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Il sonetto




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IL SONETTO


Il sonetto nacque in Sicilia fra il 1230 e il 1250 nell'ambito della cosiddetta scuola siciliana.

Qui si forma il primo volgare italiano letterario (influenze siciliane, provenzali e latine).

I poeti siciliani hanno un concetto dell'amore simile a quello dei provenzali: la poesia è un dono che il poeta fa alla donna, creatura superiore. Nei poeti siciliani l'amore della donna può avere l'effetto di una benedizione: questo è il primo passo verso la concezione stilnovistica dell'amore.

Dei poeti siciliani, attraverso la trascrizione toscana, ci sono giunte 87 canzoni e 19 sonetti.

Il sonetto è una forma metrica sconosciuta ai provenzali , quindi esso è invenzione della scuola siciliana.

Come inventore del sonetto viene indicato Jacopo da Lentini detto il Notaro, una delle personalità più notevoli della scuola siciliana.


Sono state formulate due teorie sull'origine del sonetto


Il sonetto è di origine popolare. Jacopo avrebbe ripreso la forma metrica dello strambotto d'amore siciliano, formato da otto versi a rime alternate, che differisce dal rispetto toscano e poi dalla ottava classica, in quanto non ha la rima baciata alla fine. Le rime alternate dei primi sonetti impedivano di distinguere le due quartine, per cui si ha una serie di distici, come in un'ottava siciliana. Le terzine parvero invece il risultato di uno strambotto troncato di due versi. Il sonetto, quindi, nella forma originaria, sarebbe derivato dalla fusione di due strambotti o rispetti siciliani. Il sonetto sarebbe stato una di quelle forme che i poeti prendono dalla poesia popolare nobilitandole.


Lo schema del sonetto corrisponde a quello della canzone. La contrapposizione di due parti, tipica del sonetto, corrisponde alla varietà di fronte e sirima nella stanza di canzone; per di più nei primi sonetti si trova talvolta una rima chiave, in quanto la prima rima della terzina riprende l'ultima della seconda quartina. Il sonetto quindi sarebbe come una stanza isolata (cobla esparsa) , un componimento che aveva la stessa sostenutezza della canzone.


Una delle ragioni più valide in favore dell'ipotesi dell'origine del sonetto dallo strambotto è che nei più antichi sonetti di Jacopo da Lentini prevale la rima alternata:questa forma di sonetto procede a distici e non si distinguono le quartine. In un secondo momento il sonetto andò maggiormente atteggiandosi secondo i modi della canzone, soprattutto con l'abbandono dei distici e con la netta individuazione delle due quartine.


Il sonetto ha perciò un'origine complessa: esso rappresenta l'incontro della poesia d'arte con la poesia popolare.



JACOPO DA LENTINI


Jacopo da Lentini

Io m'aggio posto in core a Dio servire

(metà del XIII secolo)


Io m'aggio posto in core a Dio servire,


comm'io potesse gíre in paradiso


al santo loco ch' aggio audito dire


u ' si mantien sollazzo, gioco e riso.


Sanza mia donna non vi voria gire,

quella c'ha blonda testa e claro viso,

che sanza lei non poteria gaudere,

estando da la mia donna diviso.


Ma no lo dico a tale intendimento ,

perch'io peccato ci volesse fare;

se non veder lo suo bel portamento


e lo bel viso e 'l morbido sguardare:

che lo mi teria in gran consolamento,

veggendo la mia donna in ghiora stare.





Io m'aggio posto in core a Dio servire


I primi otto versi sono un seguito di distici; il passaggio alle terzine è segnato sintatticamente dalla congiunzione Ma che stacca la seconda parte dalla prima; non c'è però stacco tra terzina e terzina, legate fra loro dal senso e anch'esse procedenti a distici.

Questo sonetto, anche per il pensiero semplice che racchiude, è simile al popolare componimento dello strambotto. Il sonetto si mostrava adatto all'espressione di un pensiero affettuoso, gentile, in sè conchiuso.


Il sonetto piacque moltissimo e, per la sua stessa brevità, si prestò a diffondersi. Caratteristico della società italiana del Duecento fu lo scambio di sonetti. Proprio nell'ambito della scuola siciliana abbiamo una tenzone sulla natura d'amore in sonetti.

Passando dalla Sicilia in Toscana, il sonetto si presentò come un componimento improvvisato o d'occasione diffondendosi nella realtà dell'età comunale. Per questo Dante poteva fare distinzione fra canzone, ballata e sonetto, relegando il sonetto (che latinamente chiama sonitus ) all'ultimo posto.

Il sonetto ebbe una larghissima fioritura in Toscana: si ebbero tenzoni letterarie o politiche; infatti le forme metriche non sono soltanto astratti schemi ma vivono in un clima storico.

Per la sua brevità il sonetto si prestò anche come mezzo di esperimento per provare le varie possibilità della lingua e del metro (per es. Guittone).


I sonetti del Guinizzelli sembrano elementari, in un certo senso più vicini ai sonetti dei siciliani.







GUIDO GUINIZZELLI

Io voglio del ver la mia donna laudare


Il tema e anche immagini e movenze saranno ripresi dal Cavalcanti e da Dante. Ci basti qui osservare la linearità della sintassi, a cui corrisponde la costruzione dei singoli versi accostati l'uno all'altro. Le rime delle quartine sono disposte secondo lo schema ABAB (alternate) e quelle delle terzine CDE CDE sono replicate.

Vicino a questo sonetto del Guinizzelli possiamo porre quello del Cavalcanti, Beltà di donna e di saccente core , costruito in simile modo, un vero e proprio plazer,ossia un elenco di immagini belle e gradite disposte linearmente per otto versi e riprese nelle terzine.


GUIDO CAVALCANTI

Chi è questa che vèn

Guido Cavalcanti

questa che vèn ch'ogn'om la mira (II metà del XIII secolo)


Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira,

che fa tremar di chiaritate 2 l'áre

e mena seco Amor, si che parlare

null'omo pote, ma ciascun sospira?


0 Deo, che sembra quando li occhi gira,

dical' Amor, ch'i' nol savria contare:

cotanto d'umiltà donna mi pare,

ch'ogn'altra ver' di lei i' la chiam' ira


Non si poria contar la sua piagenza,

ch'a le' s'inchin' ogni gentil vertute,

e la beltate per sua dea la mostra.


Non fu sì alta già la mente nostra

e non si pose 'n noi tanta salute

che propriamente n'aviàn conoscenza.




Tutt'altra cosa è il sonetto Chi è questa che vén , che spicca rispetto ai precedenti di Guinizzelli e dello stesso Cavalcanti per la maggior ampiezza e per l'individualità delle singole parti; qui compare lo schema ABBA, che contribuisce all'unità e individualità della singola quartina, e nelle terzine lo schema CDE EDC raffinatissimo, detto rima rovesciata. Anche questo sonetto riprende rime e parole del Guinizzelli, ma proprio per il diverso andamento sintattico e la diversa costruzione ci fa sentire che quei motivi sono trasportati in un discorso più alto e complesso.


Nella prima quartina la donna entra in scena. Ci sono molti troncamenti che danno al verso un ritmo martellante (ven, tremar,Amor), tutti alla fine degli emistichi. Inoltre ci sono delle cesure (pausa all'interno del verso, che lo spezza in due emistichi).

Nelle seconda quartina la donna ha suscitato negli astanti la meraviglia, ma ormai è fuori scena.

La seconda parte, esclusivamente ragionativa, è abbastanza infelice.Il poeta cerca di sciogliere un dubbio che non può avere soluzione: la mente umana non può comprendere la bellezza della donna.

L'apertura, di derivazione biblica, è particolarmente luminosa, di gran respiro, poi la poesia si chiude, il livello lirico si abbassa, subentra una fase più ragionativa.

Dal punto di vista lessicale , è interessante la forma vèn (lat. venit, non è ancora avvenuto il passaggio dalla e tonica latina al dittongo it. ie), così come om (o lat. diventa in it. uo); chiaritate deriva dal lat. claritas; Amor con la a maiuscola è personificato. Nella prima quartina, dopo la proposizione principale c'è una consecutiva, una relativa, una coordinata alla principale, seguita da un'altra consecutiva.

null'omo pote, lat. nullus, homo, potest; il tema del sospiro è proprio dei poeti dello Stilnovo.

O Deo, è un latinismo, seguito da una interrogativa indiretta; li occhi: sono una componente fondamentale del dolce stil novo, attraverso di essi l'uomo può comunicare alla donna l'amore. Savria e poria sono condizionali di origine provenzale, molto diffusi nell'italiano antico e conservati in certe espressioni del dialetto veneto. Contare sta per raccontare; d'umiltà:genitivo attributivo di donna; umiltà nello Stilnovo significa benevolenza , mescolata a modestia e pudore. Notiamo un'altra proposizione consecutiva e l'insistenza sul che(anche di natura relativa e causale).

Nella prima terzina troviamo piagenza ,termine provenzale; gentile, parola chiave del dolce stile, ritorna anche in questo sonetto. Gentile è colei che è capace di amare ed è degna di essere amata. Beltate deriva dal lat. volgare bellus. La donna è diventata una dea e la mente umana non è in grado di conoscerla.


DANTE

Tanto gentile e tanto onesta pare

Tanto gentile e tanto onesta pare


Tanto gentile e tanto onesta pare

la donna mia quand'ella altrui saluta,

ch'ogne lingua deven tremando muta,

e li occhi no l'ardiscon di guardare.


Ella si va , sentendosi laudare

benignamente d'umiltà vestuta;

e par che sia una cosa venuta

da cielo in terra a miracol mostrare.


Mostrasi sì piacente a chi la mira,

che      dà per li occhi una dolcezza al core,

che      'ntender no la può chi no la prova:


e par che de la sua labbia si mova

un spirito soave pien d'amore,

che va dicendo a l'anima: Sospira.



Il sonetto è tratto dal XXVI capitolo della Vita Nova di Dante ed è rappresentativo dell'adesione del poeta al dolce stile. La donna, in esso, è intesa come immagine divina , trait d'union fra l'uomo e Dio, è una che ha poteri speciali, superiori a quelli dell'uomo e ha la capacità di elevare l'uomo a Dio.

Gentile, come già sappiamo, è parola chiave di tutto lo Stilnovo. A Firenze soprattutto due poeti seguono questa tendenza poetica: Cavalcanti e Dante, ma con esiti diversi. Amore-passione caratterizza Cavalcanti, amore-caritas è il tratto distintivo di Dante.

In Cavalcanti l'amore è più immediato, più terrestre, drammaticamente vissuto. Per Dante la storia di Beatrice diventa un capitolo della vita di una santa; infatti Beatrice è un'immagine divina.


Il sonetto è perfetto nell'equilibrio formale e nella distribuzioni delle parti e del contenuto e può essere paragonato alla stanza della canzone Donne,ch'avete intelletto d'amore,.Le quartine hanno rima incrociata ABBA, ABBA, le terzine rovesciata CDE, EDC. Il sonetto acquista da ciò una sua particolare fisionomia e un movimento nuovo per la diversità di rima tra quartine e terzine. Non a caso è il medesimo ordine di rime del sonetto del Cavalcanti Chi è questa che vèn

: sono due sonetti contemporanei, di due amici; anche il sonetto del Cavalcanti è raffinatissimo e di delicatissimo sentire, e ciò è anche indicato dalla non comune disposizione e qualità delle rime.

Analisi linguistica

pare, dal lat. pareo, apparire, mostrarsi

altrui , oggi significa che appartiene ad altri e viene usato come aggettivo. In it. antico è un pronome indef., significa altri, qualcuno

deven, dal lat. devenit, ital. diviene

laudare, lat. laudo

si va, sentendosi allitterazione

benignamente, polisillabo molto raro in poesia

d'umiltà, termine che troviamo anche nel sonetto del Cavalcanti, caratteristica della donna dello Stilnovo

vestuta, per esigenza di rima

ecc.

Mentre il Cavalcanti nel suo sonetto ci pone senz'altro dinanzi la donna, come una figura angelica, trionfale all'inizio del sonetto, Dante non ci presenta la donna che viene avanti, ma trascorrente; c'è un dramma meno accentuato, e a questo atteggiamento corrisponde il ritmo. Nel passaggio dalle quartine alle terzine, Dante rinnova in forma leggera e appena avvertibile un artificio della poesia provenzale, quello di unire le stanze l'una all'altra ripetendo all'inizio della stanza seguente l'ultima parola di quella precedente, l'artificio delle coblas capfinidas già ripreso da Guinizzelli nella sua celebre canzone. Dante, che ha scritto anche sonetti di tutt'altro carattere, ha raffinato qui il suo eloquio, il suo metro, trattando il sonetto allo stesso modo della canzone. Tuttavia Petrarca lo supererà e diffonderà il sonetto in tutta Europa.


FRANCESCO PETRARCA

Solo e pensoso i più deserti campi


Solo e pensoso i più deserti campi



Solo e pensoso' i più deserti campi

vo mesurando a passi tardi e lenti

e gli occhi porto per fuggire intenti

ove vestigio uman l'arena stampi.


Altro schermo non trovo che mi scampi

dal manifesto accorger de le genti

perché negli atti d'alegrezza spenti

di fuor si legge com'io dentro avampi;


sì ch'io mi credo omai che monti e piagge

e fiumi e selve sappian di che tempre

sia la mia vita. ch'è celata altrui


Ma pur sì aspre vie ne si selvagge

cercar non so ch'Amor  non venga sempre

ragionando con meco, ed io co lui.



Il sonetto è la composizione più frequente nel Canzoniere di Petrarca. Dal punto di vista metrico esso diventa una forma fissa, senza possibilità di varianti.

La fronte ABBA ABBA presenta rima incrociata o rovesciata, in Sicilia c'era la rima alternata, nello Stilnovo l'alternanza fra le due forme. Dal punto di vista semantico la struttura distica non è eliminata; alla fine del secondo verso c'è infatti una pausa semantica che ci rimanda all'origine del sonetto, quando la fronte era divisa in quattro distici.

Molte sono le possibilità di rima nella sirima; le forme più usate sono quelle ritenute più eleganti: rime replicate (CDE, CDE) e rovesciate (CDE EDC).

Passando all'analisi del testo, notiamo che il verbo è esiliato dal primo versa; l'apertura è caratterizzata da una coppia sinonimica di aggettivi.

solo indica la solitudine ricercata e sopportata nello stesso tempo

pensoso significa in preda a pensiero amoroso, ciò che più turba il poeta

più deserti campi il poeta sottolinea la necessità di eliminare ogni presenza umana

L'aggettivo è in posizione di rilievo perché precede il sostantivo(qualificativa), indica la condizione primaria, in questo caso deserti è più importante di campi.

vo mesurando il gerundio dà lentezza, è un quadrisillabo e come tale rallenta il ritmo del verso, inoltre è forma arcaica.

Il distico si chiude con due aggettivi così come era iniziato, a solo corrisponde tardi, a pensoso lenti.

L'alternanza di proposizioni semplici e articolate è tipica del tempo perché la lingua non è ancora fissata.

Nella prima terzina troviamo una proposizione consecutiva che segue un punto fermo perchè le quartine venivano concluse con un punto.

Nei vv. 9 e 10 sono messi in evidenza i sostantivi

celata altrui costruzione latina di celare e pronome indefinito

Amor è l'unica compagnia

con meco forma dell'italiano antico




L'influsso letterario della poesia italiana su quella francese si manifesta con il sorgere di una lirica d'amore caratterizzata da una particolare raffinatezza espressiva. Il modello era Petrarca.(petrarchismo francese).

Il sonetto viene imitato, nel 500, anche in Spagna da Juan Boscan.

In Inghilterra nella prima metà del 500 Thomas Wyatt e Henry Howard, conte di Surrey, introducono il sonetto petrarchesco e i temi tipici del Petrarca, ma nell'immediato non hanno seguito. Solo verso la fine del secolo si diffondono il sonetto e i modi petrarcheschi, mediati però attraverso l'esempio di Ronsard, della Plèiade e dall'italianismo francese.



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