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L'Età del Decadentismo




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L'Età del Decadentismo



Contesto storico del Decadentismo




Il Decadentismo è un complesso fenomeno culturale che nasce in Francia intorno al 1880, si diffonde negli anni successivi in tutti i principali paesi europei, e non si è ancora del tutto concluso ai giorni nostri.

Esso ha un rapporto di filiazione diretta con il Romanticismo, pertanto, al pari di questo, ha una diffusione enorme a livello Europeo.

Il Decadentismo nel contrapporsi al razionalismo positivistico, accentua ed esaspera la tendenza soggettiva del Romanticismo (così come il Verismo e Naturalismo ne avevano accentuato la tendenza realistica).

In contrapposizione al naturalismo, che assegnava al "fatto", al "dato" una importanza capitale, esso rivendica la centralità dell'uomo come soggetto ed aderisce alle nuove correnti filosofiche dell'irrazionale sorte negli ultimi de­cenni dell'Ottocento, come il contingentismo di Boutroux, l'intuizionismo di Bergson, la filosofia dell'azione di Blondel, la filosofia del superuomo di Nietzsche, le quali tutte contestavano al positivismo il primato assegnato al­l'intelletto, convinte com'erano che soltanto altre facoltà umane fossero in grado di approdare alla conoscenza di una realtà più profonda e più vera.


I1 sopravvento dell'irrazionalismo è in stretta correlazione con la profonda crisi di quegli ideali che avevano costituito in precedenza il vanto dell'espansione e del primato della borghesia, in fase ora di ripiegamento e di difesa: dopo più di un secolo di irresistibile ascesa e di sempre maggiore egemonia, essa comin­ciava a perdere slancio e fiducia nei propri miti.

Ciò fu dovuto a molteplici ragioni, dalle tensioni sempre più aspre e logoranti create dalla politica impe­rialistica e coloniale tra le grandi potenze europee, alle gravi contraddizioni presenti nel sistema capitalistico, fonti di violenti conflitti sociali; al prevalere della legge del profitto sopra ogni altro ideale, che dà alle leggi dell'economia il primato nella vita sociale; al successo dell'ideologia marxista, che matura nel proletariato una robusta coscienza di classe ed una consapevole, decisa organizzazione e capacità di lotta.

Di fronte a tale nuova situazione, viene meno l'ottimismo di marca positivista, nonché la fiducia in un progresso inar­restabile dell'umanità, e subentra una cupa attesa di sciagure e di catastrofi per l'uomo, della quale è possibile trovare significativa testimonianza nelle opere letterarie di tutta Europa, da Pirandello a Kafka, da Thomas Mann a Musil ed a Svevo.



Nella società industriale gli scrittori si sentono emarginati, e debbono inventare una nuova loro funzione, ritrovare un nuovo rapporto con il pubblico, ma si rivelano per lo più impari al compito: anziché adoperarsi per offrire soluzioni alle contraddizioni socio-culturali del tempo, si sottraggono all'impegno, ora con la fuga nell'irrazionalismo e nell'attivismo (si pensi al D'An­nunzio ed ai futuristi), ora si schierano con la borghesia meno evoluta nella sua ricerca di soluzioni autoritarie (vedi il caso Dreyfus in Francia,  Crispi e la crisi di fine secolo in Italia), ora riaffermano il valore redentorio della guerra, « igiene del mondo », purificatore «.bagno di sangue (ricorda Papini e le riviste fiorentine del primo Novecento, da « Il Regno » a « Hermes » a « Il Leonardo»).


Neppure il marxismo sembra in grado di aprire risolutamente una via nuova: mentre nelle sue frange meno preparate si abbandona al mito di una rivoluzione palingenetica ed allo spontaneismo, nei suoi scrittori più consapevoli sembra indugiare nella messianica idea di una rivoluzione dei proletariato, la quale dovrebbe scaturire dall'evoluzione stessa del sistema capitalistico (sopravvivenza del determinismo positivistico), più che dalla consapevole azione dei socialisti.




Queste tensioni si manifestarono  anche nel nostro Paese, benché il processo di industrializzazione fosse appena agli inizi, scarsa fosse la preparazione e la par­tecipazione delle masse alla vita politica, molto retorica ed elitaria la vita culturale, ampio il disimpegno della maggior parte dei nostri scrittori.

Troppi italiani preferirono la retorica patriottarda di D'Annunzio al positivo tentativo di Giolitti di ammodernare la vita e le strutture della penisola: la stessa prima guerra mondiale si risolse, in Italia, nel tentativo di trovare una inconsueta soluzione ai gravi problemi politico-sociali ed economici che ci affliggevano e, ad un tempo, di liquidare Giolitti e la sua.politica di alleanza con i partiti popolari; anche se essa finì can la vittoria, questa fu pagata ad un altissimo prezzo di sangue e con lo squassamento delle fragili strutture politiche ed economiche create dallo Stato unitario.

È vero che alcuni intellettuali cercarono dì porgere nuove, valide soluzioni ai problemi propri del nostro Paese: Salvemini intraprese un'energica azione di educazione del costume italiano, condannando la frode politica del clientelarismo e la voracità di denaro e di successo della piccola borghesia, specialmente meridionale; Gramsci volle fondare su chiari principi l'ideologia socialista ed educare le masse operaie alla rivoluzione mediante la creazione dei « consigli di fabbrica »; Gobetti, ammirato dell'azione di Gramsci, ritenne che fosse possibile una rivoluzione liberale, sorgente dall'incontro delle forze della borghesia illuminata con le avanguardie operaie.

Ma è altrettanta vero che il trionfo del fascismo pose fine a questi coraggiosi piani di rinnovamento della società e della cultura italiana.






Caratteri generali del Decadentismo



La letteratura del Decadentismo nacque in Francia con il Simbolismo di Mallarmé, Rimbaud, Verlaine, i quali, attraverso le numerose riviste che ne difendevano e ne chiarivano i principi artistici (« Nouvelle rive gauche », « Revue indépendante», «Le décadent ») conseguirono una rapida rinomanza: attorno ad essi, ed alla stessa Parigi che li ospitava, non tardò a crearsi un «suggestivo alone di scapigliatura e di genio » (U. Gabetti), così che, persa gran parte del suo originario significato dispregiativo e svalutativo, il termine «decadente», con cui amavano presentarsi e con cui genericamente venivano classificati i nuovi artisti ed i nuovi poeti, assunse ben presto quello di particolare distin­zione nei confronti degli uomini comuni, e fu elevato ad insegna di una scuola nella quale confluirono artisti e poeti di ogni parte.

Precursore del loro nuovo stato d'animo fu Baudelaire (1821-1867), che per primo inneggiò alla figura del poeta maledetto, interpretando nella sua opera la tendenza al disimpegno civile ed il conseguente ripiegamento su se stesso, alla ricerca di nuovi rapporti interiori che compensassero i difficili rapporti con la realtà.

Volgendo le spalle al realismo, il Decadentismo riprende ed esaspera il soggettivismo romantico, e scopre nell'uomo la presenza dell'inconscio, vale a dire una vasta zona di mistero in cui affondano i caratteri peculiari della sua personalità, ma un mistero sofferto, senza più la speranza, viva invece nei romantici, di poterlo in tutto od in parte svelare.

Al di là dell'apparenza delle cose, è presentita una più profonda e più vera realtà, che sfugge alla nostra ragione, ed alla quale ci si può accostare soltanto attraverso l'intuizione artistica (si badi bene: se per i romantici l'arte era creazione spontanea, qui tale aspetto viene accentuato ulteriormente, al punto che essa diventa "intuizione" pura).


La poesia diviene così repentina illuminazione dell'inconscio rivelazione di una realtà noumenica, di una realtà, cioè, che si contrappone a quella fenomenica: a un tale nuovo genere di poesia non si confanno più le strutture logiche e la metrica tradizionale, ma la forma del frammento, assai più idoneo a raccogliere ed esprimere,  al loro primo insorgere, le balenanti sensazioni del poeta. Questi non é più il "poeta-vate" dei romantici, vaticinatore dei destini della sua gente, ma il "poeta-veggente", che per esprimere quella più profonda realtà, inaccessibile alla ragione, si affida a "parole-musica" , ai simboli, alle analogie, alle sinestesie (accostamenti, queste, di due parole che si riferiscono a sfere sensoriali diverse, come "silenzio verde", a "urlo nero").


Il Decadentismo, nato in un'età di profonda crisi spirituale evidenzia la consapevolezza della precarietà della condizione umana e la susseguente scoperta della solitudine dell'uomo, che ha  di fronte una società ostile ed incomprensibile; che ha difficoltà a comunicare con gli altri uomini per il polisensismo della parola e per l'impossibilità di fissare una volta per sempre la propria identità e quella degli altri.

Nasce così l'angoscia esistenziale (si tenga presente che l'esistenzialismo è la forma            filosofica del decadentismo), angoscia che l'era atomica avrebbe poi ulteriormente ingigantito. Tuttavia il poeta decadente, capace di crearsi un suo mondo grazie all'arte, si sente padrone della sua sorte ed avverte che gli è affidato il compito di svelare l'ignoto: da qui l'ulissismo ed il mito del a superuomo, da qui l'atteggiamento tipico dell'estetismo decadente, che riconduce vita ed arte all'ideale assoluto del bello.

Dovendosi l'arte considerare a puro "atto di vita", e non potendo la vita rea­lizzarsi in tutta la sua essenza che nell'arte, si comprende come i confini del­l'una e dell'altra finiscano per fondersi insieme, e come si possa parlare, a proposito di D'Annunzio, di un vivere inimitabile intonato alla più pura ed eroica concezione della bellezza, o a proposito di Oscar Wilde, di un genio che trova la sua migliore esplicazione artistica nella vita.




















Il Decadentismo italiano



Nel profondo stato di crisi creatosi negli ultimi anni del XIX secolo, i nostri scrittori decadenti cercarono ed additarono vie diverse per giungere ad una qualche soluzione dei molti problemi d'ordine morale, politico, sociale che, assillavano la nazione.


Fogazzaro si rivolse ancora una volta a cercare la salvezza nella fede nello spiritualismo, pur ricco di suggestioni di natura sensuale, e propose il "santo" come eroe positivo nuovi tempi


D'Annun­zio cercò la salvezza nel ritorno alla celebrazione dell'eroismo, ed inneggiò al suo superuomo;


Pascoli cercò scampo ritornando alla natura, rivista con gli occhi puri ed ingenui del fanciullino;


Pirandello e Svevo rinunciarono alla fede e ad ogni altro mito consolatorio ed innalzarono a protagonista del loro tempo "l'inetto", "l'uomo senza qualità" .



Ma il "santo" proposto da Fogazzaro appare un personaggio più velleitario che concreto, un personaggio che concede troppo ad una morbosa sensualità, esso rientra nel clima storico del "modernismo", di quel movimento cattolico, cioè, che propugnava, alla fine dell'Ottocento e nei primi anni del Novecento un radicale rinnovamento nel campo teologico, ma che per la condanna papale delle sue esperienze (Pio X nel 1907) e il disinteresse, nei suoi confronti, del cultura laica, non riuscì ad affermarsi.


Con il suo fanciullino, Pascoli ci propose una nuova dimensione vita ed un nuovo modo di vedere le cose, capace di cogliere gli aspetti più profondi e più misteriosi del reale. Ma il suo fanciullino accanto alle angosce proprie della civiltà borghese, accoglie in sé tutte le paure e le superstizioni  del mondo arcaico e rurale, , e più che nell'azione rinnovatrice, cerca scampo nella regressione prenatale, nella sicurezza del nido.


D'Annunzio conobbe con Fogazzaro, nel suo tempo, il maggior successo di lettori.

Dei nostri scrittori decadenti, egli pare il più deciso nell'affrontare, la realtà e nell'affermazione della sua personalità.

Inoltre il suo superuomo velleitario ed ammantato di retorica, esprimeva le aspirazioni della media e piccola borghesia italiana di allora, con si suoi sogni di grandezza e spinta ad un attivismo irrazionalistico per non affrontare con pazienza e consapevolezza i gravi problemi del tempo. La diffusa ostilità per Giolitti, che con il suo concreto empirismo, con la sua realistica visione d problemi del nostro Paese, rappresentava un ideale di vita opposto a quel dannunziano, esprimeva l'incapacità della borghesia italiana di uscire c sogno e dalla retorica.

Il trionfo degli ideali dannunziani favorì prima la partecipazione dell'Italia, alla guerra mondiale del 1914-18, poi la vittoria del fascismo propiziata dal poeta.


"L'inetto" di Pirandello e Svevo, elevato ad espressione dell'uomo decadente, esprime la più virile e seria presa di coscienza  della profonda crisi di valori che investì tra la fine dell'Ottocento e i primi anni del Novecento, la società europea.

Nelle loro opere i due scrittori rivelano le contraddizioni che lacerano la vita dell'uomo, la sua solitudine e precarietà , al sua incapacità di uscire dal dramma attraverso risolute scelte esistenziali.

L'elevazione della "malattia" a condizione normale dell'esistenza umana, appare come la rassegnata accettazione, da parte dell'uomo, del suo destino di sconfitto: siamo agli antipodi del superuomo dannunziano.





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