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Il tempo nella letteratura italiana del primo novecento




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IL TEMPO NELLA LETTERATURA ITALIANA DEL PRIMO NOVECENTO


Nel novecento comincia a vacillare la categoria del tempo come asse su cui si dispongono in modo ordinato i fatti anche nella letteratura italiana. La narrativa aveva sempre conosciuto la possibilità di movimentare l'intreccio mediante anticipazioni e flash-back ; ma nel romanzo del novecento si ha un continuo spostarsi alla rinfusa nel tempo, che così diviene una dimensione puramente legata al soggetto, proprio come nella filosofia del francese Bergson. Così si alterano anche i rapporti tra la durata effettiva degli eventi e la durata della narrazione: un evento piccolissimo, filtrato attraverso tutto ciò che passa nella coscienza degli individui in ogni istante, è in grado di dar vita a ricordi e assembramenti di idee che possono protrarsi per pagine e pagine.

Due sono in Italia gli autori che si rispecchiano maggiormente in questa nuova concezione: Luigi Pirandello e Italo Svevo.



LUIGI PIRANDELLO


Pirandello riprende il tema caro alla filosofia di Bergson che ritiene che l'universo sia in continuo divenire, oggetto ad una evoluzione creatrice, per cui contemporaneamente resta se stesso e cambia. Ovviamente anche l'uomo è partecipe a questo moto continuo o flusso vitale, ma nello stesso tempo vorrebbe capirlo, schematizzarlo e riportarlo ad una legge. Così l'uomo cerca di analizzare tale flusso, ma è troppo limitato nel tempo e nello spazio per raggiungere risultati utili, la ricerca risulta superficiale o addirittura vana.

Da qui nasce il dramma: l'uomo tenta inutilmente di catturare il flusso in forme fisse e quindi inadeguate. Più si sforza producendo forme diverse e più si aliena, in quanto più si circonda di forme fittizie e più si allontana dalla realtà.

Le forme costituiscono la cultura, la civiltà: più sono evolute, più isolano dalla natura e rischiano di soffocare al loro interno l'uomo..

Non ci sono forme false o forme vere: sono tutte egualmente false e vere e quindi alienano l'uomo.

Il tempo allora è una delle tante forme create dall'uomo, per le sue esigenze, e quindi è falsa ed inconsistente. Vera è invece la nozione di durata o tempo soggettivo, scandito cioè dalla coscienza di ogni singolo individuo. Ma la durata non conosce la distinzione presente-passato-futuro e non procede neppure linearmente a senso unico: emette salti, accelerazioni e decelerazioni.

Ogni individuo è quindi un mondo a se stante che può sfiorare gli altri, ma non comunicarci in quanto manca qualsiasi termine comune e di riferimento.


LE NOVELLE


La novella, o raccolta breve, fu il vero amore di Pirandello: scrisse la prima a soli 17 anni. La macroraccolta delle sue novelle prende il nome di "Novelle per un anno".

Ogni novella è una sorta di microcosmo nel quale l'invenzione si sposta di continuo dall'evento particolare alla vita e ai suoi meccanismi.

La novella assume la funzione di verifica, presenta una certa ripetitività, dato che ognuna tende a riproporre l'immagine della vita spezzata in infiniti frammenti, che tendono a sostituire ad esse un modo necessario e drammatico per la condizione umana. Dell'uomo e non dell'umanità in quanto ognuno di noi si batte con una realtà infinitamente grande, privo di strumenti adeguati.

Conoscere quindi significa scoprire l'inadeguatezza dei propri mezzi e dei propri limiti.

L'uomo è vinto, è schiacciato, non solo quando porta i panni dell'eroe e del titano ma anche quando apprende il mestiere del vivere.


IL "FU MATTIA PASCAL"

Pubblicato per la prima volta nel 1904, fu ripubblicato sei anni più tardi dall'editore Treves.

Quest'opera segna il definitivo distacco di Pirandello dai residui veristi. Infatti in apertura  Mattia ha oramai concluso la sua storia, di cui si accinge a narrare l'incredibile esperienza di "doppia morte" e di "doppia resurrezione" (prima è stato creduto suicida, quindi ha assunto il nome di Adriano Meis, poi si è fatto volutamente credere morto ed è tornato al paese natale come "fu Mattia Pascal).

Per due volte si libera dal passato ma ogni volta alla fine non fa altro che perdere la propria identità.

Stanco di fingere tenta di ripartire dal suo passato, ma invano.

Come già detto  il "Fu Mattia Pascal" comincia en arriére, a vicenda conclusa. Con questo artificio lo scrittore vuole sottolineare la distanza che separa il tempo dell'annunciazione dal tempo della storia.

L'inversione temporale porta importanti conseguenze sul piano della struttura narrativa. Dato che l'io narrante è a conoscenza di come va a finire, o meglio a fallire, la vicenda, può occupare una posizione estraniata e perfettamente lucida, in grado di giustificare e commentare gli eventi.

Il personaggio che racconta fa un bilancio a posteriori delle sue azioni, si ha quasi un soliloquio angoscioso e sistematico.

Nell'opera sono frequenti le interruzioni della trama mediante delle considerazioni generali. Questi interessi si inseriscono perfettamente nel tempo del racconto e hanno la funzione di bloccarne il flusso.




TRAMA: è la storia, raccontata in prima persona, di Mattia Pascal, un bibliotecario di un piccolo paese. Stufo della vita impostagli dalla moglie e dalla suocera, scappa di casa e si reca a Montecarlo, dove vince una forte somma alla roulette. Ritornando a casa legge su di un quotidiano che al suo paese lo si crede morto e che siano state attribuite le sue generalità al cadavere di un suicida. Decide così di sfruttare la situazione e di rifarsi una vita nuova: si fa chiamare Adriano Meis e si stabilisce a Roma. Qui si innamora e decide di sposarsi, ma privo di una vera identità, burocraticamente parlando, non può portare nessun progetto a compimento. Inscena allora un secondo suicidio e ritorna alla sua vecchia casa: ma la moglie si è oramai risposata e tutti si sono dimenticati di lui. Decide così di trascorrere la sua esistenza nella biblioteca del paese, dove trascorre il tempo scrivendo la sua incredibile storia. Di tanto in tanto si reca alla sua tomba, e, se qualche curioso gli domanda il suo nome egli risponde "Eh, caro mio Io sono il fu Mattia Pascal".



I QUADERNI DI SERAFINO DI GUBBIO OPERATORE

L'opera si presenta come un resoconto di svariate vicende di Serafino Gubbio che lavora come addetto alla camera da presa.

Nell'opera agiscono due distinti piani temporali corrispondenti a due ben distinti nuclei narrativi, svolti dalla voce monologante senza seguire un ordine lineare, bensì seguendo le sue riflessioni personali.

Nel primo nucleo troviamo il presente, nel secondo si colloca la sfera del ricordo e della memoria sconvolta dagli eventi del presente.


TRAMA: Serafino di Gubbio è un operatore presso una casa cinematografica, è stato in passato testimone delle drammatiche vicende sentimentali di un suo amico, un artista suicidatosi per amore, dopo essere rimasto coinvolto in un triangolo amoroso insieme alla diva del cinema Varia Nestoroff, e il barone Aldo Nuti. Diviso tra i ricordi e le esigenze "meccaniche" del suo lavoro, il protagonista sarà nuovamente testimone di un fatto analogo: in una scena di un film in lavorazione si trova davanti, come attori, la Nestoroff e il Nuti, ma il barone, che nella finzione cinematografica dovrebbe uccidere una tigre, punta il fucile sulla sua compagna di scena, e la tigre, senza controllo, lo sbrana: Serafino, oramai tutt'uno con la sua cinepresa, riprende il tutto impassibile.








































ITALO SVEVO


Un altro capolavoro della narrativa dei primi anni del novecento è "La coscienza di Zeno", di Italo Svevo, nel quale la realtà appare come un fenomeno puramente mentale e soggettivo del protagonista delle vicende, questa ha tutte le sbavature e le incertezze tipiche del processo di rimemorazione, in una perenne oscillazione tra quello che è stato vissuto in passato e ciò che viene vissuto mediante il ricordo.


LA COSCIENZA DI ZENO


Il romanzo è in sostanza senza trama. E' suddiviso in vari capitoli, corrispondenti al resoconto di diversi episodi e situazioni della vita del protagonista: Zeno Cosini. Anziano ed agiato borghese, che vive coi proventi di un'azienda commerciale, avuta in eredità dal padre, ma vincolata da questi, per la scarsa stima che aveva del figlio, alla tutela dell'amministratore Olivi. I resoconti riguardano il vizio del fumo, la morte del padre, la storia del suo matrimonio, la moglie e l'amante e la storia di un'associazione commerciale. Vi è poi un capitolo finale intitolato Psico-analisi, che si ricollega strutturalmente alla Prefazione ed al Preambolo. Dal che si deduce che il romanzo non è altro che una serie di sondaggi fatti da Zeno sul proprio passato e scritti per il suo psicanalista, vagamente indicato con la sigla Dottor S. e pubblicati da costui per dispetto, allorché Zeno decide di liberarsi di lui, interrompendo la cura, con in più una specie di ricatto sui diritti d'autore.

Nel romanzo la divisione tra autobiografia e racconto è risolta proprio distruggendo la concezione strutturale del romanzo classico, e mettendo in atto una soluzione in parte già sfruttata per i due romanzi precedenti, ma che qui si evolve e si completa facendo di questo libro l'anti-romanzo per eccellenza. Svevo si trova tra le mani un semilavoro che non può diventare un 'prodotto finito' se non restando un'opera aperta, involontaria, un testo insofferente verso qualsiasi ideologia, in modo tale che le stesse teorie freudiane, sebbene molto importanti per la genesi del romanzo, vengono utilizzate solo a livello culturale, come puri strumenti tecnici. Lo stesso Dottor S., che nel libro funge da portavoce di esse, è un personaggio piò ridicolo che rispettabile. Svevo mediante la scrittura rifiuta la gabbia della scienza assunta come dogma e depositaria della verità vista in modo assoluto.

Nel romanzo dominano l'imprevedibilità, l'ambiguità e perfino la falsità, dal momento che la memoria stesa da Zeno è sicuramente parziale e sviluppa solo i fatti utili alla sua causa essendo egli un nevrotico in cura analitica.

Il 'Proust italien', come Svevo è stato definito, persegue una strategia assolutamente originale: Proust si dissipa e si realizza in un inseguimento di nomi di paesi e di persone, di amori e di amicizie irrimediabilmente consumati, in cui celebra il suo rito idolatrico, il suo culto dell'effimero e non dell'eterno. Se idolatria è il Tempo perduto, la verità è il Tempo ritrovato, mediante un recupero in cui la memoria involontaria gioca un ruolo centrale. Svevo si serve di altri mezzi: la sua non si pone come una memoria mitica, come passaporto per sfuggire al silenzio ed alla morte. Egli realizza un'operazione in cui la volontarietà della memoria è ancora molto forte, e vale come strumento per chiarire il senso della propria e dell'altrui esistenza, in sostanza senza sperarne privilegi o risarcimenti.

Svevo gioca il romanzo su molti piani, mediante rimandi continui e continue rispondenze.


TRAMA: Zeno Cosini è un anziano commerciante di Trieste. Egli ha scritto i ricordi della sua vita su consiglio del dottor S. dal quale è in cura di psicoanalisi, ma ad un certo punto, scettico sull'utilità della terapia, decide di interromperla. Quindi il dottor S. per vendetta decide di pubblicare i ricordi del suo paziente. Tutto ciò funge da prefazione al romanzo. Il resto dell'opera tratta i ricordi di Zeno Cosini, scritti senza seguire un ben preciso ordine cronologico.

Troviamo: Il fumo, La morte di mio padre, La moglie e l'amante, Storia di un'associazione commerciale, Psico-analisi.

L'opera si chiude con una tragica profezia riguardo il futuro del mondo e dell'umanità.



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