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ITALIANO
GIOVANNI PASCOLI
Giovanni Pascoli
nasce nel
Lasciato il collegio a causa delle difficoltà economiche, Giovanni si trasferisce a Rimini. Superati gli esami di licenza liceale, si iscrive alla facoltà di Lettere all'università di Bologna: tra i suoi professori c'è Giosuè Carducci. Avvicinatosi al socialismo viene però privato del sussidio che gli è necessario per continuare gli studi: la morte del fratello Giacomo aggrava ulteriormente la sua situazione economica. Arrestato per aver partecipato ad una manifestazione socialista, esce dal carcere dopo tre mesi, assolto dall'accusa di sovversione, grazie anche ad un intervento di Carducci; successivamente ottiene di nuovo il sussidio per l'Università, riprendendo gli studi e laureandosi con lode nel 1882.
Nel
Dopo il matrimonio a sorpresa della sorella Ida, che il poeta vive come un abbandono, prende in affitto una casa a Castelvecchio, in Garfagnana, e ne fa il suo <<rifugio>>; intanto pubblica sulla rivista 'il Marzocco" il suo fondamentale testo di riflessione teorica, Il Fanciullino. Si definisce anche in questo periodo la sua produzione poetica, con le nuove edizioni di Myricae, i Canti di Castelvecchio e i Poemi Conviviali.
Passato dal socialismo all'accettazione dell'ordine Giolittiano, plaude ora l'espansione coloniale dell'Italia, ritenuta necessaria per mettere argine alla piaga della disoccupazione e dell'emigrazione: il suo ultimo discorso celebrativo La grande proletaria si è mossa è scritto, infatti, in occasione della guerra libica; intanto in questo periodo si manifestano i primi sintomi di una malattia incurabile che lo porterà alla morte il 6 aprile del 1912.
LA POETICA
Il segreto della poesia, per Pascoli, sta in una <<improvvisa rivelazione del mondo>>. Siamo dunque di fronte ad una sensibilità del tutto nuova e moderna, ad un'idea della poesia che ha profonde relazioni con il simbolismo: restituire alle singole cose il loro aspetto piu' autentico, chiamarle con il loro nome significa per Pascoli connotarle di un valore simbolico specifico ed unico. Il Pascoli, come <<poeta delle piccole cose>>, della semplicità, dell'infanzia incontaminata, lascia parlare il <<fanciullino>> che è nascosto in ognuno di noi e che guarda la realtà secondo prospettive inconsuete e come egli stesso afferma :<<impicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare>>.
Dal punto di vista stilistico, Pascoli si muove seguendo vie inedite, sia sul piano formale e linguistico sia su quello contenutistico: introduce un linguaggio spesso mutuato dall'uso quotidiano o dialettale, ma utilizza anche vocaboli rari e dotti , prelevati meticolosamente da dizionari come quelli di botanica; da largo spazio all'onomatopea e a meccanismi fonosimbolici.
Il tema della morte e del mondo dei morti e della tenace chiusura protettiva del <<nido>>, con i ricorrenti riferimenti autobiografici e familiari, costituiscono motivi costanti della poesia pascoliana.
Ma la complessità del mondo poetico pascoliano include anche l'attenzione, oltre che al microcosmo delle cose umili e quotidiane, anche al macrocosmo spaziale. Le scoperte scientifiche del tempo, il pensiero positivistico lo portano a sentire e ad esprimere il fascino terribile dell'universo astronomico in movimento, e sempre secondo il Pascoli, l'uomo, per sfuggire al senso di vertigine che potrebbe distruggerlo, resta ancorato al piccolo guscio terrestre come appunto a un nido o a un grembo materno.
LE
OPERE
IL FANCIULLINO (e Il poeta non arringa e non trascina)
Questo famoso testo è il momento di maggior riflessione teorica sulla poesia compiuto da Pascoli. Secondo la sua idea, dentro ogni uomo vive un <<fanciullino>>, capace di guardare al mondo con intatto stupore, con meraviglia, capace di provare emozioni e di vedere le cose come per la prima volta, scoprendo in esse somiglianze e relazioni. Il poeta è colui che riesce a dar voce al fanciullino; ed è proprio questo che Pascoli vuole esprimere e far capire con la poesia "Il poeta non arringa e non trascina" tratta appunto da Il Fanciullino: secondo il Pascoli il fanciullino dovrebbe essere presente nel cantuccio dell'animo di ognuno e, il compito del poeta appunto è quindi quello di risvegliare, attraverso i suoi componimenti e le sue opere, il fanciullino che è presente dentro ogni uomo.
MYRICAE
Il titolo dell'opera è tratto da un celebre verso di Virgilio, ed ha un valore programmatico: sottolinea sia la semplicità e la quotidianità dei temi legati alle cose umili della vita di tutti i giorni, specialmente della vita nei campi, sia il tono basso delle scelte lessicali. I componimenti che ne seguono sono frammenti lirici, brevi bozzetti di ambientazione agreste.
ARANO
Di questa raccolta, fra gli altri, fa parte l'idillo Arano: esso è un perfetto quadro campestre autunnale, nel quale vengono descritte alcune semplici operazioni appunto di aratura.
Nell'idillo i lavori campestri si ripetono ciclicamente con una maestosità quasi biblica. Tuttavia, lo spunto idillico è come sempre in Pascoli, arricchito ed adornato da una tensione drammatica che, anche in questa scena apparentemente neutra, segnala la presenza di implicazioni dolorose, malinconiche, come l'indifferenza della natura e la ripetitività della fatica. Nella prima parte della lirica abbiamo un ritmo ampio che riflette la solennità dei gesti dei contadini, mentre nell'ultima parte vi è un ritmo piu' veloce. Inoltre, molto presente nell'iddilo, è l'uso delle allitterazioni e delle assonanze.
LAVANDARE
Un'altra poesia della raccolta Myricae è Lavandare: in questa poesia, appunto, il poeta parla di un altro, semplice lavoro, quello delle lavandaie, di cui si sente, peraltro, solo il suono. Il loro canto diffonde una sensazione di malinconia e di abbandono; parla di qualcuno che se ne è andato, lasciando chi è rimasto nella desolazione, come l'aratro dimenticato "in mezzo alla maggese", ossia nel campo lasciato per qualche tempo a riposo, della prima terzina.
NOVEMBRE
Infine vi è ancora un opera, tratta sempre dalla raccolta Myricae, il cui titolo è Novembre. Qui il poeta descrive un paesaggio illuminato dal sole della cosiddetta <<estate di san Martino>>, nella prima metà di novembre. La prima strofa descrive un paesaggio sereno e quasi primaverile; la seconda strofa, invece, si apre con una forte avversativa (Ma) , che rompe l'illusione e riporta il poeta alla dura realtà dell'autunno, confermata poi nella terza ed ultima strofa. La lirica mira a mettere in evidenza il senso di tristezza e di pena che la realtà nasconde sotto il velo dell'apparenza. La vana illusione della primavera accentua la malinconia della scena autunnale e allo stesso modo le effimere speranze dell'uomo rendono piu' acuta (piu' forte) la sua pena. In quest'opera troviamo anche l'uso della sinestesia, ossia una figura retorica che si basa sulla fusione di ambiti sensoriali diversi, tipica di Baudelaire che ci ricollega quindi alla poesia simbolista.
CANTI DI CASTELVECCHIO
Un'altra opera molto importante di Giovanni Pascoli è "I Canti di Castelvecchio" . In quest'opera tornano i temi di Myricae, ma con maggiore complessità formale e in chiave piu' esplicitamente simbolista; infatti anche per questo furono definiti da Pascoli <<Myricae autunnali>>. Tuttavia c'è da dire che rispetto a Myricae,, però, i Canti di Castelvecchio presentano alcune importanti differenze: le poesie infatti sono mediamente piu' lunghe, inoltre Pascoli approfondisce il simbolismo che, nella raccolta Myricae, è solamente accennato in qualche componimento.
NEBBIA
Questa poesia viene pubblicata nella prima raccolta dei Canti di Castelvecchio. In questo componimento, per il Pascoli, il passato è dolore, è una ferita, meglio perciò non risvegliarlo: il ruolo della nebbia è proprio quello di nascondere il passato ed anche un presente un po' incerto. Nel testo, la nebbia, è poi vista come una presenza amica (ed infatti il poeta instaura una sorta di dialogo con lei), ed è vista anche come una presenza rassicurante proprio perché impedisce al poeta di vedere cose lontane e lo invita perciò alla meditazione ( e naturalmente a una meditazione sulla morte).
IL GELSOMINO NOTTURNO
Infine ho analizzato anche "Il gelsomino notturno" che, a parer mio, è la poesia piu' bella del Pascoli, o comunque, quella che a me è piaciuta di piu' e a trasmesso piu' emozioni. Tratto anch'esso dalla raccolta dei Canti di Castelvecchio, questo componimento, venne pubblicato in occasione delle nozze dell'amico Gabriele Briganti, ed alla circostanza è metaforicamente legato il testo, nel quale, in un paesaggio notturno, silenzioso, si compiono, parallelamente o come rispecchiandosi, la fecondazione dei fiori e, all'interno della casa, l'atto nuziale.
Molto forte è il tema della sessualità: il poeta infatti, descrive con particolare delicatezza il concepimento di un bambino e,mentre parla della fecondazione dei fiori, in realtà allude metaforicamente all'atto sessuale che contemporaneamente si sta svolgendo all'interno della casa: il fiore fecondo grazie alle farfalle notturne che ne trasportano il polline è metafora della donna resa madre dal marito.
Nella poesia, è presente ancora una volta il simbolismo: il poeta, infatti, instaura una serie di corrispondenze tra il mondo naturale e quello umano (la casa bisbiglia, l'ape sussurra) creando così una perfetta corrispondenza, appunto, tra il mondo vegetale del gelsomino, quello animale delle farfalle e quello umano.
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