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Ci possiamo accostare alla vita di Ungaretti leggendo una delle sue liriche più famose: I fiumi.
Leggendola, incontreremo le tappe fondamentali della vita di Ungaretti fino al 1916, anno della composizione della lirica, rievocate attraverso il nome dei fiumi che attraversano le terre in cui il poeta è vissuto, realmente o d'Egitto, visse fino al 1912; poi la Senna, cioè Parigi, dove visse fino al 1915; poi il Serchio, il fiume dei suoi avi, della sua gente della Lucchesia.
Infine l'Isonzo, l'acqua nella quale egli si bagna per lavare il sudiciume della guerra. In seguito verrà il Tevere, poi il Brasile, poi, e definitivamente, l'Italia.
Ungaretti, quindi, ha vissuto i primi anni della sua vita lungo il Nilo, essendo nato, nel 1888, ad Alessandria d'Egitto, città internazionale, tumultuosa, con una ricca colonia d'italiani. Il padre vi era giunto per lavorare al canale di Suez. Morto lui, la madre, religiosissima, severa, tenace, amorosissima, manda avanti la famiglia gestendo un forno.
In Egitto Ungaretti si forma culturalmente in modo assolutamente originale rispetto ai letterati italiani 'normali': non ha conoscenze di architettura, gli manca la memoria storica racchiusa nei monumenti, non lo influenza D'Annunzio o i crepuscolari o i futuristi. Non deve fare i conti con la tradizione. Anzi, non pensa proprio che un giorno sarà un poeta, dato che i primi versi sono posteriori ai suoi venticinque anni.
L'Italia, la terra d'origine, la conosce attraverso i racconti dei suoi, ma egli si sente un senza patria, uno sradicato in cerca di radici, un vagabondo, un naufrago in cerca di una 'terra promessa'.
Di carattere è mutevole, contraddittorio, intemperante, acceso, ma anche tenero, malinconico, impulsivo ma anche tanto buono e straordinariamente ingenuo. Lo scrittore Enrico Pea, suo grande amico di quegli anni, ce ne ha lasciato un ritratto felice, in cui si rammenta che Ungaretti, nel suo candore, credette perfino possibile l'esistenza di un aereo dalle ali di marmo!
Con Pea e con altri rivoluzionari, anticonformisti, ribelli, anarchici, diede vita alle leggendarie riunioni della 'baracca rossa', ove poté sfogare il suo temperamento anarchico, la sua passione sociale, l'istintiva avversione per le ingiustizie.
Ungaretti cambierà molto, in seguito, specie dopo il ritorno alla fede cristiana. Ma conserverà anche molto dei caratteri della sua gioventù, mantenendosi in fondo su una linea di coerenza rispetto ad essa, perché anche dopo la conversione del 1928, non resterà frenata in lui la piena vitalità, la libertà di aderire alla vita con slancio e passione. Mai il cristianesimo suo sarà ascetico, rinunciatario.
Ungaretti è vissuto mescolandosi alla sensualità araba, ha saputo 'cosa sia il delirio dei sensi, il sole accecante' (Piccioni). In lui questa traccia non sarà mai smarrita, perciò egli accoglierà sempre, nel suo cuore, nella sua coscienza, forze e 'tentazioni' contrastanti, contraddittorie.
Ungaretti sarà infatti poeta dei naufragi ma anche dell'allegria, poeta del deserto, ma anche del miraggio, della pena, ma anche della speranza.
'Sicché si può dire che, quando Ungaretti lascia l'Egitto, nel 1912, la sua sorte è segnata in ogni direzione. Tutto quello che accadrà è già segnato nelle linee della sua mano' (Piccioni).
Lasciata Alessandria Ungaretti approda a Firenze e si inserisce nel gruppo de La Voce. Poi vola a Parigi dove 'in ogni campo, da tutto il mondo, i nuovi inventori sono al lavoro.'
Ascolta Bergson, frequenta Apollinaire, Picasso; e queste nuove esperienze le confronta, le fonde con le suggestioni e le convinzioni ricavate dalle sue letture: Leopardi, Baudelaire, Mallarmè, Nietzsche.
In Francia condivide, con gli amici, il senso di una generale crisi di fiducia nella società e l'angoscia di sentirsi impotente a risolvere i grandi problemi della civiltà declinante.
Ma soprattutto gli si chiarisce la vocazione poetica, la quale fiorisce in lui con questa ferma convinzione: che nella poesia l'uomo potrà riscattarsi e ritrovarsi.
Ungaretti amerà la Francia, provando quasi per essa il primo amore di patria: è la terra dell'arte, della poesia, degli amici, della speranza di civiltà.
Si profila, intanto, lo spettro della guerra, la prima Guerra Mondiale. Egli scriverà in seguito: non amavo la guerra, ma questa ci sembrava necessaria (egli fu interventista nel 1914); dovevamo rivoltarci, la colpa ci sembrava tutta della Germania.
Il suo interventismo, però, si spiega anche con l'ondata nazionalista, che l'avrà contagiato, con quel certo disagio di residente all'estero, cui non dispiace veder primeggiare, diventar grande il proprio paese.
Ma la sua guerra non sarà mai contagiata dalla retorica militarista, sarà invece l'incontro con altri uomini, riscoperti come 'fratelli'. E' soldato semplice.
Proprio durante la guerra comincia a pubblicare poesie. Nel 1916 esce Il porto sepolto.
Finita la guerra Ungaretti è a Parigi, si sposa (con Jeanne Duval), poi nel 1921 è a Roma.
Quest'altra stagione della sua vita (quella 'romana') sarà rispecchiata dalla raccolta Sentimento del tempo. E' infatti caratteristica, in Ungaretti, questa compenetrazione di vita e poesia, come vedremo. E proprio per questo, anzi, vale la pena intrattenersi sulla sua vicenda biografica (come richiede un Leopardi, ad esempio ), e proprio per questo il volume completo delle sue poesie ha il titolo: Vita di un uomo.
Si apre, allora, il periodo romano. Ungaretti ha intorno a sé la città, con i suoi monumenti, la sua storia, il suo barocco; e, più in là della città, ecco la campagna laziale, ricca, verde, assolata.
Tutti questi elementi rientreranno, in vari modi, nel discorso da fare sulle poesie di questo periodo.
Va aggiunto che questo è anche un periodo di vera pienezza d'amore. Scrive Piccioni: 'Ungaretti avrà quarant'anni nel 1928: è nel pieno della maturità d'uomo, nella capacità vera e fantastica d'amore, in armonia col paesaggio; malgrado difficoltà economiche [ha un impiego, fa il giornalista, gli nascono due figli, la moglie insegna francese] Ungaretti è in un momento felice della sua vita.'
Nel 1928 una svolta: a Pasqua va a Subiaco, il luogo di S. Benedetto, con un amico convertito. Segue la liturgia, fa gli esercizi spirituali. Intanto tra le sue letture compare Pascal, con la sua ansia di Dio, e tutta la sua attenzione è attratta dal senso di catastrofe che promana dal Michelangelo della Sistina.
Ma la sua, come s'è detto, non sarà religione della mortificazione dei sensi.
IL SUO CARATTERE
Leone Piccioni, che con Ungaretti ha avuto una lunga e approfondita familiarità nell'ultima parte della vita del poeta, nel tracciare una sintesi del carattere di Ungaretti (Cfr. Per conoscere Ungaretti, p.47 ) ha scritto :
' con tutti i cinque sensi che possedeva e che sviluppava al massimo di tensione, poteva contemporaneamente sentire e vivere e proporti le dimensioni più diverse ed anche opposte (saggezza e follia; conquista della virtù e ininterrompibile tendenza all'errore; pacatezza e reattività polemica; ingenuità e scaltrezza; sincerità profonda e disponibilità a mentire)'.
Però, caratteristica di Ungaretti fu che ognuno dei lati della sua personalità sapeva benissimo del suo opposto, 'ed il senso della contraddittorietà eventuale o fatale era per primo a lui che si faceva presente'.
Insomma vasta era la dimensione dell'esperienza e della riflessione, profondamente sentite, cui Ungaretti era disponibile.
Una sola regola fissa permaneva, in questo carattere così fervido: non offender gli altri, riconoscere ad ognuno un confine che non si può superare, 'con l'acquisizione istintiva di un senso di responsabilità come perno per far ruotare i rapporti tra gli uomini, che fa presto ad identificarsi con il messaggio sociale del cristianesimo vero'.
Tuttavia il biografo Piccioni, l'amico biografo, prova ad andare al cuore della unicità di Ungaretti, 'che lo rendeva diverso da tutti gli altri '.
'M'accorgo - scrive Piccioni - che, forse solo, tra quante persone io abbia fin qui conosciuto Ungaretti possedeva insieme uno spirito di profonda religiosità, ed una intera, ampia, aperta libertà '.
E di questa vitalità (che è anche capacità di rifare vergini e vere le parole) si tornerà a parlare a proposito della sua poesia.
Per avvicinarsi all'argomento sarà bene riflettere su una pagina piuttosto nota, in cui Ungaretti parla di ciò che è la poesia, e in particolare la sua poesia e su altre sue dichiarazioni di poetica.
Da queste dichiarazioni di Ungaretti intorno alla poesia e alla condizione umana, possiamo ricavare alcuni punti fondamentali :
1. La poesia deve essere espressione di verità e di umanità piena. Per questo c'è il rifiuto del dannunzianesimo, del futurismo.[1]
2. Il poeta ha familiarità con il segreto che è annidato nel suo e nel nostro essere ed è responsabile della comunicazione di questo segreto agli uomini.
3. L'atto poetico, siccome ridà all'uomo la sua verità, la sua umanità, è atto di liberazione, di libertà, di ricongiungimento con la purezza originaria. Perciò è un atto che fa incontrare Dio.
4. La parola poetica è intuita più che capita, perché voce di un segreto.
Dal punto di vista dei riferimenti letterari, si risente in questa poetica l'eco del simbolismo francese (la poesia che scava nel mistero, l'importanza della parola poetica).
Un'espressione poetica di queste idee, di questo senso della poesia come atto di vita, di responsabilità; come avventura rischiosa e affascinante, e misteriosa, è nelle due liriche: Il porto sepolto e Commiato.
Vediamo ora, dopo l'occhiata data alla vita, al carattere, alla poetica di Ungaretti, le principali tappe della sua attività di poeta.
Trascureremo l'attività di prosatore e di critico, di traduttore e di saggista, e, tra le raccolte di liriche ci soffermeremo su quelle che, a giudizio quasi unanime della critica, sono le più significative.
Nel 1916 appare, dunque, Il porto sepolto, 33 liriche scritte al fronte.
Questa raccolta è ripubblicata più volte, con l'aggiunta di altre liriche, prendendo anche altri titoli (Allegria di naufragi nel 1919 e L'Allegria nel 1931 ) e ci sono le liriche scritte, più o meno, dal 1915 al 1919.
Nel 1933 appare Sentimento del tempo, che comprende le liriche tra il 1919 e il 1932. Anche questa raccolta riapparirà, arricchita, negli anni futuri.
Del 1947 è Il Dolore.
Sono queste le raccolte delle quali ci occuperemo, ma occorre ricordare, per completezza, che nel '50 apparvero i frammenti di un poema mai compiuto: La Terra Promessa, cui seguiranno, nel 1960 Il Taccuino del Vecchio e, nel 1968, Dialogo.
Infine, e non è da trascurarsi il titolo, alla luce di quanto sappiamo, nel 1969 venivano pubblicate tutte le sue poesie sotto il titolo di Vita di un uomo.
Ecco dunque, nel 1916, Il Porto Sepolto.
Dalla trincea del Carso esce una voce originalissima (è indispensabile confrontarla con il clima dannunziano, o carducciano, o futurista o crepuscolare): la metrica è nuova, scarna, secca. Sono versicoli, brandelli dei vecchi versi, ma tra segmento e segmento circola ancora il canto, il ritmo, e, volendo, si può ricostruire il verso consueto.
Ma la tradizione accademica italiana è infranta di colpo.
Ungaretti usa subito parole popolari, di tutti, che non invecchiano, di sempre; e con questa parola vecchia e nuova scava nella condizione dell'uomo, di lui e di tutti gli altri, di fronte alla realtà della guerra, della morte, della fraternità e della provvisorietà.
La raccolta conteneva le due poesie sulle quali già ci siamo soffermati (Porto Sepolto e Commiato) che definiscono la 'missione 'del poeta come testimone della condizione umana: 'tutta l'esperienza della vita non è che una serie di naufragi; forse tutto un naufragio, ma "una docile fibra dell'universo", passato il naufragio, e restando superstite, né si ferma né si uccide: riprende il viaggio, ricomincia a sperimentare' a trovare conforto nella natura, a sperare, a credere nella vita, ad amare.
Ritornando agli aspetti formali, stilistici, si noterà come Ungaretti accompagni alla disarticolazione del verso tradizionale, una sensibilità nuova, e per il ritmo (non più cantante) e per il valore semantico del singolo vocabolo, carico di echi, associazioni suggestive.
In questo egli sentiva il magistero di Leopardi e scriveva: 'L'indefinitezza è nel vocabolo, è all'interno dei suoi significati, ed è fuori dal significato del vocabolo '.[2]
Possiamo ora passare alla lettura di alcune poesie de L'Allegria.
- Veglia
- Fratelli
- I fiumi
- Allegria di naufragi
- Soldati
- S. Martino
- Natale
SENTIMENTO DEL TEMPO
Le poesie di questa raccolta (la seconda stagione poetica) cominciano ad essere scritte dal 1919, ma fino al 1924 sono sei in tutto: il grosso si colloca tra il '25 e il '27, e poi dal '28 ai primi anni Trenta.
La prima parte è quella che canta l'amore e il paesaggio laziale, la seconda quella in cui l'interesse abbandona il paesaggio e torna sulla sorte dell'uomo.
Dunque, all'inizio, pur essendo Ungaretti a Roma, non è la città, ma la natura a farsi materia del suo canto. In realtà 'con Roma sarà difficile l'acclimatamento c'è da credere che la dimensione architettonica e storica di Roma, il senso che ha del sovrapporsi delle epoche storiche e della civiltà e insieme la sigla, malgrado tutto, prevalentemente barocca del senso di questa città (e di quello che il barocco in profondo significhi ) è arrivato più tardi. ' Così Piccioni.
All'inizio domina il canto d'amore entro un paesaggio di ontani, platani, mimose, olmi, ulivi; e sirene, ninfe, pastori, laghi, alberi ecc.
E c'è il ritorno del mito: Ulisse, Apollo, Diana, Leda.
Ecco il vero incontro con la Terra Promessa, che rifà il cammino tra deserto e miraggio già percorso negli anni egiziani.
Altri critici trovano nella raccolta altri temi.
Santoro, richiamandosi al significato del titolo, insiste sul sentimento del rapido fluire delle cose, delle persone amate, della vita: di qui l'avidità di vivere, la nostalgia, lo sgomento, la desolazione, oppure il desiderio di pace e di oblio.
Un altro tema, che sfocia dal mito al recupero della speranza cristiana, è il mito edenico, il ricordo e lo slancio verso un'originaria purezza perduta:
La vita dell'uomo è costruita nel vuoto lasciato dal dissolvimento dell'Eden'. E proprio questa angoscia Ungaretti trova nell'architettura barocca di cui Roma è piena.
Ma lentamente, alla mitologia pagana subentra quella cristiana, dopo il '28, che, però, assume le tinte ansiose derivate dal potente influsso del Michelangelo della Sistina: questo è il barocco sentito 'come catastrofe imminente' che minaccia l'umanità. Così il Baroni.
Dunque il barocco romano, quello di Michelangelo. Sul piano letterario Ungaretti, intanto, è risalito a Petrarca, a Gongora e a Racine. E ha scoperto Pascal.
Mentre, quindi, si provava 'a sentire il tempo del paesaggio come profondità storica' accadeva che una civiltà minacciata di morte (lo) induceva a meditare sul destino dell'uomo e a sentire il tempo, l'effimero, in relazione con l'eterno. 'Fino ad avvertire, in sé, l'allarme' dell'invecchiamento e del morire della mia carne stessa '.
Insomma, 'come sul Carso sarà l'uomo visto ed inteso nella proiezione e prospettiva del suo futuro storico, minacciato, accerchiato, violentato ed offeso nella sua dignità morale d'uomo; e se nel Carso l'idea di Dio traluceva per ombre, e per interrogativi, ora si riscopre dal fondo, si fa preghiera pur nell'arco ampio d'una libertà che non mortifichi la condizione naturale dell'uomo'. Così Piccioni.
A questo punto, oltre al nome di Pascal, dobbiamo richiamare quello di Leopardi.
'Leopardi, chi (lo) abbia letto con attenzione sa cosa intendo quando dico: inferno. In lui non c'era più che sentimento infinito di pietà. E' un cristiano che vede ovunque tracce di colpa inesplicabile (perché non ha fede), e ha invece eloquenza la vista della progressiva corruzione d'ogni cosa, corruzione interrotta per poco, ogni tanto, da incursioni di barbarie che rinnovano le illusioni'. Altro che il Leopardi della Ronda!
Dal punto di vista stilistico-formale Sentimento del tempo si muove lungo due binari: da un lato è netto il recupero della tradizione, tornano i versi, il canto, le maiuscole, l'attenta punteggiatura. Era quello che fu chiamato 'il ritorno all'ordine'.
Dall'altro lato, però, niente va perduto delle esperienze di impressionisti, di Baudelaire, di Malarie, del simbolismo insomma.
Tornando per un attimo sull''ordine', non si può trascurare che, a parte La Ronda, Apollinaire tornava a parlare di tradizione e di ordine, che Valery riscopre l'architettura delle composizioni, che Strawinskij è affascinato dall'equilibrio formale dei musicisti sei-settecenteschi; e Picasso, poi, scopre Raffaello, mentre De Chirico studia Giotto.
In questo clima si colloca il 'ritorno' di Ungaretti, che d'altronde resta originale sia per il mantenimento dell'eredità simbolista, sia per il fascino del 'canto', che lui sente nel verso italiano, in risposta a chi, in quel tempo - ed erano tanti - negava la poesia in versi. 'Si voleva prosa: poesia in prosa'. ( Pozzi )
1. Ungaretti è intanto collocato nel cap. dei capiscuola dell'ermetismo, con Montale e Quasimodo.
2. A proposito del barocco in questa raccolta: i due momenti già evidenti [che quindi ritorneranno] in cui appare possibile la svolta di questa poesia verso il barocco sono la sontuosità dell'aggettivo, la suggestione corale del vocativo: perciò non è casuale l'incontro con Gongora.
Per ora, però, il lussureggiare compiaciuto dell'immaginazione è ancora contenuto dal momento soggettivo.
La poesia italiana del Novecento conobbe due tipi di barocco; il primo più esterno e slegato, come in Govoni, un'anarchia dell'immaginazione, un descrittivismo frenetico; l'altro più sapiente è di Ungaretti, che, nel Sentimento, dove la parola è ancora dosata nel suo giusto peso specifico, è da intendere come dominio della costruzione della materia (che è prerogativa del maggior barocco: si pensi alle fabbriche del Bernini e del Borromini).
[Credo significhi che la materia, cioè la parola, resta subordinata alla volontà del poeta, che non si lascia prendere la mano dalla parola, non cade cioè nel gioco compiaciuto, fine a se stesso, dell'analogia, dell'immaginazione].
Questo 'dominio' in seguito verrà meno. Infatti Pozzi scrive: 'S'intravede di già il lussureggiare compiaciuto dell'immaginazione che, unita all'elemento irrazionale implicito alla poetica della parola (il gioco analogico che scioglie la parola dal suo immediato significato) è sempre sul punto di prevaricare nel misticismo della forma.'
Per il contenuto Pozzi registra 'una parabola della linea simbolista verso una soluzione più tradizionale, cattolica, che ripiegava il rimbaudismo, aperto a tutte le vie, verso una soluzione, grosso modo, religiosa.'
Si infittisce la trama di analogie E' simbolismo, punto d'approdo di una concezione romantico-decadente della poesia come rivelazione della realtà profonda.
Le immagini (della lirica O Notte, ma in genere della raccolta) si dispongono secondo una direzione: il rimpianto della giovinezza, il senso della vita come declino, l'attesa della morte, il presentimento della morte come possibile rivelazione: tra dolore e attesa, una problematica speranza cristiana.[3]
Per Baroni (Le Monnier) gli elementi più evidenti del distacco dalle altre raccolte sono formali, non di contenuto: a) lettera maiuscola all'inizio di verso; b) punteggiatura; c) metrica come chiave del testo poetico.
Sono innovazioni in linea con l'esperienza rondista. Ungaretti teme che l'estremismo delle avanguardie porti alla dissoluzione del verso, dei nessi logici, della possibilità di comunicare: anzi la negazione di ogni struttura definita alla poesia aveva portato a un rifiuto radicale della poesia in sé, a favore della prosa.
Tornano ora i classici e incombe Roma: tornano le immagini mitologiche da tempo dimenticate. I miti e gli dèi tornano, però, come simboli di una condizione originaria, 'precedente la deificazione '.
Si ripete il mito edenico: la vita dell'uomo è costruita nel vuoto lasciato dal dissolvimento dell'Eden e questa angoscia Ungaretti legge anche nell'architettura barocca di cui Roma è piena.
Ancora una volta il paesaggio si dimostra influente: la sovrapposizione di paganesimo e cristianesimo, di classico e di barocco in Roma.
- L'isola
- La madre
- Inno alla morte
- Estate
Le ultime due raccolte delle quali parleremo sono Il Dolore e La Terra Promessa.
La prima è inserita, quasi come parentesi, nel lavoro che Ungaretti stava conducendo intorno all'ambizioso progetto di un poema (appunto La terra promessa): e il lavoro fu interrotto, lasciando il posto a Il Dolore, perché due tragedie, una privata (la morte, per l'errore di un medico, del figlioletto Antonietto, di nove anni), l'altra pubblica (la guerra mondiale) sconvolsero la vita, l'anima, la coscienza del poeta.
Al figlio, morto in Brasile, egli dedicò le brevi, stupende liriche di Giorno per giorno.
In esse Ungaretti canta lo strazio sofferto, lo strazio del ricordo e il lento trasformarsi del ricordo dalla sofferenza alla consolazione.
Nelle altre liriche, dedicate alla guerra (spiccano tra esse Mio fiume anche tu e Non gridate più) il poeta sente che il proprio decadimento fisico si riscontra in quella sorte di corruzione e di distruzione cui va incontro il suo paese.
Invece, l'immagine del figlio, che fa tutt'uno con la sua giovinezza passata, è quasi un recupero di lontani tempi 'innocenti', che si riflettono anche nella forza tutta naturale del paesaggio brasiliano (paesaggio che egli, con ardimento, tenta di innestare su quello italiano, in un incontro interessante di natura e storia).
Infine, La Terra Promessa.
Nel 1950 escono i frammenti del poema (Cori descrittivi) preceduti da una Canzone.
La Canzone serve a introdurre alla poesia dei cori, ed è essa stessa commentata dal poeta:
'Come intendo io, il mondo? C'è un universo puro per un avvenimento straordinario questa materia è corrotta - e ha principio il tempo, e principia la storia Io non vi dico che sia tale la verità, ma sento così: sento che a un certo momento finisce la perfezione della natura, lo stato della natura pura Noi tendiamo però con tutte le nostre forze a conoscere la "prima immagine" nella sua perfezione'.
Ungaretti precisa ancora i rapporti tra Sentimento del tempo e Terra Promessa: nel primo c'erano tre temi, quello dell'aurora incontaminata dalla storia, quello del desiderio a un ritorno dell'eden, e il tema della morte; gli stessi si ritrovano nella terra Promessa, e avrebbero dovuto essere cantati da un uomo che sta per lasciare la giovinezza. Le vicende vollero che quell'uomo riprendesse quei temi alle soglie della vecchiaia: 'doveva essere la poesia dell'autunno, è invece la poesia dell'inverno '.
E ancora:
'La Canzone parte dal distacco, cui s'è già accennato, dell'autunno dall'ultimo segno di giovinezza Poi è esaurita l'esperienza sensuale, il varcare la soglia di un'altra esperienza è il conoscersi essere dal non essere, essere dal nulla, è il conoscersi pascalianamente essere dal nulla '.
La Terra Promessa doveva essere un melodramma, con personaggi, cori, musica. Ungaretti sviluppò solo le parti corali. La vera protagonista dell'opera è la Terra Promessa: Enea è sbarcato in Italia, ha compiuto la sua missione, ha vinto ogni durezza e dolore. trova una terra ignara, felice, fertile. Toccata questa terra, ecco i cori: sono visioni della sua memoria: Didone, Palinuro.
Il poema-melodramma sarebbe dovuto continuare. Di ciò che a noi è dato leggere, sono molto belli soprattutto i Cori descrittivi dello stato d'animo di Didone, che cantano la sua passione e la fine dell'amore e della giovinezza, e il suicidio.
Si può concludere su Ungaretti citando alcune testimonianze importanti, che sintetizzano le ragioni della sua grandezza.
Contini, nel 1968, scrisse: 'Ho dovuto riconoscere che il solo innovatore nella catena dei poeti moderni sia stato proprio Ungaretti In questo senso si può dire che tutti sono, o siamo, usciti dal pastrano di Ungaretti'.
Ma al di là degli aspetti stilistici, Carlo Bo e Mario Luzi mettono l'accento su altri valori:
'Con Ungaretti e con pochissimi altri era nata una religione della poesia che poté sembrare addirittura più libera e più sicura della stessa fede. Non era tutta illusione'. (C.Bo)
'In un'epoca di insidie travolgenti, ha testimoniato semplicemente l'uomo e lo ha testimoniato nella maniera più semplice, arrendendosi con umiltà alla sua individuale sofferenza, alla sua individuale letizia Ma io, quanto tempo ci ho messo a capirlo: quasi non ci potessi arrivare senza quella suprema meditazione cristiana '.
APPROFONDIMENTI E ANALISI DI OPERE
LA PAROLA, LA POESIA
fonte : Cibotto - Maselli, Antologia popolare ecc., Vallecchi
'Non so se la poesia possa definirsi. Credo e professo che sia indefinibile, e che essa si manifesti nel momento della nostra espressione, nel quale le cose che ci stanno più a cuore, che ci hanno agitato e tormentato di più nei nostri pensieri, che più a fondo appartengono alla ragione stessa della nostra vita, ci appaiono nella loro più umana verità; ma in una vibrazione che sembra quasi oltrepassare la forza dell'uomo, e non possa mai essere né conquista di tradizioni né di studio, sebbene dell'una e dell'altro sia sostanzialmente chiamata a nutrirsi'.
'Ecco già tre punti fissati: che la poesia è di tutti, ch'essa scaturisce da un'esperienza strettamente personale, ch'essa quindi nella sua espressione deve portare il segno inconfondibile dell'individualità di chi l'esprime, e deve avere nello stesso tempo quei caratteri d'anonimia per cui è poesia, per cui non è estranea a nessun essere umano '.
Il brano riportato prosegue con la pagina riferita anche da Pazzaglia ('Ci ripugnava il Decadentismo Ma fu durante la guerra ' ) nella quale sostanzialmente si contrappone a una parola poetica non vera, una parola vera.
Più avanti nel brano si insiste sul valore della parola poetica: 'Una parola che ha vita di secoli, che in tanta storia riflette tante cose diverse, che ci rimette a colloquio con tante persone [morte] una parola che può farci sentire la millenaria vicenda dell'operoso e drammatico popolo al quale apparteniamo - una tale parola, se aveva attratto un Leopardi, poteva ancora suggerire a un poeta d'oggi la via migliore d'arricchirsi e moralmente e nelle sue liriche espressioni'. E' questo il tema della parola-memoria.
'Lo stesso sentimento di catastrofe lo stesso mio dibattito per uscire dalle incertezze davanti all'idea del Soprannaturale tutto attingeva impeto e sofferenza dalla facoltà di ricordare che ha l'uomo, per la quale l'uomo è uomo '.
'Estrema aspirazione della poesia è di compiere il miracolo nelle parole, d'un mondo risuscitato nella sua purezza originaria e splendido di felicità.
Toccano quasi qualche volta le parole, nelle ore somme dei sommi poeti, quella bellezza perfetta ch'era l'idea divina dell'uomo e del mondo nell'atto d'amore in cui vennero creati '.
TERRA PROMESSA
1. L'idea prima del libro è del '35, al tempo del Sentimento. Infatti i temi del Sentimento ritornano (aurora, desiderio di innocenza edenica, morte) in una ricerca di trasfigurazione simbolica attraverso la profondità della memoria.
2. Forte il substrato leopardiano; non mancano nella Canzone, echi tasseschi e barocchi.
3. Alla base del poema c'è l'intuizione della bellezza e della forza come possibile rinascita del reale, come superamento del nulla e della caduta primordiale dell'uomo.
4. Luti collega la scelta di un linguaggio 'astratto' alla flessione ideologica succeduta, sullo scorcio degli anni 40, agli slanci della Resistenza.
Proprio in quegli anni, invece, Quasimodo prendeva la strada opposta, della poesia civile (e magari oratoria).
(Luti, Invito alla lettura di Ungaretti, Mursia)
1. Nella Terra Promessa si ripete un movimento, già presente nel passaggio dall'Allegria al Sentimento: dall'occasione all'intemporale, il movimento, cioè, dell'astrazione, che qui finisce nel mito e arriva all'ambizione del poema.
2. Si è fatto il nome di Foscolo, pensando alle Grazie, e al suo frammentismo.
3. Le cose migliori sono forse i cori, dove il senso del limite umano, l'incombere irrazionale delle passioni, il dramma degli affetti danno autenticità agli stati d'animo di Didone.
4. Il vecchio (continuerà infatti questa linea anche nel Taccuino del vecchio) Ungaretti, l'"antico capitano" pronto a tutte le partenze, è ancora impegnato in una passione d'amore (Dunja), proprio come Didone al limite della vita.
5. Perché le astrazioni ungarettiane non sono mai veramente tali, e sempre, invece, disposte a trovare alimento nelle urgenze della vita.
(Gioanola, Poesia ital. del 900, Librex)
1. L'esegesi intorno alla Terra Promessa ruota intorno ad una triade: allegoria del desiderio, Regno dei cieli, Utopia.
2. Comunque, queste letture ne fanno un traguardo finale, la conclusione rassicurante ma statica di un cammino. Invece La Terra Promessa è inizio, è la poesia di un inizio [tesi di Petrucciani].
3. Dopo il Sentimento Ungaretti ha delineato la tappa successiva: elevare a idea e mito la propria esperienza biografica, proiettarla oltre l'esistenziale, verso l'essenziale. E ciò per virtù di memoria. 'La memoria risorge come avventura della mente per restituire, oltre la barriera delle tenebre, alle forme dell'esistenza la loro fermezza immutabile l'incorruttibile bellezza'.
E' quasi un cristiano, e dantesco, 'all'eterno dal tempo'.
4. L'intera struttura della Terra Promessa si regge sulla poetica dell'innocenza e della memoria.
E l'opera di Virgilio innesca questo processo.
5. Ungaretti viaggiava nel Sud d'Italia. Arriva a Palinuro. I pescatori di alici un giorno trassero da quelle acque una testa di Apollo, un giovane volto sorridente. Ungaretti pensò piuttosto a una testa di Palinuro: 'Ha nel suo sorriso indulgente e fremente - disse - non so quale canto di giovinezza risuscitata'.
Chi è Palinuro? Palinuro è il nocchiero fedele di Enea, che combatte contro il fatale torpore del sonno per fare fino in fondo il suo dovere.
Parte essenziale della Terra Promessa sono i recitativi di Palinuro, cui Petrucciani assegna una simbologia complessa, e non del tutto convincente. Palinuro è la fedeltà alle immagini della vita, periture ma conservate nella memoria; è la fedeltà ai propri gesti quotidiani, ai propri doveri, al proprio io che nella sopravvivenza ultraterrena diventa non mortale.
6. Non bisogna dimenticare che l'intuizione di fondo della Terra Promessa è omologa alla lezione di Virgilio: Enea va verso la sua terra promessa come l'anima cristiana verso il regno dei cieli. Palinuro è un simbolo in questo contesto.
7. Didone è l'altro simbolo: la terrestre passione sensuale, l'eros come principio del flusso eterno della sopravvivenza (biologica e spirituale).
E a Didone è affidato il messaggio poetico più alto nel tema della memoria, che non nasce solo dalla morte, ma anche dal distacco. Didone, ormai sola, vede solo deserto intorno a sé. Ma la memoria è vita oltre il distacco.
E così 'si alza la sua tragica voce in cui lo schianto di una felicità devastata si piega in laceranti tristezze, in desolati abbandoni' fino al miraggio del sogno. Eppure l'amore non sa morire.
Ungaretti afferma la valenza ultraterrena di questo amore. Nel coro VIII 'l'amore effimero eterno freme'.
Effimero/eterno: è il dantesco tempo/eternità.
8. La Terra Promessa deve molto a Dante. Sul finire degli anni 30, in Brasile, Ungaretti scrive Dante e Virgilio e lunghe lezioni teneva sull'Inferno, sul primo canto. Se guardiamo alla Canzone, testo-guida, troviamo questo messaggio: il Lete non vince la memoria. Quando il buio sembra dominare, ecco riemergere la memoria dell'amore, del calore e dei colori della vita: è un'aurora, che tinge di rosa il nero della notte ('Temp'era dal principio del mattino ').
Ecco perché la Terra Promessa è 'poesia di una rinascita, quindi di un inizio '.
9. Poesia non facile, testo linguisticamente scomodo, non è l'approdo sicuro, il traguardo trionfale 'che si taglia in volata tra i battimani'.
10. 'Poche volte nella poesia moderna alla parola lirica è stata restituita tutta la sua energia di intelligibilità della dirupata, minacciata condizione terrestre e insieme la trasparenza impalpabile di una vertiginosa purezza. Com'è, propriamente, dell'effimero e dell'eterno '.
PENSIERI SULLA POESIA E LA VITA
1. La poesia è poesia solo se uno, udendola, da essa subito si sente colpito dentro, senza immaginare ancora di potersela spiegare.
2. L'atto poetico è atto di liberazione; solo nella libertà è poesia. L'atto poetico ci dà nozione di Dio.
3. L'uomo dalle sue mani febbrili non escono senza fine che limiti.
4. Ci sono dei valori eterni che l'uomo non può conoscere, perché su questa terra egli è semplicemente un'entità chiusa nel tempo.
5. La verità, per crescita di buio più a volarle vicino s'alza l'uomo, si va facendo la frattura fonda.
6. Non è vero che il mistero si diradi: il mistero si infittisce sempre più dopo altre scoperte scientifiche.
7. Non so se sono stato un vero poeta, ma so di essere stato un uomo, perché ho molto amato e molto sofferto, ho molto errato ma non ho odiato mai.
8. Sono un uomo della speranza, un servitore della speranza, un soldato della speranza.
9. L'autore non ha altra ambizione, e crede che anche i grandi poeti non ne avessero altre, se non quella di lasciare una sua bella biografia. Le sue poesie rappresentano dunque i suoi tormenti formali, ma vorrebbe si riconoscesse una buona volta che la forma tormenta perché la esige aderente alle variazioni del suo animo e, se qualche progresso ha fatto come artista, vorrebbe che indicasse anche qualche perfezione raggiunta come uomo.
POESIE COMMENTATE IN VARIE ANTOLOGIE
C = Cavallini, P = Pazzaglia, G = Gianni
B-S = Barberi Squarotti, CS = Ceserani
Agonia C
Veglia C, BS, P
Dannazione C
Il porto sepolto C, CS, P
I fiumi C, P
L'isola C, BS, G, CS, P
Di luglio C, P
Non gridate più C, BS, G
'Quando un giorno ti lascia .. ' C
'Ogni anno, mentre scopro' C, P
Noia BS
In Memoria BS
S. Martino BS, P
Soldati BS, G, P
Memorie d'Ofelia BS, P
'Passa la rondine' BS
'Ora il vento s'è fatto' BS, G
Variazioni su nulla BS, P
C'era una volta/Sono una creatura/Natale/Peso G
Sera/Una colomba/'Quando mi desterò'/'Mai non saprete' G
'Ora dov'è' G
Commiato G, CS, P
Solitudine/Mattina/Dormire/Attrito/'Come allodola'/ CS
La conchiglia CS
Vanità/Nostalgia/O notte P
Vedere anche Guglielmino, Raboni, Ghidetti e Petrucciani, Contini, Ossola ha commentato Il porto sepolto.
COMMENTO ALLE LIRICHE
I FIUMI
**L'Isonzo è divenuto l'immagine del perenne fluire della vita, nel quale l'esistenza di prima e quella di ora si riconoscono e si confondono. La lirica è una ricapitolazione di tutta la propria esperienza Questo sentirsi docile fibra in armonia con l'universo conforta il poeta dell'angoscia della guerra.
**Le nuvole che passano risollevano l'animo dalla brutalità della guerra; il poeta ritrova, nella contemplazione, la sua dignità di uomo.
Il beduino di v. 24 è un'adesione elementare alla vita, definita anche dalle parole seguenti: docile fibra,
corolla di tenebre: la sua vita appare come un fiore fragile, precario, con presagi di morte (P).
**Due i motivi di fondo che parvero a Flora tra i più belli di Ungaretti: il recupero memoriale del proprio passato, un riconquistato senso di armonia col creato.
Ora, in accordo con la natura, si placano le lacerazioni della guerra ed egli sente non solo il presente ma anche il passato.
Ritrovare in un fiume altri fiumi è ritrovare il passato e scoprire nelle sue varie fasi quella consonanza io/cosmo nella quale Ungaretti ora si placa.
abbandonato del v. 2 può essere riferito allo stato d'animo di Ungaretti. E' la confidente disposizione all'abbandono, aiutata dalla malinconia del paesaggio (vedi poi le nuvole sulla luna).
corolla di tenebre è un insieme di oscuri timori e presagi, oppure un cerchio di angoscia che circonda e stringe il mio giornaliero vivere. (G)
**Si noti coma la tecnica solita dei versicoli 'in questa sorta di fulmineo romanzo autobiografico, assuma un andamento più disteso e quasi discorsivo '.
languore del v.3 è solitudine, rilassatezza
torbido allude al fiume e all'ambigua e complessa vitalità di Parigi
corolla di tenebre è un insieme di possibilità di vita affascinanti e ancora oscure, misteriose (Raboni).
**le occulte mani sono quelle del sentimento che lo intridono cioè gli macerano l'animo quando non si sente in armonia; gli regalano i momenti di luce spirituale nata dal tormento morale che porta alla poesia;
corolla di tenebre è un involucro che avvolge la sua parte essenziale, che ora è oscura (tenebre) (C).
**Ogni tanto, nel suo lavoro, Ungaretti si ferma per una ricapitolazione (Lucca, La pietà, Mio fiume anche tu ).
Ora si vede, docile fibra, 'disponibile per sopportare le alternative della vita e della natura, anche per portarne i pesi, i dolori, potendosi anche fisicamente sentire albero se il vento lo scuota, pietra se la pioggia. ma pronto a riemergere con vitalità. In futuro diventerà anche "docile fibra del mistero" '
ALLEGRIA DI NAUFRAGI
**La vita è tutta una serie di naufragi, ma tutti provvisori, da ognuno bisogna risollevarsi e ricominciare da capo. Si pensi a Leopardi, al suo 'naufragar'.
**'naufragio' è ogni delusione, ogni mancato approdo nella nostra vita. E' anche una crisi di valori di una civiltà che viene meno.
Non c'è soggetto nella poesia: è il poeta o un uomo che assume valore emblematico.
VEGLIA
La presenza del povero caduto è così atroce che gli dà l'impressione di essere vivo e morto ad un tempo, e di scrivere quelle lettere con la bocca digrignata e con le mani dell'ucciso. (Cibotto Maselli)
Il grido finale è sentimento di orrore e di non adesione alla guerra per se stessa, pur nel rispetto delle fatali vicissitudini che alla guerra conducono i popoli.
**E' l'annuncio, in forte tensione, di quella che sarà la perenne vitalità del poeta, anche se "uomo di pena", votato ad una sofferenza ampia del mondo.
(Piccioni)
penetrata/nel mio silenzio è la mente silenziosa, attonita, del poeta.
**quelle mani congestionate frugano nel silenzio del vivo, quasi a trovare la sorgente della vita che protesta il distico finale, non espressione di egoistico 'attaccamento' alla vita, ma reazione di un uomo per tutti gli uomini che hanno diritto a vivere. (BS)
**Si tratta di un atteggiamento diaristico senza compiacimento descrittivo, che concentra l'emozione di fondo del poeta, nell'isolamento "urlato" [espressionismo?] di certe parole-chiave. (Guglielmino)
**Le parole più laceranti o legate a un impeto sentimentale più intenso (v.15) sono isolate come a mettere in rilievo l'elementarità primordiale dei sentimenti. E' lo stile di un'umanità che "si ricapitola" nell'istintiva ribellione alla vita. (P)
FRATELLI
**Poesia che fa data: i soldati, compagni sconosciuti, sono chiamati 'fratelli'!
Si Cfr. con la poesia celebrativa di guerra, tipica dell'epoca.
Ungaretti è consapevole della 'rivoluzione' proposta nei rapporti umani: infatti dice: rivolta.
Testo importantissimo anche per capire l'interventismo di Ungaretti: la guerra doveva affratellare un popolo lacerato. (Pc)
**Incontro di due battaglioni nella notte. Un soldato reagisce all'inerme impotenza di fronte al pericolo con un improvviso impeto di amore La sua domanda è tenera e nuova (e tremante di speranza) come una foglia appena nata.
Alcuni significati: involontaria=istintiva/spasimante=sconvolta dagli spari/presente alla=conscio della sua.. (R)
**Importante un confronto tra la redazione del '19 e quella del '43.
La direzione percorsa nelle correzioni è quella dell'essenzialità e del potenziamento del nucleo semantico della lirica, la parola 'fratelli'.
Il confronto è ben condotto (si veda 'tremante', parola che diventa Parola tremante) sulla traccia di Devoto-Altieri. (G)
**Anche Pazzaglia procede al confronto fra le due redazioni e trova che il 'fogliolina' è crepuscolare e che le forme troppo emotive (saluto/accorato, implorazione soccorso) cedono il posto ad un approfondimento dell'emozione che è innalzata al piano conoscitivo. Esempio: l'invenzione di 'involontaria' e di 'rivolta'.
'Una forza invincibile ritrovata nel cuore della fragilità umana, un sentimento religioso della dignità del dolore e dell'amore.'
IL PORTO SEPOLTO
Contiene un nucleo di poetica al quale Ungaretti è rimasto fedele: c'è un 'segreto' che non sarà mai possibile sciogliere, ma il poeta può capire qualche cosa di più, e deve restituire agli altri ciò che viene a conoscere.
Come sempre riferimenti simbolici partono da dati concreti: esisteva in Alessandria d'Egitto un porto sepolto, di origine faraonica: lo scoprì l'ingegnere Thuile, padre di due amici francesi di Ungaretti. (Pc)
La discesa del poeta nella profondità dell'ispirazione, cioè dell'inconscio i suoi versi sono destinati a lasciare in chi li ascolta una traccia misteriosa, quasi invisibile, e tuttavia inesauribile.
'Cesure, pause, intervalli, spazi bianchi creano intorno al suono e al significato d'ogni minima emissione vocale una straordinaria, patetica risonanza.' (R)
L'introduzione di Pazzaglia è ampia e didatticamente utile. Qualche spunto: - il porto è ciò che sta sotto e, al tempo stesso, fonda. E' un luogo sicuro di approdo e di avventurosa partenza. E' ciò che 'di segreto rimane in noi indecifrabile '.
Poesia è dunque un discendere in se stessi fino a ritrovare quel grumo nascosto, irriducibile, ineffabile, di essere e di parola La poesia ritrova e rinnova il linguaggio, è il rituale manifestarsi di un mito delle origini: è idealmente la prima parola detta dall'uomo, il suo ritrovarsi, definirsi e costruirsi nel linguaggio;
- segreto inesauribile: quindi incita tuttavia il poeta a nuove avventure nell'ignoto (P)
**da Ossola, Il porto sepolto, Il Saggiatore.
Spiega così: 'Mi resta..': quasi il poeta volesse per sempre separare ciò che resta rinchiuso nel segreto (allusione alla Sibilla) e il nostro vano interpretare, tentoni - parole, le nostre che se ne vanno col vento.
L'ISOLA
Luogo sottratto a qualsiasi realistica determinazione di spazio e di tempo. Si interrompe quel 'filo di una logica autobiografica' (De Robertis) che è una costante della 'vita di un uomo'.
Le analogie che animano la lirica testimoniano il decantarsi, l'astrattizzarsi della parola.
Ninfe, fanciulle e greggi vivono più come emblemi aperti a ogni interpretazione che come oggettive presenze.
I molti settenari, novenari ed endecasillabi dicono che il poeta sta recuperando le forme metriche tradizionali. (G)
Il poeta diceva in quel tempo che rileggeva umilmente i poeti che cantano: l'isola è [può essere] dunque l'emblema stesso della poesia come puro canto, infanzia e innocenza dell'anima ritrovata di là dalla oscura pena del vivere.
Lirica puramente evocativa, assolutamente intraducibile in termini logici.
In sé da simulacro: trasognato, errante, nell'anima fra sogno e realtà. E 'fiamma vera' potrebbe indicare la partecipazione appassionata a quel nuovo presentimento di vita. (P)
Un racconto mitico cui è impossibile attribuire un preciso significato allegorico. Al massimo il personaggio del racconto, moderno Ulisse, sbarca su un'isola ove le misteriose apparizioni sembrano alludere 'a una simbolica ricerca della purezza e della quiete'.
batticuore dell'acqua: pulsare o scrosciare dell'acqua. Per Guglielmino l'acqua ha un fremito, come un batticuore, al volare dell'uccello. (R)
assorte, perenne, anziane: un senso di immobile raccoglimento, che diviene più intenso se sentito accanto all'oscurità perenne e all'antichità.
batticuore: l'acqua ha avuto una scossa, una vibrazione. Introduce una sensazione emotiva di sorpresa e di ansia.
In sé da simulacro.: difficilmente districabile il procedimento analogico che ha portato a queste immagini. Forse: vagando dentro di sé alla ricerca di una chiarificazione delle labili immagini apparse, per cui le cose da simulacro - parvenze incerte - diventano verità (= fiamma .
Il soggetto si muove in un'atmosfera di mito, dove ogni fatto, ogni rumore, ogni apparizione ha lo stupore del miracolo, ed è inutile cercare in questo paesaggio, in queste impressioni e sensazioni, un significato nascosto. Inutile e illegittimo.
Per il ritorno alla tradizione, c'è una citazione :
'Dal lato strettamente tecnico il mio sforzo è stato quello di ritrovare la naturalezza e la profondità e il ritmo nel senso d'ogni singola parola; ho ora cercato di trovare una coincidenza fra la nostra metrica tradizionale e le necessità espressive di oggi.' (Ungaretti) (BS)
LUCCA
La lirica è nell'antologia garzantiana.
Piccioni commenta: E' una poesia in prosa, di ricapitolazione: il giovanile fermento pare finito, la responsabilità comincia a pesare, ci si avvia alla maturità. Solo ora il pensiero di Ungaretti va alla morte, anche se è appena uscito dalla guerra. Ha più di trent'anni, è spaesato, vede la prima volta Lucca e scopre le sue radici, lui nomade.
[Si pensi a: ho preso anch'io una zappa. Oppure: non mi rimane più nulla da profanare, nulla da sognare (= è finita la giovinezza). Oppure: alleverò una prole (= guardo al futuro, a fondare altri uomini] (Pc)
O NOTTE
E' in Pazzaglia, e nell'antologia garzantiana.
Riprende apertamente il tema della fine della giovinezza, ci si avvia all'autunno. D'ora in poi ore del giorno, stagioni, epoche della vita saranno sempre in riferimento: alba-primavera-giovinezza; mezzogiorno-estate-maturità; sera-autunno-declinare dell'età; notte-inverno-vecchiaia e morte.
La prima parte di Sentimento ('19 - '28) si svolge dentro la dimensione del paesaggio laziale e della pienezza dell'esperienza d'amore.
La seconda ('28 - '31) dalla conversione porta Ungaretti a considerare il segreto di Roma, fatta di sovrapposizioni, Michelangelo, il Barocco [come catastrofe imminente].
Anche la giovinezza, come l'estate, sta passando e incombe l'autunno. La notte è preferibile perché elimina il senso dello spazio, favorisce, con il silenzio, l'illusione.
La notte, se la luce è gioventù e vita (cieli alti della gioventù) è morte. Infatti nella prima stesura: la morte sperde le lontananze.
INNO ALLA MORTE (1925)
Nel pieno della rinascita del canto. Tutta la poesia del '900 italiano si è potuta avvalere, dopo la distruzione del tradizionale, di questa ricostruzione del verso, sulla linea petrarchesca e leopardiana ma con novità di parole e di accenti.
La morte è traguardo che si avvicina, è il nulla. Eppure siamo vicini al 1928, non si direbbe.
Il canto rinasce insieme alla scoperta del paesaggio: dopo il deserto e il Carso ecco alberi, boschi, fonti. (Pc)
Lo spunto è offerto dal paesaggio di Tivoli. L'immagine della cavità scoscesa (il botro) è già idea di morte; poco dopo la morte è fiume da attraversare come l'Acheronte, simile all'acqua che scorre nel botro. La morte è incommensurabile per l'uomo, infatti è 'fiume' ma 'arido'.
Dopo la morte l'immortalità è quasi platonica: ritorno all'innocenza primitiva, contemplazione di un presunto assoluto. La felicità raggiunta guiderà gli altri che ancora anelano alla luce. (Baroni)
(Amore = il sole dell'alba/miro = parola leopardiana/svagata = la scia di luce trascolorante nell'incertezza dell'alba/mazza = la poesia, sostegno della vita/felicità = perché la felicità consiste in questo stato di divina impassibilità) (Romagnoli Ghidetti)
LA MADRE
La madre è stata rivista a Roma per un giubileo (1930). Non la rivedeva da quasi vent'anni.
Lei ama il figlio ma non lo guarda finché egli non sia assolto dal Signore. Solo dopo ritorna, con un sospiro negli occhi, il sentimento materno. (Pc)
In contrasto con la tradizione classica, la morte non porta nel buio, ma sta al di là del buio, posto tra vita e morte. La madre gli dà la mano: la necessità di una guida nell'al di là è antico topos. Qui il gesto fa tutt'uno con quello antico dell'infanzia. Ancora una volta si sovrappongono età infantile (condizione edenica) e Terra Promessa (condizione paradisiaca).
La morte è quasi una seconda nascita, cristianamente.
Ma la madre è dura: così era in vita, rigida nei principi, ma piena di amore. Questo atteggiamento ha precedenti letterari, pagani (Orfeo) e cristiani (Catone di Dante).
La preghiera non è monologo, ma, cristianamente, è dialogo con Dio, che vi partecipa vedendo l'orante. (Baroni)
La poesia appare nel 1929, un anno dopo la conversione. La madre, Maria Lunardini, morì poco dopo.
Può essere considerata un'altra versione del figliol prodigo.
(muro d'ombra = l'ostacolo che separa una vita dall'altra. Si pensa al corpo come a un buio carcere, di dove l'anima si scioglie con la morte [De Robertis])
DOVE LA LUCE (1930)
Interpretata in maniera sensibilmente diversa da Baroni e Piccioni.
Il primo: l'immagine aerea di fanciulla leggiadra da condurre in luogo appartato per smemorarsi nell'atto d'amore si sovrappone alla visione ultraterrena: questa assume, però, un aspetto pagano, ricorda l'età dell'oro (le colline). La stessa atemporalità (ora costante) è ricondotta al mito dell'eterna gioconda giovinezza dedita spensieratamente all'amore (lenzuolo), descrive un'effusione d'amore. Dunque, una poesia d'amore in una luce religiosa. 'L'adesione religiosa di Ungaretti non è mai collegata a certe caratteristiche di umiliazione della carne e di rassegnazione, ma sempre fortemente legata ad una presenza vitale e vitalistica'. Forse anche per influsso della religiosità islamica.
SENTIMENTO DEL TEMPO (1931)
E' la lirica eponima del volume del '33.
La luce giusta è quella della sera [giusta forse per lui, ormai non più giovane]; la lontananza non è più infinita ma misurabile (cioè il futuro è circoscritto, poco vasto), perciò egli ora ascolta [prima, no] ogni palpito del cuore che affretta il tempo verso l'ultimo bacio.
Avviandosi alla sera, discendendo poi velocemente la notte, il poeta giunge al invocare la morte (ultimo bacio). (Pc)
[Vi trovo un sentimento petrarchesco del tempo].
AUGURI PER IL PROPRIO COMPLEANNO (1935)
Inizia il canto dell'autunno (la poesia fu inserita nella seconda edizione, del '36), sopraggiungono gli anni vecchi. Si può prevedere un'età più saggia e pacata, meno esposta, perciò, ai dolori. Ma il poeta grida, alla fine: meglio la gioventù, con la sua sofferenza. (Pc)
Un muoversi di voci come da grande distanza (cioè fioche e ovattate) spande intorno (dirama) senso di solitudine.
E' un'offesa (offende, cioè fa male) quest'ora se lusinga (= se ti fa credere quello che non è, se ti fa credere quello che non sei più); quest'ora ha infatti un'arte strana (= una strana, non comune, capacità di ammaliare).
Gioventù dei sensi che: la sensualità, l'impeto giovanili gli impediscono di conoscersi in profondità, ovvero lo rendono istintivo, impulsivo, perciò imprevedibile anche a se stesso. (Pc)
GRIDO
Ancora un momento della natura: lo scendere della sera, con il senso di sospensione e di infinita nostalgia che dà l'estremo resistere della luce.
Questo momento è trasformato in evento [è cioè fatto mitico, favoloso, carico di significato profondo].
L'erba, a sera, è monotona (= sempre uguale) come la trama della vita su cui si riposa alla fine della giovinezza/sole, ma una cosa dà gusto (= piacere): è la brama senza fine che ancora conserva la luce morente (= un desiderio, una nostalgia, un'irrequietudine indefinita, una memoria di giovinezza); quella brama (brama è più forte, più disperata) è appunto un grido (= uno spasimo, uno slancio) torbido (= per ribollire di passioni, impulsi giovanili) e alato (= che porta in alto, fa volare leggeri).
Siamo nel tema che è tra i principali della raccolta: la luce declina, avanza la sera, si annuncia il buio; ma il tramonto conserva memoria e nostalgia del sole.
Le cose della natura sono emblemi, segni, che dalla vicenda naturale rimandano a quella umana e universale: giovinezza, maturità, morte.
GIORNO PER GIORNO ( IL DOLORE )
' per uno spoglio desiderio, inverno'
Il rapporto di Ungaretti con le stagioni è mutato, dai tempi del Sentimento: ora sono invocati l'inverno, la notte, la morte.
' Rievocherò senza rimorso sempre'
Il figlio fu concepito in una incantevole agonia dei sensi, ma non fu difeso. E quell'agonia ora gli dà rimorso.
[Non comprendo bene gli appunti, che si richiamano a Piccioni ]
'Fa dolce e forse qui vicino passi'
E' certo frammento del '46, l'ultimo. Il dolore si lenisce, il ricordo diventa viva presenza. Con questa voce di speranza, sostenuta da profonda religiosità, si chiude la rievocazione del bambino. (Pc.)
Nell'antologia di Raboni Giorno per giorno c'è per intero.
E' un fitto intreccio di rivolta, di accettazione, di sgomento e pietà, disperazione totale e disperata ricerca di senso.
S'alternano toni severamente laici e toni pudicamente religiosi.
Formalmente il processo di ricomposizione e riaggregazione di cui s'è detto per Sentimento del tempo è giunto qui a una fase di tranquilla certezza. Dominano l'endecasillabo e il settenario 'che Ungaretti pronuncia ormai senza alcuna ostentazione [= senza particolare sonorità, senza parole auliche?], con l'autorità e quasi la nonchalance di un classico. Ne deriva un'andatura ritmica sostenuta e, però, pacata, discorsiva, nella quale alcuni versi acquistano una speciale memorabilità solo per la loro straordinaria pienezza di significato. '
'Passa la rondine'
Nota la leggerezza dei segni assunti a simbolo di eterno fluire: il poeta ripete a se stesso questa necessità Il 'Ma' che apre il terzo verso suona, però, come protesta appassionata, come rifiuto di dimenticare: di quell'amore che lo strazia, anche se dall'inferno potrà approdare alla quiete, deve restare qualcosa di più che un segno, un labile offuscarsi e attristarsi della memoria. (BS)
'Diversamente'
Ma rimanga, come un segno fra gli altri dell'amore che mi strazia, il fuggevole senso di irrealtà (= appannamento) che mi coglie quando evado per un istante dall'inferno del dolore. (R)
NON GRIDATE PIU'
Nel clima delle persecuzioni, della desolazione, dell'inimicizia tra gli uomini, Ungaretti ricorre a questo ammonimento che ci ricorda i fratelli del Carso. (Pc.)
[Nota: l'erba è lieta dove non passa l'uomo, perché l'uomo è male, perché la calpesta]
ALTRI FRAMMENTI DI APPUNTI
IL PORTO SEPOLTO
'Mi parlavano d'un porto, d'un porto sommerso, che doveva precedere l'epoca tolemaica Non se ne sa nulla Il titolo del mio primo libro deriva da quel porto: Il porto sepolto. '
Esso è dunque il nome di una favolosa memoria giovanile, ma anche il simbolo di quell'io profondo e assoluto cui la poesia deve attingere. Attraverso l'esame di 'Commiato' (Gentile Ettore Serra) si devono impostare questi due elementi fondamentali di approccio a Ungaretti: - il poeta scava dentro di sé (il porto) nel silenzio (il deserto) per trovare la verità umana, la condizione umana autentica (la guerra). In questa ricerca di assolutezza e di verità, il poeta si accorge che le parole di cui potrebbe servirsi sono tutte consunte, logore, sporcate e adulterate dalla retorica, dal sentimentalismo, dal dannunzianesimo. Ungaretti torna quasi al grado zero della lingua, all'afasia, è il Robinson senza più abiti, che riscopre tutto il valore degli abiti e delle cose. Come il De Robertis disse: 'Lavorando si può dire lui solo, per tutta una generazione, Ungaretti distrusse il verso per poi ricomporlo.'
Si accompagna a questa disarticolazione del verso tradizionale, una sensibilità nuova e per ritmo e per l'aspetto semantico del vocabolo. Qui gli fa da maestro Leopardi: 'L'indefinitezza è nel vocabolo, è all'interno dei suoi significati, ed è fuori dal significato del vocabolo' egli scrive.
Questa dilatazione dei significati faceva tutt'uno con il frequente uso dell'analogia, che, nel paragone, sopprime il come, riassume velocemente l'immagine e le conserva quel carattere fulmineo col quale balenò nell'animo del poeta. Dice Ungaretti: 'Quando, dal contatto d'immagini gli nascerà luce, ci sarà poesia e tanto maggiore poesia, quanto maggiore sarà la distanza messa a contatto. '
A proposito de L'Allegria: Il paesaggio costante di questi versi è il deserto: un deserto fisico e un deserto spirituale. Una realtà obiettiva che sta di fronte a Ungaretti e una disposizione spirituale dentro di lui: ebbene proprio in questa visione desertica si collocano isolati gli oggetti, con cui il poeta entra in contatto. E il loro apparire improvviso, quasi in un clima di distanza memoriale e di attesa infinita, suscita in lui ogni volta sorpresa e amore: è come il ritrovamento di una realtà creduta smarrita per sempre, di una presenza confortatrice. ( Getto, Storia della lett.)
'Alcuni vocaboli deposti nel silenzio come un lampo nella notte, un gruppo fulmineo d'immagini, mi bastavano a evocare il paesaggio sorgente d'improvviso ad incontrare tanti altri nella memoria. '
Piccioni: Non ci sarà una sola fase della sua ricerca poetica che non sia riconducibile con il deserto e la vita ad Alessandria.
Il sentimento della morte e per contrasto l'attaccamento generoso alla vita: il senso del deserto ma anche del 'miraggio' che di continuo appare, sicché è il deserto a determinare evocazione immediata di 'terra promessa' il senso della rivolta, dell'anarchia, ma l'esatta indicazione del limite di conquista della propria e dell'altrui libertà la sensualità sfrenata ed il senso della tenerezza e del legame platonico La dichiarata professione di ateismo che cela, subito, sotto le ceneri un modo, pur inconscio, di adesione religiosa ai problemi dell'esistenza la musica poetica dei beduini.
E poi c'è il sentimento del nomade, dell'esule, dello sradicato, l'incapacità di potersi mai più accasare tutto questo fu a determinare il destino di Ungaretti (p.56).
Ungaretti definisce così le ragioni storiche e spirituali della rivoluzione da lui operata nel linguaggio. Fu una rivolta morale contro i falsi miti e le pose dannunziane e la chiassosa retorica del futurismo. Rivolta i cui germi sono nella esperienza egiziana del deserto e che maturano nella tragica vicenda della guerra.
' i futuristi s'ingannavano perché avevano fatte proprie le più assurde illusioni [ del decadentismo ] immaginando che dalla guerra potesse scaturire qualche forza fu durante la guerra fu quel primitivismo fu quello stato d'estrema lucidità [limpida meraviglia] e d'estrema passione [delirante fermento] a- precisare nel mio animo la bontà della missione già intravista nelle lettere nostre. Se la parola fu nuda era perché l'uomo si sentiva uomo, religiosamente uomo, e quella gli sembrava la rivoluzione che dovesse muoversi dalle parole. '
. Per esempi di analisi testuali vedi Marchese, Le strutture della critica e Poesia del 900, Angeli.
Per Baroni (Le Monnier) gli elementi più evidenti del distacco dalle altre raccolte sono formali, non di contenuto : a) lettera maiuscola all'inizio di verso; b) punteggiatura; c) metrica come chiave del testo poetico.
Sono innovazioni in linea con l'esperienza rondista. Ungaretti teme che l'estremismo delle avanguardie porti alla dissoluzione del verso, dei nessi logici, della possibilità di comunicare: anzi la negazione di ogni struttura definita alla poesia aveva portato a un rifiuto radicale della poesia in sé, a favore della prosa.
Tornano ora i classici e incombe Roma: toònano le immagini mitologiche da tempo dimenticate. I miti e gli dèi tornano, però, come simboli di una condizione originaria, ' precedente la deificazione '.
Si ripete il mito edenico : la vita dell'uomo è costruita nel vuoto lasciato dal dissolvimento dell'Eden e questa angoscia Ungaretti legge anche nell'architettura barocca di cui Roma è piena.
Ancora una volta il paesaggio si dimostra influente: la sovrapposizione di paganesimo e cristianesimo, di classico e di barocco in Roma.
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