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Petrarca e Boccaccio avevano ricercato nell'antichità motivi di acquetamento alle loro inquietudini religiose e morali. Solo però i primi umanisti guardano al mondo classico come al regno ideale della bellezza, della verità e della perfezione, ricavandone la sollecitazione ad un profondo rinnovamento spirituale e culturale; tale rinnovamento assumerà ben presto carattere unitario e nazionale. Non vi è centro politico da Firenze a Bologna, ad Urbino, a Ferrara, a Milano, che non conosca l'entusiasmo della ricerca di antichi codici e non contribuisca al sorgere del metodo filologico; si raffrontano storicamente, linguisticamente i testi per liberarli dai travisamenti delle trascrizioni medievali.
Firenze è il centro irradiatore del movimento umanistico da quando troviamo come cancelliere del comune Coluccio Salutati, discepolo del Petrarca (di cui pubblico l'Africa) e instancabile ricercatore di codici.
Egli appartiene ancora alla seconda metà del Trecento, in tal senso sarebbe da considerare un "preumanista". Diffuse i suoi studi attraverso una vasta corrispondenza epistolare in latino con dotti italiani e stranieri, i quali poi leggevano le sue lettere come modelli di eloquenza tanto che da allora in poi, per molto tempo, principi e repubbliche italiane pretesero nei loro cancellieri, più che l'abilita diplomatica e di governo, la perizia nell'arte oratoria. Tale accostamento delle lettere alla politica trova riscontro nell'accostamento delle lettere alla storiografia operata dal già menzionato Leonardo Bruni (1370-1441), discepolo del Salutati e a sua volta cancelliere di Firenze. Nella sua Historia Florentina egli si allontana dalla visione medievale della storia (intesa come frutto di una volontà trascendente che domina gli eventi). Egli dà libero corso all'interpretazione dei fatti (che sarebbero frutto dei caratteri, delle passioni, degli interessi umani) attraverso un vaglio critico che distingua la storia dalla leggenda.
Bruni sostiene un ideale politico (che poi trova riscontro in numerosi umanisti) che attinge dall'antica Grecia e da Roma repubblicana, quello cioè della "città stato", di cui i fiorentini trovano modernamente attuato il modello nel loro comune. Si ritrova quindi nella Historia Florentina la consapevolezza della funzione civile che il fatto letterario deve acquisire; in tal senso Bruni non intende ricevere dagli studi classici una pura erudizione, bensì un insegnamento di vita.
Tra gli altri ricercatori di codici ricordiamo Poggio Bracciolini; egli ci lasciò di molte opere delle copie scritte di suo pugno, tanto più preziose in quanto poi andarono smarriti gli esemplari da cui esse erano state tratte. E ancora Niccolò Niccoli i cui codici vennero depositati, dopo la morte, nella chiesa di San Marco per ordine di Cosimo de' Medici e costituirono la prima biblioteca pubblica.
Lo studio filologico approda spesso a risultati passibili di importanti sviluppi, a cominciare dal criticismo storico e dall'avvio di una vera e propria mentalità scientifica; questo avviene soprattutto quando il fattore speculativo nelle opere in latino sopravanza quello puramente linguistico e formale, superando così il puro esercizio letterario che caratterizza invece fenomeni come il "cicerionanesimo".
In tale ottica risulta rilevante la figura di Lorenzo Valla (di Roma), che nei 6 libri delle Elegantie latinae linguae sostiene la necessità di una disamina critica della lingua latina al fine di giungere a conoscenza della sua intima struttura. Egli infatti, contro le grammatiche medievali e l'uso stesso dei primi umanisti, si proponeva di restaurare nel latino la giusta morfologia e sintassi , secondo l'esempio di autori del periodo tra Cicerone e Quintiliano.
Storicamente tale restauro è importante perché segna il momento in cui gli umanisti rinunciano a considerare il latino come lingua viva assimilabile all'uso moderno e quindi capace di assumere nuove forme grammaticali e nuovi modi di dire. Fissandone infatti le regole in un periodo storico ormai concluso, il Valla considera così implicitamente il latino come lingua morta (pur però non avendone ancora chiara coscienza).
Ne nascerà una polemica con il Bracciolini e tutti gli umanisti della vecchia generazione.
Del Valla ricordiamo ancora il De falso credita et ementita Costantini donatione in cui impiega l'indagine filologica giungendo a dimostrare, la falsità del documento su cui per secoli la Chiesa aveva fondato la legittimità del suo dominio su Roma, in quanto donazione di Costantino. Egli dimostrò infatti che il latino usato nel documento era posteriore al tempo di tale Imperatore.
Dal Valla prende le mosse quella critica storica e filologica, che già i Greci avevano per primi esercitato nell'antichità e che avrà il suo più vigoroso sviluppo nei secoli XIX e XX.
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