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Leopardi e la diffidenza per il secol superbo e sciocco




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Leopardi e la diffidenza per il secol superbo e sciocco



Il tema religioso da parte di Leopardi non viene affrontato esplicitamente, a livello di meditazione o di riflessione sul tema del divino, ma viene indirettamente riproposto facendo riferimento alle ideologie del suo secolo, che assumevano come base l'ottimismo idealizzante dello spiritualismo cattolico e del provvidenzialismo cristiano ( il pensiero manzoniano prima di ogni altro ). L'Ottocento è visto da Leopardi come  secol superbo e sciocco, tempo miope della menzogna filosofica, oscurato da due colpe storiche che contrassegnano la sua cultura.

Innanzitutto è errato l'eccessivo ottimismo riposto dall'800 nel potere della scienza, idoleggiata come attività capace di trasformare la natura a vantaggio dell'uomo e capace di operare quel progresso che estinguerà lentamente il dolore umano e porterà alla felicità. Ma allo stesso tempo è sbagliato l'abbandono della ragione, che sola ha guidato - nell'età illuministica - l'uomo a prendere coscienza della sua negativa condizione. E' sbagliato sostituire la ragione con la fede, assumendo il facile ottimismo dei credenti, fiduciosi nell'elemento provvidenziale e rigeneratore della società.

L'atteggiamento polemico contro il secolo XIX si concretizzò in altri testi poetici di intonazione satirica; la Palinodia al Marchese Gino Capponi, I nuovi credenti, i Paralipomeni della Batracomiomachia.


Alcuni commentatori di Leopardi hanno visto, del resto, nel poeta  un naturale orientamento a cogliere nella poetica dell'idillio e dell'infinito una sorta di intuizione del divino ed una spinta alla ricerca in tal senso. Viceversa, se collochiamo la sua produzione poetica in relazione con le meditazioni dello Zibaldone e delle Operette morali, notiamo una sostanziale fedeltà al tema della filosofia dolorosa ma vera del cosiddetto pessimismo cosmico. La stabilità di tali assunzioni, negatrici di un destino provvidenziale e privilegiato dell'uomo nell'ambito della natura, non conducono tuttavia Leopardi a conclusioni scettiche, egoistiche e vili ( come ad esempio la scelta del suicidio ).


Così nella Ginestra,  testamento spirituale dell'autore, dove si pongono i principi di una nuova coraggiosa morale laica per la società a lui contemporanea. L'uomo, spogliato di ogni illusione, deve riconoscere la sua condizione di inferiorità di fronte alla natura e deve quindi consociarsi, tentando, attraverso la cooperazione e la solidarietà, di rendere meno dolorosa la sua permanenza sulla Terra, rinunciando ad ogni facile ottimismo semplificatore.



G. Leopardi, La ginestra o il fiore del deserto



L'eruzione del vesuvio in una stampa del '600.




Qui su l'arida schiena

del formidabil monte

sterminator Vesèvo,

la qual null'altro allegra arbor né fiore,

tuoi cespi solitari intorno spargi,

odorata ginestra,

contenta dei deserti. Anco ti vidi

de' tuoi steli abbellir l'erme contrade

che cingon la cittade

la qual fu donna de' mortali un tempo,

e del perduto impero

par che col grave e taciturno aspetto

faccian fede e ricordo al passeggero.

Or ti riveggo in questo suol, di tristi

lochi e dal mondo abbandonati amante,

e d'afflitte fortune ognor compagna.

Questi campi cosparsi

di ceneri infeconde, e ricoperti

dell'impietrata lava,

che sotto i passi al peregrin risona;

dove s'annida e si contorce al sole

la serpe, e dove al noto

cavernoso covil torna il coniglio;

fûr liete ville e cólti,

e biondeggiar di spiche, e risonaro

di muggito d'armenti;

fûr giardini e palagi,

agli ozi de' potenti

gradito ospizio; e fûr città famose,

che coi torrenti suoi l'altèro monte

dall'ignea bocca fulminando oppresse

con gli abitanti insieme. Or tutto intorno

una ruina involve,

dove tu siedi, o fior gentile, e quasi

i danni altrui commiserando, al cielo

di dolcissimo odor mandi un profumo,

che il deserto consola. A queste piagge

venga colui che d'esaltar con lode

il nostro stato ha in uso, e vegga quanto

è il gener nostro in cura

dell'amante natura. E la possanza

qui con giusta misura

anco estimar potrà dell'uman seme,

cui la dura nutrice, ov'ei men teme,

con lieve moto in un momento annulla

in parte, e può con moti

poco men lievi ancor subitamente

annichilare in tutto.

Dipinte in queste rive

son dell'umana gente

le magnifiche sorti e progressive.



Qui mira e qui ti specchia,

secol superbo e sciocco,

che il calle insino allora

dal risorto pensier segnato innanti

abbandonasti, e, vòlti addietro i passi,

del ritornar ti vanti,

e procedere il chiami.

Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti,

di cui lor sorte rea padre ti fece,

vanno adulando, ancora

ch'a ludibrio talora

t'abbian fra sé. Non io

con tal vergogna scenderò sotterra;

ma il disprezzo piuttosto che si serra

di te nel petto mio,

mostrato avrò quanto si possa aperto:

ben ch'io sappia che obblío

preme chi troppo all'età propria increbbe.

Di questo mal, che teco

mi fia comune, assai finor mi rido.

Libertà vai sognando, e servo a un tempo

vuoi di novo il pensiero,

sol per cui risorgemmo

della barbarie in parte, e per cui solo

si cresce in civiltà, che sola in meglio

guida i pubblici fati.

Cosí ti spiacque il vero

dell'aspra sorte e del depresso loco

che natura ci dié. Per questo il tergo

vigliaccamente rivolgesti al lume

che il fe' palese: e, fuggitivo, appelli

vil chi lui segue, e solo

magnanimo colui

che sé schernendo o gli altri, astuto o folle,

fin sopra gli astri il mortal grado estolle.


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