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L'esperienza carceraria




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L'esperienza carceraria




1 Evoluzione dell'istituzione carceraria


Prima di parlare di come sia vissuto il trattamento penitenziario nei nostri giorni e di come la scrittura autoanalitica possa inserirsi in questo contesto, è utile chiarire a grandi linee il cammino che ha portato l'uomo alla creazione di questa istituzione e il modo in cui negli anni sono cambiate le motivazioni e le procedure di controllo della devianza.

La prigione esiste dal momento in cui sono state utilizzate le leggi penali, e si è "costituita all'interno dell'apparato giudiziario nel momento in cui furono elaborate le procedure per ripartire gli individui e distribuirli spazialmente, classificarli, ricavare da essi il massimo rendimento e il massimo delle forze, addestrare i loro corpi, codificare il loro comportamento in continuità, mantenerli in una visibilità senza lacune, formare intorno ad essi tutto un apparato di osservazione, registrazione e di annotazioni" [1].

L'uso di questo apparato per rendere le persone docili e utili ha inizialmente costituito il punto centrale dell'istituzione-prigione, ora vediamo come si è successivamente giunti alla nostra concezione di detenzione.

Il nostro Diritto Penale si identifica con la minaccia del carcere, la privazione della libertà personale è vista come l'estrema ratio, il modo più adeguato per saldare il danno cagionato, in un ottica retributiva  nella quale si paga il reato commesso perdendo la libertà personale per un preciso arco di tempo.




1.2 excursus storico


Nel corso della società feudale il carcere, come espiazione della propria colpa, non esisteva. Le pene medioevali si basavano sulla categoria etico-giuridica del taglione, a cui si associava il concetto di espiatio, una forma di vendetta basata sull'idea di togliere al colpevole i valori sociali più importanti (la vita, l'integrità fisica e il denaro).

Le punizioni utilizzate contro chi aveva commesso un reato erano perciò i supplizi di tipo corporale, teatralmente proposti al pubblico, in modo da inibire ogni minima intenzione di trasgredire le regole imposte.

Queste pene infatti dovevano essere esemplari, perciò venivano praticate nella piazza principale del paese, davanti a folle inferocite e ammutolite e dovevano lasciare cicatrici visibili, perché il marchio dell'infamia commessa perdurasse nel tempo.

Altra caratteristica indispensabile era la sofferenza che questi supplizi dovevano portare al condannato, questa doveva essere calcolabile e in caso di pena di morte provocare un lunga e lenta agonia.

Elemento necessario nella decisione del supplizio da infliggere era la correlazione tra l'intensità, lunghezza e qualità della sofferenza con il tipo di crimine commesso, con la persona che aveva commesso l'atto e con il rango delle vittime.

Per questo esisteva un codice del dolore, calcolato secondo regole dettagliate: "numero di colpi di frusta, posto del ferro rovente, lunghezza dell'agonia sul rogo o sulla ruota.tipo di mutilazione da imporre."[3]

Tra il 1400 e il 1500 la legislazione sociale Europea portò ad un vero e proprio sterminio riservato principalmente ai disoccupati, agli sbandati e ai vagabondi che riempivano le città provocando disordine pubblico.

L'ottica quindi era quella di reprimere con forza e crudeltà la devianza, colpendo il corpo del reo e trasformandolo in un esempio da non seguire.

Nel corso del 1600 vediamo comparire un nuovo fenomeno: l'internamento.

Vennero costruite ai margini delle città "case di internamento", le quali non si sostituivano alle pene più diffuse (punizioni corporali, esilio, messa al bando) ma venivano considerate un supplemento da aggiungere ai castighi inflitti.

Nel corso di pochi decenni migliaia di persone vennero rinchiuse: in Francia questi luoghi vennero chiamati ospedale, in Germania e Olanda presero il nome di penitenziario, e in Gran Bretagna casa di lavoro e casa di correzione.

I soggetti che venivano internati erano per lo più vagabondi, mendicanti, gente senza lavoro, i quali portavano nelle strade della città scompigli e pericolo.

Solo nel Settecento vediamo comparire il termine carcere, con la sua valenza semantica di segregare (dal latino coercere), si afferma come una istituzione totale, ossia un luogo in cui non solo si è separati completamente dalla società, ma dove le regole, le punizioni e le gratificazioni sono concesse dall'alto, da un potere che ammaestra e contiene, e dove tutte le attività sono svolte insieme a persone costrette a stare nello stesso posto per subire la stessa pena.

Se in precedenza il corpo del condannato doveva subire le peggiori violenze per espiare le sue colpe, ora viene visto come il mezzo utile per punire la persona privandola del bene più prezioso: la libertà individuale. La sofferenza esiste, ma viene vissuta in modo differente, poichè inflitta da lontano: "il castigo è passato da un'arte di sensazioni insopportabili a una economia di diritti sospesi."[4]

Nonostante questo aspetto totale della detenzione un passo avanti venne comunque fatto, perché la pena veniva decisa esclusivamente in relazione alla gravità del reato e non più in base al ceto sociale del reo e della vittima; il cittadino e il nobile avendo commesso lo stesso reato erano chiamati a scontare la stessa pena in nome dei nuovi ideali illuministici.

Con l'avvento della Rivoluzione Industriale le prigioni cambiarono, adeguandosi ai cambiamenti della società. I regolamenti e la disciplina divennero più meticolosi e rigidi, simili gli assetti delle fabbriche del tempo.

La punizione corporale in quegli anni divenne controproducente poiché mutilare e ferire chi serviva come forza lavoro non conveniva alla produzione, così vennero aboliti definitivamente i supplizi corporali.

La detenzione però non portava alla redenzione del reo, poiché egli era sempre più isolato, inutile, impiegato in lavori senza scopo, e uscito dal carcere, l'esclusione a cui la società lo costringeva portava inevitabilmente al ritorno nell'illegalità.

Fu così che progressivamente si fece strada una nuova concezione di detenuto, e la detenzione andò ad assumere la funzione di trasformare il comportamento del reo, per poterlo ri-classificare a livello sociale.

Venne introdotto nelle prigioni il lavoro a scopo terapeutico, per poter togliere i detenuti dall'ozio; introspezione ed integrità erano i valori che si volevano trasmettere, attraverso l'isolamento e il silenzio. Il carcerato doveva diventare una macchina programmata, doveva obbedire agli ordini ed essere efficiente.

Un momento di crisi si ebbe durante la metà del XIX secolo, il carcere si riempì di disoccupati proletari in modo massiccio e le attività risocializzanti non furono più perseguibili. Le prigioni divennero delle fucine dove venivano gestite ribellioni e comportamenti devianti di chi, non potendo avere un lavoro, era escluso dalla popolazione produttiva.

In Italia, dopo anni di crisi del sistema carcerario nel 1931 venne introdotto il Regolamento Rocco per gli istituti di prevenzione e pena: si stabilirono regole basate sul lavoro, l'istruzione e le pratiche religiose, vennero introdotti trattamenti individualizzati per le varie tipologie di persone carcerate, l'uso del lavoro come mezzo rieducativo e l'abolizione delle segregazioni cellulari.

Un rappresentante del Consiglio di padronato si doveva recare almeno una volta alla settimana negli Istituti in modo tale da offrire supporto morale ai ristretti e assicurarsi che chi veniva scarcerato avesse un posto dove andare a stare dato che la separazione tra famiglia e detenuto persisteva.

Ciò che ci deve apparire ben chiaro a questo punto è che la pena detentiva è stata ed è concepita come pena per eccellenza[5], poiché nella nostra società la libertà è un bene che appartiene a tutti nello stesso modo, e al quale ciascuno è legato da un sentimento universale e costante; la sua perdita ha perciò lo stesso prezzo per tutti rispondendo all'esigenza di uguaglianza tra gli individui. Inoltre la privazione di libertà non è mai slegata dal tentativo di correggere e modificare gli individui in meglio, e questo "ha fatto apparire la prigione come la forma più immediata e più civilizzata di tutte le pene. Ed è questo doppio funzionamento che le ha dato subito solidità."

Per quasi la totalità del XX secolo, si oscillò da struttura produttiva e rieducativa a strumento di repressione e segregazione, così che le pene carcerarie diminuirono e aumentarono seguendo costantemente l'onda politico-economica.



1.3 Il carcere oggi


"La responsabilità penale è personale.

L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte[7], se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra."

Così dal 1948 l'articolo n.27 della Costituzione italiana va a sancire la finalità rieducativa della pena e va a porre le basi dell'intera organizzazione penitenziaria.

In questo articolo troviamo il passaggio da una visione culturale che sosteneva l'importanza della sofferenza fisica e psicologica come mezzo di punizione e rieducazione del detenuto ad una nuova concezione del carcere come luogo di risocializzazione e recupero degli individui.

Nonostante i progressi introdotti dalla Costituzione del '48, è solo con la Legge 26 Luglio 1975, n.354[8] che si tenta di mettere in pratica ciò che finora era rimasto solo scritto nel testo costituzionale.

Con questa legge ci si distacca dalla secolare tradizione delle istituzioni penitenziarie italiane; due principi in particolare segnano tale cesura: i detenuti e gli internati sono chiamati o indicati col loro nome[9]; non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili ai fini giudiziari .

Altro principio fondamentale che si va ad aggiungere ai due sopra elencati è la finalità rieducativa del carcere[12]: la detenzione prevede un trattamento rieducativo che tenda al reinserimento sociale, attuato secondo un criterio individualizzato in rapporto alle condizioni del soggetto. Questo trattamento, deciso dopo un periodo di osservazione, dovrebbe prevedere un preciso programma educativo valutato e rivisto in itinere. È necessario specificare, soprattutto riguardo a questo comma, che molte parti di questa legge rimangono spesso solo scritte sui codici penali a causa dell'elevato numero di detenuti e dell'insufficiente quantità di educatori.

Il trattamento viene attuato attraverso l'utilizzo principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive ed agevolando opportuni contatti con il mondo sterno ed i rapporti con la famiglia.[13]

I detenuti, a differenza del passato, posso tenere nelle celle libri, quotidiani e apparecchi radio personali, possono seguire lezioni scolastiche e in numerosi istituti penitenziari sono organizzate attività culturali a cui i detenuti possono partecipare liberamente.

Nell'ottica della risocializzazione negli istituti devono essere favorite in ogni modo la destinazione dei detenuti e degli internati al lavoro e la loro partecipazione a corsi di formazione professionale[14]. L'attività lavorativa non è più vista come una punizione ma come elemento necessario per la crescita personale della persona e il suo reinserimento nella società. A tale proposito è certamente importante ricordare che è un beneficio di legge che permette al detenuto di uscire dal carcere durante il giorno per lavorare: ne possono godere tutti, imputati e condannati, come pure gli ergastolani dopo l'espiazione di almeno dieci anni di reclusione. Viene proposta dalla Direzione e concessa a discrezione del Tribunale di sorveglianza.

Abbiamo fin ora elencato esclusivamente le principali innovazioni portate da questo testo legislativo, tanti sarebbero gli articoli da segnalare ma in questa sede vogliamo semplicemente sottolineare in che modo nei nostri giorni è pensata l'istituzione carceraria, la sua utilità e i suoi strumenti.

Un ulteriore data importante per i condannati è stata il 10 Ottobre 1986, giorno in cui la Legge Gozzini introdusse nel nostro ordinamento una serie di benefici accessibili mantenendo una buona condotta all'interno degli istituti e istituì misure alternative al carcere e permessi premio per mantenere le relazioni famigliari e i rapporti di lavoro.

Questa legge, oggetto di numerosi dibattiti in sede parlamentare, va a stravolgere la logica dell'esecuzione della pena, la quale non ha più una visione passiva del detenuto che psicologicamente poteva solo contare i giorni passati e quelli ancora da trascorrere in cella, ora egli attraverso il suo comportamento può influire attivamente sulla durata e sul tipo di pena da scontare.



2 La vita all'interno del carcere


Avendo analizzato il percorso storico che il carcere e le misure di controllo della devianza hanno attraversato nei secoli, il nostro sistema penitenziario potrebbe erroneamente sembrare il prodotto perfetto della democrazia e della ragione umana. Ma cercando di non sconfinare in idealismi o ipercriticismo, è doveroso ammettere che tante sono le lacune nel testo legislativo e tante sono le incongruenze nella concezione stessa di questa istituzione. La vita che un condannato trascorre dietro le sbarre della cella non sembra corrispondere con i buoni propositi dell'articolo 27 della nostra Costituzione. Così un condannato, dopo aver letto il Codice Penale, il Codice di Procedura Penale e l'intero Ordinamento Penitenziario,  commenta la sua scoperta: «Ma, delusione,.tutti gli articoli e codici interni, esterni o benefici, terminano con "a discrezione della direzione carceraria".quindi o per lassismo o per disorganizzazione o menefreghismo o irresponsabilità o per., non bisogna aspettarsi nulla. »

In questo paragrafo vediamo di tracciare un quadro generale della vita che è costretto a vivere un detenuto all'interno delle mura del carcere.







2 Problematiche del vivere reclusi


Uno dei momenti più carichi di emozioni e paure nella vita di un detenuto è la prima volta in cui vengono varcate le soglie del carcere. Improvvisamente si passa dalla vita libera alla vita reclusa, e questo è un cambiamento non facile da vivere.

La prima cosa da subire è la perquisizione, nessuno può sottrarsi a essa, dai reati per spaccio, ai reati finanziari, ai rapinatori di banche, tutti devono lasciare ispezionare il proprio corpo dagli agenti. Non esiste più né intimità né la possibilità di dire un semplice "no", così un detenuto ricorda questo momento: "non si può parlare di umiliazione quando non puoi impedire ad altre mani di frugarti addosso: è qualcosa di molto peggio, allontana i sentimenti"[16].

Dopo aver lasciato le impronte digitali, le foto e i dati anagrafici, viene tolto il denaro, e tutti gli oggetti di valore, l'orologio, la cintura e gli altri oggetti che necessitano di un controllo, infine viene consegnata la fornitura generale (lenzuola, piatti, etc.)[17]. Il medico deve effettuare un controllo generale per verificare lo stato di salute, dopodichè si è pronti per l'ingresso in cella.

Il tragitto da compiere è segnato dall'apertura di numerose porte d'acciaio e dall'immediata chiusura di queste dietro le spalle del detenuto. Ci viene in aiuto quest'altra riflessione: "con passo rassegnato, in una mano il sacco nero e nell'altra quello che mi resta, svuotato in ogni forza, di ogni senso, di ogni cosa, mi lascio accompagnare, come un'ombra, nel serraglio dei cancelli arrugginiti e delle porte chiuse di uno zoo umano.una ad una devo attraversare tutte le sette porte che conducono il mio batticuore in una tragedia maledetta in un teatro in ferro, freddo, innaturale"[18].

Questa è l'accoglienza riservata a chi è costretto ad entrare in carcere, indipendentemente dal motivo per cui sia arrivato lì, senza considerare se sia in attesa di giudizio o condannato ad una vita dietro le sbarre, la legge è uguale per tutti.

Una volta raggiunta la cella a cui è stato destinato, ogni recluso deve affrontare un ulteriore problematica: il sovraffollamento delle stanze e il conseguente annullamento della propria privacy.  Si è in troppi, c'è poco spazio per muoversi, per mangiare, il bagno è in comune e quando «una lo occupa, le altre già si chiedono quanto tempo ci resterà dentro, come se aspettassero che sia occupato per averne bisogno, ma quella che è dentro non sa che le altre devono entrare, e quindi fa le cose con calma, e magari si sofferma anche davanti allo specchio, mentre cresce il nervosismo tra quelle fuori, divise tra la necessità e il fatto che non è bello disturbare qualcuno mentre è in bagno» .

Questa situazione è peggiorata dal fatto che sempre più spesso nelle celle sono presenti persone di cultura, etnia, lingua e abitudini diverse, con conseguenze negative sulla convivenza e sulla comprensione reciproca. L'essere costretti a vivere 24 ore su 24 con più persone in uno spazio ristretto, senza intimità, dovendo ogni momento arrivare a compromessi con chi ha usanze a volte opposte e contrastanti alle proprie causa spesso episodi di intolleranza e  di sofferenza.

Per avere un'idea di questo affollamento riportiamo di seguito i dati riferiti alla regione Emilia Romagna al 30 Giugno 2005.



CAPIENZA

DETENUTI

POSIZIONE GIURIDICA



Regolamentare

PRESENTI

Condannati

Imputati

ISTITUTO

Tipo















D

U

Tot

D

U

Tot

D

U

Tot

D

U

Tot

BOLOGNA

C.C.













CASTELFRANCO EMILIA

C.L.













FERRARA

C.C.













FORLI'

C.C.













MODENA

C.C.













SALICETA S.GIULIANO

C.L.













PARMA

C.C.













PARMA

C.R.













PIACENZA S.LAZZARO

C.C.













RAVENNA

C.C.













REGGIO NELL'EMILIA

C.C.













REGGIO NELL'EMILIA

OPG













RIMINI

C.C.













Totale regione














Fonte: MINISTERO DELLA GIUSTIZIA D.A.P - Ufficio per lo Sviluppo e la Gestione del Sistema Informativo Automatizzato - SEZIONE STATISTICA


All'interno di questo ammassamento spesso non è possibile instaurare veri rapporti di amicizia, e mettersi in gioco dal punto di vista relazionale risulta difficoltoso a causa delle grosse differenze culturali e del malessere comune. Il carcere attua una netta separazione dal mondo relazionale ordinario "l'occasione di ridefinirsi, però, presuppone la presenza di relazioni significative, sulla base della libera scelta, altrimenti prevale l'esperienza di esclusione, di separazione dagli altri"[20].

Questo ci introduce ad un'altra forte problematica: gli affetti. Le relazioni significative sono lasciate fuori dalle mura del penitenziario, spesso ci si allontana dai figli, dal compagno o dalla compagna, dai famigliari, dagli amici, e la comunicazione con queste persone, una volta entrati in carcere, cambia totalmente forma e intensità. Se non si è detenuti in regime speciale, si ha diritto a sei ore di colloqui visivi al mese, di un'ora ciascuno, negli orari e nei giorni stabiliti dalla direzione; durante i quali si possono incontrare al massimo tre famigliari per volta.

In casi particolari (per i quali deve specificare i motivi, in un'apposita richiesta da rivolgere al Direttore) i colloqui possono essere consentiti anche con altre persone.

Ma le dinamiche relazionali sono ben più complesse, e necessiterebbero di qualche attenzione in più, soprattutto per quanto riguarda il rapporto con i figli, i sentimenti e le emozioni in gioco sono intense e dolorose: "Una volta al mese lo vedo perché viene a farmi visita in carcere. Mi dice che non gli piace venire qui, cerco di sdrammatizzare dicendo che anche per me non è il massimo. Incominciamo a parlare (.) mi rende partecipe della sua vita, delle sue emozioni, dei suoi dolori (.) un'ora è volata via, un'ora di colloqui, cosa posso pretendere di dire a mio figlio? (.) amo mio figlio perché è la cosa più sana e più vera che ho avuto nella vita."[21] È necessario riconoscere che qualche piccolo tentativo di migliorare le cose in alcune realtà penitenziarie è stato fatto, ma il problema è talmente intenso e carico di vita che tanto andrebbe ancora pensato e attuato.

Oltre ai colloqui visivi è possibile comunicare con famigliari e conviventi attraverso una telefonata, una volta alla settimana, dopo aver chiesto la necessaria autorizzazione alla direzione, per la quale è necessario attendere alcuni giorni. Così un detenuto sfoga il suo disagio nel parlare al figlio attraverso un telefono: " mi viene sempre molto difficile parlare con mio figlio per via telefonica. Ogni volta che mi accingo a farlo non so mai cosa dirgli e rimango bloccato. Le nostre conversazioni sono sempre le stesse.Come stai? Come va la scuola? Cosa mangi? Fai il bravo? A volte mi sforzo per trovare un argomento di dialogo. Qualcosa che ci possa unire. Ma è troppo il tempo che ci divide!"[22].

Il disagio viene sia dalle modalità con cui sono costretti a comunicare, ma anche e soprattutto dal sentimento di fallimento, di impotenza, di esclusione e anche di timore del giudizio dei figli, che tormentano gli animi di questi genitori "bloccati".

Ancor peggio, sotto questo aspetto, è la condizione dei detenuti stranieri, i quali spesso sono soli nel nostro paese, senza famigliari con cui fare i colloqui e senza telefoni pronti a rispondere alle loro chiamate.

Per loro diventa fondamentale la corrispondenza. Questo ulteriore canale di comunicazione, molto utilizzato anche dai detenuti italiani, presuppone solo la capacità di scrivere, e il possesso di materiale di cancelleria, il quale può essere anche fornito dall'amministrazione penitenziaria. Dal carcere partono e arrivano una grande quantità di lettere, le quali non essendo sottoposte a controlli o censura[23], rappresentano gli ultimi ritagli della propria intimità e del proprio mondo privato.

Così, con semplicità un figlio riprende una comunicazione interrotta con il proprio padre proprio attraverso una lettera: "Caro papà so che oggi per te è un giorno speciale e per tanto ho deciso di farti un regalo, anzi due: interromperò il silenzio che mi sono imposto quando sono stato informato del tuo arresto e ti descriverò, con sincerità, cosa ho pensato in tutto questo tempo (.) questa lettera tienila con te e rileggila spesso, specie la prima parte, soprattutto nei momenti difficili."

Questo distacco dagli affetti, l'impossibilità di avere una intimità famigliare, sembrano essere i principali problemi che un detenuto accusa all'interno della vita reclusa, unito al senso di colpa verso i propri cari, soprattutto verso i figli, queste sono le parole di un padre escluso dalla vita e dalla crescita della propria bambina: "adesso di lei si prende cura sua madre, mia moglie ed i miei genitori, ma io non ci sono e sento un gran senso di colpa (.) Adesso che sono in carcere rifletto sulla mia vita, credo che anche avendo tutti i soldi del mondo, non puoi comprare l'affetto delle persone, non c'è valore al mondo che sostituisca l'affetto di mia figlia, e nessuno può restituirmi gli anni che sto perdendo con lei."[24]

Tra le tante cose stravolte nella vita di chi viene rinchiuso c'è anche il tempo. Tutti i reati, e i crimini commessi, vengono valutati in forma di "tempo da trascorrere" in isolamento dalla società. Il soggetto che si trova recluso vive il suo tempo come un periodo vissuto nell'impotenza: tutto ciò che sperimenta, diventa per lui degradante ed umiliante. Gli anni, i mesi, i giorni, sembrano caratterizzati dalla noia e dall'inutilità.

Le giornate appaiono ripetitive e non sembra ci sia la possibilità di cambiare questa situazione: "mi deprimo all'istante, mi sento ripetitiva e priva di fantasia, allora penso, penso, penso.È passata mezz'ora e non ho partorito idee geniali! Tutto quello che potrei fare, l'ho già fatto! Ci rinuncio! La noia e la monotonia hanno vinto."[25]

A peggiorare la situazione è lo scarso spazio a disposizione, l'impossibilità di vedere i famigliari ogni volta che lo si vorrebbe, e le scarse prospettive verso il futuro reinserimento nella società.

Gli unici momenti pieni della settimana reclusa sono: la scuola, la formazione professionale, il lavoro, le attività culturali e sportive. Queste attività sono pensate sia a favore dell'reintegrazione sociale al termine della pena, sia come parte importante del trattamento[26].

Soprattutto l'attività lavorativa[27] rappresenta una importante occasione, poiché offre la possibilità di apprendere un mestiere che permetta di trovare lavoro una volta usciti dal penitenziario, inoltre, i soldi guadagnati vengono dati al detenuto, in modo che egli possa mantenersi, dare soldi alla famiglia o risparmiarli in modo da poter avere una somma di denaro col quale iniziare una nuova vita dopo la detenzione.

Non meno importante sono le ore d'aria permesse. Ai soggetti che non prestano lavoro all'aperto è concesso di permanere almeno per due ore al giorno all'aria aperta, soltanto per motivi eccezionali tale possibilità può essere ridotta a non meno di un ora al giorno . Non è obbligatorio recarsi all'aperto, ma solo in queste ore è possibile usufruire di alcuni servizi, come l'utilizzo delle docce e del telefono.

Queste ore sembrano essere fondamentali nella monotonia della vita dietro le sbarre: " passano così veloci quelle quattro[29] ore, che sono per ognuno le più piacevoli della giornata, prima di essere definitivamente rinchiuso sino alle ore 9.00 dell'indomani".

Dando uno sguardo a tutte le problematiche individuate ci possiamo rendere conto di come il carcere sia un grande contenitore di disagio, di sofferenza, di uomini e di donne che non hanno rispettato la legge e che ora devono fare i conti con loro stessi e con la società. Tante cose potrebbero ancora essere dette, come per esempio il problema della tossicodipendenza, delle mamme in carcere, dei suicidi, della violenza, ma in queste pagine non volgiamo fare un'analisi dettagliata di tutte le questioni difficili del sistema penitenziario, il nostro scopo è quello di avere un quadro il più generale possibile della vita che ogni detenuto si trova a trascorrere nel periodo della sua reclusione così da capire meglio come la scrittura autoanalitica possa curare e formare questi uomini e queste donne.









M.Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino 1975,  p. 251

Cfr. L. Eusebi (a cura di), La funzione della pena: il commiato da Kant e da Hegel, Giuffrè editore, Milano 1989

Ibidem,  p. 37

Ibidem, p. 62

Cfr. Ibidem, p. 252

Ibidem, p. 253

L'arti 1 della L. 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena di morte prevista dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra, sostituendola con la pena massima prevista dal codice penale.

"Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà."

art. 1 comma 4

Negli istituti devono essere mantenuti l'ordine e la disciplina.

art. 1 comma 3

comma 6 dell'articolo 1

art 15

art. 20

L. Luca, Quasi sessant'anni, una laurea e due valigie Vuitton, «Sosta Forzata», 1, Aprile 2005, p. 10

Mario Visintin, La prima notte.in galera, «Sosta Forzata», 2, Luglio 2005, p. 4

Cfr.  www.ristretti.it

ibidem

Tratto da Le donne detenute scrivono, Patrizia, pagina da www.ristretti.it

A. Lorenzi, Voci da dentro Storie di donne dal carcere, ed. Lavoro, Roma 2004 , p. 12

Nico Giampaolo, Le telefonate con mio figlio, «Sosta Forzata», 1, Marzo 2004, p. 9

Ibidem.

Il magistrato può sottoporre la corrispondenza a censura, in questo caso il detenuto è tempestivamente avvertito.

Edwin, Parole non stupide: affetto, «Soste Forzata», 2, Aprile 2004

Ale, Domenica, in AA VV, Parole oltre il muro, ed. Berti, Piacenza 2005, p. 121

Cfr. Art 15 Ordinamento Penitenziario

Cfr. Art 20 Ordinamento Penitenziario

Cfr. Art 10 Ordinamento Penitenziario

Il numero minimo di ore all'aperto è due,ma la Direzione Penitenziaria può decidere di concedere, come in questo caso, più ore di aria.

Rino Bergonzi, 24 ore su 24: il pomeriggio del Rino, «Sosta Forzata», 2, Aprile 2004

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