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Tesina d'esame di stato
La poetica di Fabrizio De Andrè
Mappa concettuale degli argomenti e delle materie trattate:
Introduzione alla tesina.
La vita di Fabrizio Cristiano De André.
Il poeta dell' emarginazione:
FILOSOFIA - De Andrè,un anarchico.
ITALIANO - Il tema della Città Vecchia, da Saba a De Andrè.
STORIA DELL'ARTE - La rappresentazione dell'emarginazione: Picasso e De Andrè.
Il contesto storico e il senso di Storia di un impiegato:
STORIA - De Andrè e il Sessantotto.
La particolarità dell' album Non al denaro, non all'amore né al cielo:
INGLESE - Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters.
Introduzione alla tesina.
Per cominciare, la domanda sorge spontanea: perché partire da Fabrizio De Andrè per la propria tesina?
Posso dire di aver scelto questo poeta, chitarrista, cantante, anarchico, insomma questo uomo poiché è stato presente in quasi tutti gli anni della mia vita, anche se me ne sono accorto davvero da poco.
Da bambino ascoltavo senza prestare la giusta attenzione i dischi di questo cantante genovese, le cui note si diffondevano in tutta la casa, ma soprattutto in macchina, secondo il volere dei miei genitori.
Più tardi, quando già il corpo del grande poeta era stato sepolto da qualche mese accanto ai suoi familiari, iniziai ad associare le canzoni note di quando ero bambino a quel personaggio, conosciuto solo grazie alla sua morte.
A quel punto il mio interesse è aumentato a poco a poco sempre di più per giungere alla scelta di ricordarlo, nel decennio dalla sua scomparsa, nella mia tesina.
I testi di De Andrè sono così diventati per me sempre più conosciuti e ho iniziato ad apprezzare testi che qualche anno fa sentivo, anche sotto forzatura della maestra delle elementari che tanto ci aveva fatto ascoltare per esempio "Volta la carta" o "Sand Creek".
Così a Fabrizio De Andrè, per le sensazioni che ogni volta regala e per la voglia che in me provoca di voler davvero ragionare con la mia testa, così come per una vita ha fatto lui, dedico questa tesina.
Uno scritto molto semplice che si focalizza
principalmente intorno alle sue idee con alcuni riferimenti ai testi che
proprio per esse lo resero celebre. De Andrè racconta una realtà di cui
personalmente mi sento il frutto,
Nei testi troviamo tante cose positive ma sopratutto tante cose negative. De Andrè racconta dei poveri e della miseria, racconta di un mondo a cui lui non apparteneva, ma proprio per le sue idee anarchiche gli stava a cuore, e di tutto ha fatto per renderlo noto. Nelle canzoni Fabrizio è riuscito a rendere al meglio l'atmosfera dei carruggi genovesi, che a distanza di quarant'anni non sembra essere cambiata.
Sono sue queste parole: «Quando durante la guerra ero sfollato in Piemonte, Genova per me era un mito. A cinque anni la vidi per la prima volta e me ne innamorai subito, tremendamente. Genova per me era come una madre. E dove ho imparato a vivere. [.] Oggi mi pare che Genova abbia la faccia di tutti i poveri diavoli che ho conosciuto nei carruggi, gli esclusi che avrei poi ritrovato in Sardegna, ma che ho conosciuto per la prima volta nelle riserve della città vecchia, le 'graziose'di Via del Campo e i balordi che, per mangiare, potrebbero anche dar via la loro madre. I fiori che sbocciano dal letame. I senzadio per i quali chissà che Dio non abbia un piccolo ghetto ben protetto, nel suo paradiso, sempre pronto ad accoglierli.» Comincerei la mia tesina parlando brevemente della sua vita, senza soffermarmi troppo sugli innumerevoli testi e dischi prodotti, per poi passare ad analizzare approfonditamente il suo pensiero.
La vita di Fabrizio De André.
Fabrizio Cristiano De André nacque a Genova Pegli il 18 febbraio 1940.
A causa della guerra trascorse i primissimi anni della sua vita nella
casa di campagna di Revignano d'Asti, in compagnia della madre, mentre il padre
fu costretto alla macchia per sfuggire ai fascisti che lo braccavano.
Come ha raccontato la madre, «Fabrizio
era felicissimo di correre per i campi, di seguire i contadini nel lavoro, di
andare a caccia con loro. Finita la guerra eravamo tutti felici di ritornare in
città. Lui era disperato. Fu una dura sofferenza per lui, abituato com'era a
correre libero per i prati. Fin da
piccolo non sopportava di veder la gente soffrire. Quando uscivamo insieme,
ogni volta che incontravamo un mendicante mi obbligava a fermarmi e a dargli
dei soldi».
Al termine del conflitto, la famiglia ritornò a Genova. Fabrizio fu così iscritto
alla prima elementare. Fabrizio non amava molto studiare, e il rapporto con le monache
non era certo idilliaco, così i suoi decisero di iscriverlo per l'anno
successivo a una scuola statale.
Nel 1948 avviene un incontro fondamentale nella vita di De Andrè, conobbe
infatti Paolo
Villaggio. I due simpatizzarono da subito, ma i sette anni di
differenza non permisero allora che quella simpatia sfociasse in una vera e
propria amicizia. Paolo e Fabrizio si persero così di vista per ritrovarsi solo
una decina di anni dopo.
Nel 1951 Fabrizio iniziò le medie, attratto com'era dal gioco e dalla vita di
strada, non mostrava miglioramenti nell' interesse allo studio, tanto da rimediare
una bocciatura. «Dopo le medie - ha raccontato
ancora la madre - si iscrisse al liceo classico che frequentò regolarmente fino
alla licenza. Non faceva proprio nulla per prendersi un bel voto, gli bastava
la sufficienza. La sua passione era sempre la musica. Aveva avuto in regalo una
chitarra e non la lasciava mai, neppure quando andava in bagno. Incominciò a
scrivere qualche canzone, a cantarla».
Durante gli anni del liceo suo padre portò dalla Francia due 78 giri di Georges
Brassens. Dall'incontro col grande cantautore francese, Fabrizio
ricavò stimoli per la lettura di autori anarchici che non abbandonerà più: Bakunin,
Malatesta, Kropotkin, Stirner. Inoltre, nel mondo cantato da
Brassens, egli ritrovava quei personaggi così umili e veri che vivevano nei carruggi
della sua città e che troveranno spazio, comprensione e dignità nelle sue
canzoni.
De André si iscrisse anche all'università, senza mai laurearsi. Le sue giornate
trascorrevano infatti tra musica, letture (Dostoevskij, Bakunin e Stirner) e,
soprattutto, serate in strada. Affermerà in seguito, ricordando quel tempo: «Ebbi ben presto abbastanza chiaro che il mio
lavoro doveva camminare su due binari: l'ansia per una giustizia sociale che
ancora non esiste, e l'illusione di poter partecipare, in qualche modo, a un
cambiamento del mondo. La seconda si è sbriciolata ben presto, la prima
rimane.»
Nel 1962 sposò Enrica Rignon (detta Puny) e nello stesso anno nacque il figlio Cristiano.
Fabrizio aveva appena ventidue anni, una famiglia e, più che un lavoro, un
hobby poco redditizio. Ma una svolta nella sua carriera si verificò nel 1965,
allorché Mina
interpretò una sua composizione, La canzone di Marinella, che immediatamente si
impose all'attenzione generale. "Mi
arrivarono seicentomila lire in un semestre (per quegli anni una somma davvero
considerevole), - dichiarò Fabrizio in un'intervista - allora ho preso armi e
bagagli e ci siamo trasferiti in Corso Italia, che era un quartiere chic di
Genova. Da quel momento, cominciai a pensare che forse le canzoni m'avrebbero
reso di più e, soprattutto, divertito di più'.
Nel 1977, dall'unione con Dori Ghezzi
(la cantante milanese alla quale si era legato dopo la separazione dalla prima
moglie), nacque Luisa Vittoria, detta Luvi.
Due anni dopo, Dori e Fabrizio furono sequestrati e rimasero prigionieri in
Sardegna dell'Anonima per quattro mesi. La drammatica esperienza non cancellò
tuttavia l'amore di Fabrizio per la sua terra d'adozione; tant'è vero che non
vi è traccia di rancore nelle dichiarazioni da lui rilasciate dopo la
liberazione: «I rapitori - disse - erano
gentilissimi, quasi materni. Ricordo che uno di loro una sera aveva bevuto un
po' di grappa di troppo e si lasciò andare fino a dire che non godeva certo
della nostra situazione.»
Nel
Nel 1984 uscì Creuza de mä un disco che evoca
suoni, profumi, voci, odori e sapori di tutto il Mediterraneo, ma è 'un
canto d'amore a Genova', la sua terra.
L'anno successivo Fabrizio fu colpito da un grave lutto: all'età di 72 anni
moriva infatti suo padre, uomo influente e assai noto a Genova. In
un'intervista all'amico Cesare G. Romana dirà: 'Il problema non è che gli volevo bene, perché questo non finisce. Il
problema è che lui ne voleva a me'. Pochi anni dopo morì anche il
fratello Mauro, colpito da aneurisma. Fabrizio fu naturalmente scosso dalla
terribile notizia.
Il 3 gennaio 1995, all'età di ottantatre anni, venne a mancare la madre Luisa,
unica della famiglia a morire di vecchiaia.
Nell'estate del 1998 fu costretto a interrompere il tour di Anime Salve, la tac non lasciava
speranze: tumore ai polmoni. Appena pochi mesi dopo, l'11 gennaio 1999,
Fabrizio moriva a Milano, dov'era ricoverato, assistito sino all'ultimo momento
dai suoi cari.
Una folla commossa, di oltre diecimila persone, ha seguito i suoi funerali,
svoltisi il 13 gennaio nella Basilica di Carignano, a Genova. Su quel mare di
umanità svettavano la bandiera del Genoa (la sua squadra del cuore) e quella
anarchica (a testimonianza e ricordo del suo 'credo' politico, o meglio
del suo 'modo d'essere'). Al
cimitero di Staglieno, nella cappella di famiglia, 'abita eterno'.
FILOSOFIA - De Andrè,un anarchico.
Analizziamo ora un lato molto importante degli ideali di De Andrè senza il quale nemmeno tutti i suoi dischi sarebbero comprensibili: il suo pensiero anarchico.
L'anarchia in Fabrizio nacque fin da quando era un fanciullo. Egli infatti disse: « Se sono, più modestamente, un anarchico è perché l'anarchia, prima ancora che un'appartenenza è un modo di essere. Lo ero fin da bambino, quando preferivo giocare con le biglie e, in anticipo sul mio mestiere futuro, inventare parolacce, per strada, con una banda di compagni, piuttosto che stare in casa a fare il signorino di buona famiglia, quale comunque io ero, e sono rimasto per tanto tempo, vivendo sulla mia pelle la drammatica schizofrenia di chi abita contemporaneamente da entrambi i lati di una barricata. Fu grazie a Brassens che scoprii di essere un anarchico. Cominciai a leggere Bakunin, imparai che gli anarchici sono dei santi senza Dio, dei miserabili che aiutano chi è più miserabile di loro. Intanto da Bakunin ero passato a Stirner, e da una visione collettivistica ne scoprii una più individualistica: dopo tutto, ci vuole troppo tempo a trovare gente con cui vivere le mie idee e così, me la vivo da solo. Anarchico non è un catechismo o un decalogo, tanto meno un dogma, ma è uno stato d'animo, una categoria dello spirito.»
Queste parole inquadrano perfettamente ciò che secondo De Andrè fu, come la chiamò lui, la signorina anarchia. De Andrè, in parte con l'aiuto di De Gregori, non ebbe paura di scagliare frecce avvelenate contro i miti del perbenismo, l'indistruttibilità del potere e le varie facce di quella civiltà borghese nella quale lui stesso è nato. L'ideale anarchico di Faber fu in continua evoluzione, egli infatti con gli anni sovrappose all'icona del populista Bakunin, quella del solitario e tormentato di Max Stirner.
Vorrei definire dunque quello che fu il pensiero anarchico da cui De André trasse i suoi ideali.
Il termine "Anarchia" deriva da anarchos cioè "senza superiore", si ricerca la condizione positiva del non avere governo perché il governo non è necessario al mantenimento dell'ordine.
Nel 1840 Proudhon pubblicava un libro con il quale si faceva portavoce del pensiero libertario, Che cos'e la proprietà?, in cui scrisse che «la proprietà è un furto» e rivendicava per primo a se stesso il termine anarchico. Proudhon era convinto che nella società operi una legge naturale d'equilibrio , che respinge l'autorità come nemica e non già amica dell'ordine, facendo così ricadere sui fautori del principio autoritario le accuse già rivolte agli anarchici.
Molti furono gli anarchismi, ma a noi interessano in linea generale i tratti comuni, i quali furono, per esempio, un sistema di pensiero sociale mirante a cambiamenti radicali della società e in particolare il tentativo di sostituire lo stato autoritario con qualche forma di libera cooperazione tra gli individui.
Per chiarire ulteriormente ciò che realmente fu l'anarchia bisogna distinguerla dal nichilismo. Il nichilista infatti non crede in nessun principio morale, in nessuna legge naturale. L'anarchico, invece, crede in un impulso tanto forte da tenere unita la società con i liberi e naturali vincoli della fratellanza umana.
E i sistemi non furono neanche mai quelli della violenza. Proudhon infatti ammetteva una pacifica proliferazione di organizzazioni cooperative. Bakunin , benché combattesse in molte barricate ed esaltasse il carattere sanguinario delle insurrezioni contadine, ebbe anche momenti di dubbio, in cui osservava che le rivoluzioni cruente sebbene necessarie sono sempre un male mostruoso e un grande disastro, non solo per le vittime, ma anche per ciò che concerne la purezza e la perfezione dell'idea nel cui nome avvengono. Notiamo dunque che come in ogni movimento, sebbene di impronta pacifista e collaborazionista, si siano infiltrate al suo interno falangi estremiste che mirano a ribaltare il potere, piuttosto che eliminarlo come istituzione. La parola violenza va associata con attenzione dunque al termine anarchia.
Un altro luogo comune da sfatare è l'odio anarchico verso i ricchi. L'anarchico non detesta i ricchi, ma la ricchezza, il ricco è vittima della sua stessa opulenza non meno di quanto il povero lo sia della sua miseria.
La dottrina anarchica cambia continuamente, non sono mai stati fissati dei punti teorici inamovibili.. I principi anarchici fondamentali, che danno tanta importanza alla libertà e alla spontaneità, precludono in partenza la possibilità di una organizzazione rigida o di un partito che miri alla conquista del potere. Proudhon scrisse che «tutti i partiti senza eccezione, nella misura in cui si propongono la conquista del potere, sono varietà dell'assolutismo». Inoltre Bakunin, a proposito delle rivoluzioni, scrisse: «Le rivoluzioni non le fanno né gli individui né società segrete. Nascono in certa misura automaticamente, le producono la forza delle cose, la corrente degli eventi e dei fatti. Si creano a lungo nella coscienza delle masse e poi esplodono improvvisamente.»
Nel corso degli anni la dottrina anarchica di De Andrè si accostò a quella di Max Stirner, passando così da idee più prettamente collettivistiche, di stampo bakuniniano, a idee più individualistiche, di matrice stirneriana. Max Stirner predicò l'affermazione dell'Io e vagheggiò un'unione di egoisti, tenuta insieme dal rispetto reciproco per la libertà di ciascuno.
Per concludere possiamo affermare che in comune comunque le varie scuole anarchiche hanno una concezione naturalistica della società: non credono che uomo sia buono per natura, ma che esso per natura sia sociale. Non deve esistere una pietrificazione nelle leggi, i rapporti tra le persone vanno sanciti tra i membri stessi e da un complesso di usanze e costumi. Coloro che tentano di imporre legge agli uomini che sono per natura invece sociali sono i veri nemici della società; mentre l'anarchico è il vero uomo sociale, egli si sforza di ristabilire il naturale equilibrio della società. Quasi tutti gli anarchici per questi motivi rifiutano l'idea russoiana di un contratto sociale.
«Aspetterò domani, dopodomani, e magari cent`anni ancora finché la signora libertà e la signorina Anarchia verranno considerate dalla maggioranza dei miei simili come la migliore forma possibile di convivenza civile, non dimenticando che in Europa, ancora verso la metà del 700, le istituzioni repubblicane erano considerate utopie» disse Fabrizio De Andrè.
ITALIANO - Il tema della Città Vecchia, da Saba a De Andrè.
Le canzoni di De André hanno spesso riferimenti colti. La canzone Città vecchia ne è un esempio emblematico, questa traccia contiene un chiaro riferimento all'omonima poesia di Umberto Saba , non solo nel titolo, ma negli stessi contenuti.
Presento prima la canzone di De Andrè, successivamente la poesia di Saba ponendola a confronto con la prima.
Città vecchia - De Andrè
Nei quartieri dove il sole del
buon Dio
non dà i suoi raggi
ha già troppi impegni per scaldar la gente
d'altri paraggi
Una bimba canta la canzone antica
della donnaccia
quel che ancor non sai tu lo imparerai
solo qui fra le mie braccia
E se alla sua età le difetterà
la competenza
presto affinerà le capacità con l'esperienza
Dove sono andati i tempi d'una volta per Giunone,
quando ci voleva per fare il mestiere
anche un po' di vocazione
Una gamba qua, una gamba là gonfi di vino
quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino
Li troverai là col tempo che fa estate e inverno
a stracannare, a stramaledir
le donne, il tempo ed il governo
Loro cercan là la felicità
dentro a un bicchiere
per dimenticare d'esser stati presi per il sedere
Ci sarà allegria anche in agonia col vino forte
porteran sul viso l'ombra di un sorriso
fra le braccia della morte
Vecchio professore cosa vai cercando
in quel portone
forse quella che sola ti può dare una lezione
Quella che di giorno chiami con disprezzo
pubblica moglie
quella che di notte stabilisce il prezzo
alle tue voglie
Tu la cercherai, tu la invocherai più d'una notte
ti alzerai disfatto rimandando tutto al ventisette
quando incasserai, delapiderai mezza pensione
diecimila lire per sentirti dire:
'micio, bello e bamboccione'.
Se ti inoltrerai lungo le calate
dei vecchi moli
in quell'aria spessa, carica di sale,
gonfia di odori
Lì ci troverai i ladri, gli assassini
e il tipo strano
quello che ha venduto tremila lire
sua madre a un nano
Se tu
penserai e giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese
Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli, son pur sempre figli / vittime di questo mondo.
Presentando La città vecchia, De André disse: «è una canzone del 1962, dove precisavo già il mio pensiero e esso non è
cambiato, perché un artista, a qualsiasi arte si dedichi, ha poche idee, ma
fisse. Io credo che gli uomini agiscano certe volte indipendentemente dalla
loro volontà. Certi atteggiamenti, certi comportamenti sono imperscrutabili..
Certe volte, insomma, ci sono dei comportamenti anomali che non si riescono a
spiegare e quindi io ho sempre pensato che ci sia ben poco merito nella virtù e
poca colpa nell'errore, anche perché non ho mai capito bene che cosa sia la
virtù e cosa sia l'errore». Tale conclusione sostiene e giustifica le
commosse parole finali di questa canzone.
Si tratta qui di una serie di 'quadri' di vita di un quartiere
genovese del centro storico, attraverso i quali, ancora una volta, De André
rappresenta il mondo degli emarginati, a lui così cari ed invece così spesso
dimenticati, persino dal buon Dio.
Prostitute e pensionati sono descritti con evidente simpatia, perché
raffigurano la schiettezza contro l'ipocrisia del vecchio professore
dall'ambiguo comportamento. Le ultime due strofe delineano con maggiori
particolari la zona dell'angiporto e i personaggi che lo abitano: ladri,
assassini, approfittatori senza scrupoli. Ed è proprio qui che De André chiede
di non giudicare con il metro della legalità e della mentalità borghese, bensì
di provare per quei poveri esseri un forte senso di pietà, poiché essi non sono
null'altro che vittime della società e della storia. Passiamo adesso
a presentare ed analizzare l'omonima poesia di Umberto Saba, sottolineando
infine le differenze fra i testi.
Città vecchia - Saba
Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un'oscura via di città
vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si
specchia
qualche fanale, e affollata è la
strada.
Qui tra la gente che viene che va
dall'osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l'infinito
nell'umiltà.
Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d'amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore:
s'agita in esse, come in me, il
Signore.
Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.
La città vecchia è quella parte di Trieste «più antica e più incontestabilmente italiana» (citazione dello stesso Saba), e anche più umile e malfamata, fatta degli stessi vicoli che costituiscono il centro storico di Genova.
Attraversando il quartiere più antico e malfamato di Trieste, Saba incontra personaggi popolari, che conducono una vita assai diversa da quella borghese, una vita più libera e istintiva. In loro è continuo il manifestarsi degli impulsi autentici dell'uomo, di eco freudiana, non ancora del tutto nascosti dalla civiltà. Tali impulsi rappresentano per Saba la vera condizione profonda di tutti gli esseri umani. Questa poesia, tratta dal Canzoniere, dimostra quel bisogno, innato in lui, di fondere la sua vita a quelle delle creature più umili ed oscure. Gli essere più umili per Saba sono quelli più vicini ai valori autentici e profondi dell'esistenza perché la vitalità che in essi si manifesta più apertamente è un valore positivo, rappresentando la libido o il principio di piacere, che la civiltà tende a ostacolare e reprimere.
La scelta di una materia "bassa"
coincide con la volontà di esprimere onestamente la verità che sta al fondo
delle cose. Saba contrappone la propria poesia bassa e fedele ai valori
elementari dell'esistenza, a quella di concezione più aristocratica e sublime,
quale è stata quella di D'Annunzio. E
perciò il pensiero si fa più puro laddove la via è più turpe, quando la vita si
fa più dura emerge al meglio l'istintiva naturalezza della vita.
L'analogia del testo di De André con questa celebre poesia di Saba è evidente
non solo nel titolo, e in ciò che si vuole trasmettere, ma anche in singole
immagini: la 'bimba che canta la canzone antica / della donnaccia'
richiama la 'prostituta'; i 'quattro pensionati mezzo avvelenati
/ al tavolino' fondono le due immagini dell''osteria' e del 'vecchio
/ che bestemmia'.
Tuttavia vi è anche una differenza ideologica sostanziale fra i due autori:
mentre per Saba 'il Signore' riscatta con la sua presenza i reietti
della sua città, il 'buon Dio' di De André 'non dà i suoi
raggi' ai poveri quartieri genovesi. Più forzato, inoltre, sembra l'atteggiamento
di Saba, che vede il suo pensiero 'farsi / più puro dove più turpe è la
via', di fronte a quello di De André, che si limita a definire meno
enfaticamente 'vittime' gli umili abbandonati non solo da Dio, ma
anche dalla società.
STORIA DELL'ARTE - La rappresentazione dell'emarginazione: Picasso e De Andrè
In questa mia tesina è ricorrente il tema della miseria e dell'emarginazione, tanto affrontato nei testi di De Andrè, poiché questo è collegabile con molti altri artisti, poeti, intellettuali che si avvicinarono al mondo di coloro che purtroppo sono ridotti ai confini della società, spesso senza una casa, un lavoro per guadagnarsi da vivere.
Tra questi ho scelto, oltre a Saba, Pablo Picasso, pittore cubista nato a Malaga in Spagna nel 1881. Egli è considerato uno dei maggiori artisti europei del '900. Picasso in un primo momento aderì a un gruppo di giovani intellettuali, politicamente vicini al socialismo e all'anarchia (ecco la base ideologica comune di De Andrè e Picasso). Nel 1900 si recò per la prima volta a Parigi dove venne a conoscenza dell'impressionismo e del post-impressionismo. Nonostante questa prima influenza Picasso mutò più e più volte il suo linguaggio, tanto che possiamo definirlo un artista poliedrico. Questo artista fu un instancabile sperimentatore in ricerca continua di nuove forme espressive ed aperto a tutte le avanguardie.
Di tutta l'esperienza artistica di Picasso pongo in analisi solo il primo periodo, detto il "periodo blu", definibile anche con periodo pauperistico, che va dal 1901 al 1904. Durante questa fase Picasso pitturò sulla tele per lo più figure di poveri, emarginati e diseredati. Sono quadri di questo tipo "Poveri in riva al mare" (Figura 1) e "La vita" del 1903 oppure "Pasto frugale" (Figura 2) del 1904 che però è un'incisione. La scelta dei soggetti di questi quadri è coerente con le sue idee socialiste e anarchiche, e la sua sensibilità verso gli innocenti.
Questi dipinti sono caratterizzati dall'uso di un solo colore , il blu, scalato nelle sue diverse tonalità. Questa caratteristica conferisce ai quadri una sensazione di tristezza e malinconia. Il dominio del blu, colore freddo, e la rinuncia alla policromia, non possono che accentuare il dramma, già comunicato dagli sguardi dei personaggi. Le forme sono monumentali e statuarie, ma non proporzionate nella loro complessità, in quanto risultano allungate e i corpi deformati. Le forme inoltre hanno la caratteristica di essere ben definite, da una linea di contorno che spesso è molto netta e decisa.
In
particolare è interessante l'analisi del quadro "
STORIA - De Andrè e il Sessantotto.
Il 1968 è stato per molti versi un anno particolare, nel quale grandi movimenti di massa socialmente disomogenei (operai, studenti e gruppi etnici minoritari), formati per aggregazione spesso spontanea, attraversarono quasi tutti i paesi del mondo con la loro carica contestativa e sembrarono far vacillare governi e sistemi politici in nome di una trasformazione radicale della società. La portata della partecipazione popolare e la sua notorietà contribuirono ad identificare col nome dell'anno il movimento, il Sessantotto appunto.
De
Andrè visse direttamente questi avvenimenti, all'età di 28 anni, e ne fu tanto
colpito da incidere un album, Storia di
un impiegato (1973), interamente incentrato su questo movimento, il cui
protagonista non è però uno studente, ma un impiegato di posta trentenne, che
trae forza e ispirazione dalla spinta combattiva e combattente dei più giovani.
In primis
Vediamo il testo: La canzone del Maggio
'Lottavano
così come si gioca
i cuccioli del maggio era normale
loro avevano il tempo anche per la galera
ad aspettarli fuori rimaneva
la stessa rabbia la stessa primavera"
Anche se il nostro maggio
ha fatto a meno del vostro coraggio
se la paura di guardare
vi ha fatto chinare il mento
se il fuoco ha risparmiato
le vostre Millecento
anche se voi vi credete assolti
siete lo stesso coinvolti.
E
se vi siete detti
non sta succedendo niente,
le fabbriche riapriranno,
arresteranno qualche studente
convinti che fosse un gioco
a cui avremmo giocato poco
provate pure a credervi assolti
siete lo stesso coinvolti.
Anche
se avete chiuso
le vostre porte sul nostro muso
la notte che le pantere
ci mordevano il sedere
lasciandoci in buonafede
massacrare sui marciapiedi
anche se ora ve ne fregate,
voi quella notte voi c'eravate.
E se
nei vostri quartieri
tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate
senza feriti, senza granate,
se avete preso per buone
le 'verità' della televisione
anche se allora vi siete assolti
siete lo stesso coinvolti.
E
se credete ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.
Per capire meglio il testo è necessario analizzare quelle che furono le premesse del '68 e gli avvenimenti che portarono a esso.
Il movimento nacque a metà degli anni sessanta, quando in occidente (Europa e Stati Uniti) un vasto schieramento di studenti e operai prese posizione contro l'ideologia dell'allora nuova società dei consumi, che proponeva il valore del denaro e del mercato nel mondo capitalista come punto centrale della vita sociale.
Negli Stati Uniti la protesta giovanile si schierò contro la guerra del Vietnam, legandosi alla battaglia per i diritti civili e alle filosofie che esprimevano un rifiuto radicale ai principi della società del capitale. Al contempo, nell'opposto blocco sovietico stavano nascendo una serie di reazioni e proteste per denunciare la mancanza di libertà e l'invadenza della burocrazia di partito, gravissimo problema sia dell'URSS che dei paesi legati ad essa. Si creò così in buona parte del mondo, dall'occidente all'est comunista, una 'contestazione generale' ebbe come nemico comune il principio dell'autorità. Nelle scuole gli studenti contestavano i pregiudizi dei professori, della cultura ufficiale e del sistema scolastico classista e obsoleto. Nelle fabbriche gli operai rifiutavano l'organizzazione del lavoro e i principi dello sviluppo capitalistico che mettevano in primo piano il profitto a scapito dell'essere umano. Anche la famiglia tradizionale veniva scossa dal rifiuto dell'autorità dei genitori e del conformismo dei ruoli. Facevano il loro esordio nuovi movimenti che mettevano in discussione le discriminazioni in base al sesso, sancendo la nascita del femminismo e del movimento di liberazione omosessuale, e alla razza.
Gli obiettivi comuni ai diversi movimenti erano la riorganizzazione della società sulla base del principio di uguaglianza, il rinnovamento della politica in nome della partecipazione di tutti alle decisioni, l'eliminazione di ogni forma di oppressione sociale e di discriminazione razziale e l'estirpazione della guerra come forma di relazione tra gli stati.
Le origini del Sessantotto.
Uno dei primi fattori che diede una spinta al movimento fu il movimento americano per i diritti civili. Nato nelle università del Nord, il movimento studentesco si era dato come obiettivo essenziale la piena attuazione di quella democrazia americana garantito dai principi costituzionali ma negato dall'organizzazione della società, che tollerava la persistenza della segregazione razziale negli stati del Sud, reprimeva le forme di opposizione al sistema e favoriva il militarismo. Negli stati del Sud, negli anni cinquanta era venuto maturando un movimento nero per l'eguaglianza, promosso dalle comunità di colore e guidato da Martin Luther King che auspicava l'uguaglianza tra i popoli ('I have a dream'); a questo movimento si oppose quello razzista del Ku Klux Klan.
Un secondo fattore fu la nascita della cosiddetta "nuova sinistra" che ebbe grande influenza nei movimenti giovanili. Gli elementi di novità nei movimenti giovanili erano vari e molteplici. Innanzitutto era ritenuto estremamente importante il riferimento alle lotte dei popoli del terzo mondo, alle rivoluzioni del mondo arabo, dell'Asia e di Cuba. Mentre l'Unione Sovietica era ritenuta, insieme con gli Usa, un ordine da abbattere.
La nuova sinistra contraria ad una 'razionalizzazione' capitalistica che integrasse i ceti proletari dei paesi avanzati nello sfruttamento dei popoli del terzo mondo, sopprimendo ogni spazio reale di dissenso e di libertà personale, rendeva la ribellione una necessità morale oltre che un compito politico. Infine la nuova sinistra era assai diffidente nei confronti dell'organizzazione di tipo leninista e stalinista e proponeva forme di agitazione e di aggregazione che valorizzassero la partecipazione di massa ai processi decisionali.
Da inserire inoltre nel quadro degli avvenimenti che caratterizzarono il 68 ci fu la morte di Ernesto Che Guevara nel 1967, leader della rivoluzione guerrigliera che nel 1967 fece un appello ai rivoluzionari del mondo dal titolo 'Creare due, tre, molti Vietnam'. Compito dei rivoluzionari, secondo Guevara, era affiancare il Vietnam con numerosi altri movimenti insurrezionali in tutte le aree del mondo, che vanificassero l'azione della superpotenza americana. La morte da guerrigliero, nel 1967 contribuì a fare di Che Guevara un simbolo della lotta contro ogni forma di oppressione.
Sul piano ideologico poi agirono vari filosofi e intellettuali, tra i quali emerse Herbert Marcuse, che scrisse L'uomo a una dimensione, in cui denunciò il carattere fondamentalmente repressivo della società industriale avanzata, che appiattisce la realtà e l'uomo alla dimensione di consumatore, euforico e ottuso, la cui libertà è solo la possibilità di scegliere tra molti prodotti diversi.
In quanto alla guerra del Vietnam, essa rappresentò al meglio tutto ciò contro cui si manifestava questo crescente movimento giovanile. Così fuori ma soprattutto negli stessi Stati Uniti, le lotte si polarizzarono contro l'imperialismo in generale. Si trattava di un sanguinoso conflitto che dal vedeva impegnati gli USA, che combattevano l'unificazione tra Vietnam del Nord e Vietnam del Sud. Al nord era al potere un governo comunista, mentre al sud un governo filo-americano. Il timore degli USA era l'unificazione del Vietnam sotto un regime comunista, che si sarebbe potuto diffondere anche ad altri stati asiatici. Nel sud filo-americano, inoltre, vi era un nutrito gruppo di comunisti (i Vietcong) che si battevano per l'unificazione del Vietnam dando vita ad atti di guerriglia. Gli USA si ritirarono dal conflitto solo nel 1974 per la sopraggiunta impossibilità di vincere la guerra, ma anche sull'onda delle proteste dell'opinione pubblica mondiale, oramai largamente contraria al conflitto. La guerra, tuttavia, si concluse solo nell'aprile del .
A dimostrazione che il movimento sessantottino fu un movimento di vastissima scala che non riguardò solo l'Europa e gli Stati Uniti, ma l'intero globo, furono due avvenimenti: la rivoluzione in Cina e la primavera di Praga. Nella Cina popolare il 'sessantotto' rappresentò il momento più acuto della rivoluzione culturale avviata nel 1966. Tutto il sistema di potere di questo paese venne completamente trasformato. Partito dai gruppi di studenti universitari che protestavano contro i privilegi culturali ancora presenti nella società cinese, il conflitto fu subito appoggiato da Mao Tse-tung e dai suoi sostenitori, che lo radicalizzarono come strumento di pressione contro l'opposizione interna. Successivamente però la tensione si allentò, numerosi dirigenti giovanili furono allontanati dalle città e inviati nelle zone rurali.
Una Situazione diversa si trovava nei paesi del patto di Varsavia, dove le manifestazioni chiedevano più libertà di espressione e una maggiore considerazione delle opinioni e della volontà della popolazione delle scelte politiche. La più alta delle manifestazioni di protesta fu la rivolta studentesca in Cecoslovacchia, che condusse alla svolta politica chiamata 'Primavera di Praga', quando vi fu il tentativo di rendere democratico il regime stalinista. L'avvento al potere di Breznev significò per la società russa la fine di ogni spinta riformatrice. Il progetto riformatore prevedeva l'allargamento della partecipazione politica dei cittadini e la ristrutturazione dell'economia, con la rinuncia del potere assoluto da parte dello stato. Nel timore che questo processo di democratizzazione contagiasse anche gli altri paesi del blocco russo, l'Unione Sovietica decise di soffocare con la forza il movimento di riforma.
Il Maggio a cui si riferisce De Andrè è chiaramente il Maggio '68 in
Francia.
Nonostante fosse diffusa in tutto il mondo, la protesta giovanile si spense, all'inizio degli anni '70, ovunque senza aver riportato apparentemente risultati significativi. La principale ragione di questo fallimento va ricercata nella sua incapacità di tradurre le aspirazioni in programmi concreti e in strutture organizzative in grado di realizzarli. Il Sessantotto, quindi, si caratterizzò come una rivolta etico-politica dei giovani contro la società senza un programma ben definito. Merito del movimento giovanile di quegli anni fu, soprattutto in Occidente, quello di mettere al centro dell'attenzione valori che fino a poco tempo prima erano stati interesse di pochi. Temi come il pacifismo, l'antirazzismo, il rifiuto del potere come forma di dominio di pochi privilegiati sulla popolazione, i diritti delle donne e l'interesse per l'ambiente, entrarono a far parte stabilmente del dibattito politico e socio-culturale del mondo intero.
INGLESE - Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters.
Edgar Lee Masters was
an American
poet, biographer,
and dramatist.
He is the author of Spoon River Anthology. He was born in
After working in his father's law office, he was admitted to practice law and moved to Chicago. During his law partnership with Clarence Darrow, Masters defended the poor. Masters died at a nursing home in 1950.
Masters began developing as a notable American poet in 1914 , when he began a series of poems (under the pseudonym Webster Ford) about his childhood experiences in Western Illinois, which appeared in Reedy's Mirror. In 1915 the series was bound into a volume and re-titled Spoon River Anthology.
From 1914 to 1915, Edgar Lee Masters, an American poet, published a series of epitaphs on 'Mirror', later he took them in the "Spoon River Anthology". Each poem tells about a character. There are 19 stories involving 244 characters representing all human beings and all human jobs. Masters wanted to describe life through the stories about a microcosm, Spoon River country. Masters told about charactes who were dead. So they have nothing to lose, they can tell their stories sincerely.
La storia della pubblicazione in Italia dell'Antologia di Spoon River è abbastanza particolare da meritare di essere raccontata. Durante il ventennio fascista la letteratura americana era ovviamente osteggiata dal regime, in particolare se esprimeva idee libertarie come nel caso di Edgar Lee Masters. L'editore Einaudi si convinse a pubblicarlo nel 1943. Incredibilmente riuscì a evitare la censura del ministero della cultura popolare cambiando il titolo in «Antologia di S.River» e spacciandolo per una raccolta di pensieri di un quanto mai improbabile San River.
De Andrè rimase colpito dalla lettura di queste storia e scrisse: «Avevo letto Edgar Lee Masters a 18 anni con
la mediazione di Fernanda Pivano che, fra il 37 e il 41, aveva iniziato la sua
carriera traducendo il libro di un libertario mentre la società italiana aveva
tutt'altra tendenza. Poi lo rilessi nel 68, e non lo trovai invecchiato per
niente. Mi parve che, in quella collina popolata di morti, si parlasse il
linguaggio di una verità che i vivi non possono esprimere, che avesse dato voce
ai mille scheletri che la società d'allora, ma anche quella di oggi nasconde
nei propri armadi. Nove poesie e subito si pose il problema di trasferire
quelle vicende, ambientate nell'America del
Così nel 1971 Fabrizio De André pubblicò
l'album 'Non al denaro, non
all'amore né al cielo', liberamente tratto dall'Antologia di Spoon
River. De André scelse nove delle 244 poesie e le trasformò in altrettante
canzoni.
Le nove poesie scelte toccano fondamentalmente due grandi temi: l'invidia (Un matto, Un giudice, Un blasfemo, Un malato
di cuore) e la scienza (Un medico, Un
chimico, Un ottico).
In questi due gruppi si possono svelare delle simmetrie: il giudice
perseguitato da tutti trasforma la sua invidia in sete di potere e si vendica,
il chimico è tanto preso dalla scienza e dalla ricerca di un ordine perfetto da
essere incapace di amare. Il malato di cuore rappresenta l'alternativa
all'invidia, pur essendo in una situazione tale da poter invidiare tutti gli
altri, riesce a vincere l'invidia grazie all'amore invece di lasciarsi
trasportare dall'egoismo. I buoni propositi del medico vengono schiacciati dal
sistema che lo obbliga a essere disonesto, mentre l'ottico vuole trasformare la
realtà e mostrarci un''altra' realtà più vera.
Il lavoro svolto da Fabrizio De Andrè, come
disse Fernanda Pivano, fu straordinario. Egli ha riscritto queste poesie
rendendole attuali, poiché quelle di Masters erano legate ai problemi del suo
tempo, cioè a molti decenni prima. L'obiettivo era quello di rendere ciò che
già aveva scritto Masters attuale e naturalmente era necessario cambiare
profondamente quello che era il testo originale. Sia Masters che Fabrizio sono
due grandi poeti, tutti e due pacifisti, tutti e due anarchici libertari, tutti
e due evocatori di quelli che sono stati i sogni di generazioni di persone.
I testi di De Andrè e di E.L.Masters sono molto simili, e vorrei porre l'attenzione alla figura del suonatore Jones, sicuramente la più importante sia nella raccolta di Masters che in quella di Fabrizio De Andrè.
Il suonatore Jones, descritto nell'omonima canzone, rappresenta la capacità di assumere su di sé, di rielaborare e trasfigurare i problemi e le angosce del proprio mondo, di riprendere e ribaltare di segno le prerogative degli altri personaggi. Mentre tutti in un vortice di polvere vedono solo un segno della siccità, Jones si distingue dal resto della società attraverso la musica. Per esempio egli a differenza del giudice, vittima del pregiudizio e carnefice del giudizio, accetta le aspettative della gente: gli tocca suonare per tutta la vita ma è un ruolo sociale che coincide con il suo modo d'essere. A Jones, infatti, piace lasciarsi ascoltare.
È l'unico personaggio che viene chiamato per nome, è l'unico che afferma di aver vissuto una vita lunga e serena, senza nemmeno un rimpianto. Il musicista mostra di saper vedere meglio dell'ottico i messaggi nascosti della realtà; di saper guarire, più del medico, gli animi di chi lo ascolta regalando un sorriso; sa trovare, a differenza del matto, un proprio ed efficace linguaggio per esprimersi; gusta appieno la vita, come il malato di cuore non ha potuto fare e, cosa più importante, sceglie la libertà o, meglio, sceglie di vederla anche quando non è scritta.
A Il suonatore Jones De André affida la conclusione e il messaggio del suo album: l'unico modo di dare senso ad un'esistenza che rivela la sua precarietà ideale è quello di essere disponibile alla vita, dedicandola alla ricerca di una libertà immateriale, nascosta là dove i pensieri e i gesti non sono protetti da nessun 'filo spinato', ma si sviluppano nella condizione della possibilità infinita. Solo in questo modo la vita è lieve e pura, mentre tutte le attività umane, così come anche i sentimenti, gli ideali, le relazioni, portano dolore e limitazioni, generano le commedie e i drammi su cui è intessuto il teatro di Spoon River.
BIBLIOGRAFIA:
I testi su cui si imposta la tesina:
-"L'Anarchia, storia delle idee e dei movimenti libertari", George Woodcock, universale economica Feltrinelli.
- "Amico fragile, Fabrizio De Andrè", Cesare G. Romana, Sperling & Kupfer editore.
- "La scrittura e l'interpretazione", Romano Luperini, Palumbo editore.
- Appunti raccolti in sede di spiegazione.
SITOGRAFIA
Appunti su: https:wwwappuntimaniacomumanisticheletteratura-italianola-poetica-di-fabrizio-de-andr15php, proudhon influenza de andrC3A9, tesina di maturitC3A0 su fabrizio de andrC3A8, |
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