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Il Sogno in tre diversi autori latini
Il τοπος del sogno si diffuse ben presto dalla letteratura greca a quella latina mantenendo la funzione di rappresentare un’investitura poetica per legittimare così la figura del poeta che si accinge a scrivere l’opera; e ciò appare chiaro dal fatto che si trova sempre nel proemio, quindi all’inizio dell’opera stessa.
Ed è proprio nel proemio che Ennio inserisce il tradizionale τοπος, riprendendolo in particolare dal prologo degli Aitia di Callimaco.
Qui l’autore latino invoca le Muse greche che abitavano l’Elicona e il Monte Olimpo e non le Camene italiche (l’equivalente italico delle Muse greche) ed espone l’argomento del suo capolavoro e il sogno che lo ha ispirato.
Il poeta narra che sul Parnaso gli apparve l’anima di Omero e che egli gli abbia detto di essersi incarnato prima nel corpo di un pavone (simbolo dell'immortalità dell'anima), poi nel corpo di Pitagora e infine nel corpo del poeta, affinché come nuovo Omero cantasse ai Latini la vicenda epica di Roma. Nel sogno Omero espone ad Ennio il mistero della metempsicosi, ossia della reincarnazione delle anime che, secondo i pitagorici,erano di origine divina e intrappolate nel corpo che costituiva quindi una sorta di prigione,da cui avrebbero potuto liberarsi solo dopo avere passato alcune vite via via sempre migliori,fino alla purificazione, cioè la catarsi.
Il tema del Sogno lo si ritrova anche in un altro autore latino, Lucrezio ,nel quarto capitolo del suo “ De rerum natura ”, dove tuttavia viene interpretato ed elaborato diversamente. L’autore si preoccupa di spiegare al lettore che quando il nostro corpo riposa nel sonno, i sensi restano intorpiditi e lasciano che i simulacri delle cose della nostra vita quotidiana penetrino in noi. La mente, che è sempre vigile, li registra e provoca delle visioni che sono chiamate comunemente sogni.
La posizione di Lucrezio risulta assai distante dalle moderne acquisizioni, freudiane e non, della psicologia del profondo, anche perché appare polemica con tutte le concezioni che, del fenomeno onirico, lasciavano ampio margine all’ignoto, al misterioso. Il poeta invece riconduce i sogni ad una semplice riproduzione e continuazione, per gli uomini come per gli animali, delle sensazioni che più ci hanno colpito durante la veglia. Particolarmente efficaci appaiono, a questo proposito, alcune immagini del mondo animale, come quella dei cavalli che nel sogno paiono ancora lottare per la vittoria nel circo, dei cani che, pur se addormentati, ancora partecipano dell’eccitazione della caccia, e degli uccelli che si levano in fuga per aver sognato un predatore.
Da “ De rerum natura” VI vv. 962-1023 :
<<…E l'attività alla quale ognuno di solito è attaccato e attende,
o gli oggetti sui quali molto ci siamo prima intrattenuti
e nell'occuparsi dei quali è stata più intenta la mente,
in questi stessi per lo più nei sogni ci pare d'essere impegnati:
gli avvocati credono di perorare cause e confrontare leggi,
i generali di combattere e di impegnarsi nella battaglia,
i naviganti di sostenere la lotta ingaggiata coi venti,
e noi di compiere quest'opera e d'investigare sempre la natura
e scoprirla ed esporla in pagine scritte nella lingua dei padri.
Così tutte le altre attività e arti per lo più paiono nei sogni
tenere prigionieri di fallaci immagini gli animi degli uomini.
E chiunque per molti giorni continuamente fu presente
e attento agli spettacoli, per lo più vediamo
che, quando ha ormai cessato di percepirli coi sensi,
conserva tuttavia aperte nella sua mente altre vie,
per le quali possono entrare i medesimi simulacri.
E così per molti giorni quelle stesse immagini si presentano
davanti ai suoi occhi, sì che anche da sveglio crede
di veder persone che danzano e muovono le flessibili membra,
e di percepire con le orecchie il limpido canto della cetra
e la voce delle corde, e di vedere gli stessi spettatori
e, insieme, lo splendere dei vari ornamenti della scena.
Tanto grande è l'importanza della passione e del piacere
e delle occupazioni consuete,
non solo per gli uomini, ma anche per tutti gli animali.
Vedrai infatti forti cavalli, le cui membra giaceranno distese,
tuttavia irrorarsi di sudore nel sonno e ansar senza posa
e tender le forze all'estremo, quasi fossero in gara per la vittoria,
o le sbarre fossero state aperte † †
E spesso i cani dei cacciatori, pur mollemente addormentati,
tuttavia dimenano d'improvviso le zampe e emettono d'un tratto
latrati e aspirano frequentemente con le nari l'aria,
come se avessero scoperto tracce di fiere e le seguissero;
e spesso, essendosi svegliati, inseguono vane
immagini di cervi, quasiché li vedessero lanciati nella fuga,
finché, dissipati gli errori, ritornano in sé.
Ma la carezzevole prole dei cuccioli, avvezza a vita domestica,
in fretta scuote via e solleva da terra il corpo,
quasiché vedesse figure e facce ignote.
E quanto più una razza è feroce,
tanto più nel sonno essa deve infuriare.
Ma i variopinti uccelli fuggon via e, sbattendo le ali,
d'un tratto turbano durante la notte i boschi sacri,
se nel dolce sonno sembrò loro di vedere sparvieri
dare battaglia e far zuffa perseguitandoli a volo.
Inoltre le menti degli uomini, che con grandi movimenti producono
grandi cose, spesso nei sogni le fanno e le svolgono parimenti:
i re espugnano, son fatti prigionieri, si gettano nella mischia,
emettono grida come se fossero scannati in quel punto stesso.
Molti lottano all'ultimo sangue e mandano gemiti di dolore
e, come se fossero dilaniati dai morsi d'una pantera
o d'un feroce leone, riempiono tutto di grandi grida.
Molti nel sonno parlano di cose gravi,
e così parecchi denunziarono proprie colpe.
Molti affrontano la morte. Molti, come se da alti monti
precipitassero a terra con tutto il peso del corpo,
sono sconvolti dalla paura e, destandosi, come mentecatti
a stento tornano in sé, perturbati dal rimescolio del corpo….>>
Il mondo dell’uomo è variegato e Lucrezio non si lascia sfuggire
l’occasione di polemizzare con le mille passioni che turbano la mente umana, e
che proprio nel sogno sono solite trovare un’importante valvola di sfogo. Una
caratteristica di Lucrezio è di essere chiamato “il poeta visionario”, per la
ricchezza delle immagini presenti nella sua opera. Il fatto non stupisce se si
tiene in considerazione che per gli epicurei la realtà era conoscibile
attraverso l’esperienza sensibile; quando i cinque sensi non riescono più a
percepire le entità invisibili come gli atomi, s’impone il ricorso
all’analogia, al paragone con eventi della realtà quotidiana.
Un terzo autore latino , Persio
, nel proemio riprende il tradizionale τοπος
rielaborandolo in modo differente.
Accingendosi a scrivere satire,aveva davanti a sé una traccia ben delineata che
però vuole rifiutare,come appare evidente nei primi versi dei Choliambi dove
l’autore afferma:”Nec fonte labra prolui caballino nec in bicipiti somniasse Parnaso
memini ut repente sic poeta prodirem ” cioè “ Non ho bagnato le
labbra alla fonte del cavallo e non ricordo di aver fatto sogni sul Parnaso
dalla doppia cima per venirmene fuori così,improvvisamente,poeta”.
Le immagini che Persio evoca qui con disinvoltura sono elementi
centrali della simbologia con cui l’antichità designava la poesia:il bere alla
fonte Ippocrene sull’Elicona alludeva a uan genuina ispirazione;sognare di
essere su un monte sacro alle Muse equivaleva ad un’investitura poetica ed era
un τοπος autorevolmente proposto da Callimaco e da
Ennio.Il rifiuto di applicare alla propria attività questi stereotipi
tradizionali rivela una coscienza della diversità della satira dai generi alti contro
cui Persio compie una serrata polemica,soprattutto nella prima satira,deridendo
la moda delle recitationes.
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