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CESARE PAVESE
E' piuttosto difficile esporre con un certo ordine l'intreccio di questo romanzo e ciò è dovuto alla sua particolare struttura, che poggia sulla contaminazione di tempi differenti, di presente e di passato, di accadimenti, dei quali il protagonista è ora spettatore, e di memorie di rievocazioni del passato.
Protagonista è Anguilla, un trovatello che è cresciuto nelle Langhe lavorando in campagna presso varie famiglie ed è poi emigrato in America. Qui ha pur fatto fortuna e tuttavia ritorna alle sue Langhe per un oscuro bisogno di ritrovare la propria identità. Su questo impianto che ha alle spalle una millenaria tradizione -è il nostos, il ritorno, già utilizzato nell'epica-si dipana la vicenda di Anguilla ed è forse possibile distinguere tre grandi blocchi nella narrazione. Nella prima parte,capp.I-XIV, emerge attraverso la rivisitazione dei luoghi-colline e cascine- fatta o da solo o in compagnia di Nuto, l'amico di infanzia ritrovato, il più lontano passato di Anguilla che egli ha trascorso nel casotto di Gaminella a servizio di un misera coppia di contadini;ora ai suoi vecchi padroni è subentrato il Valino, ma Anguilla ritrova gli stessi aspetti delle cose e la stessa miseria di una volta e in un povero ragazzo, denutrito, Cinto, figlio del Valino, Anguilla rivede se stesso. Ed intanto col recupero del passato si intreccia il presente:le beghe di paese, il clima di restaurazione politica del finire degli anni quaranta. Il secondo blocco narrativo, capp. XV-XXV, è soprattutto centrato sul tempo- che riemerge attraverso dialoghi con Nuto o casuali sollecitazioni- trascorso da Anguilla presso un altro podere, la Mora, e nella memoria del protagonista ritornano i ricordi collegati alle tre figlie del sor Matteo- un benestante -le signorine, idoleggiate da lontano, sentite come incarnazioni di una femminilità conturbante ma, per il trovatello a servizio, inattingibile. Segue poi l'ultima parte, che oppone all'elegiaco passato un tragico presente: si apre col capitolo XXVI che dà notizia del gesto disperato del Valino, che appicca fuoco alla cascina e si impicca, e continua con la rievocazione- in forma indiretta attraverso il racconto che fa Nuto- del fallimentare destino delle figlie del sor Matteo, una delle quali, Santa diventata spia dei fascisti, è stata fucilata dai partigiani. Sul cadavere racconta Nuto "ci versammo la benzina e demmo fuoco. A mezzogiorno era tutta cenere. L' altr'anno c'era ancora il segno, come il letto di un falò". Sono le ultime righe del romanzo.
La Luna e i falò si ricollega alle meditazioni e agli studi sul mito, che Pavese inizia intorno agli anni '40 e lo portano a valorizzare le principali esperienze, che per ogni essere umano si collocano nell'infanzia, la stagione in cu si costituiscono le mitiche componenti della propria individualità. La ricognizione delle valenze costitutive della propria personalità sono possibili solo attraverso questo ritorno alle radici, al mondo dell'infanzia, che spesso si identifica con un ritorno reale o ideale alla campagna, alla terra, al paese.
Nella mitologia di Pavese infanzia- paese e età adulta -città creano una forte antinomia dalle valenze simboliche.
La campagna intesa come terra o collina esprime la pienezza esistenziale, sia come luogo selvaggio del dionisiaco e dell'istintivo, sia come archetipo materno, ritorno all'infanzia. La città invece a livello conscio rappresenta il momento della maturità, della fermezza e dell'impegno. Nel simbolismo profondo la città è lo spazio della mancanza, della solitudine, dell'alienazione, frequentata da sbandati, prostitute e ubriachi, che trovano nel sesso e nell'alcool un rimedio all'infelicità .
CITTA' < Strada, donna-aggressività, solitudine e adolescenza, dovere e impegno politico, inverno, notte, lampioni, pioggia, tabacco.
CAMPAGNA < Terra, collina, donna-dolcezza, sfrenatezza- infanzia, sole, estate, calore, incendio, covoni, colline bruciate.
Queste sono la radici da cui si è staccato l'io narratore Anguilla, che torna al suo paese, cercando di recuperare non solo un rapporto sentimentale con la propria terra, ma un rapporto di sangue, fino all'osmosi fisica con essa.
"Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto delle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo che anche quando non ci sei resta ad aspettarti ".
Nella prima parte del libro è appunto descritto questo ritorno in un paese, in cui Anguilla non è realmente nato,ma che ha sempre considerato come suo. Dopo essere stato in America, dopo aver girato tanto, ha maturato l'amara consapevolezza che il mondo è fatto di tanti piccoli paesi e nessuno,come il tuo, può farti sentire meno solo, più appagato, più felice.
Attraverso un via vai memoriale, in cui i piani narrativi si intersecano, il lettore viene a conoscenza, anche se in modo frammentario e solo alla fine veramente esaustivo, della vita passata di Anguilla, del paese e della sua gente.
Il quadro si completa solo man mano che si procede conla lettura, allora il puzzle della memoria di Pavese si ricompone.
Evidente e palese, fin dall'inizio, dalle riflessioni di Anguilla, è la particolare fisionomia del romanzo, quella della non realizzabilità di questo processo di ricongiungimento e reintegrazione della propria personalità con il clima mitico del passato infantile.
Tutto è uguale e tutto è cambiato e i falò, che si facevano per la festa di San Giovanni, che rischiaravano le notti paesane, che servivano superstiziosamente a risvegliare al terra, sono ora i falò della guerra, delle lotte e della violenza, che incombe sulla vita, sono i fuochi che riducono in cenere Santa e la Gaminella.
CESARE PAVESE
E' piuttosto difficile esporre con un certo ordine l'intreccio di questo romanzo e ciò è dovuto alla sua particolare struttura, che poggia sulla contaminazione di tempi differenti, di presente e di passato, di accadimenti, dei quali il protagonista è ora spettatore, e di memorie di rievocazioni del passato.
Protagonista è Anguilla, un trovatello che è cresciuto nelle Langhe lavorando in campagna presso varie famiglie ed è poi emigrato in America. Qui ha pur fatto fortuna e tuttavia ritorna alle sue Langhe per un oscuro bisogno di ritrovare la propria identità. Su questo impianto che ha alle spalle una millenaria tradizione -è il nostos, il ritorno, già utilizzato nell'epica-si dipana la vicenda di Anguilla ed è forse possibile distinguere tre grandi blocchi nella narrazione. Nella prima parte,capp.I-XIV, emerge attraverso la rivisitazione dei luoghi-colline e cascine- fatta o da solo o in compagnia di Nuto, l'amico di infanzia ritrovato, il più lontano passato di Anguilla che egli ha trascorso nel casotto di Gaminella a servizio di un misera coppia di contadini;ora ai suoi vecchi padroni è subentrato il Valino, ma Anguilla ritrova gli stessi aspetti delle cose e la stessa miseria di una volta e in un povero ragazzo, denutrito, Cinto, figlio del Valino, Anguilla rivede se stesso. Ed intanto col recupero del passato si intreccia il presente:le beghe di paese, il clima di restaurazione politica del finire degli anni quaranta. Il secondo blocco narrativo, capp. XV-XXV, è soprattutto centrato sul tempo- che riemerge attraverso dialoghi con Nuto o casuali sollecitazioni- trascorso da Anguilla presso un altro podere, la Mora, e nella memoria del protagonista ritornano i ricordi collegati alle tre figlie del sor Matteo- un benestante -le signorine, idoleggiate da lontano, sentite come incarnazioni di una femminilità conturbante ma, per il trovatello a servizio, inattingibile. Segue poi l'ultima parte, che oppone all'elegiaco passato un tragico presente: si apre col capitolo XXVI che dà notizia del gesto disperato del Valino, che appicca fuoco alla cascina e si impicca, e continua con la rievocazione- in forma indiretta attraverso il racconto che fa Nuto- del fallimentare destino delle figlie del sor Matteo, una delle quali, Santa diventata spia dei fascisti, è stata fucilata dai partigiani. Sul cadavere racconta Nuto "ci versammo la benzina e demmo fuoco. A mezzogiorno era tutta cenere. L' altr'anno c'era ancora il segno, come il letto di un falò". Sono le ultime righe del romanzo.
La struttura del romanzo comporta per il protagonista narratore la tecnica della disarticolazione del tempo, cronologicamente inteso, i due piani temporali, presente e passato, interferiscono continuamente fra loro.
Si potrebbe anche dire che ad ognuno di questi piani corrispondono modalità stilistiche specifiche, una precisione di dettagli e notazioni, una vocazione realistica per la rappresentazione del presente; una vocazione lirica, un abbandono a tonalità di una straziata e straziante malinconia, nella rievocazione del passato, dal momento che il protagonista narratore sa che crescere vuol dire andarsene, invecchiare, voler morire (cap. XIV).
L'atteggiamento malinconico rende la prosa di Pavese ricca di valenze ritmiche e melodiche, con un andamento poetico.
Pavese denota quindi una forte consapevolezza del valore tecnico espressivo della narrazione che è dissociato dagli aspetti tradizionali del romanzo, d'altra parte la sua arte è eminentemente simbolica, attenta a ricreare attraverso una rete sottile di metafore un particolare ritmo lirico. Egli stesso ha così definito la scrittura letteraria sua e del '900 lo stile novecentesco è un perenne farsi di vita interiore e traspare nei momenti in cui il soggetto del racconto è il legame fra realtà e immagine, ovvero il farsi di una realtà interiore espressiva.
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