuade e lo convince che la cosa finirebbe in un fallimento. In realtà la marcia su Roma è il suo grande sogno ma egli vuole ancora aspettare perché intende essere il solo condottiero di quella marcia, e non certo l'articolista di D'Annunzio, in questo momento più popolare di lui. Nel frattempo le potenze alleate ammoniscono il governo italiano sulle complicazioni che l'impresa fiumana può portare nelle trattative ma la loro presa di posizione è abbastanza moderata, tale da indurre Nitti a non intervenire con la forza contro D'Annunzio ma a intavolare con lui pacifici negoziati.
Arriviamo così alla vigilia delle elezioni. D'Annunzio riprende la sua attività espansionistica ed il 14 novembre sbarca a Zara, debolmente contrastato dal governatore militare. Occupata Zara, D'Annunzio riparte pochi giorni dopo lasciando una guarnigione a presidiare la città, mentre corre voce che egli stia per tentare altre imprese del genere a Sebenico ad a Spalato.
Gli italiani vanno alle urne ignorando le ultime imprese di D'Annunzio, perché il governo blocca la notizia attraverso la censura, temendo che il nuovo fatto d armi possa mutare il corso della consultazione. Le elezioni del 1919 vedono la sconfitta dei fascisti e nel giugno del 1920 Giolitti subentra come Presidente del Consiglio a Nitti.
Il 1920 vede la conclusione definitiva dell'avventura fiumana di Gabriele D'Annunzio.
I rappresentanti delle potenze alleate si riuniscono a Rapallo. Il 12 novembre viene firmato un trattato che dichiara Fiume stato indipendente e assegna la Dalmazia alla Jugoslavia tranne la città di Zara che passa all'Italia. Il 'poeta soldato' viene invitato ad andarsene da Fiume. Questa volta l'esercito e la marina italiana non potranno più mostrarsi compiacenti con D'Annunzio. Il generale Enrico Caviglia viene inviato a Fiume per far sgomberare la città dagli occupanti. E' Natale. D'Annunzio dichiara che quello sarà un Natale di sangue e promette che verserà anche il suo, ma il generale Caviglia ordina ad una nave da guerra di aprire il fuoco contro il palazzo del governo. Le prime bordate segnarono la fine dell'avventura di D'Annunzio che se ne va. I suoi legionari lo seguono. Portano una divisa che diverrà famosa: camicia nera sotto il grigioverde e fez nero.





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