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Intervista immaginaria a Guglielmo di Ockham




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Intervista immaginaria a Guglielmo di Ockham


Svolgi la seguente traccia sotto forma di intervista:   per Guglielmo di Ockham, che fu costretto a difendere le sue tesi anche davanti alla curia avignonese, la scienza non ha come oggetto l'universale, bensì l'essere individuale.


Non ricordo bene come sia successo, non so neppure se fosse finzione o realtà, so solo che così, improvvisamente, sono stata catapultata in un'altra dimensione.La mia mente è ancora un po' annebbiata, rammento solo di essermi addormentata, un buffo folletto con un filtro magico, qualche parola e poi mi sono ritrovata in un vasto giardino, l'erba soffice coperta ancora dalla rugiada riluceva al sole. A pochi passi da me c'era un uomo, lo guardai in viso, era serio, intento nelle sue riflessioni, quasi estraniato dalla realtà circostante. Ebbi quasi paura a disturbarlo, ma dovevo pur capire che cosa mi stava accadendo, così mi avvicinai a lui: "Scusi potrei sapere chi è lei e dove mi trovo?"

O: (guardandomi con occhi increduli) "Cara fanciulla, io sono Guglielmo di Ockham in persona, e mi stupisco di tale domanda visto che la mia fama è risaputa. Ti trovi nel giardino della dimora di Ludovico il Bavaro".

Quelle parole mi illuminarono, davanti a me c'era uno dei più famosi filosofi della storia, da me tanto ammirato, così approfittai per porgli alcune domande e chiarire aspetti, per me difficili, del suo pensiero.

IO: "Se non sbaglio si è rifugiato qui,  in seguito a un'accusa di eresia, ma quale è in realtà il suo rapporto con la religione?"

O: (ebbe un attimo di esitazione) "Io credo nella rivelazione e mi ritengo un cattolico fervente. La mia unica colpa è stata quella di rompere quell'armonia tra fede e ragione che il mio predecessore San Tommaso d'Aquino aveva ricercato".

IO: "Lei si riferisce a uno dei problemi cardine della Scolastica e posso assicurale che questa autonomia delle scienze dalla religione avrà successo nei prossimi secoli, ma perché in un'epoca come quella medievale, scardinare la famosa reductio ad unum, e criticare il valore della ragione come ancilla teologiae?".

O: "Ragione come ancilla teologiae? Stupidaggini! Gli articoli di fede non sono affatto dimostrabili ricorrendo alla filosofia, erra chi la vuole utilizzare a tale fine.

Essa si deve occupare della realtà naturale che ci circonda!

IO: "Lei  è quindi contro tutti quei filosofi che hanno utilizzato la filosofia per chiarire le verità rivelate?".

O: "Ritengo che esistono cose che possono essere dimostrate ed altre che invece possono essere solo credute, alle quali la mente umana deve piegarsi. Non voglio pormi sullo stesso piano degli antidialettici e sminuire il valore della ratio, cerco solo di indicare l'ambito di cui si deve occupare: la realtà sensibile".

IO: "Secondo lei, quindi, la realtà sensibile, ha una grande importanza, e come controbattere allora la possibilità che una conoscenza che si basi sul contingente sia fallace?".

O: (a questa domanda spalancò gli occhi, come se avessi centrato il nocciolo della questione. Si mise a discorrere come un padre che cerca  di insegnare a leggere al proprio figlio).

"Esistono solo due tipi di dimostrazioni accettabili che si basano entrambe su proposizioni immediatamente evidenti. L'evidenza, cara ragazza, è il fondamento del mio discorso gnoseologico. Ora essa emerge da un ragionamento scientifico, che procede per astrazione o dalla realtà sensibile, nella quale si può avere una prova tangibile dell'esistenza o meno di un oggetto?".

(Così dicendo colse una rosa rossa).

IO: (affascinata dal suo atteggiamento paterno) "Credo che la seconda possibilità sia quella esatta, quindi il fine della conoscenza è il contingente?".

O: "Esatto (appariva fiero per la mia risposta). Vedi, solo vedendo e toccando questa rosa, posso dedurne l'effettiva esistenza. (mi porse la rosa).

IO: "Ma la realtà sensibile non è tutta particolare?".

O: "Sì ".

IO: "Ma allora che valore hanno gli universali?. Considerando che per grandi filosofi, del calibro di Aristotele e Platone, essi sono la meta a cui deve tendere ogni sapere."

O: "Essi non possono essere reali, perché la realtà è particolare". (rispose in maniera decisa).

IO: "Quindi il suo pensiero si avvicina a quello dei nominalisti. Nihil est praeter individum quindi?".

O: "Sì, ma mi ritengo un po' più intelligente perché non tento invano di trovare nella realtà un corrispondente dell'universale. Gli universali sono dei termini, suppositio di una proposizione. Se   utilizziamo un termine che indica un concetto generale, ci riferiamo sempre q qualcosa di particolare, ma ne abbiamo una conoscenza più approssimativa."

IO: (ecco perché quel soprannome, "il Principe dei nominalisti" pensai tra me e me). "Questa è quindi una critica all'impianto metafisico tradizionale?"

O: "è chiaro che esiste uno scarto notevole tra la mia filosofia e quella dei miei predecessori, poiché io affermo il primato dell'esperienza, prediligo il metodo induttivo a quello deduttivo, elimino tutti gli enti superflui nel mio ragionamento."

IO: "Il famoso rasoio di Ockham!. Per concludere pensa che le sue teorie avranno successo?".

O: "Sì se porteranno ad una attenta analisi della realtà che ci circonda e che nasconde tanti misteri che aspettano di essere scoperti!".

A quelle parole riaprii improvvisamente gli occhi e mi ritrovai nella mia stanza, pronta per andare a scuola e affrontare il compito di filosofia.

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