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La Luna e i Falò - Analisi
Romanzo composto tra il 18 settembre e il 9 novembre del '49 e pubblicato nel 1950, "La Luna e i Falò" tratta la storia di Anguilla, un trovatello cresciuto nelle Langhe che decide di provare "a far fortuna" e di imbarcarsi per l'America. Dopo aver sperimentato le possibilità lavorative offerte dall'America urbanizzata, torna per l'intensa nostalgia del paese, e si accorge che persone e cose sono cambiate a causa della guerra e della Resistenza: adesso nel paese c'è la miseria con tutti i suoi risvolti drammatici.
Anguilla frequenta un'unica persona, un ragazzo di nome Cinto grazie al quale ritrova la nostalgia della sua infanzia, che lo conduce ad una sorta di identificazione con lui. Dunque Anguilla compie una sorta di pellegrinaggio verso i luoghi mitici dell'infanzia, che si risolve nella constatazione di quanto ormai è perduto per sempre. Il ricordo allora diviene amarezza: Pavese nel protagonista del romanzo, oppresso dal passato-presente, deve constatare che crescere vuol dire andarsene, invecchiare, vedere morire. E' la lucida constatazione dell'irrimediabile legge di morte che è connaturata all'uomo.
Il racconto si chiude sull'immagine dei falò, simbologia del titolo dell'opera: falò-fuochi della collina in tempo di pace, falò-fuochi devastatori delle bombe in tempo di guerra, che bruciano la casa di Cinto (il quale si salva), e ricordano le barbarie subìte dalla gente comune per le scelte dissennate del regime totalitario fascista.
Analisi:
Questo suggestivo romanzo si può definire l' opera conclusiva dell'attività di Pavese, nella quale lo scrittore riesce a trasformare ogni cosa, ogni evento e ogni personaggio in mito e in simbolo, tensione di tutta la sua vita. Il tema principale è il "ritorno" , che richiama alla mente il "ritorno" di un altro poeta italiano dell'Ottocento, Giacomo Leopardi. Dopo essersi stabilito a Roma, Leopardi rimpiange il suo paese natale: ciò che aveva idealizzato non corrisponde alla realtà, Roma gli appare squallida e modesta, una città come tutte le altre, che lo porta ancora una volta a ritrovarsi solo e a chiudersi in se stesso. Da qui la decisione di tornare a Recanati, ritrovare le sue origini, le sue abitudini, in un ritorno che sarà foriero di nuova vena artistica: le Operette Morali, scritto che, come la maggior parte della produzione artistica di Pavese, è fortemente segnato da una profonda amarezza.
In Pavese il "ritorno" viene cancellato dal tempo, che fa da contrasto alle vicende narrate, e si fonde con il paesaggio. Tempo che ha un suo ritmo ben preciso, ma che diventa frenetico con il precipitare degli eventi, i tragici avvenimenti della guerra, della Resistenza, di alcuni personaggi che determinano il decadere non solo dell'uomo, ma anche dell'intera società con la loro morte, una morte quasi evocata, che esploderà tragicamente nelle pagine finali.
Inoltre il romanzo racchiude anche tutti i miti cari a Pavese: il mito della città e della campagna, della fuga e del ritorno, il mito dell'America, che resta soltanto un sogno perché lo scrittore non vi andrà mai.
Anche dal punto di vista dello stile il romanzo rappresenta il traguardo dello scrittore, che in esso raggiunge la perfezione stilistica attraverso la sintesi. La forte consapevolezza del valore tecnico-espressivo della narrazione lo porta a "disossarla" dagli aspetti tradizionali del romanzesco (l'intrigo e la costruzione ampia) a vantaggio della concentrazione su pochi temi, iterati quasi ossessivamente. Ciò corrisponde alla poetica del simbolo che, nel romanzo, valorizza il senso di una trama di corrispondenze nascoste sotto la superficie del discorso narrativo. In questo romanzo, dunque, lo scrittore piemontese riesce a far sì che il soggetto del racconto sia il legame tra realtà e immagine, il farsi di una "realtà interiore espressiva" che è la grande novità della scrittura letteraria di Cesare Pavese. D'altro canto la sintesi è ottenuta anche con il dialetto, usato così sapientemente da fondersi con la lingua senza creare alcun distacco, in un perfetto impasto linguistico che ben si coglie nei dialoghi tra Nuto, l'amico d'infanzia del narratore che lo aiuta a "scavare" nel passato per ritrovare le sue origini, e il narratore stesso.
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