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Il "viaggio" nella letteratura novecentesca




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IL "VIAGGIO" NELLA LETTERATURA NOVECENTESCA


Il motivo del viaggio e del viaggiatore è al centro di molta letteratura moderna e contemporanea, specialmente, ma non solo, sotto la forma del mito di Ulisse. Il viaggio è una delle metafore più presenti nell'immaginario occidentale: la vita viene intesa come un "cammino" o un "pellegrinaggio", la morte come un "Trapasso", i momenti decisivi della vita in società come "riti di passaggio" e così via.

La categoria del viandante si è con il tempo, e grazie a innumerevoli interpretazioni letterarie, arricchita di caratteri sempre più vari. Alle molteplici fisionomie del viaggiatore corrispondono i molti percorsi che si possono intraprendere. Il viaggio può avvenire per terra o per mare, nel cielo o solo con la fantasia. Può diventare un volo o un naufragio, svilupparsi sulla strada o per via d'acqua.

Rappresenta con i suoi aspetti  la metafora del cammino umano, inteso come percorso di crescita che ognuno vive in maniera diversa, anche se apparentemente sembra seguire identiche tappe

Ulisse nel Mondo classico rappresenta la figura del viaggiatore antico, l'eroe, l'uomo coraggioso, in grado di affrontare spostamenti faticosi e sorprendenti, incontri magici e soprannaturali. Attraverso il viaggio eroi come Ulisse affermano la propria autonomia in opposizione ad ogni disegno, umano o divino, che possa ostacolare la libertà e il desiderio di conoscenza.

Nel Medioevo, invece, l'interpretazione religiosa del viaggio è quella prevalente. Nascono nuove figure di viaggiatori come quella del pellegrino, interessato al viaggio come penitenza da affrontare per scontare peccati commessi, che approfondisce attraverso l'avventura del viaggio la conoscenza di sé per il raggiungimento della perfezione morale; del mercante, che, come Marco Polo, può diventare il narratore di paesi lontani e di popoli sconosciuti.


Con il Rinascimento, il viaggio diventa occasione di scoperte di nuove terre, di nuove civiltà, di nuovi valori che mettono in crisi i vecchi modelli universalmente riconosciuti come tali. In questo periodo i viaggi si intensificano anche a prescindere dalle grandi scoperte geografiche.

Nel Seicento la concezione del viaggio coincide ormai con quella moderna: si viaggia con precisi interessi e finalità.Protagonisti del Seicento sono i mercanti, i geografi, i missionari. Ma si affronta un viaggio anche solo per provare forti emozioni, per visitare paesaggi e popoli diversi.

Nella letteratura del '900 il viaggio diventa un'esperienza al di fuori del tempo e dello spazio e anche se nella realtà moderna ha perso il suo antico significato di scoperta del mondo, mantiene invece il suo valore di metafora di tutte le esperienze umane.

Fino all'epoca moderna, dunque, il viaggio presenta due caratteri: quello Simbolico, l'uomo attraverso il viaggio si mette alla prova; e quello Pratico, il viaggio avviene perché risponde ad una necessità e all'interesse di un singolo o di un gruppo (la guerra, il commercio, il turismo).

Il viaggio assume quindi "significati" diversi in base al contesto in cui viene usato o in base all'epoca in cui viene "utilizzato". Può essere visto quindi come "fuga", come "Rivolta", come "metafora" (della morte o dell'inquietudine personale per esempio) oppure come mezzo per "Conoscere se stessi e il mondo".


VIAGGIO COME FUGA


Il tema del viaggio come fuga ritorna spesso nella letteratura del '900. Ogni viaggio inizia con una partenza, con un distacco, che può apparire sia come qualcosa di necessario per sfuggire a una condizione di miseria o di emarginazione, sia come tradimento delle proprie origini, come perdita di parte della nostra vita e di noi stessi.

E' questo il tema affrontato da Anderson nella novella che chiude i "Racconti dell'Ohio". In questo racconto l'autore ricostruisce la vita di una cittadina americana. Del protagonista si mostra la solitudine e il desiderio di fuggire, il desiderio di ricerca del nuovo. Quindi il tema centrale è il viaggio legato al bisogno di cambiamento e di avventura, ma questo nasconde anche la nostalgia per la perdita di una parte della propria vita. Il protagonista fugge da una società rurale destinata a morire per il sopravvento della società industriale che può avere su questa e nonostante tutto gli sembra di tradire le proprie origini, sensazione che lo accompagnerà per tutta la vita.

Lo stesso tema si ripresenta anche nel dopoguerra, ma con caratteri più drammatici, come l'emigrazione. Sarà proprio il tema dell'emigrazione e del Sogno Americano vissuto come occasione di riscatto umano e sociale l'argomento centrale de "Il lungo viaggio" di Sciascia. In particolare nel suo brano l'autore mette in evidenza la situazione in cui si trovava la Sicilia nel dopoguerra, evidenziandone soprattutto gli aspetti più drammatici. L'emigrazione viene quindi vista come l'unica via di fuga da una vita misera e di stenti. Il sogno americano però, per gli sfortunati protagonisti del racconto, sembra destinato a non realizzarsi. Infatti, dopo aver venduto tutti i loro beni per permettersi il viaggio nel Nuovo Continente, si accorgeranno di essere sbarcati invece in Sicilia.


VIAGGIO COME RIVOLTA


Negli anni cinquanta il viaggio diventa invece rappresentante di rivolta con la beat generation. Il viaggio viene visto come un'esperienza conoscitiva in opposizione ai valori statici della società borghese. I giovani vedono quindi nel viaggio uno stile di vita fuori dalle regole imposte dalla società, un modo per ribellarsi a tutti i preconcetti imposti dalla società stessa, a tutti quei Cliché ormai collaudati.

Il libro dell'autore americano Jack Kerouac, "Sulla strada", è diventato il manifesto di questi giovani. L'espressione americana On The road letteralmente "Sulla strada") indica il tentativo dei ragazzi di sottrarsi ad un modello di vita basato principalmente sul consumismo, ma rivela anche l'attaccamento della cultura degli Stati uniti al tema del viaggio, facilmente comprensibile visto anche che tale nazione è stata fondata da pionieri, vale a dire viaggiatori avventurosi.

Il romanzo, pubblicato nel 1957, racconta, sulla base di un intreccio che sembra casuale, il vagabondaggio di due giovani attraverso lo sterminato paesaggio dell'America, compiuto con mezzi di fortuna e senza una meta precisa. Desiderosi di esperienze sempre nuove, i due bevono alcolici e fumano marijuana, vanno alla ricerca di avventure sessuali e s'immergono nella musica jazz, rifiutando di assumersi qualunque responsabilità per il proprio comportamento.

Gli eccessi, che nascono da un'oscura voglia di autodistruzione, stimolano la loro sfrenata individualità; rispetto alla società non covano un sentimento di rivolta, ma solo il desiderio di voltarle le spalle.

Il romanzo è anche la storia di un'amicizia, quella tra Sal Paradiso, l'io narrante, e Dean Moriarty. Dean è un essere quasi primitivo, tutto istinto, una vera forza della natura; ma nasconde anche un sentimento più drammatico di inquietudine e di inadattabilità alla vita, che costituisce la nota più pensosa dell'opera. Sal è invece l'intellettuale che vuole scrivere un libro, ma che poi si lascia affascinare dall'altro personaggio," un nuovo genere di santo d'America".

Il romanzo "Sulla strada" è quindi assolutamente rappresentativo delle forme letterarie contemporanee del nomadismo esistenziale e culturale. Nel corso dei loro vagabondaggi, i due protagonisti sperimentano la loro voglia di vivere in un'inebriante sensazione di libertà.

Sullo sfondo emerge il mondo convulso della vita americana tra autostrade e contraddizioni sociali. L'immensa vastità del paesaggio, il mito dell'automobile e di nuove frontiere, i giovani BEATS alla ricerca di emozioni sempre più forti: ecco le componenti del "Sogno americano" visto da Kerouac. Un sogno d'avventura, ricco di suggestioni, che conduce verso un traguardo immateriale più che geografico: una meta che però resta difficilissima da precisare.

Sulla strada diviene negli anni '60 il romanzo manifesto della cosiddetta beat-Generation, alla lettera "Generazione battuta", ma contemporaneamente, e proprio perché sconfitta secondo l'opinione e i valori convenzionali, anche "beata". La gioventù americana degli anni tra guerra fredda e contestazione, attraverso la sua ribellione alla vita borghese, il suo bisogno di vita nomade e anarchica, nascondeva il bisogno dell'emozione del battito (Beat appunto) del cuore, della "Scintilla" che vuole esplodere: un bisogno insomma, d'autenticità. Da qui lo stimolo dell'andare, del partire e ripartire sempre. Il viaggio nasce da un'ansia assoluta di libertà e di movimento che vuole ricondurre all'istinto rifiutando ogni norma.

Spazio e tempo si propongono nel romanzo in una dimensione resa esasperata dalla velocità con cui i personaggi si muovono.

"Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati", dice uno di loro; e alla domanda: "Dove andiamo", risponde" Non lo so, ma dobbiamo andare".


VIAGGIO COME METAFORA


Come abbiamo accennato prima, il viaggio assume anche il carattere di metafora. Può essere quindi metafora della morte e dell'inquietudine personale.

Montale, ad esempio, in "Prima del viaggio" interpreta il viaggio come un misterioso cammino, forse senza ritorno, perché esso, con i suoi preparativi rituali, diventa una sorta di richiamo alla morte. Nei primi versi sembra che il viaggio descritto dal poeta sia uguale a tanti altri: parla di attese, preparativi, ultimi controlli, piccole cose piacevoli; l'atmosfera è quindi tranquilla e serena. Gli ultimi versi invece rimandano al viaggio conclusivo, quello della morte dove l'ignoto attrae, ma nello stesso tempo causa turbamento nell'uomo.

Come abbiamo detto prima il viaggio rappresenta una metafora della nostra inquietudine spirituale, quindi molti scrittori utilizzano il viaggio come immagine che meglio di ogni altra rappresenta avventure interiori e simboliche.

Buzzati nel racconto "Il Colombre" utilizza il viaggio come metafora del tempo che fugge, dell'angoscia di un'attesa che sembra non finire mai, la scoperta dell'assurdità della vita attraverso la morale della favola che dice che si comprende l'essenza della vita solo quando ormai è troppo tardi.


VIAGGIO COME CONOSCENZA


Solo verso la fine del Settecento il viaggio diventa un'esperienza interessante per sé, nasce il viaggio di piacere, fine a se stesso. Diventa quindi mezzo utile per l'apprendistato, per la crescita intellettuale e morale, per l'educazione al mondo e alla vita. Il viaggio rispondeva alla necessità di conoscere, di sprovincializzare la propria cultura, uscire dal proprio mondo ristretto, fare esperienze personali in nuovi paesi.

Anche nel '900, nonostante tutte le comodità di cui si dispone, il viaggio non ha perso il suo carattere avventuroso verso mete lontane e difficili da raggiungere. Viaggiare in questo modo, senza cioè accontentarsi della routine dei viaggi organizzati, è un modo per mettersi alla prova, per verificare quali sono i nostri limiti; un modo per confrontare il proprio mondo, la propria realtà con quella di altri popoli.

Per Gide il viaggio è la ricerca di naturalezza e spontaneità; viaggiare vuol dire rifiutare le proprie radici, allontanarsi dalle tradizioni e dalla cultura di cui si fa parte, significa lottare contro i conformismi, cercare se stessi e combattere per questo scopo, rifiutare le costrizioni e i preconcetti ideologici che ci vengono imposti. Tutti questi caratteri si ritrovano nella sua opera "Viaggio al Congo. Ritorno al Ciad". Qui racconta di un suo viaggio intrapreso nel Congo assieme a Marc Allegrèt. Attraverso quest'opera l'autore scopre il lato violento del colonialismo che spinge l'autore stesso a denunciare gli abusi commessi dal sistema coloniale francese ai danni degli indigeni, sfruttati e maltrattati.

Un altro grande viaggiatore dei nostri giorni è Bruce Chatwin che passò la sua vita a viaggiare e i suoi libri e le sue foto testimoniano quest'esperienza. Ma Chatwin non girava il mondo per poi registrarne nei suoi taccuini e nella pellicola della sua macchina fotografica il meraviglioso, l'eccezionale, il bizzarro, il pittoresco: sono i dettagli che lo attirano, quelli che spesso sfuggono al lettore e al visitatore comune.

Era un particolare modo di vedere il mondo, la riproduzione oggettiva di un paesaggio visivo psicologico, di una dimensione etica ed estetica interiore.

Insomma Chatwin, nell'era del mondo offerto impacchettato in confezioni turistiche, ha incarnato lo spirito di chi nel viaggio e nei luoghi e nelle persone incontrate ritrova le dimensioni di una ricerca e di un arricchimento interiore e personale.


IL TURISMO


Anche la figura del turista compare nell'Ottocento e si affermerà nei primi del Novecento, contemporaneamente all'aumento del benessere in occidente. A differenza però delle esperienze dei viaggiatori del Settecento e dell'inizio dell'Ottocento, il viaggio del turista è caratterizzato dalla falsificazione e dall'omologazione tipiche della cultura di massa. Così il viaggio perde il suo carattere di esperienza conoscitiva, che forma la persona, per diventare una collezione di bei paesaggi da vedere o di manifestazioni "tipicamente Locali" cui partecipare, spesso costruiti ad arte dall'industria del turismo. Il turismo assume proporzioni mai viste prima interessando ogni anno milioni di individui. Diventa quindi Turismo di massa, che è il risultato di un meccanismo che ha trasformato anche il viaggio in un'industria. Questo fenomeno è in se contraddittorio: il viaggio in terre lontane è visto da molti come evasione dalla Routine quotidiana e quindi un'evasione dall'industria stessa.

Nel '900 quindi il viaggio risulta spesso banalizzato, svuotato dei suoi significati originali.

Un'attenta analisi del turismo è data da H.M. Enzesberger nel suo "Riflessioni sul turismo". In questo saggio l'autore si propone di spiegare la differenza che esiste tra il viaggiatore e il turista, tracciando un excursus storico sulle origini del turismo. I viaggi, prima della Rivoluzione Industriale, erano motivati non dal piacere, ma da necessità pratiche; solo nel XIX secolo si assiste ad un mutamento radicale: grazie ai mezzi di trasporto il viaggio si trasforma in gradevole evasione verso mete sconosciute. Il turista desidera fuggire dalla civiltà verso luoghi inviolati, che però cessano di essere tali per le numerose schiere di turisti che li raggiungono, e che li trasformano in breve tempo in luoghi simili a quelli da cui desideravano fuggire. L'autore non condanna il turismo di massa, ma vede in questo fenomeno un sintomo del profondo disagio che caratterizza la società contemporanea.

In effetti il più antico e autentico significato del viaggio è ancora alla portata di ciascuno di noi.

Affrontare anche un piccolo spostamento con mente aperta, procedere con calma, concedersi momenti di silenzio, non preoccuparsi di vedere e ricordare tutto, ma soffermarsi ad osservare il mondo senza pregiudizi, ad ascoltare le innumerevoli storie che gli uomini e gli ambienti hanno da raccontare è spesso sufficiente a trasformare il turista in un antico viandante.


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