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LEONARDO SCIASCIA - Il giorno della civetta




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Leonardo sciascia         

Il giorno della civetta


Leonardo Sciascia, scrittore e grande sociologo, scrisse nel 1960 il giallo "Il giorno della civetta", la cui pubblicazione ritardò però di un anno, durante il quale egli lo rese più corto, non tanto per dare "misura, essenzialità e ritmo" quanto, come lui stesso dichiara, "a parare le eventuali e possibili intolleranze di coloro che dalla rappresentazione potessero ritenersi, più meno direttamente, colpiti".

L'autore, nativo di Racamulto, presso Agrigento, fu sempre sensibile ai problemi e alle istanze sociali del suo paese; egli, infatti, vide nascere e crescere la realtà della mafia, di cui si occupò subito con grande interesse, ne studiò ogni dettaglio fino a darne una definizione: "un sistema che in Sicilia contiene e muove gli interessi economici e di potere di una classe che approsimativamnte possiamo dire borghese; e non sorge nel "vuoto" dello Stato, ma dentro lo Stato". Il breve giallo è dunque un complesso e avvincente racconto, ma specialmente un esempio concreto di questa definizione, il risultato di un'analisi attenta e quanto più oggettiva e ancora una novità nel mondo letterario, mai toccato da un tema sociale simile.

Ambientato negli anni 60, periodo quindi infuocato per la Sicilia di fronte a quella realtà negata e trascurata dal Governo, il romanzo si costruisce su un omicidio di un proprietario di un'impresa edile dagli affari onesti; le indagini si prospettano fin da subito complesse e la risoluzione del caso, pur sembrando semplice e chiara, si rivelerà pressoché impossibile. Infatti, trattandosi con tutta probabilità di una mossa mafiosa, la perizia del capitano emiliano incaricato per le indagini pare inerme contro le organizzazioni locali e quindi intoccabili "protezioni" di cui godono gli imputati. Nel frattempo le vittime salgono a tre: un presunto testimone e un confidente che parla troppo, il quale aveva già fornito in precedenza un nome alla polizia e, in articulo mortis, una confessione epistolare verso un "galantuomo" di paesana saggezza e a cui, peraltro, non mancava niente, dalla a di abigeato alla z di zuffa. L'ufficiale Bellodi, dopo aver consegnato la sua ricostruzione dei fatti basata su interrogatori e rilevamento di testimonianze, torna nella sua città, la tranquilla Parma, e mentre racconta agli amici sull'affascinante clima di corruzione e mafia siciliano, là il lavoro viene smontato e ne viene fornita una soluzione più "comoda", studiata e organizzata dai "padroni invisibili" della bella Sicilia. 

Tutte queste manovre politiche hanno come sfondo piccole cittadine di cui viene omesso il nome, vicine alla "capitale" della bella Sicilia, donna anche lei: misteriosa, implacabile, vendicativa, ritenuta, da alcuni, unica ad aver goduto la salita al potere del fascismo. L'omicidio su cui è costruito il racconto viene perpetrato in S., un vecchio paese con case murate in gesso, con strade ripide e gradinate, presso la Piazza Garibaldi, ma la polizia si sposta nei vicini distretti di C. e B.

L'autore delinea a brevi tratti l'ambiente, con descrizioni rapide, accennate durante tutto il racconto. La stagione probabilmente si avvia alla primavera, con giornate fredde ma luminose che lasciano scorgere un paesaggio nitido, ricco di alberi, campi, rocce ma anche zone pietrose, insiemi di grotte, di buche, di anfratti dove si svolgono soprattutto i segreti movimenti mafiosi e il chiarchiaro ne è un esempio. Sono pochi, comunque, i riferimenti all'ambiente; la vicenda si svolge tra le strade e piazze cittadine, corrisposte da luoghi chiusi come uffici e carceri di cui non si ha descrizione, se non per un convento, sede del Comando di Compagnia; talvolta lo scenario viene poi trasferito a Roma, sede del Governo, all'interno di bar lussuosi, frequentati dai politici oppure tra le stanze immense del Parlamento.

La mancanza di chiari riferimenti geografici di deve probabilmente al fatto che molti dei fatti narrati sono realmente accaduti e lo scrittore, non potendo godere della libertà solita alla sua categoria per motivi politici, non azzarda agganci alla realtà. Medesima si riflette la questione per i personaggi, tutti vissuti in quegli anni e il cui nome viene naturalmente falsato.

Vittima dell'omicidio che rompe l'equilibrio fin dalle prime pagine è Salvatore Colasberna, grande e onesto lavoratore che da dieci anni gestiva un'impresa edile con i due fratelli, poco disponibili verso la polizia locale. Il capitano Bellodi, comandante Compagnia di C., rappresenta una sorta di protagonista, essendo descritto con precisione e dettaglio, anche se indirettamente, e analizzato nei comportamenti. Egli, emiliano di Parma, per tradizione famigliare repubblicano e per convinzione, ha un passato da partigiano e si trova in Sicilia da tre mesi; giudicato continentale e dalle radici comuniste, ha già concentrato su di sé il dispetto e la contrarietà delle maggiori personalità mafiose specialmente per quel suo amore verso la legge repubblicana, nata dalla rivoluzione per cui lui stesso aveva combattuto. Il giovane, alto e di colorito chiaro, biondo e ben rasato, si presenta elegante e educato, molto disponibile e paziente; il suo modo di comportarsi, pacato e amichevole, assai diverso dal costume siciliano, mentre in un primo tempo indispettisce chi ha di fronte, gli permette poi, con astuzia, accortezza e ingegno, di ottenere ci che desidera, lasciando di sé un'immagine piacevole e affidabile. Egli si rivolge alle persone, chiunque esse siano, con un tono che non faceva pesare il disprezzo, confidenziale e tranquillo.

Assai diverso pare il collega, maresciallo Arturo Ferlisi, impulsivo e poco diplomatico; egli, meridionale di nascita, sembra non amare sottostare agli ordini di un nordico per cui nutre minima fiducia e il suo comportamento irascibile e aggressivo emerge soltanto nei riguardi di persone di poco conto, su cui lui può comandare, mentre, smarrito e titubante, cerca di evitare le questioni con persone conosciute, mafiosi e con debiti giudiziari.

Nell'intricata vicenda rientrano anche altri personaggi: la seconda vittima, Paolo Nicolosi, di mestiere potatore, uomo onesto e gran lavoratore, il confidente di S., Calogero Dibella o Parrinieddu, mediatore di prestiti e usure, dal carattere debole, poco fiducioso e insicuro e pertanto facilmente corrompibile dalla polizia, Diego Marchica, primo sospettato, conosciuto come delinquente abilissimo e accorto, violento e impulsivo, ma che si dimostra piuttosto ingenuo cadendo come in pentola un cappone in un tranello organizzato dai marescialli. Altri imputati, Pizzucco e don Mariano Arena, insieme con personalità del governo come l'onorevole Livigni, il ministro Mancuso e diversi anonimi, pur essendo implicati nel caso entrano in scena in dialoghi e interrogatori, rivelandosi i veri e propri responsabili, mandanti dei delitti, sebbene rimangano nell'ombra e non vengano scoperti.

Nel complesso, il romanzo, composto interamente in stile siciliano, si presenta articolato e intricato. La struttura del periodo è per la maggior parte ipotattica e viene costruita secondo la tipica dialettica locale; spesso il soggetto si trova in fondo alla frase, numerosi si contano gli incisi e le apposizioni, ricca e complessa è anche l'aggettivazione.

Le sequenze narrative prevalgono su quelle descrittive, rare e concise, e su quelle riflessive, in cui spesso si riflettono i pensieri e gli ideali del capitano emiliano che mettono in luce significativamente la diversità di culture, costumi e modi di fare dei due mondi, più che mai lontani nel dopo guerra.

La terminologia, non certo semplice e lineare, si presenta studiata e attenta, punteggiata talvolta da espressioni unicamente siciliane che rendono il racconto vario ed equilibrato, nonostante la lettura rimanga complessa e impegnativa. 

A livello retorico, assai frequenti sono le similitudini che riproducono immagini molto significative e concrete, in grado di colpire il lettore e attirarne l'attenzione. Questo sovente sono associate a stati d'animo, ad esempio l'angosciante paura del confidente che gli stava dentro come un cane arrabbiato: guaiava, ansava, sbavava. o la fredda astuta violenza di un anonimo personaggio che talvolta si ritira in lui come il mare dalla riva, lasciando alla sabbia degli anni vuoti gusci di saggezza, in cui ci sono anche immagina metaforiche, o ancora lo spirito del capitano di fronte ad un imputato astuto e accorto che lo accosta ad un cane costretto a seguire il camino del cacciatore attraverso una pietraia arsa, dove non stinge la più tenue traccia di selvaggina. I richiami astratti sono numerosi, creati con molta maestria e attenzione: ad esempio, piacevole appare l'immagine della notte che la gelida luce dei fiori faceva ancora più vasta e misteriosa, uno sconfinato antro di splendenti schisti e di candenti apparizioni o, all'interno del Parlamento, l'atmosfera ombrosa simile a quando le nuvole, spinte dal vento del Sahara, raccogliendosi in un lento ribollire, filtrano luce di sabbia e d'acqua, immagini entrambe metaforiche che calando meglio il lettore nell'ambiente, lasciandolo colpito da note magiche e incantevoli che "levano" dal clima crudo e corrotto cui si contrappongono.

L'opera, decisamente complessa e articolata, si rivela un vero capolavoro: un tema sociale "impegnato" ma soprattutto acceso da polemiche, malcontenti e, concretamente sconvolto da delitti frequenti e inspiegabili, si immerge nella quotidianità di una terra affascinante e caratteristica e si colloca, inoltre, in un periodo storico molto particolare: il dopo guerra. Nasce così una singolare contrapposizione tra l'Italia del nord, profondamente segnata dalla guerra e devastata da un clima sconfitta, facilmente percepibile dai pensieri del capitano emiliano, e quella del sud, che con il fascismo ha trovato la sua libertà, come pensa Bellodi, e che pare estranea alla rivoluzione partigiana. Ma non solo. Ancora più forte appare il contrasto tra chi vede crescere e agire la mafia nel proprio paese e chi, come il Governo stesso che, pur disponendo di tutte le informazioni necessarie ed essendone perfettamente consapevole, nega il fenomeno o quanto meno pare non preoccuparsi, non volere mettere alla luce quella che potrebbe costituire una "macchia" per tutto il paese, anche il loro, pulito e volto ad una risalita, nascondendosi dietro ad una negazione spudorata quanto assurda di tutto ciò.

Ancora più suggestivo nasce il confronto tra mentalità siciliane e continentali, profondamente diverse e lontane; l'ordine, l'eleganza e le attenzioni nordiche si trasformano in veemenza, violenza e passionalità meridionali da cui ne scaturiscono comportamenti totalmente differenti, incompatibili e molto lontani. Infine emerge forte e caratteristico anche il "guazzabuglio" di persone che, per dirla come Don Mariano Arena, si dividono in uomini e mezz'uomini, ominicchi, piglianculo e quaraquaquà; l'autore, creando un intreccio di persone, mette in luce come il clima della sua terra sia teso e ombroso, dominato da sotterfugi e inganni, delinquenti e mafiosi nell'ombra intoccabile e imprendibile di ominicchi, che sono come i bambini, scimmie che fanno le stesse cose dei grandi.

All'interno del romanzo s'intreccia dunque un singolare gioco di contrapposizioni significative e motivate, contrasti e opposizioni, da cui filtra, a ritagli, la disillusione, ma anche la tenacia dell'autore, che crede in una risoluzione ma che non si lascia ingannare da un'apparenza voluta e insignificante.


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