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LETTERATURA ITALIANA
In Italia, Gabriele d'Annunzio (1863-1938) e` il portavoce principale della cultura estetizzante. Personaggio di indiscutibile fama, patriota, scrittore, uomo di società, egli miro` a realizzare uno stile di vita del tutto eccezionale, libero da costrizioni e vincoli, fastoso, raffinato, sensuale, ricco di tensioni erotiche, forte di ideali eroici.
Sul personaggio D'Annunzio è stata scritta una mole innumerevole di biografie, saggi, critiche, ed è stato detto tutto e il contrario di tutto. Ciò fa comprendere quale importanza abbia avuto il poeta all'interno del panorama letterario, della società ed dell'immaginario popolare nazionale. Sarebbe dunque arduo, se non inopportuno in questa sede, tentare di fornire una descrizione completa della sua vita. Per personalità, opere letterarie ed imprese si inserisce all'interno della corrente culturale estetico - decadente.
La sua influenza si esercitò, oltre che in ambito propriamente letterario, sul costume e sulla società italiana per parecchi anni, almeno sino al primo conflitto mondiale. Egli era per milioni di persone un modello di comportamento e di gusti, oltre che un fervido creatore di mode e atteggiamenti e un ispiratore di ideali. Incarna ed esalta, non senza travisarne il significato, il superuomo di Nietzsche, dominatore della natura, vigoroso, ardito. Fu uno dei più accesi sostenitori dell'interventismo nella Grande Guerra; si fregiò di numerose imprese eroiche, come la conquista di Fiume e il leggendario volo su Vienna.
Egli è impegnato a più livelli nel contesto letterario. Scrive cronache della società del tempo, specialmente della vita mondana di quella Roma della Belle Époque che tanto ama: con assidua dovizia di particolari e tono maliziosamente ironico descrive gli abiti delle dame, le feste, i concerti, i pranzi cui agli partecipa coma convitato, sempre e dovunque graditissimo. Collabora anche con le riviste culturali più autorevoli, quali la Cronaca Bizantina, il Convito e il Marzocco, dei quali fu co-fondatore.
Il Convito, nei sui dodici anni di pubblicazione (1895-1907), rappresentò un luogo d'incontro di tutte le tendenze che confluivano nell'estetismo. Primario fu il ruolo del direttore e fondatore Adolfo de Bosis, che fu inoltre poeta affermato di credo estetico e mecenate di vari scrittori. Questi autori, non potendosi integrare in una società e in una vita nazionale, cercavano di proiettarsi in un pubblico che somigliasse a loro e che fosse disposto ad accogliere il loro messaggio ideologico. Alla fondazione parteciparono anche Gabriele D'Annunzio e il critico d'arte Angelo Conti. Al periodico, che si presentava in lussuosa veste tipografica, collaborarono molti autori estetizzanti come Enrico Nencioni, Enrico Panzacchi e Giovanni Pascoli. Le illustrazioni erano opere di Aristide Sartorio, di Paolo Michetti, pitture preraffaellite, figure enigmatiche, chimeriche, raffiguranti sogni e visioni sublimi. Vi era un'integrazione tra letteratura e arte figurativa.
Il Convito risentì molto dell'influsso delle teorie di Conti, il quale ne La beata riva: trattato dall'oblio proclamava che "per conoscere l'essenza dell'arte è necessario conoscere l'essenza della vita[]. Il problema estetico è nel medesimo tempo un problema morale e un problema metafisico; e basta risolverlo sotto una qualunque di queste tre forme per poter dire di averlo risolto tutto intero". Conti in quest'opera propone una vera e propria teorizzazione dell'estetismo; parte da considerazioni in campo delle arti figurative per poi estendere il proprio discorso a un livello più generale. La presentazione è opera di D'Annunzio, il quale, tra le sue enunciazioni afferma:
"Lo stile, essendo il segno dell'idea è l'unico mezzo che l'artefice abbia per manifestar quella nella sua opera.[] Soltanto lo stile può rendere le forme di un'opera d'arte superiore alle forme della natura e fissarle per l'eternità".
Il Conti segue la via aperta dal poeta, e, attraverso profonde riflessioni, giunge a delle conclusioni che da molti saranno seguite e condivise:
"L'artista è come un fanciullo a cui tutte le cose producono un senso di meraviglia".
"Il cielo è, come il sogno e come la morte, uno fra i misteri più vicini all'uomo. [] Lo scienziato ne sa meno di tutti, il quale ignora d'accumulare, con la matematica, l'ottica, con la spettroscopia, misteri sopra misteri".
"Per vivere bene è necessario favorire in ogni modo lo sviluppo delle nostre passioni, e non reprimerle mai".
'Nel mondo dell'arte non esiste il passato, non esistono le età remote; esiste solamente la vita".
Già dal primo numero la rivista mostra di essere in linea con i diffusi atteggiamenti autoritari e crispini, antiborghesi e antidemocratici. Il Proemio, scritto da D'Annunzio, propugna una lotto non solo intellettuale ma anche pratica contro la barbarie, la volgarità e l'industrialismo. La bellezza e la raffinatezza devono uscire dall'oscurità, per snobbare l'affarismo della "moltitudine ignobile" immersa in una "melma spessa e grigia".
"Alcuni artisti, scrittori e pittori, accomunati da uno stesso culto sincero e fervente per tutte le più nobili forme dell'Arte, si propongono di pubblicare ogni mese in Roma - dal gennaio al dicembre di questo anno - una loro raccolta di prose, di poesie e di disegni composta con insolita severità e stampata con quella eleganza semplice che aggiunge decoro alle belle immagini e ai chiari pensieri (). C'è ancora qualcuno che in mezzo a tanta miseria e a tanta abjezione italiana serba la fede nella virtù occulta della stirpe, nella forza ascendente delle idealità trasmesseci dai padri, nel potere indistruttibile della Bellezza, nella sovrana dignità dello spirito, nella necessità delle gerarchie intellettuali, a tutti gli altri valori che oggi dal popolo d'Italia sono tenuti a vile, e specialmente nell'efficacia della parola (). In questa Roma ora tanto triste () noi vorremmo portare in trionfo un simulacro di Bellezza così grande che la forza superba della forma - quella VIS SUPERBA FORMAE esaltata da un poeta umanista - soggiacesse agli animi abbrutiti. Non è più il tempo del sogno solitario all'ombra del lauro o del mirto. GI'intellettuali raccogliendo tutte le loro energie debbono sostenere militarmente la causa dell'Intelligenza contro i Barbari, se in loro non è addormentato l'istinto profondo della vita".
"Intendiamo opporci con tutte le nostre forze a quella produzione d'opere letterarie ed artistiche in generale che hanno le loro origini fuori della pura bellezza []".
Così si esprimono Giuseppe Saverio Gargano e Gabriele D'Annunzio nel manifesto de Il Marzocco, settimanale fiorentino di letteratura ed arte. Le pubblicazioni, partite nel 1896 sotto la direzione di Enrico Corradini, avevano evidenti caratteri di estetismo antipositivista. I quattro fogli eleganti della rivista , arricchiti di decorazioni, incisioni e fotografie, riproponevano il culto dell'arte per l'arte, al quale si erano votati già in molti. Soltanto i primi numeri furono caratterizzati da questa tendenza, che successivamente fu trascurata per dare spazio a un'arte che esula da quella "pura" e a spiriti nazionalisti e interventisti.
L'adorazione della bellezza come ideale continua in altre riviste, molto simili tra di loro, quali Leonardo (1903) e Hermes (1904), compilati principalmente da Giovanni Papini, Adolfo de Karolis e Giuseppe Prezzolini. Nel programma del primo emergono le qualità degli appartenenti al movimento estetico:
"Nella VITA son pagani e individualisti - amanti della bellezza e dell'intelligenza, adoratori della profonda natura e della vita piena, nemici di ogni forma di pecorismo nazareno e di servitù plebe.
Nel PENSIERO son personalisti e idealisti, cioè superiori ad ogni sistema e ad ogni limite, convinti che ogni filosofia non è che un personal modo di vita - negatori di ogni altra esistenza di fuor dal pensiero.
Nell'ARTE amano la trasfigurazione ideale della vita e ne combattono le forme inferiori, aspirano alla bellezza come suggestiva figurazione e rivelazione di una vita profonda e serena" .
Nelle intenzioni del secondo appaiono soprattutto una rinata considerazione e una difesa di D'Annunzio, che ispirò, dunque, la linea del periodico.
Il gusto estetico e la ricerca del piacere fanno da temi conduttori a gran parte della sua sterminata produzione, ma si concentrano soprattutto nel romanzo che più si avvicina anche alle posizioni di Wilde e Huysmans: Il Piacere (1889), storia del conte Andrea Sperelli Fieschi d'Ugenta, il tipo di giovane intellettuale italiano di fine secolo, tutto impregnato d'arte, conservatore, antidemocratico, elegante, gentiluomo, che da` la precedenza alla forza sensitiva rispetto a quella morale.
Il protagonista de Il Piacere corrisponde quasi autobiograficamente all'autore: Andrea, raffinato e depravato uomo di mondo, che persegue il culto sfrenato dei sensi e dell'arte, riassume in sé tutte le qualità dell'esteta. Egli si fa forte, innanzitutto, della sua concezione decisamente aristocratica della società. Disprezza tutto ciò che sia collegato alla neonata coscienza democratica del paese, e ritiene disgustosi gli effetti prodotti nell'arte da questa nuova realtà. La cultura deve mantenersi asettica da ogni possibile contaminazione dei ceti così rozzi e incolti quali quello borghese.
"Sotto il grigio diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge miseramente, va anche a poco a poco scomparendo quella special classe di antica nobiltà italica, in cui era tenuta viva di generazione in generazione una certa tradizione familiare d'eletta cultura, d'eleganza e di arte. A questa classe, ch'io chiamerei arcadica perché rese appunto il suo più alto splendore nell'amabile vita del XVIII secolo, appartenevano gli Sperelli L'urbanità, l'atticismo, l'amore delle delicatezze; la predilezione per gli studii insoliti, la curiosità estetica, la mania archeologica, la galanteria raffinata erano nella casa degli SpereIIi qualità ereditarie".
Quella di Andrea Sperelli è una vita all'insegna della ricerca del piacere e della bellezza artistica: "La vita come un'opera d'arte" è anche il suo principio ispiratore. Dopo aver intrapreso una focosa relazione con la nobildonna Elena Muti, la cui fine incide profondamente nella suo spirito solitario, si tuffa in una serie di avventure che lo lasciano insoddisfatto, finchè non conosce Maria Ferres, moglie del ministro del Guatemala, donna casta e sensibile. Si dibatte, allora, tra l'illusione di poter vivere un amore spirituale e il desiderio di riaccendere la passione con l'antica amante. Ma, nelle sue "scorribande" sentimentali Andrea non riesce a trovare un equilibrio interiore, un momento di conforto e di pace dei sensi, ed è reso schiavo dallo stile di vita che ha sempre condotto. I suoi propositi di una nuova esistenza rimangono tali: troppo sublime è la sensazione dei baci e delle carezze d'Elena, troppo alta è l'adorazione per Maria, troppo accattivante è la vita mondana.
"Così, d'un balzo, Andrea Sperelli si rituffò nel Piacere. Per quindici giorni io occuparono Giulia Arici e Clara Green. Poi partì per Parigi e per Londra, in compagnia del Musèllaro. Tornò a Roma verso la metà di dicembre; trovò la vita invernale già molto mossa; fu sùbito ripreso nel gran cerchio mondano.
Ma egli non s'era mai trovato in una disposizion di spirito più inquieta, più incerta, più confusa; non aveva mai provato dentro di sé uno scontento più molesto, un malessere più importuno; né aveva provato contro di sé medesimo impeti d'ira e moti di disgusto più crudeli. Talvolta, in qualche stanca ora di solitudine, egli si sentiva salire dalle profonde viscere l'amarezza, come una nausea improvvisa; e rimaneva là ad assaporarla, torpidamente, senza aver la forza di cacciarla fuori, con una specie di rassegnazione cupa, come un malato che abbia perduto ogni fiducia di guarire e sia disposto a vivere del suo proprio male, a raccogliersi nella sua sofferenza, a profondarsi nella sua miseria mortale. [] sacrificò per sempre quel che gli rimaneva di fede e di idealità; si gittò nella vita, come in una grande avventura senza scopo, alla ricerca del godimento, dell'occasione, dell'attimo felice. Affidandosi al destino, alle vicende del caso, all'accozzo fortuito delle cagioni".
La casa di Sperelli è una vistosa scenografia del desiderio. È adornata con oggetti che rivelano il gusto per l'esotico, il particolare e allo stesso tempo la perversione del protagonista, che finisce per rendere l'ambiente in cui vive una struttura attiva del suo comportamento. Si instaura tra persona e oggetto una singolare corrispondenza: l'uomo si appropria degli oggetti che gli piacciono, li sottrae alla loro estraneità, e conferisce loro dei connotati più familiari.
"Andrea vide nell'aspetto delle cose intorno riflessa l'ansietà sua".
"Tutti quegli oggetti, in mezzo a' quelli egli aveva tante volte goduto e sofferto, avevano per lui acquistato qualche cosa della sua sensibilità.[] Certi oggetti conservavano pur qualche vaga parte dell'amore onde li aveva illuminati e penetrati quel fantastico amante".
Gli oggetti estetici sono tali per la loro rarità, per le tecniche e le condizioni di produzione, per l'importanza sociale che rivestono, che è legata alla loro fruizione. Le loro proprietà essenziali non stanno più, però, nella materialità, ma bensì nella loro idealità, nel mondo percettivo di cui fanno parte. Soggettivo è dunque il modo di sentire la loro importanza, e in questo aspetto, oltre che in innumerevoli altri, Sperelli si accomuna a Des Esseintes. Infatti la vanità, la ricerca dell'inimitabile, la profonda conoscenza della storia, il gusto per l'arte, la frammentazione dell' "io" sono tutti tratti comuni alle due figure, che si distinguono soprattutto per l'amore per la letteratura.
"Il verso è tutto. Nella imitazione della Natura nessuno istrumento d'arte è più vivo, agile, acuto, vario, multiforme, plastico, obbediente, sensibile, fedele. Più compatto del marmo, più malleabile della cera, più sottile d'un fluido, più vibrante d'una corda, più luminoso d'una gemma, più fragrante d'un fiore, più tagliente d'una spada, più flessibile d'un virgulto, più carezzevole d'un murmure, più terribile d'un tuono, il verso è tutto e può tutto. Può rendere i minimi moti del sentimento e i minimi moti della sensazione; può definire l'indefinibile e dire l'ineffabile; può abbracciare l'illimitato e penetrare l'abisso; può avere dimensioni d'eternità; può rappresentare il sopraumano, il soprannaturale, l'oltramirabile; può inebriare come un vino, rapire come un'estasi; può nel tempo medesimo possedere il nostro intelletto, il nostro spirito, il nostro corpo; può infine, raggiungere l'Assoluto.
[]Quando il poeta è prossimo alla scoperta d'uno di tali versi eterni, è avvertito da un divino torrente di gioia che gli invade d'improvviso tutto l'essere.
[]Quale gioia è più forte? Andrea socchiuse un poco gli occhi, quasi per prolungare quel particolare brivido ch'era in lui foriero della inspirazione quando il suo spirito si disponeva all'opera d'arte, specialmente al poetare. Poi, pieno d'un diletto non mai provato, si mise a trovar rime con la esile matita su le brevi pagine bianche del taccuino []".
Ne Il Fuoco (1900) D'Annunzio apre al pubblico il suo universo privato, riportando anche i particolari più scabrosi di quelli che erano stati i suoi rapporti con l'attrice Eleonora Duse. Nel romanzo compaiono pienamente i tratti indicativi dell'ideale d'artista secondo l'autore: l'estetismo, ovviamente, la vita come creazione, il godimento della bellezza. Il poeta e` un essere superiore, in perenne fieri, esaltatore della propria potenza.
Stelio Effrena e Foscarina, ovvero l'autore e l'attrice, intrecciano una storia d'amore nella Venezia di fine secolo, che offre, come anche confermerà l'opera di Thomas Mann, uno spettacolo di una bellezza sfiorita, di decadenza e morte.
La donna, pur avvertendo il pericolo insito nel compromettersi con un uomo più giovane, non può fare a meno di abbandonarsi alla vitalità e al fascino dell'amante. Tutto inizia ad un ricevimento dato dalla Foscarina in onore di Stelio, intellettuale e poeta tragico, che avverte attrazione per l'attrice, già irretita. Durante un discorso pronunciato a Palazzo Ducale e il successivo ricevimento, il giovane si dimostra un magnifico oratore, un profondo conoscitore dell'arte e un incomparabile trascinatore di folle. Daniele Glauro, uno dei convitati e interlocutore privilegiato di Stelio, segue con attenzione le sue disquisizioni su Wagner e il genio musicale latino. L'amore sbocciato in questa occasione continua nei mesi successivi, e vede Stelio abbandonarsi a tenerezze e effusioni di sentimento, mentre la Foscarina soffre per il senso di colpa che prova per essersi lasciata andare alla passione. La donna è anche gelosa di una sua amica cantante che trova spazio nella fantasia di Stelio. Ma è proprio questa possesività della Foscarina che convince il giovane della sincerità dei suoi sentimenti. La coppia, ricongiuntasi in armonia, apprende un giorno, al ritorno di una gita tra le isole della laguna, della morte di Wagner. I funerali del maestro chiudono il romanzo: Stelio, con alcuni fedeli amici, trasporta la bara del grande compositore, in un solenne momento di commozione.
Stelio è un amante focoso, un artista della parola, un intenditore d'arte: assomma in sé molte delle caratteristiche dello Sperelli, rispetto al quale, però, si dimostra meno volubile e meno cinico. È viva anche in quest'opera la consapevolezza dello sfiorire degli attimi di piacere e delle cose belle. Ecco che Stelio, dunque, cerca di cogliere ogni momento nella sua pienezza, di consumare la passione ardentemente, senza indugi. La componente erotica è fondamentale nell'economia del romanzo, che è imperniato sulla vicenda amorosa che separa e riunisce i due amanti. Il tono si fa più concitato e affannoso quando le parole d'amore lasciano il posto al linguaggio dei corpi, che vivono in simbiosi di spirito degli attimi focosi. L'amore si manifesta in Stelio con delle accezioni di perversione e mostruosità; quella di Foscarina è un timido pudore che cede di fronte all'eccitazione.
"Di lontano, di lontano gli veniva quel torbido ardore, dalle più remote origini, dalla primitiva bestialità delle mescolanze subitanee, dall'antico mistero delle libidini sacre. [] Ed egli desiderò nella donna sapiente e disperata colei che era premuta dall'eterna servitù della sua natura, colei che era destinata a soggiacere nelle improvvise convulsioni del suo sesso, colei che placava la lucida febbre della scena nella voluttà oscura e sonnifera, l'attrice ardente che passava dalla frenesia della folla alla forza del maschio, la creatura dionisiaca che con l'atto di vita coronava il rito misterioso come nell'Orgia.
"Ella tremava; le tremavano i denti in bocca. Un fiume escito da un ghiacciaio la sommergeva, le passava sopra, le assiderava dalle radici dei capelli all'estremità delle dita. Tutte le giunture delle membra le dolevano, e pareva che fossero per dislegarsi, e le mascelle irrigidite le mutavano la voce nel terrore. Ed ella voleva morire, e voleva essere presa ed abbattuta all'improvviso da quella violenza maschia".
Riccardo Wagner rappresenta con la sua musica un vero e proprio ideale di perfezione, possenza e vitalità. I suoi funerali vengono celebrati in maniera solenne: Stelio e i suoi amici sono consapevoli di una così grande perdita. Ecco come il linguaggio di fa più alto, addirittura aulico, nella descrizione di una sobria cerimonia funebre:
"Il mondo pareva diminuito di valore. Attendevano senza parlare e senza guardarsi, ciascuno essendo vinto dal palpito del suo proprio cuore. [] Tutti erano fissi all'eletto della Vita e della Morte. Un infinito sorriso illuminava la faccia dell'eroe prosteso: infinito e distante come l'iride dei ghiacciai, come il bagliore dei mari, come l'alone degli astri. Gli occhi non potevano sostenerlo; ma i cuori, con una meraviglia e con uno spavento che li faceva religiosi, credettero di ricevere la rivelazione di un segreto divino".
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