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Il Latino e il francese hanno una presenza fortissima nella prosa che si produce in Italia nel 200; e tutti coloro che si impegnano a definire e a costruire le forme di una prosa italiana trovano in queste lingue continue occasioni di confronto. Opere di successo della letteratura latina e francese vengono tradotte con grande frequenza ma la tradizione manoscritta ci ha fatto perdere gran parte degli esperimenti compiuti in dialetti diversi dal toscano. Nella traduzione di libri in volgare ci si preoccupa solo ed esclusivamente dei contenuti. Una stretta associazione tra gli intenti comunicativi e artistici comporta invece la prosa più alta che si lega all'esercizio della retorica e che mira a trasferire nel volgare la dignità stilistica del latino. Grazie a tale confronto con il latino classico il volgare diviene cosciente di poter esprimere e comunicare tutto ciò che è essenziale per la vita degli uomini, di poter acquisire una sua universalità. Molte traduzioni non si presentano esplicitamente come tali; molte sono costruite come liberi rifacimenti. La distinzione tra versione e originale sfugge alla comune coscienza culturale del tempo: a questa, infatti il sistema della scrittura appare come qualcosa di oggettivo, impersonale e omogeneo, a cui si può attingere senza farsi troppi scrupoli di fedeltà e omogeneità. Nella prosa volgare in massima parte si incarnano in racconti.
La cultura ha bisogno di comunicare e istruire raccontando, ma la materia che essa rappresenta è in genere già tutta sistemata e interpretata, filtrata da schemi che non lasciano spazio all'invenzione o al caso.
La tendenza enciclopedica della cultura medievale è sempre pronta a raccogliere e ad accumulare frammenti delle più svariate conoscenze e a raggiungere nel XIII secolo il più alto grado di sistematicità. Si compongono allora delle summae, opere che organizzano in un rigido ordine la pluralità delle nozioni in cui si risolve il sapere universale.
La prima vera summa in volgare toscano fu la composizione del mondo con le sue cascioni, in due libri di Ristoro d'Arezzo intende accumulare tutte le conoscenze che riguardano la natura e il cosmo. I cultori di scienze e di tecniche particolari elaborano invece una trattatisca direttamente tecnica in latino.
Un'altra traduzione medievale che si prolunga nel XIII secolo e quella delle storie universali in latino, che partendo dall'origine del mondo accumulano le notizie più diverse ricavate da fonti più disparate, senza alcun controllo critico. Le cronache raccontano eventi riguardanti città e si dilungano soprattutto su fatti recenti. Molte quelle in latino dedicate a eventi e situazioni di grande risonanza: numerosi soprattutto i cronisti meridionali che raccontano le vicende di Federico II o dei vespri siciliani. Un caso a sé, tra le cronache latine è costituito dalla Cronica scritta nella vecchiaia da Salimbene de Adam da Parma, entrato fin da giovane nell'ordine dei frati minori, narra soprattutto gli eventi verificatosi durante la sua esistenza utilizzando ricordi personali, voci, memorie, credenze e giudizi correnti (specie nell'ambiente francescano). Forte è la sua dedizione ai particolari più elementari e minuti dell'esistenza. Cronache in volgare vengono invece redatte, nella seconda metà del secolo nella toscana comunale: sembrano voler semplicemente annotare i dati salienti della vita pubblica.
Il lungo viaggio in oriente del veneziano Marco Polo ebbe luogo dopo un precedente viaggio compiuto dal padre Niccolò e dallo zio, mercanti in oriente, che avevano raggiunto la corte di Qubilai (il gran Khan), imperatore della dinastia gengiskhanide e sovrano di gran parte dell'Asia. Dopo il loro ritorno a Venezia, i due mercanti ripartono nel 1271 per l'Asia portandosi con se il giovane Marco, con una missione da parte del papa Gregorio X. Nel suo lungo soggiorno alla corte del gran Khan , Marco si inserì nella gerarchia feudale mongola, divenendo un uomo di fiducia dell'imperatore e percorrendo a più riprese la Cina e altre regioni di quel continente, con vari compiti. Torna a Venezia nel 1295 e fu più tardi fatto prigioniero dai genovesi. In queste prigioni incontrò Rustichello da Pisa, autore di romanzi in prosa in lingua d'oil. Da questo incontro e dal racconto orale di Marco, che Rustichello trascriveva fedelmente in francese, nacque l'opera intitolata Le divisament dou monde (La descrizione del mondo); la scelta del francese fu determinata oltre che dall'esperienza di Rustichello anche dall'intenzione di far circolare l'opera in un ampio spazio di cultura laica, moderna, internazionale. Tornato a Venezia nel 1299, Marco si occupò della diffusione del libro, trascritto e tradotto in lingue diverse.
Il titolo di Milione appare nella più antica redazione toscana, che risale all'inizio del '300 ed è quella adottata dalle moderne stampe italiane.
L'opera inizia con una sistematica descrizione dei diversi paesi d'oriente, a volte anche accompagnate dalla narrazione di eventi reali o leggendari che lo riguardano; la parte centrale è dedicata alla descrizione della corte del Gran Khan e del suo impero, e all'esposizione delle vicende storiche e militari di cui è stato al centro.
Al fascino del Milione concorre lo stesso ritmo con cui si passa da paese in paese, da una situazione all'altra: le formule di passaggio sono sempre simili e spesso addirittura identiche tra loro, fanno pensare alle moderne guide di viaggi. Incrociando costantemente informazione e racconto, il libro riferisce con ferma sicurezza le cose vedute e le cognizioni; e inscrive una materia e un universo tanto lontani nei confini del già noto, facendo frequenti richiami ai valori religiosi, cavallereschi, mitici, economici della cultura occidentale medievale, spesso nel ritrarre quei lontani paesi, il milione utilizza moduli della letteratura cortese, abituata a guardare l'oriente attraverso filtri della leggenda; ma allo stesso tempo apre squarci verso una realtà geografica e culturale prima sconosciuta.
Il milione offre così un capitale modello letterario del viaggio e della conoscenza geografica.
Per la stessa immensità delle distanze, per la varietà dei luoghi, costumi, credenze, civiltà, il mondo percorso da Marco diventa qualcosa di inafferrabile e sfumato.
La scrittura del Milione quindi non può essere vista come espressione di una visione mercantile. Il milione non ci parla con il linguaggio della cultura borghese ma con quello della cultura cortese romanza. Con esso la cultura comunale e feudale si apre a uno sguardo insieme esitante e curioso, ingenuo e attento, verso culture e società lontane. Questo sguardo crede spesso di scoprire, in quei mondi così diversi, valori assai simili a quelli prevalenti in Occidente.
Col milione l'avventura reale vissuta da Marco diventa componente essenziale dell'immaginario europeo.
Notevole spazio e diffusione ebbe la prosa di divulgazione morale, piena di insegnamenti che dovevano additare il retto comportamento nella vita sociale, familiare e individuale: essa era legata alla dominante prospettiva cristiana, ma non si riferiva in modo esclusivo all'esperienza religiosa; tendeva infatti a fornire norme e modelli da realizzare anche nell'esistenza quotidiana più pratica e laica.
Il trasferimento del romanzo cortese in italiano avvenne soltanto attraverso la prosa, che poneva minori problemi compositivi rispetto alla poesia. Si volgarizzano e si adattano numerosi romanzi o opere che inseriscono racconti ed exempla entro cornici o situazioni più ampie, atte a motivare quelle narrazioni.
Determinante per lo sviluppo della novella è anche il rapporto con le fiabe popolari e coi racconti orali delle brigate aristocratiche e cittadine, che incarnano il gusto della parola precisa e graffiante, sempre più svincolata da destinazioni morali.
Il narrare breve manifesta una crescente autonomia, come testimoniano le circa 100 novelle del cosiddetto Novellino, una raccolta di ambiente fiorentino (1280-1300) .Un breve prologo sottolinea che la materia della raccolta è costituita da "alquanti fiori di parlare, di belle cortesie e di belli riposi e di belle valenti e di belli donari e di belli amori"; essa viene destinata ai cuori "gentili e nobili", per fornir loro occasione di " argomentare dire e raccontare" a vantaggio di "coloro che non sanno e desiderano sapere". Il libro viene dunque presentato come un repertorio di gesti, atti e parole che i nobili e i gentili possono riprendere e imitare per dilettare gli altri; e questi gesti possono fornire piacere proprio perché sono signorili e degni, peculiari di cuori e intelligenze superiori.
Le singole novelle molto brevi e rapide tendono a mettere in luce proprio i fiori indicati nel prologo: più che intrecciare eventi, preferiscono creare ogni volta una scena risolutiva in cui si impone l'esemplarità di un'azione o di un detto. È fittissima la presenza di temi feudali e cavallereschi, derivati dai testi francesi e dalle versioni cortesi della storia antica.
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