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La Luna in Leopardi
La luna, come Thomas Mann illustra nel saggio 'Nobiltà dello spirito', è emblema dell'arte: arte e luna sono accomunate dalla non appartenenza ad una precisa sfera, ed è in ragione di tale indefinitezza che mettono in relazione mondo materiale e mondo spirituale. Rivolgere lo sguardo alla luna è un modo per elevarsi ad altezze cosmiche senza perdere di vista la terra.
Queste caratteristiche devono aver indotto Leopardi ad eleggere l'astro a figurazione visibile di due concetti cardine della sua poetica: il vago e l'indefinito. Nel microcosmo leopardiano la luna brilla come figura simbolica, sulla cui superficie si riflettono le opposizioni e contraddizioni della realtà fenomenica. La leggerezza della luna evoca la gravità della vita. Nell'ossimoro, che la luna racchiude ed emblematizza, è possibile individuare una chiave interpretativa della poesia di Leopardi, che dei contrasti fa uno dei suoi strumenti espressivi.
È materia della speculazione scientifico-astronomica e fonte della più alta ispirazione lirica. Leopardi riesce a trasporre polisemia e ambivalenza della luna nel tessuto della scrittura: al volto assorto e meditativo consacra la poesia, al volto ilare e giocoso la prosa, senza mai dimenticare il labile confine fra i due linguaggi.
Nei Canti, più che altrove, il volto canonico della luna è visto e filtrato dalle 'luci' dello scrittore: la luna è confidente muta, compagna di viaggio, amante, alter ego del poeta, fredda e distaccata divinità della mitologia classica e entità metafisica portatrice di una conoscenza superiore a quella dell'uomo.
Lo spazio selenico dei Canti si dilata e restringe al variare del soggetto lirico principale; in altri termini, il passaggio dalla prima alla terza persona - dall'io poetante a quello di Bruto, Saffo, del pastore, ecc - determina un mutamento di spazio, che si fa più ampio e meno familiare: lo spazio domestico e abituale, che comprende le stanze, i balconi, il cortile di Palazzo Leopardi, il colle, la selva, i tetti, gli orti dell'area urbana ed extraurbana di Recanati, s'ingrandisce fino a raggiungere le dimensioni estreme del 'deserto piano ' del Canto Notturno.
Sebbene Leopardi situi la possibilità di un rapporto autentico con la natura in luoghi lontani nello spazio e nel tempo (l'antichità), il suo contatto e incontro con la luna avviene sempre all'interno dello spazio reale e concreto del suo microcosmo. Quasi che la luna fosse l'unico elemento esterno ed estraneo ammesso a penetrare fin nell'intimità del poeta.
Nei Canti è possibile distinguere due modalità essenziali nel modo di raffigurare la luna: da una parte i componimenti in cui essa è vicina, quasi umanizzata; dall'altra i componimenti in cui è entità cosmica, lontana, irraggiungibile. Nel Canto Notturno esse coesistono. Le scelte formali e stilistiche - il tipo di attributi, i numerosi vocativi, il 'tu 'reiterato rivelano il processo di abbassamento dell'astro realizzato dal poeta.
Canto Notturno di un pastore errante dell'Asia (1829-30)
Il poeta usa un codice poetico lineare e significativamente semplice: in rapporto inverso con la semplicità riscontriamo la drammaticità della condizione dell'uomo che nulla sa del proprio destino. L'uso del linguaggio semplice ci porta più facilmente a cogliere la speranza del poeta di poter alleviare in qualche modo l'angoscia originata dalla propria limitata conoscenza e dalla noia
Nel Canto Notturno Leopardi adombra se stesso e per mezzo del pastore manifesta il suo pensiero, che si può condensare nell'affermazione "tutto in questo mondo è solo vanità e miseria", dopo essere passati per i 'Tre stati della gioventù':
In esso troviamo tutta la forza dell'infelicità che da uno stato sentimentale di ansia furibonda passa ad uno stadio di rassegnazione, di coscienza del male che incombe sugli uomini. Non un attimo di piacere, ma un rendersi progressivamente conto che la vita nulla riserva di bene all'individuo, un ripiegarsi continuo e sempre più profondo su se stesso, su una realtà che ormai ben poco concede al mondo e alla natura.
I temi principali sono:
I. allegoria della vita umana
II. conoscenza e non conoscenza
III. la noia
IV. la natura
Il concetto della poesia - scrisse De Santis - è il motto di Saffo: 'Arcano è tutto, Fuor che il nostro dolor'. Infatti, il pastore rappresenta l'uomo d'ogni tempo di fronte al mistero dell'esistenza sua e dell'universo; l'idillio quindi è una meditazione sopra i principi della vita universale. Il pessimismo che prima investiva la situazione personale del poeta e poi quella dell'umanità, qui, alla fine, arriva a comprendere tutto l'universo. E' dunque il canto del dolore universale, della disperata angoscia dell'uomo sperduto nel cosmo ed incapace di spiegarsi la ragione dell'esistenza delle cose e del proprio dolore. Tema dell'idillio è quindi anche 'l'eterno ed il caduco', il destino ed il fine degli esseri, il rapporto fra noi e l'universo.
Il pastore si rivolge, nei primi versi, alla Luna chiedendo ad essa il senso della vita e dell'esistenza umana, creando anche un accostamento tra sé e l'astro:
'Somiglia alla tua vita
quella del pastore.
Sorge in sul primo albose; [.]
Dimmi, o Luna: a che vale
al pastor la sua vita,
la vostra vita a voi? dimmi: ove tende
questo vagar mio breve,
il tuo corso immortale?'
La luna occupa però una posizione altra ed opposta a quella dell'uomo nell'universo, dato che è detentrice di un sapere metafisico che risponde e colma il vuoto conoscitivo dell'uomo. La portata conoscitiva di questo sapere e il baratro che intercorre fra cosmo ed esseri umani sono resi con cristallina limpidezza nelle parole del pastore, ai versi 69-78:
'E tu certo comprendi
il perché delle cose, e vedi il frutto
del mattin, della sera,
del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
rida la primavera,
a chi giovi l'ardore, e che procacci
il verno co'suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
che son celate al semplice pastore"
Questa consapevolezza che il cosmo conosce le risposte della vita umana porta l'uomo, conscio della propria fragilità a un dolore maggiore. La Luna rimane parte di quel cosmo, di quella irrealtà alla quale l'uomo sempre tende.
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