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La nostra società è in una fase di acuta e drammatica implosione. Urge una presa di coscienza individuale. |
Eccesso di comunicazione
Ma quando questa incomunicabilità
esistenziale ed essenziale si estende ad un gruppo sociale, ad un'intera
società, diventa un fenomeno molto, molto preoccupante. La mia preoccupazione,
si badi bene, non è quella del sociologo asettico che descrive i fenomeni, ma
quella piuttosto di chi sente addosso questa realtà di
isolamento e di sofferenza.
Una delle poche certezze che ho conservato nel tempo è quella della naturale
socialità degli esseri umani, del bisogno vitale di stare insieme all'altro,
non solo per la sopravvivenza ma soprattutto perché non è possibile alcuna
libertà, nessuna autonomia, senza anche quella di chi
ti è prossimo; anzi, oggi più che mai, abbiamo capito tutti che le condizioni
di coloro che pure ci sono lontani (geograficamente e culturalmente) sono
determinanti per definire le nostre.
Allora la riflessione, quando si ha la percezione che la società nella quale si
vive, e questa nel suo rapporto con altre più lontane, sia in una fase di acuta e drammatica implosione, diventa drammatica e
significativa per ognuno di noi.
Ma come, potreste obiettare, nella società fondata sulla comunicazione, dove
tutto, ma proprio tutto, è soggetto alle regole della comunicazione, dove il
trionfo di tutto ciò che è hi-tech è finalizzato a mettere in relazione
comunicativa gli individui, dove la ricerca scientifica è un business mediatico prima che sostanziale, dove il terrorismo di
stato o fondamentalista cura, in maniera ossessiva e
perfezionista, all'estremo, proprio e soprattutto il comunicare, dove molti
seguaci dell'alternativismo e dello scontro politico
cercano ossessivamente l'apparenza e la visibilità che diventa poi il vero
scopo e il vero obiettivo (in mancanza evidentemente di più sostanziali idee),
dove abbiamo appena celebrato la potenza comunicativa delle varie religioni,
dove ogni cosa, ogni respiro, ogni esistenza trovano il loro senso nell'essere
comunicate e raccontate (pensate a chi ormai si esibisce in TV anche quando sta
al cesso, in isole più o meno famose), dove tutto insomma è apparenza condivisa
e sostenuta, in questa società noi potremmo descrivere l'autismo sociale?
Penso proprio di sì, penso anzi che questo eccesso di
comunicazione drogata, questo bisogno sfrenato di mettere a conoscenza di tutti
ogni pensiero, ogni sentimento, ogni azione, ogni fremito individuale, dimostri
drammaticamente che non esiste alcuna comunicazione vera, che la solitudine forzata,
il ripiegamento su sé stessi, costituisce la realtà.
Tutto ciò potrebbe anche essere un bene se fosse una libera scelta,
consapevole, di ritirarsi e di resistere all'invasione barbarica della società
di massa, ma solo pochi sono consapevoli di ciò che stiamo vivendo, troppo
pochi sono in grado di sviluppare comportamenti
alternativi, sani, semplici, immediati, liberi, autonomi.
Confini inviolabili
Per la maggioranza di noi, esseri umani mai così piccini e
limitati come oggi, apparire in questa orgia mediatica e comunicativa, diventa uno dei nuovi bisogni
indotti, una delle ragioni di autostima e di autoconsiderazione.
La comunicazione, così connaturata all'essere umano, è in
questo mondo completamente saltata, non c'è più, non esiste. Possiamo
trovare tutto ciò che ho sommariamente e schematicamente descritto prima, ma la
comunicazione vera non alberga più nelle relazioni umane. Basta stare in
macchina ad un semaforo, ascoltare i commenti in una fila davanti ad un ufficio
qualsiasi, aspettare il proprio turno alla cassa di un supermercato, osservare
degli adolescenti (ma non solo) quando si misurano con una
play station o quando sono in un qualsiasi ritrovo, per capire che
quello che sto sostenendo è più di un pericolo, ma è, piuttosto, una disarmante
realtà. Allora l'autismo non ci apparirà più come una patologia individuale,
non ci preoccuperà più in quanto reazione personale esasperata tendente al
ripiegamento estremo in sé stessi, ma si paleserà come una caratteristica
fondante di questa società di massa.
La via d'uscita è innanzitutto una presa di coscienza
individuale, un lavoro faticoso e continuo in noi stessi, un rifiuto di queste
logiche dell'apparenza e della comunicazione totalizzante e forzata. Ma non basta. La potenza suadente della comunicazione mediatica e delle sue logiche
veramente forte, invasiva, ammagliante, subdola. Neanche l'estremizzazione
dell'alternativismo, della ostentazione
supponente e saccente, dunque autoritaria, della propria presunta diversità, mi
pare utile alla causa.
La cosa più difficile e anche più utile è quella di tracciare sistematicamente
dei limiti del proprio essere nei confronti delle cose
e degli altri, non rifiutare queste cose o questi esseri umani. Sono tutto ciò
che garantisce anche a noi una esistenza degna di
essere vissuta. Ma tracciare il limite oltre il quale non
andare, segnare i confini inviolabili della propria dignità, libertà,
autonomia, è indispensabile, oggi più che mai. È difficile,
tremendamente difficile e faticoso. Ma è l'unica cosa
concreta, sistematica, quotidiana, che possiamo fare per garantire ai nostri
sogni di essere ancora appetibili per i nostri figli.
Comunicare è essenziale per la nostra vita, esprimere noi stessi, ciò che siamo veramente, è il senso forse più vero di un progetto di
società che esploda ogni giorno in una nuova, libera, significante, comunità
nella quale, ancora una volta, ricordiamolo, ciò che esalta l'individuo e lo
rende degno di considerarsi tale, è il riconoscersi nell'altro senza
vergognarsi di appartenere al genere umano.
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