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La condizione degli intellettuali e l'organizzazione della cultura nel Seicento




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La condizione degli intellettuali e l'organizzazione della cultura nel Seicento


La condizione degli intellettuali e l'organizzazione della cultura non subiscono in Italia sostanziali mutamenti rispetto alla prima fase dell'età controriformistica.

L'editoria conosce un periodo di crisi dovuto all'azione repressiva della censura, alla conseguente scelta di privilegiare i libri di devozione, all'isolamento della cultura italiana rispetto al resto d'Europa, al restringimento del pubblico. In tale situazione, l'intellettuale può trovare impiego solo presso le corti, trasformandosi in cortigiano con funzioni spesso di segretario del signore o di altri esponenti del ceto dominante, o presso la curia pontificia. In entrambi i casi gli si richiedono mansioni specifiche, di carattere tecnico, che non investono più né la sua funzione civile ed ideologica, né il lavoro letterario. Anche se i letterati continuano a cercare la protezione dei principi e a dedicare loro le opere che scrivono, in realtà si sta verificando una scissione tra il lavoro intellettuale a corte, necessario per guadagnarsi da vivere, e l'impegno letterario. Quest'ultimo fa perciò registrare un riflusso nel privato, con un complessivo disimpegno civile e morale, che diventa sempre più forte a partire dagli anni Trenta.

Dato il loro grande numero, solo pochi letterati potevano trovare un impiego nelle corti o nella curia pontificia, e solo pochissimi potevano permettersi, come Marino, di passare da corte a corte, scegliendo i propri protettori. Gli altri vivevano nelle angustie, divisi da gelosi e rivalità dovute alla concorrenza reciproca ed alle esigenze stesse della sopravvivenza. Questa situazione induceva molti di loro all'opportunismo ed al servilismo nei confronti del potere. Esauritasi la grande tradizione di orgoglio intellettuale e di rivendicazione di autonomia, che continua sino a Sarpi, Campanella, Bruno, Galileo, comincia a svilupparsi, invece, soprattutto a partire dagli anni Trenta, il trasformismo intellettuale, cioè la tendenza opportunistica a cambiare atteggiamento a seconda della situazione.

All'estero, e soprattutto nelle grandi corti di Parigi e Londra, la situazione era meno negativa. Molti pensatori francesi si avvalsero dell'appoggio di Richelieu e di Mazzarrino; e in Inghilterra, il grande filosofo Francesco Bacone ebbe incarichi e responsabilità di rilievo.

In Italia, invece, si accrebbero nuovamente le file degli intellettuali chierici che mettevano a disposizione della Chiesa la loro specializzazione. In generale la Chiesa costituì in questo periodo, con la sua poderosa macchina organizzativa ed ideologica, un potente elemento di coesione culturale.

L'unico strumento di autoriconoscimento e di protezione dell'identità intellettuale fu nel nostro paese l'istituzione di accademie laiche, già sorte numerose nella seconda metà del Cinquecento. Dalle accademie, per divulgarne le ricerche ed i risultati, nacquero i primi giornali letterari e scientifici: fu così a Parigi, a Londra, ma anche a Roma, per opera della curia papale.


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