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Isteria
Tra realtà e allucinazione
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a malattia mentale ha sempre affascinato pensatori illustri, scrittori e artisti. La cultura del 1800 aveva indicato la malattia mentale in generale come una malattia i cui disturbi potevano collegarsi a lesioni organiche; ma solo con la scoperta dell'inconscio si è potuto dare una connotazione non più organica di queste malattie. L'inconscio fu scoperto grazie agli studi fatti da medici di estrema importanza verso una malattia mentale indubbiamente affascinante: l'isteria.
L'isteria fu studiata ancor prima di Freud e Breuer; fu infatti non solo citata nel Timeo di Platone, in cui si riconobbero dei rapporti della malattia con i disturbi di carattere sessuale, ma dallo stesso Ippocrate, definendo le sacerdotesse che proferivano i loro oracoli come affette da isteria. Tutto ciò fu abbandonato nel Medio Evo, in cui vari soggetti affetti da questa malattia furono processati per stregoneria, considerando l'isteria come la prova di una "possessione demoniaca". Questa convinzione, alimentata dalla Chiesa, portò a una vera persecuzione. Solo quando si attuarono veri studi sull'anatomia (XVIII - IXX sec.) si incominciò a pensare all'isteria come una malattia, anche se inizialmente fu classificata come una malattia del cervello e non della personalità come poi spiegheranno Breuer e Freud con lo studio di Anna O. e di Emmy von O. Prima ancora però alla concezione "somatica" dell'isteria si opposero Charcot e il suo allievo Pierre Janet, concludendo che l'isteria era una malattia della sintesi personale, considerandola una malattia "della coscienza" se pure ritenendola erroneamente ereditaria.
Nel 1893 Freud e Breuer pubblicarono un resoconto dei loro studi e delle loro esperienze in questo campo, pubblicando inizialmente "Il meccanismo psichico dei fenomeni isterici", che fu seguito dalla pubblicazione di alcuni casi clinici (tra cui quelli di cui ho scelto di occuparmi) ed infine nel 1895 gli "studi sull'isteria". Inizialmente Breuer e Freud nel 1893 trovarono che i singoli sintomi isterici recedevano quando, nell'ipnoterapia ovvero l'utilizzo dell'ipnosi, tecnica utilizzata anche da Charcot, essi riuscivano a risvegliare il ricordo traumatico assieme all'emozione che lo aveva accompagnato, e il paziente, così, riviveva le situazioni che lo avevano turbato affettivamente esternando le emozioni. Da qui si venne a creare ciò che inizialmente può essere identificato come un metodo catartico in cui i ricordi del paziente regredivano a uno "status nascendi", allo stato iniziale: sono i ricordi i veri tormenti dell'isterico!
Freud si avvalse inizialmente della collaborazione del suo amico e collega Breuer, ed è solo grazie al loro comune lavoro che si sono aperte le porte per la psicoanalisi, una via che Freud poi percorse da solo.
La malattia mentale, come ho già esposto, ha sempre provocato un sentimento di attrazione - repulsione: da una parte è sempre stata musa ispiratrice nella letteratura o nell'arte, ma dall'altra parte ha sempre impaurito il genere umano. Da questo profondo turbamento che provoca sulle persone "sane", la società nel passato ha creato l'istituzione dei manicomi in cui si rinchiudevano i malati mentali. Solo grazie a Basaglia che l'istituzione manicomiale è stata abrogata.
In Italia nel 1978, in virtù dell'esperienza pregressa e del pensiero sull' antipsichiatrismo dell'autore della legge, entrava in vigore la Legge Basaglia. Il noto psichiatra Basaglia, quando fu direttore dell'Istituto psichiatrico di Gorizia, poté rendersi conto della realtà drammatica manicomiale: la massima segregazione dei malati mentali, la contenzione e l'applicazione dell'elettroshock sui malati allo scopo di ridurli in uno stato vegetale. Lo stesso psichiatra disse: "un malato di mente entra nel manicomio come 'persona' per diventare una 'cosa' ". Nell'antipsichiatrismo, corrente nata in Inghilterra nei movimenti del 1968, un malato mentale non è visto come un individuo pericoloso per la società, ma al contrario un soggetto del quale devono essere messe in risalto, anziché represse, le sue qualità umane.
Ciò che portò infatti alla stesura ed approvazione della legge Basaglia, che tutt'oggi è oggetto di aspre discussioni, è stata la presa di coscienza del legislatore in merito ad una istituzione che non è stata creata con un intento terapeutico, ma bensì restrittivo per i stessi malati e per le persone considerate scomode per la società o per la famiglia. Infatti, tra il 1904 e il 1909 una legge dell'epoca definiva il malato mentale come un soggetto al limite tra malattia e criminalità con conseguente incremento di "malati" nei manicomi. In quei periodi il manicomio è stato frutto di una rimozione sociale e di una ghettizzazione della sofferenza psichica alimentata da una concezione positivista in cui la malattia mentale era considerata come il "sintomo di qualcosa che andava male".
Il primo manicomio in Europa fu la Salpetriere, fondato nel 1656 come Ospedale Generale del Re Sole con lo scopo di sottrarre i malati mentali dalle confraternite cristiane e affidarli a scienziati pere lo studio sulle malattie mentali. In questo istituto lavorò Charcot e per un breve periodo Freud padre della psicoanalisi. Come in molti istituti paritetici, la struttura, che versava in uno stato di estremo degrado, era dotata di muri incolori, dato che all'epoca si pensava al malato come privo di un'anima, docce fredde o bollenti e reparti che odoravano di feci ed urina. Venivano applicate le terapie più aberranti come l'impiego di sanguisughe sui genitali dei malati allo scopo di limitare le funzioni dei ricoverati.
I
La malattia
L'isteria che enigma
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'isteria si manifesta sotto forme diverse che diedero vita a una ricca letteratura: questa malattia di tipo nevrotico ha numerosi sintomi e spesso capita che la stessa malattia non si manifesti nella forma pura poiché può avere delle sfumature di altri tipi di nevrosi.
Il termine fu introdotto da Ippocrate che riteneva l'isteria una malattia esclusivamente femminile, dovuta a una sofferenza dell'utero ( in greco hystera) che, a causa dell'astinenza sessuale, "errava" all'interno del corpi premendo sugli altri organi. Sebbene nei secoli successivi venne riconosciute come una vera e propria malattia, l'isteria ebbe sempre una connotazione femminile, che fu smentita in parte da Freud.
Dobbiamo in parte a Jean - Martin Charcot i primi studi sull'isteria, ed è grazie a lui che abbiamo una distinzione netta tra crisi epilettica e crisi isterica, che lo portò pure a tracciare a grandi linee le fasi evolutive del fenomeno isterico (chiamato così grande isteria o istero-epilessia). Solitamente l'isteria si presenta con un profondo turbamento sia della psiche che di organi sensoriali e motori, in cui spesso il paziente è cosciente.
L'idea di Charcot fu rivalutata grazie agli studi che Breuer e Freud compirono insieme, per poi scrivere "Studi sull'Isteria". Un attacco isterico, in questo saggio, è stato suddiviso in quattro fasi distinte:
Crisi epilettica, che spesso poteva ingannare;
Periodo dei "grandi movimenti" o delle contorsioni armoniose, in cui i movimenti descrivono ampi cerchi, sono più "eleganti" rispetto a quelli di una crisi epilettica;
Fase allucinatoria;
Fase terminale.
L'isteria è una malattia assai difficile da comprendere poichè cambia spesso da paziente a paziente. Infatti è stato riscontrato che il paziente potrebbe cadere in un sonno oppure in coma. L'isteria ha una peculiarità: spesso presenta tra i sintomi la paralisi o parziale o totale di alcune parti del corpo, e come nel caso di Anna O. ci può essere anche l'afonia (che come succede ad Anna si può limitare ad una sola lingua, mentre parla un'altra lingua correttamente!).
Ma quali sono le motivazioni che scatenano l'Isteria? Per spiegarle Freud si avvalse non solo dell'opera di Charcot (1880/85) ma anche delle sue rielaborazioni di casi di Breuer. Nel 1893 Freud scrisse il "Meccanismo psichico dei fenomeni isterici", scritto che poi confluì negli "Sudi sull'Isteria" (1895) in cui Freud indaga sulle cause della malattia. Si spiega l'isteria comunemente come reazione a un trauma: questo trauma può essere dato da un vero avvenimento che ha attentato alla vita del paziente o può avere una correlazione simbolica. Come capire meglio un trauma da correlazione simbolica? Facciamo degli esempi significativi.
Anna O. per un certo periodo diventa idrofoba. Breuer venne poi a conoscenza che Anna aveva provato disgusto, qualche anno prima, nel vedere un suo cane bere dal bicchiere della sua padrona. E ancora un uomo, da vent'anni dormiva male durante l'inverno: si seppe poi che nel novembre di vent'anni prima aveva vegliato per molte notti il figlio malato.
II
Cessante causa cessat effectus
Col cessare della causa cessa l'effetto
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embra davvero straordinario che eventi vissuti tanto tempo addietro possono essere i motivi scatenanti di un attacco isterico. È naturale che il ricordo deve provocare una intensa reazione al soggetto, ma è particolarmente affascinante l'effetto quasi "catartico" che produce il metodo per curare da questa malattia: l'ipnosi.
Infatti ogni sintomo isterico scompare immediatamente nel momento in cui la paziente, sottoposta ad ipnosi, raccontava al terapista il ricordo traumatico. Bisognava portare il ricordo allo status nascendi, espresso a parole, per poi rimuovere i sintomi isterici provocati da esso. I ricordi traumatici sono quasi completamente assenti nella memoria dei pazienti e, quindi, se estremamente forti, possono confluire nell'ultima fase: la fase allucinatoria. Solo con l'intervento dell'ipnosi, l'isterico tramite l'individuazione e la successiva esposizione del ricordo traumatizzante, riesce a curarsi in modo definitivo.
Una bambina soffriva da anni di convulsioni, che vennero scambiate inizialmente per convulsioni epilettiche. Solo quando fu ipnotizzata essa ebbe una crisi: incominciò ad urlare "Al cane! Al cane!", e successivamente si venne a sapere che aveva avuto il primo dei suoi attacchi quando fu inseguita da un cane arrabbiato.
III
Il caso di Anna O.
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al dicembre del 1880 al giugno del 1882 Breuer si occupò di un caso tipico di isterismo, quello di Anna O. Si trattava di una ragazza di 21 anni, di intelligenza fuori dal comune, che aveva presentato dei sintomi isterici durante la malattia che aveva portato il padre alla morte. I sintomi erano paralisi alle gambe ed a un braccio, disturbi gravi della vista e del linguaggio, impossibilità di mangiare, e una tosse nervosa e per questo che Breuer fu consultato. Nello sviluppo della malattia Anna manifestò due stati di coscienza ben distinti: uno del tutto normale, l'altro di una "bambina cattiva"; si trattava quindi di un classico caso di doppia personalità. Il passaggio tra tali stati di coscienza era rappresentato da una fase di autoipnosi dal quale Anna riusciva a risvegliarsi lucida e psichicamente normale. Durante alcune sedute con Breuer la ragazza raccontò di terrificanti allucinazioni (spesso tratte dalle favole di Hans Andersen) e solo dopo essa si sentiva sollevata appieno. Quando un giorno descrisse a Breuer tutti i particolari dei sintomi, con grande stupore del medico e della paziente che parlava fluentemente l'italiano e l'inglese ma non il tedesco, sua lingua madre, essi scomparvero. A questo punto Breuer incominciò a sottoporre la paziente ogni mattina ad un'ipnosi artificiale fino a quando si dovette allontanare per un periodo. Fu subito richiamato poiché Anna aveva peggiorato minacciando il suicidio. Con la speranza di migliorare il suo stato di salute Breuer suggerì di allontanarla da Vienna e di trasferirla in campagna, cosa che però provocò in lei profonde turbe psichiche. Spesso cadeva in uno stato di sonnolenza che durava giorni e nel sonno spesso si dimenava irrequietamente ripetendo "Tormentare, tormentare". Allora Breuer che non voleva ricorrere ai consueti sedativi, incominciò la vera e propria talking cure, inducendo Anna anche a praticare una specie di volontariato presso poveri e malati con intenti terapeutici. Tuttavia, Anna manifestò sempre più nettamente la distinzione tra le due coscienze, e quello che gli raccontava la "bambina cattiva" era correlato alle sue allucinazioni. Nel 1882 si decise così di farla ritornare a Vienna, ma successe una cosa alquanto strana: lei riviveva gli eventi dell'inverno dell'anno precedente. Breuer, a questo punto non comprendendo lo stato d'animo della paziente, dovette servirsi di un diario della madre di Anna e, grazie a questa conoscenza del passato della paziente, il medico riuscì a far emergere dalla sua psiche gli avvenimenti occorsi prima del suo arrivo, individuando così le cause dell'isteria.
Nel luglio del 1880 il padre, mentre soggiornava in campagna, era ammalato gravemente. Anna incominciò a vegliare di notte il. Una notte cadde in un sogno ad occhi aperti e vide un serpente nero che veniva dalla parete verso il padre per morderlo: cercò di tenerlo a bada ma era come se fosse paralizzata. Il braccio destro su cui si era addormentata incominciò ad intorpidirsi, diventando quasi paralizzato. Anna se lo era guardato e aveva visto le dita trasformarsi in tanti piccoli serpenti con teschi al posto della testa. Quando i serpenti svanirono cercò di pregare, ma non le veniva in mente nessuna preghiera tranne dei versi infantili in inglese e da allora incominciò a pensare e a parlare in questa lingua. Da quel momento in poi qualsiasi oggetto con la forma serpentina riportava Anna all'allucinazione terrificante. A questa ne fecero seguito altre e si manifestarono i sintomi dell'isteria.
Breuer incominciò pazientemente a rimuovere uno per uno i sintomi dell'isteria, sottoponendo Anna all'ipnosi per farle rivivere il passando e liberarla quindi dai ricordi.
Ma cosa aveva influito nella psiche di Anna, perfettamente sana e che ora l'aveva indotta ad avere una maggiore esposizione alla malattia? Breuer ipotizzò che gran parte delle cause erano da identificare nella vita familiare monotona e nella mancanza di occupazioni intellettuali, che lasciavano in lei un eccesso di vivacità e di energia mentale. Inoltre, questo eccesso di vivacità la portava spesso a sognare ad occhi aperti il che aveva gettato le basi per la sua dissociazione.
Si sa che Anna O. è uno pseudonimo: Anna, il cui nome è Bertha, divenne poi la prima assistente sociale in Germania, fondando poi una rivista e diversi istituiti di preparazione per gli studenti, e si impegnò attivamente contro l'emancipazione della donna e per i bambini.
IV
La figura di Fosca
L'isteria nella letteratura
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l romanzo tratta della relazione tra un giovane avvenente ufficiale, Giorgio e Fosca, una giovane donna cugina del Colonnello. A ventotto anni, dopo una grave malattia, Giorgio è giunto a Milano senza un vero scopo. Qui conosce Clara, donna sposata e bellissima di cui si innamora. Richiamato al servizio viene dislocato in una piccola località di provincia. Entrato nelle grazie del suo comandante, conosce la cugina Fosca, malata di isterismo. Fosca si attacca disperatamente a Giorgio, il quale, disgustato dalla sua bruttezza, la respinge rivelandole di essere innamorato di un'altra. Viene convinto però dal medico della malata a fingere di essere innamorato di lei per salvarla dalla morte. L'ossessione e la morbosità che Fosca ha per Giorgio, lo coinvolge in una relazione che porterà lei alla morte e lui al deperimento, come se la sua linfa vitale fosse nutrita della folle passione di Fosca. È uno scritto autobiografico in parte, ed è ricco di motivi tipici che la scapigliatura eredita dal romanticismo.
L'isteria di Fosca irrompe improvvisamente nella vita di Giorgio. Entrato nelle simpatie del colonnello del suo reggimento, incomincia frequentare la sua casa. Un giorno, mentre vi pranza insieme con altri ospiti, viene colpito da urla strazianti e acute provenienti dalle stanze della casa. Le grida sono così forti, che inizialmente Giorgio ne rimane impressionato fortemente, nello stesso tempo, quello che della malattia della giovane donna (ha 25 anni) gli viene detto dal Colonnello e dal medico lo incuriosisce. Finalmente la incontra e davanti ai suoi occhi si presentò una donna bruttissima:
Un lieve sforzo di immaginazione poteva lasciarne intravedere lo scheletro, gli zigomi e le ossa delle tempie avevano una sporgenza spaventosa l'esiguità del suo collo formava un contrasto vivissimo colla grossezza della sua testa, di cui un ricco volume di capelli neri, folti, lunghissimi, quali non vidi mai in altra donna, aumentava ancora la sproporzione. Tutta la sua vita era né suoi occhi che erano nerissimi, grandi, velati - occhi d'una beltà sorprendente. Non era possibile credere che ella avesse mai potuto essere stata bella, ma era evidente che la sua bruttezza era per la massima parte effetto della malattia. E che, giovinetta, aveva potuto forse esser piaciuta. La sua persona era alta e giusta; v'era ancora qualche cosa di quella pieghevolezza, di quella grazia, di quella flessibilità che hanno le donne di sentimento e di nascita distinta; i suoi modi erano così naturalmente dolci, così spontaneamente cortesi che parevano attinti dalla natura più che dall'educazione: vestiva colla massima eleganza, e veduta un poco da lontano, poteva trarre ancora in inganno. Tutta la sua orribilità era nel suo viso.
Tuttavia, l'acutezza con cui Fosca parla dei libri che Giorgio le aveva mandato, la sensibilità che dimostra, la delicatezza dei suoi gusti lo toccano profondamente. Fosca, saputo della predilezione di Giorgio per i fiori gli indica dalla finestra la serra di fronte alla casa. Passa in quel momento un convoglio funebre e Fosca ha una crisi isterica: impallidisce, emette un urlo terribile e si accascia a terra svenuta. Giorgio ne rimane turbatissimo. Il giorno dopo, Fosca gli dice che quando ha visto il convoglio funebre le si sono manifestati pensieri di morte, ha provato un senso di claustrofobia all'idea della chiusura della bara.
Altre manifestazioni della malattia di Fosca le abbiamo nelle notti che passa vegliata da Giorgio, anche quando è colpita da una crisi isterica che la vede in posizioni penose. Durante i terribili spasmi lei non si dimentica del suo innamorato, che prova disgusto, per le crisi epilettiche unito, a pietà per lei:
Si lacerava i capelli, e tentava di percuotere la testa alla parete. In mezzo a quelle sue urla, a quei suoi spasmi, non si dimenticava però di me; mi avvinghiava tra le sue braccia con forza, quasi avesse voluto cercare salvezza sul mio seno, e non mi lasciava libero se non quando i suoi dolori l'avevano abbandonata.
La crisi peggiore che Fosca ha davanti a Giorgia fu durante una gita in campagna; Giorgio cerca un po' di solitudine, ma questo provoca in Fosca un effetto catastrofico. Lei, che per cercarlo si graffia, capisce quanto il loro rapporto incominci a logorare la salute di Giorgio, ma quando la trova e lui le nega la parola, la bacia con freddezza, urla di lasciarlo in pace. Fosca viene presa da una delle crisi isteriche peggiori che Giorgio avesse mai visto, fino a che lei non cade priva di conoscenza.
Fosca è una figura piena di sfaccettature per la sua intelligenza, la sua personalità ma anche per le crisi della sua malattie e per le contraddizioni. Il libro di Tarchetti di cui è protagonista fu pubblicato nel 1869 nel giornale "Il pungolo" e rimasto incompiuto per la morte, a soli trenta anni, dell'autore fu portato a termine da un suo caro amico, Salvatore Farina. Precede dunque, cronologicamente, gli Scritti sull'isteria di Freud e infatti tratta la malattia in modo del tutto emotivo, ancora legato ai criteri del romanticismo, come il lato oscuro della psiche.
Fosca è indubbiamente un libro affascinante: Tarchetti, raccontando la malattia della protagonista, anzi, dei protagonisti, e intrecciandola con l'amore e con la morte, le ha conferito tratti umani che ovviamente mancano agli scritti scientifici e medici.
Se volessimo applicare al personaggio delle categorie psicoanalitiche, potremmo forse individuare la causa della isteria di Fosca in situazioni traumatiche della sua giovinezza. Innanzitutto quella che viene descritta come la sua bruttezza, secondo i canoni estetici del tempo: la magrezza scheletrica della donna che rende quasi deforme il suo viso, non corrisponde certo all'immagine di donna morbida e sinuosa che ci tramandano non solo i pittori romantici, ma che ci dà lo stesso Tarchetti nella descrizione di Clara, che nel nome e nell'aggettivazione con cui viene presentata al lettore "si felice, si giovane, si bella!oh, dolce creatura!" è l'esatto contrario di Fosca.
Fosca non è né felice né bella ma la sua bruttezza deriva dalla costituzione malaticcia e dalla infelicità che le causa la consapevolezza che l'enorme quantità di amore che ella racchiude nel cuore non sarà mai ricambiato da nessuno. Le si attaglia la dolorosa riflessione di Saffo: "virtù non luce in disadorno ammanto". Solo dai suoi genitori Fosca riceve un affetto totale ed incondizionato, e lo ricambia ma non le basta. Da bambina lo riversa su un gattino e un canarino, sulle piante, sui fiori, ma ne ha in cambio solo delusioni: La compagna di collegio teneramente amata e oggetto di mille attenzioni e manifestazioni di affetto la ricambia con freddezza; l'uomo adulto, amico del padre, per cui adolescente prova una tale passione da comunicargliela in una lettera appassionata, la mostra ai genitori e la rimprovera con la dolcezza di un padre. Ogni delusione è accompagnata da stati di prostrazione fisica, da vere e proprie malattie che la indeboliscono e che contribuiscono a far sfiorire una bellezza che solo la madre si ostina ancore vedere in lei. Anche i pregi che la gioventù comunque conferisce appassiscono ben presto e Fosca è troppo intelligente per illudersi sul suo aspetto ma il suo desiderio d'amore è più forte e cede alle lusinghe di un uomo che dichiara di amarla. Nonostante un fondo di diffidenza, Fosca acconsente a sposare il giovane che la corteggia con tanta insistenza: egli è bello, nobile, affascinante, simpatico, pieno di spirito ma ben presto la giovane si accorge delle menzogne che si celano sotto un'apparenza così brillante e ne ha una brutale conferma. L'uomo non è di nobile famiglia, è già sposato, è infedele, è un giocatore e ciò lo ha attratto in Fosca è la sua ricca dote che si è fatta consegnare interamente e che ha dilapidato riducendo praticamente in miseria la sua famiglia. La drammatica separazione dall'uomo, provoca la perdita del figlio che Fosca attende e una grave ricaduta della sua malattia che debilita ulteriormente, ne esaspera la morbosa sensibilità e ne rende ancora più deforme l'aspetto. I genitori muoiono di crepacuore a breve distanza l'uno dall'altro e Fosca viene accolta dal cugino che si sente in qualche modo responsabile per averle presentato l'uomo che era diventato suo marito, nel paese dove comanda una guarnigione. E' dunque questa la donna che Giorgio conosce e che, come è avvenuto nel resto della sua vita, non riesce a riversare su di lui l'amore che ancora la riempe e che una volta si rivolge a un oggetto sbagliato.
Giorgio è innamorato di Clara che benché lontana occupa tutti i suoi pensieri, e non glielo nasconde. Le attenzioni, il tempo che dedica a Fosca, l'amore di cui le parla sono frutto di pietà e dell'accondiscendenza alle richieste del medico curante della giovane che cerca in questo modo di evitarle il ripetersi troppo frequente delle sue crisi e almeno di ritardare il processo di dissoluzione cui la malattia gli appare inevitabilmente destinata. Si istaura così un rapporto fatto di finzione ma di cui entrambi sono consapevoli, e la forza di Fosca è tale da andare al di là della morte: la sua malattia sembra trasferirsi in Giorgio.
V
Arte e disagio
Van Gogh
Van Gogh rappresenta il classico artista del tempo che, per le sue qualità intellettive, venne incompreso ed emarginato dalla società comportando, in lui, la creazione di complesse analisi introspettive tali da condurlo alla follia e al suicidio. Van Gogh, che fa parte alla schiera dei pensatori del tempo come Kierkegaard, nella sua vita si interrogò con angoscia sul significato della sua esistenza. Infatti, cercò disperatamente di entrare nella società culturale come predicatore religioso, ma fu allontanato in quanto egli appoggiò con determinazione la causa dei minatori del Borinage.
La consapevolezza di essere incompreso, cercare i mezzi attraverso cui esprimere la propria complessa interiorità e la ricerca, con insuccesso, spasmodica e constante di voler essere protagonista nella società, lo portarono a una profonda depressione che lo condussero a una forma di alienazione mentale tale da provocargli tremende crisi, duranti le quali perse ogni contatto con la realtà quotidiana.
Nel tentativo di infrangere le barriere culturali imposte dalla società, nel 1889 Van Gogh ebbe degli eccessi di follie tali da ricoverarlo in strutture cliniche. Nello stesso anno, egli stesso, decise di ricoverarsi in una clinica per alienati mentali presso Saint - Remi de Provence. Nel 1890, mentre viveva da un medico, collezionista e pittore dilettante, il dottor Gachet, si suicidò sparandosi al cuore.
Edvard Munch
Esponente di rilievo della pittura espressionista, in lui si ritrovano i grandi temi sociali e psicologici del tempo dall'incertezza del futuro , con chiari riferimenti alla filosofia di Kierkegaard, alla solitudine umana. Il senso profondo dell'inquietudine lo troviamo ne Il Grido , 1893, descritto anche dallo stesso artista.
Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramonto' il cielo si tinse all'improvviso di rosso sangue mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto sul fiordo nerazzurro e sulla citta' c'erano sangue e lingue di fuoco i miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.
l'urlo è un urlo primordiale, straziante, che si propaga nella natura. È l'urlo di chi si è perso dentro se stesso e si sente solo, inutile e disperato anche fra gli altri.
Giacomo Balla
Nato a Torino nel 1871, inizia con precocità a disegnare a dipingere. La sua formazione politica e culturale è improntata ai valori di un socialismo unitario che vede nella scienza e nel progresso i fattori determinanti per il futuro dell'uomo. Di conseguenza, nella sua pittura un ruolo importante è ricoperto dai soggetti legati alle problematiche sociali e ispirati al mondo degli operai e dei poveri, come si può notare nel Polittico dei viventi: la pazza
Ligabue
Ligabue ebbe una vita difficilissima. Nato da Elisabetta Costa, originaria bellunese e da padre ignoto, la madre sposò nel Bonfiglio Laccabue, originario di Reggio Emilia che legittimò il figlio Antonio dandogli il proprio cognome. Nel morirono tragicamente la madre e i tre fratellastri.
I suoi anni della giovinezza li passò in un collegio di portatori di handicap, da cui fu espulso. Ebbe un rapporto tormentato con la matrigna la quale lo fece ricoverare a 19 anni in un manicomio per deficienza mentale in quanto fu considerato pericoloso per la società. Fu espulso dalla Svizzera, dove viveva, con il pretesto che avrebbe dovuto fare il servizio militare in Italia. Si trasferì a Gualtieri, paese natale del padre, dove visse come un emarginato dalla società.
Nel 1937 fu ricoverato in manicomio a Reggio Emilia per atti di autolesionismo. Nel lo scultore Andrea Mozzali lo fece dimettere dall'ospedale psichiatrico e lo ospitò a casa sua a Guastalla, vicino a Reggio Emilia. Durante la guerra fece da interprete per le truppe tedesche. Nel fu ulteriormente internato in manicomio in quanto picchiò un militare tedesco e vi rimase per 3 anni.
Nel 1962 fu colpito da un ictus e nel 1965 morì.
Ligabue era psicologicamente disturbato e credeva anche nei riti magici primitivi come il battersi la testa con una pietra per fare uscire l'anima. Per questo, si raffigura nelle sue opere spesso con una ferita alla tempia. Inoltre, la sua mente deviata lo portava ad assumere le movenze degli animali che dipingeva.
Ligabue ha dipinto principalmente gli autoritratti e le sue opere hanno evidenziato un comune denominatore rappresentato dalla lotta per la vita e la morte. L'opera più bella di Ligabue è indubbiamente Vedova Nera in cui un grosso ragno punge sulla schiena il felino che, a sua volta, per il dolore della ferita, allenta le fauci dalla preda catturata precedentemente.
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