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Letteratura spagnola




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LETTERATURA SPAGNOLA


Nella letteratura spagnola è il modernismo a raccogliere le tendenze estetizzanti. Il nicaraguese Rubén Darío (1867-1916), sotto l'influsso del simbolista francese Verlaine, dà vita ad una poesia dai temi pagani, esotici, leggendari. Su di lui rimasero certo impresse le tracce del soggiorno a Parigi, dove entrò in contatto col vizio, la sensualità, l'ebbrezza dei paradisi artificiali, con quell'atmosfera artistica che non trova paragoni altrove . È un maestro della lingua: usa ritmi, versi, accenti, parole a proprio piacere, piegandole e plasmandole secondo suo desiderio, impiegando le metriche più disparate, dall'ottosillabo al settenario, dall'alessandrino all'esametro latino. La sua completa maturazione si ha con le Prosas profanas (1896), dove il modernismo si mostra in tutto il suo splendore: un perfetto e bilanciato dosaggio di erotismo e sensazioni, un'orgia di colori e di suoni, la componente mitica, classicheggiante e il dualismo tra sacro e profano richiamano le opere del più conosciuto decadentismo estetizzante. Domina nelle Prosas Profanas un'ispirazione estetica che si basa sull'accostamento di fatti, circostanze, personaggi, su elementi di cultura raffinata mutuati dalle arti figurative, dalla musica e dalla mitologia. Talvolta il decorativismo religioso è la conseguenza spontanea di questo tipo di estetismo, come è già avvenuto nel simbolismo e come accade in tutto il Decadentismo europeo. I simboli religiosi si svuotano del loro significato superiore per santificare la carnalità, la bellezza, le forme erotiche. Le tinte della liturgia sono particolarmente presenti nella poesia Para una cubana, dove il pallore della donna diventa "blancura eucaristica":


Poesia dolce e mistica,

va' dalla bianca cubana

che s'affacciò sull'altana

come una visione artistica.


Misteriosa e cabalistica

può fare invidia a Diana,

col suo viso di porcellana

d'una bianchezza eucaristica.


Piena d'un prestigio asiatico,

rossa, nel volto enigmatico

la bocca porpora finge.


Sorrise, e parve la bella

uno splendore di stella:

l'anima, si, d'una sfinge.


È vivo un gusto per l'occulto, per l'arcano, per l'inconoscibile al quale può accedere solo il poeta, che sembra celebrare un rito di qualche culto esoterico. Non è forse eccessivo, dunque, parlare di paganesimo di Darío, anche se il suo profanare i termini liturgici non ha nessun'altra funzione se non quella di esaltare e nobilitare l'elemento erotico, in lui ricorrente. L'amore si traduce spesso come desiderio di una raffinata sensualità, sentimento universale, panico, cosmopolita, sempre a metà tra arte e liturgia. Ecco come in Divagación il poeta invoca l'amore della donna sospirata:


"Sé mi reina de Saba, mi tesoro;

descansa en mis palacios solitarios.

Duerme. Yo encenderé los incensarios.

Y junto a mi unicornio cuerno de oro,

tendràn rosas y miel tus dromedarios".


La vitalità del sentimento è accompagnata da un'attenzione particolare per la scelta degli oggetti, che sono accuratamente scelti da un repertorio classico - mitologico. Ma la componente erotica trova la sua più alta dignificazione nel Coloquio con los centaurios, dove confluisce anche una dose mi maledettismo baudelairiano. Le forze della natura e le forze animali convergono in una visione spirituale e sensuale dell'universo.


"Ed è il fatale

volto di Deianira. La mia spalla

serba ancora il profumo della bella:

chiama ancora le mie pupille il suo

fulgore d'astro. Oh, aroma del suo sesso!

Oh, rose ed alabastri! Oh, dolci invidie

delle corolle, oh invidie delle stelle!"



Un discorso particolare va riservato a due grandi della letteratura d'inizio secolo spagnolo, Antonio Machado e Juan Ramón Jiménez. Entrambi mostrano dei percorsi evolutivi che abbracciano più correnti e diversi stili, e solo in determinate fasi della loro opera si avvicinano al modo di sentire proprio degli altri autori finora presi in esame. Nessuno dei due percepì mai né raccolse gli echi superomistici di Nietzsche, rinvenibili, se pure travisati, nella maggior parte delle produzioni degli estetizzanti, né mai dette vita ad una poetica del piacere simile alla loro. La loro rivoluzione estetica consiste nell'aver elaborato dei linguaggi poetici molto curati, intensi e preziosi e nell'essersi distinti per i caratteri elitari del loro lavoro.

Antonio Machado (1874-1939) accoglie le istanze moderniste nella prima tappa della sua produzione, con la raccolta Soledades, Galerías y otros poemas (1903), rivelando un carattere intimista, una maggiore introspezione psicologica rispetto agli altri di questo periodo. Machado tratta i temi delle sue poesie in un'ottica universalista, riflettendo su problemi esistenziali: il tempo, la morte, Dio.

Ecco un esempio significativo del tipo di poesia che gli è più congeniale in questo periodo:


Y nada importa ya que el vino de oro E nulla importa che il vino d'oro

rebose de tu copa cristalina,           trabocchi dalla tuo bicchiere cristallino

el agrio zumo enturbie el puro vaso                              o l'acre succo offuschi il puro vetro

Tù sabes las secretas galerías Tu le segrete gallerie conosci

del alma, los caminos de los sueños,                                dell'anima, i cammini dei suoi sogni,

y la tarde tranquila                         e la sera tranquilla

donde van a morir Alli' te aguardan                              dove vanno a morire Lì ti aspettano

las hadas silenciosas de la vida, le fate silenziose della vita

y hacia un jardín de eterna primavera                             e a un giardino d'eterna primavera

te llevarán un día.                           ti porteranno un dì.


È presente in questo componimento il repertorio tematico simbolista-decadente, interiorizzato da Machado, che attinge anche dal maestro Darío. La fugacità delle cose belle, i sogni, gli oggetti preziosi, la fantasia. La combinazione di versi endecasillabi, eptasillabi, la assonanze dei versi pari, gli enjambements, le pause dettate dai punti di sospensione, rendono la poesia un esempio unico di musicalità. Si tratta di un monologo interiore che Machado tiene con sé stesso. Il lettore può penetrare il suo mondo se riesce a decifrare i simboli che descrivono il suo mondo intimo: il vino, che rappresenta la parte luminosa, positiva della vita, il succo acre che rimanda allo spleen esistenziale, la coppa cristallina che simboleggia l'anima del poeta.

La sua è un'introspezione attenta e una trasposizione dei dati della sua coscienza in un mondo al confine tra sogno, fantasia e realtà. È chiaro che in Machado non sono presenti le paure e le ossessioni degli esteti; le sue riflessioni sopra la morte ci fanno capire come egli abbia superato i limiti psicologici che invece tormentano questi ultimi. La morte è un fatto del tutto naturale, inteso come un atto di liberazione e di elevamento spirituale.

Ciò non significa che Machado non possa definirsi decadente: l'evocazione del tempo passato, la consapevolezza che i bei tempi non ritorneranno, la sensibilità esacerbata e l'angustia sono rinvenibili nei suoi versi.


È sera melanconica e cinerea, Es una tarde cenicienta y mustia,

disarmonica, come la mia anima; destartalada, como el alma mía;

e nella consueta ipocondria                                  y es esta vieja angustia

vive la vecchia angoscia.                          que habita mi usual hipocondría.

La causa dell'angoscia non arrivo La causa de esta angustia no consigo

a capire neppure vagamente;                                ni vagamente comprender siquiera;

ma mi ricordo, e ricordando dico: pero recuerdo y, recordando, digo:

- Sì, ch'io ero bambino, e tu compagna.               -Sí, yo era nino, y tú, mi compañera.


Non è vero, dolore, io ti conosco, Y no es verdad, dolor, yo te conozco,

tu sei rimpianto della vita buona, tú eres nostalgia de la vida buena

desolazione d'un oscuro cuore,                            y soledad de corazón sombrió

di nave da naufragio e stella assente.                   de barco sin naufragio y sin estrella.

Come dimenticato cane, privo Como perro olvidado que no tiene

d'orma ed olfatto, errante   huella ni olfato y yerra

per i cammini senza meta;               por los caminos, sin camino, como

come bimbo che nella notte d'una festa                el niño que en la noche de una fiesta

si perde tra la folla se pierde entre el gentío

e l'aria polverosa e i candelieri                           y el aire polvoriento y las candelas

che sfavillano, attonito, ed abbuia                        chispeantes, atónito, y asombra

il suo cuore di musica e di pena,                           su corazón de música y de pena

così vo io, ubriaco melanconico, así voy yo, borracho melancólico,

chitarrista lunatico, poeta,                                   guitarrista lunático, poeta,

e pover uomo in sogno,        y pobre hombre en sueños

sempre in cerca di Dio dentro la nebbia. siempre buscando a Dios entre la niebla.





La raccolta Soledades, galerías y otros poemas si distingue proprio per quella componente soggettiva, irrazionalista e intuitiva che viene espressa attraverso il compianto per il tempo fugace e la dispersiva ricerca spirituale.

Come tutte le altre cose, anche la poesia ha un valore ed una durata limitata nel tempo: il senso del comporre è cercare l'emozione del momento, entrare temporaneamente in contatto con la realtà occulta degli eventi attraverso la decodificazione del linguaggio vago dei sogni. La realtà è costituita da impressioni quotidiane e passeggere, che non riescono a fornire alcuna certezza. Ecco come può nascere quella amargura spirituale, quel tedium vitae  tanto diffusi nel Decadentismo. Certamente Machado avrà risentito degli anni trascorsi tra la bohème parigina, quando conosce Wilde e Darío. Tuttavia egli si distingue dagli altri esteti e modernisti per la sua stoica accettazione della tristezza, per la sua rassegnazione di fronte all'angoscia di cui non riesce a scoprire le cause.




Anche se per età appartiene alla cosiddetta generazione del 14, Juan Ramón Jiménez (1881-1956) nei primi anni della sua carriera dimostra chiaramente di gravitare nell'orbita modernista.  Poeta di enorme sensibilità, Juan Ramón esprime la convinzione che Poesia equivale a Bellezza. Ne La Soledad Sonora (1908) il soliloquio del poeta, la cui condizione esistenziale prevalente è, appunto, la solitudine, è accompagnato da echi musicali, da raffinati virtuosismi stilistici e da un amore che assume delle curiose tinte erotiche. La sua maestria nel comporre versi gli permette di creare un senso di fluidità e di trasparenza. La sua genialità si traduce nella creazione di una musica visiva, di un profondo senso mistico e nella capacità di comunicare il senso dell'ineffabile. Al fine di perseguire il culto del bello preferisce un ascetico isolamento, nel quale può camminare più spedito alla ricerca di vertici. Jiménez instaura un rapporto del tutto particolare con la poesia: egli è dotato di uno spirito decisamente sublime, la cui complessità è irraggiungibile a molti. Ma la comprensione e la fruizione da parte del pubblico non interessano più che tanto al poeta, che dimostra un disinteresse per tutto ciò che non riguardi direttamente il meditare e il comporre versi.


Come soave il fluire

del ruscello! Va l'acqua

di fiore in fiore, come

una farfalla che canti.


Per un istante, ogni fiore

seduce, bacia e arriccia,

e racconta a ciascuno

una rorida menzogna.


A quella sete fa specchio ,

- esse gli danno fragranza -,

e sembra che mai non voglia

andarsene; giocano e parlano,

ed il fresco madrigale

si drappeggia nella grazia

di una rosa dolce d'oro

del sole al tramonto

Che chiara

iridescenza di armonie!

Che purezza!

E corre l'acqua

di fiore in fiore, come

una farfalla che canti.


La poesia appartiene al periodo del soggiorno del 1905 al 1911 a Moguer, suo paese natio. In questi anni Jiménez visse in una condizione di solitudine letteraria, in parte amareggiata dalla difficile situazione economica in seguito alla morte del padre. È chiaro che nella poesia di Jiménez convergono, si, le esperienze rubendariane e quelle simboliste, ma sono rielaborate in un modo di sentire molto più spirituale e intenso. Le immagini sono delicate, frutto di un'osservazione metafisica e di una sensibilità elevata. I temi sono quelli più tipici del poeta di Moguer: l'acqua, la farfalla, i fiori, il tramonto. L'ideale di purezza è rappresentato dalla fusione di tutti gli elementi naturali, cui vengono attribuiti dei ruoli immaginari dalla fantasia dell'artista. L'acqua ha una funzione unificatrice di tutti i fiori, e lo stesso compito è svolto dalla farfalla, la cui opera e il cui canto sono percepiti ovunque. La bellezza è rinvenibile in ogni particolare della scena, ma raggiunge l'apice di purezza e armonia in una rosa colpita dai raggi del sole calante. Il poeta, abbandonandosi a questo sottile gioco di immagini, entra in un rapporto di comunanza spirituale col paesaggio. La solitudine non è muta, dunque, ma è popolata di echi: è, appunto, una solitudine sonora.

L'acqua assume un'importanza fondamentale nella vita di Jiménez: la salute stessa del poeta sembra dover dipendere dal prezioso elemento. L'esperienza di vita è strettamente collegata alla sua presenza, ed i ricordi sono trasportati dai corsi dei ruscelli risvegliati dai gorgoglii delle fonti. L'acqua è sempre accostata ad un metallo prezioso, ad un sorgente di luce, ed il suo suono è sempre evocativo.


Fonte secca e in rovina, ora sei solo pietra!

- Voce antica d'argento, o fonte dolce e chiara! -

Un verdone si inganna con il tuo fosso e l'edera

da te penzola come indolente sorella.


Palazzo abbandonato da un'acqua, inaridisti

come la vita mia, per tacer la tua storia;

ma il sole del tramonto sogna in ciò che lasciasti,

come l'acqua d'oro che canta nel mio ricordo!


Lo stile, pur mantenendo una certa linearità che non appesantisce la lettura, è ricercato, e rivela tutto l'incanto che provava il poeta di fronte alla bellezza naturale. Quest'ultima non è semplificata da qualche ovvia metafora o da altre banalità tematiche, ma è impreziosita da accostamenti di immagini di raro splendore, che, pur nella loro essenzialità, trasmettono l'idea di un Bello articolato ed elaborato. La fugacità dell'attimo esteticamente sublime e la perenne tensione sensoriale sono espressi dai seguenti versi tratti dalla raccolta Piedra y Cielo:


Mariposa de luz,                                                      Farfalla luminosa,

la belleza se va cuando yo llego                               la bellezza dilegua quando giungo

a su rosa.                                                                 alla sua rosa.


Corro, ciego, tras ella            Cieco, le corro dietro

la medio cojo aquí y allá                                       l'afferro quasi, qui, più avanti


Sólo queda en mi mano        Ma in mano non mi resta

la forma de su huída! che una forma di fuga!













Ma è probabilmente Ramón del Valle Inclán (1866-1936) il personaggio del panorama letterario spagnolo più affine al prototipo di esteta. La sua figura è talmente bizzarra ed eccentrica da sembrare inconcepibile: costituzione corporea esile, barba esageratamente lunga, pesanti occhiali neri, avvolto in una sciarpa lunghissima. La vita da dandy tra il Messico e Madrid, oscillante tra eccessi e ristrettezze, contrassegnata da una disarmante inettitudine, è emblematica del clima che si respirava anche nella penisola iberica, molto vicino a quello diffuso nel resto d'Europa.

Valle Inclán è decisamente un esteta: il suo approccio alla narrativa è del tutto simile a quello proposto da D'Annunzio o Wilde: tematismo raffinato, ingegno, capacità di suggestione e alta qualità stilistica. Tutte queste sono caratteristiche riscontrabili nella Sonata de Otoño, che narra la vita del Marchese di Bradomin, personaggio eccentrico, edonista, che non abbandona mai la ricerca dell'attimo prezioso, dell'istante degno di memoria, fino a raggiungere il macabro, lo scabroso.

La Sonata de Otoño, prima delle quattro opere incentrate sullo stesso personaggio, rappresenta il culmine dell'esperienza modernista. Si delineano qui i tratti più noti dell'estetismo. Il marchese di Bradomín si reca in visita da Concetta, un'antica amante, che ha scoperto essere gravemente ammalata. Una volta giunto al Palazzo di Brandeso, residenza della donna, cerca di rivivere con lei i bei tempi della loro relazione: Concetta ha un vero e proprio culto dei ricordi, ma la sua cresciuta fede religiosa la porta oggi a censurare gran parte del suo passato. Saverio (il marchese) tenta di riaccendere la fiamma della passione con l'amica, nonostante ella sia sposata e la sua malattia glielo impedisca.

Nelle pagine del romanzo si nota che lo scrittore galiziano ha risentito del modello dannunziano degli ideali estetici del simbolismo. Vi è innanzitutto uno sviluppato tema erotico, che si trova spesso a contrastare con la forte presenza religiosa, fino a sconfinare nel sacrilego. La morte e la perversione sono spettri che incombono su tutto lo svolgimento, che peraltro sembra quasi tutto in funzione del preziosismo ornamentale, disumanizzato, vero interesse di Valle Inclán. La sua è una prosa resa sensuale ed evocativa, grazie soprattutto all'uso di uno stile raffinato e innovativo rispetto alla tradizione, e all'accostamento di universi tematici dissonanti tra loro. Ecco come devozione religiosa e lussuria sono combinate nella mente di Bradomín, che si rivela un immorale edonista con l'accezione del macabro:


"Era molto devota la povera Concetta, e soffriva perché il nostro amore le appariva un peccato mortale. Quante notti, entrando nel suo spogliatoio, dove mi dava convegno, la trovai inginocchiata! Senza parlare, levava gli occhi su di me, significandomi di far silenzio. Io mi sedevo su una poltrona e la guardavo che pregava: le poste del rosario passavano con lentezza religiosa tra le sue dita pallide. Alcune volte, senza attendere che terminasse, mi avvicinavo e l'abbracciavo all'improvviso. Essa diveniva più bianca e si copriva gli occhi con le mani. Io amavo follemente quella bocca dolorosa, quelle labbra tremanti e contratte, gelide come quelle di una morta! Concetta si scioglieva da me nervosamente, si levava e riponeva il rosario in un cofa­netto. Dopo, le sue braccia avvincevano il mio collo, la sua testa veniva meno sulla mia spalla, e piangeva, piangeva d'amore, e di paura per le pene eterne".


L'intento principale di Valle Inclán è di irritare, di generare indignazione nel lettore moralista e credente. Il messaggio provocatorio lanciato dal romanzo è ancor più amplificato dalla profonda religiosità del pubblico spagnolo, che avvertiva particolarmente il tono sacrilego dell'opera. L'intero romanzo è impostato sulla struttura di un climax ascendente, le cui tensioni sfociano nelle pagine finali, che vedono il protagonista vagare, come al ritmo di una danza macabra, per le stanze del palazzo col corpo defunto dell'amata, dopo essersi congiunto con lei in un'estasi dei sensi e in una degenerazione dello spirito.


"Giunsi fino alla sua camera che era aperta li dentro l'oscurità era misteriosa, profumata e tiepida, come se conservasse il segreto galante dei nostri convegni. Quale tragico segreto doveva custodire in quel momento! Guardingo e prudente deposi il corpo di Concetta disteso sul suo letto e mi allontanai senza rumore. Mi fermai sulla porta indeciso e affannato. Ero incerto se tornare indietro per deporre su quelle gelide labbra l'ultimo bacio. Resistetti alla tentazione. Fu come lo scrupolo di un mistico. Ebbi timore che vi fosse qual cosa di sacrilego in quella melanconia che li m opprimeva. La tiepida fragranza della sua camera accendeva in me, come una tortura, la voluttuosa memoria dei sensi. Bramai gustare le dolcezze di un casto sogno e non potei. Anche i mistici nelle cose più sante hanno sentito, talvolta, le più strane diavolerie. Ancora oggi il ricordo della morta è per me ragione di una tristezza pervertita e sottile: essa mi graffia il cuore come un gatto intisichito dagli occhi luccicanti: il cuore sanguina e si torce, e dentro di me ride il Diavolo che sa convertire tutti i dolori in voluttà. I miei ricordi, trofei dell'anima perduta, sono come una musica cupa e ardente, triste e crudele, al cui strano ritmo danza il fanta­sma piangente del mio amore. Povero e bianco fantasma, i vermi gli han mangiato gli occhi, e le lacrime scivolano dalle orbite! Danza in mezzo alla torma giovanile dei ricordi, sfiora la terra, galleg­gia su un'onda di profumo. Quell'essenza che Con­cetta versava nei suoi capelli e che le sopravvive! Povera Concetta! Non poteva lasciare del suo pas­saggio nel mondo più di una scia di aroma. Ma forse la più candida e più casta delle amanti è stata mai altra cosa che una boccetta di smalto divino, piena di essenze erotiche e nuziali?"


La caratteristica che distingue Valle Inclán dagli esteti del resto d'Europa è lo sguardo ironico che rivolge sempre alla materia trattata, un'abbondante dose di humour macabro che rende il prosatore galiziano inconfondibile.  



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