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IL ROMANZO STORICO E VERISTA
Dopo aver goduto di largo successo in ambito illuminista, il romanzo conferma nell'Ottocento la sua fortuna; in particolare il romanzo storico conosce larga diffusione nella prima metà del secolo, esprimendo temi cari alla cultura romantica e risorgimentale come il sentimento, la natura, la patria, e offrendo esiti di grande valore in particolare con Manzoni, Guerrazzi, D'Azeglio; la seconda metà del secolo assiste invece alla diffusione del romanzo verista, "figlio" della cultura positivista del secondo Ottocento, che ha in Verga il suo massimo esponente.
Lo sviluppo del romanzo fra il Settecento e l'Ottocento
Il Settecento illuminista aveva riscoperto il romanzo come strumento privilegiato per sottoporre a riesame critico il passato e proclamare l'autonomia e la libertà dell'intelletto umano rispetto a qualunque forma di condizionamento.
La fortuna del genere prosegue nell'Ottocento, in particolare presso il pubblico di estrazione borghese, e sviluppa sempre nuovi sotto-generi in risposta a diverse sollecitazioni culturali.
In Inghilterra, per esempio, prevalgono i fermenti preromantici che, in polemica con la tradizione classicista (fondata sugli ideali estetici di equilibrio e armonia), prediligono la raffigurazione del prorompere caotico e tempestoso della passione, oppure di atmosfere "pittoresche" dai tratti sognanti, che invitano l'individuo a smarrirsi nell'infinito. Tali fermenti, che si coagulano attorno all'estetica del sublime, trovano un nuovo spazio di espressione nel romanzo "gotico", caratterizzato dalla predilezione per sinistre ambientazioni medievali (donde il nome) e per vicende in cui predominano l'orrore e il soprannaturale.
Vedi, sul testo di storia della letteratura, il contributo di Edmund Burke (1729-1797) alla definizione della moderna distinzione estetica fra il sentimento del bello, che nasce dalla contemplazione di forme armoniche ed equilibrate, e il sentimento del sublime, inteso come il piacere che lo spirito prova trovandosi coinvolto da passioni terribili e sconvolgenti.
In Francia, dove più forte permane l'istanza sociale sulla scorta dell'eredità illuminista, ha particolare sviluppo il romanzo "di costume", detto anche "realista" o "sociale", che prelude al romanzo naturalista ed è caratterizzato dall'attenzione alla realtà sociale contemporanea, di cui vengono ricostruiti con cura gli ambienti.
In tutta Europa largo successo ha il romanzo "storico", che in Italia si colloca come spazio di confronto fra istanze culturali diverse, assieme classiciste, romantiche e risorgimentali.
Si ricorda che il termine "classicismo" indica in generale le tendenze estetiche fondate sul concetto di armonia, di equilibrio, di misura, caratterizzate, in particolare, da un rapporto organico con la tradizione classica; l'estetica romantica, invece, in risposta a certe tendenze radicali della cultura illuministica, tende a riscoprire lo spiritualismo contro il materialismo meccanicistico, la religione o comunque il senso dell'assoluto e del soprannaturale contro l'ateismo razionalista, le ragioni della nazione e della storia contro il cosmopolitismo.
I caratteri del romanzo storico e i suoi modelli
Se "individuo", "storia", "nazione", "sentimento" sono le parole d'ordine della cultura romantica, nessun genere letterario meglio del romanzo storico sembra adatto a incarnarle. Tecnicamente si tratta di un sotto-genere del romanzo caratterizzato dall'inserimento di una vicenda d'invenzione all'interno di un contesto passato, ricostruito con una certa verosimiglianza storica. Particolarmente apprezzati sono gli ambienti medievali e rinascimentali, di epoche considerate, nell'immaginario collettivo dell'epoca, come dominio ancora incontrastato della passione e del sentimento; le azioni eroiche di individui eccezionali vengono così inserite nel contesto più ampio delle dinamiche storiche e sociali che stanno al fondamento stesso della moderna nazione italiana, che proprio nel Medioevo e nel Rinascimento affonda le proprie radici.
Vedi, sul testo di storia della filosofia, il contributo di Giambattista Vico (1668-1744) alla formazione di questo "immaginario collettivo", in particolare con la sua opera Principi della scienza nuova (1744), in cui distingueva tre fasi dello sviluppo umano: infanzia (in cui criterio fondamentale di lettura della realtà sono i sensi), giovinezza (in cui criterio è il sentimento), maturità (in cui criterio è la ragione).
Sulla formazione e la diffusione del romanzo storico italiano dell'Ottocento esercitò un influsso determinante l'opera dello scozzese Walter Scott, i cui romanzi cominciarono a uscire in traduzione italiana a Milano a partire dal 1821. I romanzi di Scott, ambientati in un'Inghilterra medievale e cavalleresca dai contorni storici per la verità spesso piuttosto indefiniti, fecero scuola in particolare per la straordinaria capacità dell'autore di mescolare sentimenti individuali (l'odio, l'amore) e sentimenti nazionali, inquadrando l'avventura dell'eroe nel più vasto ordito della storia.
Vedi nel testo di storia della letteratura i caratteri dei romanzi di Walter Scott (1771-1832), in particolare Ivanhoe (1820), forse il più celebre, al quale è dovuta la fortuna di cui ancora oggi godono personaggi come il re-cavaliere Riccardo e l'eroe-bandito Robin Hood.
Il romanzo storico in Italia
"Patria", "avventura", "sentimento" sono le parole d'ordine che fanno la fortuna del romanzo storico italiano nell'Ottocento, legato in particolare ai nomi di Alessandro Manzoni (1785-1873), Francesco Domenico Guerrazzi (1804-1873), Massimo D'Azeglio (1789-1866).
I promessi sposi (1840) di Manzoni è un romanzo per molti versi anomalo: per l'ambientazione (la Lombardia del Seicento, anziché i più consueti scenari medievali o rinascimentali); per il contenuto ideologico (una parabola cristiana che ha per autentica protagonista la provvidenza di Dio, che dà senso alla storia dolorosa dell'umanità come alla vita drammatica dell'individuo); per lo stile, in cui misura, equilibrio, ironia, pudore trattengono e frenano le effusioni sentimentali, così tipiche del genere.
Vedi nel testo di storia della letteratura il contributo teorico di Manzoni alla definizione del romanzo, nei saggi Dell'invenzione (1850) e Del romanzo storico (1851), nonché le riflessioni sul rapporto tra vero storico (gli eventi passati ricostruiti fedelmente sulla base delle fonti) e vero poetico (la ricostruzione della dimensione sentimentale e psicologica di individui immersi in contesti passati, ricostruzione che deve avere a fondamento la verosimiglianza) nella Lettre a M. Chauvet (1820).
Il romanzo più fortunato di Guerrazzi, patriota di sentimenti repubblicani, maestro insuperato di trame costruite attorno ai più "crudeli, atroci e disumani delitti", è invece La battaglia di Benevento (1827), che rievoca la battaglia combattuta nel 1266 fra i ghibellini di re Manfredi, figlio naturale di Federico II, e i guelfi guidati dagli Angioini di Francia; la battaglia si risolse in una disfatta per i ghibellini e lo stesso Manfredi venne ucciso.
D'Azeglio infine, romanziere, storico, pittore, genero di Manzoni, uomo impegnato politicamente (dal 1849 al 1852 fu primo ministro del Regno di Sardegna) ci offre con Ettore Fieramosca o La disfida di Barletta (1833) un tipico esempio di romanzo in cui le ragioni del cuore si intrecciano a quelle della patria, in una sintesi per la verità non sempre perfettamente riuscita: l'opera narra l'amore del protagonista per la bella Ginevra, insidiata dal perfido Cesare Borgia, sullo sfondo di un fatto storico: nel 1503, a Barletta, i cavalieri italiani guidati dal Fieramosca vincono in duello contro i francesi, che hanno offeso l'orgoglio nazionale accusando i nostri di vigliaccheria.
Il romanzo storico non muore con l'esaurirsi dello spirito romantico e risorgimentale; attraverso adattamenti e riprese, sopravviverà fino ai nostri giorni, per esempio nella rivisitazione fiabesca di Italo Calvino (1923-1985), che, nella trilogia composta da Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957) e Il cavaliere inesistente (1959), sviluppa una lucida denuncia della crisi etica della società contemporanea e assieme una riflessione meta-letteraria sulle ragioni, i meccanismi e i modi della scrittura. Manca infatti, nella cosiddetta "trilogia degli antenati", un'autentica pretesa di ricostruzione storica: il Settecento del visconte Medardo di Terralba (destinato da una cannonata turca a vivere temporaneamente diviso in due parti, una buona e una cattiva), il Sette-Ottocento di Cosimo Piovasco di Rondò (che salito su un albero a dodici anni non recederà mai più dalla sua scelta di vita arborea), il IX secolo di Agilulfo dei Guildiverni (il cavaliere che non c'è, vuota armatura animata solo dalla forza di volontà e dalla fede) sono gli scenari in cui Calvino ambienta le sue parabole fiabesche e paradossali, alla ricerca di un ordine nel caos della vita, della storia e della scrittura.
Interessante anche la recentissima rivisitazione del genere ad opera di Umberto Eco (1932), esperto di semiotica (la "scienza dei segni"), che, ne Il nome della rosa (1980), ha offerto un modello particolarmente significativo di romanzo storico "postmoderno": si tratta di un giallo ambientato in un monastero benedettino nel XIII secolo; l'attenta ricostruzione del contesto storico, caratterizzato da violenti contrasti all'interno della Chiesa stessa, offre uno sfondo complesso al messaggio di fondo del romanzo, che è un messaggio "semiotico": la realtà e i suoi fondamenti (dunque anche Dio) sono segni enigmatici che l'uomo deve investigare, come il protagonista Guglielmo da Baskerville, singolare figura di frate-detective, nella ricerca - perennemente frustrata - di raggiungere una verità ultima e definitiva.
Dal romanzo storico al romanzo verista
Il passaggio dal romanzo storico del primo Ottocento al romanzo verista del secondo Ottocento è legato a diversi ordini di fattori, tra cui lo sviluppo politico e sociale del nostro paese e il progresso tecnico-scientifico ed economico che coinvolge buona parte dell'Europa.
Vedi nel testo di storia i caratteri e i problemi di ordine interno, in particolare per quanto riguarda la cosiddetta questione meridionale. Quanto al resto d'Europa, vedi i caratteri del profondo processo di riorganizzazione della borghesia capitalistica, caratterizzato da rapporti sempre più stretti tra ricerca scientifica, applicazioni tecnologiche e produzione industriale, e i suoi risvolti sociali.
Particolare rilievo assumono le discussioni che hanno per oggetto l'idea di "progresso", di matrice illuministica, ma ora riletta alla luce dell'accelerazione economica e sociale impressa dal capitalismo industriale. Alcuni vedono infatti nel "progresso" tecnologico e industriale un fattore strutturalmente inevitabile ma destinato per sua stessa natura ad essere superato, per lasciare il posto ad un nuovo modello sociale.
Vedi nel testo di storia della filosofia i fondamenti del pensiero di Karl Marx (1818-1883), soprattutto laddove il filosofo sostiene che a regolare la storia umana sono i rapporti economici (strutture), da cui derivano le manifestazioni culturali e ideali della civiltà (sovrastrutture) nelle sue varie fasi storiche; vedi anche quanto riguarda i principi della lotta di classe e della dittatura del proletariato, tappa fondamentale verso una società senza classi.
Altri invece sostengono che il progresso inarrestabile della scienza e della tecnologia è destinato ad offrire all'umanità un futuro di prosperità, giungendo ad un'autentica ideologia del progresso che troverà nel positivismo la sua principale espressione.
Vedi nel testo di filosofia la fondamentale riflessione di Auguste Comte (1798-1857) sviluppata nel Corso di filosofia positiva (1830-1842): l'idea di base è che il metodo delle scienze sperimentali (osservazione, analisi, catalogazione e comparazione dei fenomeni, elaborazione di leggi generali, verifica sperimentale) deve essere applicato anche alle scienze umane e sociali; di qui l'evoluzionismo sociale, il radicalismo materialista, il determinismo comportamentale.
L'esaltazione della scienza e del metodo sperimentale, che il positivismo diffonde in Francia e poi in tutta Europa, conosce un importante tentativo di applicazione in campo artistico nell'ambito della scuola naturalista francese, legata in particolare a Zola (1840-1902) che, riprendendo e adattando il romanzo sociale di Honoré de Balzac (1799-1850), intende la letteratura come uno strumento di analisi scientifica della realtà contemporanea.
Vedi nel testo di storia della letteratura i caratteri della narrativa di Émile Zola (1840-1902), che raffigura, nei suoi romanzi, degli "squarci di vita" i cui protagonisti, appartenenti per lo più alle classi medio - basse, agiscono sulla base di un comportamento rigidamente determinato dai caratteri ereditari e ambientali. Particolarmente significative sono in tal senso opere come Teresa Raquin (1867) o L'ammazzatoio (1877).
I romanzi di Giovanni Verga
I principi della narrativa naturalista vengono rielaborati in Italia dal movimento verista; tra i suoi principali esponenti vanno ricordati i seguenti.
1) Federico De Roberto (1861-1927), che aderì ai principi del verismo ma conservando una predilezione spiccata per l'approfondimento psicologico dei personaggi, di cui dà prova nelle sue raccolte di novelle e nei suoi romanzi.
Vedi, di De Roberto, le novelle comprese nella raccolta Documenti umani (1888) e il romanzo I Viceré (1894), affresco storico e sociale ambientato a Catania nell'età di passaggio dal regime borbonico allo Stato unitario.
2) Luigi Capuana (1839-1915), il principale teorico del movimento; si batté per la diffusione in Italia dei principi narrativi del naturalismo francese, in particolare l'osservazione analitica della vita nelle sue manifestazioni concrete, la ricostruzione dettagliata degli ambienti e dei contesti socio - economici, il criterio dell'impersonalità della narrazione.
3) Giovanni Verga (1840-1922), il massimo esponente della narrativa verista; romanzi come I Malavoglia (1881) e Mastro don Gesualdo (1889) incarnano perfettamente i principi della nuova narrativa verista, ovvero: adesione "oggettiva" alla vita nei suoi aspetti materiali e concreti; impersonalità dell'opera d'arte, che deve sembrare "essersi fatta da sé", senza che vi si avverta la presenza "deformante" dell'autore; attenzione alle classi meno fortunate, alle "vittime" delle trasformazioni sociali e politiche in atto nel Sud dopo l'unità d'Italia.
Vedi la prefazione alla novella L'amante di Gramigna, "manifesto" del verismo verghiano.
La prima compiuta realizzazione dei nuovi principi ideologici ed estetici del verismo è rappresentata dalla raccolta di novelle Vita dei campi (1880); il verismo verghiano raggiunge la piena maturità con i romanzi di un progettato ciclo, intitolato dapprima La marea, quindi I vinti, che, oltre a I Malavoglia e a Mastro don Gesualdo, avrebbe dovuto comprendere La duchessa di Leyra, L'onorevole Scipioni, L'uomo di lusso. Scopo del ciclo era quello analizzare diverse figure di individui sconfitti dal progresso, all'interno di diverse classi sociali, dalle più basse alle più alte (il piano dell'opera è sinteticamente presentato dallo stesso Verga nella Prefazione ai Malavoglia). In particolare, I Malavoglia analizzano impietosamente la violazione del cosiddetto "ideale dell'ostrica" cioè lo sconvolgimento dell'ordine di valori tradizionale (fondato sul senso della famiglia e dell'onore) scatenato in una povera famiglia di pescatori dal miraggio del "progresso". Chi vuole più di quel che ha, non trova quel che cerca e perde quel che aveva, è l'amara e fatalista "morale" della vicenda della famiglia Malavoglia. Essa è vittima di se stessa e di una società senza più leggi che non siano quelle dell'avidità e del tornaconto.
Vedi una rappresentazione compiuta dell'"ideale dell'ostrica" nella novella Fantasticheria; esemplari sono anche i capitoli XI-XIII dei Malavoglia, in cui "vecchio" e "nuovo" sono messi drammaticamente a confronto, incarnati nei personaggi del vecchio padron 'Ntoni, custode della tradizione, e del giovane nipote 'Ntoni, assetato di novità e di riscatto sociale.
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