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Nella seconda metà del Quattrocento, mentre prosegue con criteri filologici e storici più severi la ricostruzione del mondo antico e l'invenzione della stampa ne divulga la conoscenza la letteratura volgare rifiorisce. I maggiori centri continuano ad essere Roma, Napoli, ma sopra tutti Firenze e Ferrara.
A Roma in particolare la cultura prende un indirizzo prevalentemente archeologico (grazie all'Accademia di Pomponio Leto
La letteratura volgare del periodo ristabilisce i contatti con la vita reale, contatti che il vagheggiamento dell'antichità aveva affievolito.
Essa non fu un ritorno puro e semplice alla letteratura del Trecento o alla parlata popolare: il volgare dei secoli precedenti non poteva essere accolto, se non esclusivamente dai testi più autorevoli. Di questo si rendono conto teorici e poeti: gli uni si impegnano a disciplinare e regolamentare il volgare affinché esso, assurgendo a lingua di cultura, sostituisca del tutto il latino; gli altri rendono in versi eleganti e prosa ricercata la nuova spiritualità umanistica.
Dalla letteratura minore emerge particolarmente proprio quel contatto con la vita cui si è fatto cenno: essa esprime in tutta la loro realistica schiettezza, sentimenti e aspirazioni del secolo.
Ne sono esempio le moltissime "cronache", di grande efficacia rappresentativa e che utilizzano una lingua infarcita di locuzioni dialettali.
Ne sono autori mercanti, notai, artigiani, soldati che vogliono lasciare ai posteri il ricordo delle vicende della loro città; essi si perdono spesso nella minuzia dei particolari da cui sfuggono le linee del racconto, o espongono disordinatamente i fatti, lasciando spazio ai loro odi, credenze e persino alle superstizioni popolari.
La letteratura religiosa è invece estranea alla tendenza classicheggiante dell'epoca e priva di velleità artistiche. Coloro i quali si prefiggono di tramandare sacre leggende, rimangono aderenti ai vecchi schemi dell'agiografia precedente. Presentano invece vivacità d'espressione, e testimoniano il trapasso dal cristianesimo medievale a quello Rinascimentale, le prediche di San Bernardino da Siena, raccolte dai suoi seguaci.
Non è dimenticato lo sfondo dell'eternità verso cui muove la vita terrena, ma le attività mondane (persino le attività bancarie e mercantili guardate con diffidenza nel medioevo) sono già apprezzate ai fini di una vita ordinata e devota a Dio, ma anche utile a se stessi e agli altri.
L'educazione dei bambini e dei giovani, soprattutto delle fanciulle che si preparano al matrimonio, è vista con criteri psicologici che già precorrono la moderna pedagogia; e persino la scienza è apprezzata come utile al bene comune.
Più impetuose e solenni sono invece le prediche di Girolamo Savonarola, giunte a noi da alcune trascrizioni di devoti ammiratori.
Convinto di essere stato investito da Dio nella missione di riportare la società al cristianesimo tuonò dal pergamo di San Marco contro la corruzione dei costumi, contro la decadenza del potere civile e religioso, ma sempre per il pubblico bene, nel tentativo di realizzare il suo sogno, il sogno cioè di una repubblica libera che non riconosce altro re che Cristo. Strinse rapporti con i neoplatonici di Firenze a cui lo univa il comune spirito mistico finché, caduto in disgrazia della curia romana, fu sconfessato dallo stesso Ficino (finì poco dopo sul rogo come eretico).
Nelle sue prediche la parola assume una forza tale da convincere e commuovere, ma anche da incutere timore (soprattutto nelle frequenti profezie di terribili castighi divini). Nel suo ideale di rinnovamento religioso egli è più vicino spiritualmente a Lutero, piuttosto che ai rinnovatori e fondatori degli ordini religiosi (quale quello dei Gesuiti di Ignazio di Loyola) del secolo successivo.
Il popolo minuto, meno colto, si diletta di altro genere, la "Sacra Rappresentazione" ad esempio, più confacente alla primitività dei suoi sentimenti e alla religiosità medievale; tale genere da i suoi frutti più abbondanti a Firenze, per quanto fosse nata in Umbria dalle laudi dei flagellanti; alle origini essa era un dramma rudimentale, impostato su monologhi e dialoghi inquadrati in un'elementare messa in scena. Ne erano materia episodi della vita di Cristo, o della vita dei Santi (in particolare della Madonna) o leggende derivate dal Vecchio e Nuovo Testamento, sempre a fine morale. A Firenze però la Sacra rappresentazione (chiamata anche "mistero" o "devozione") subisce ora un notevole rinnovamento ad opera dei letterati che ne elevano il livello artistico e sviluppano gli elementi umani, favorendo così il passaggio dalla rappresentazione sacra a quella profana.
Non maggior pregio d'arte presenta la novellistica del periodo, incapace di svincolarsi dalla suggestione del Decameron, suggestione aggravata dal canone umanistico dell'imitazione e "classico" infatti in tal senso è il Boccaccio, come il Petrarca lo è per la lirica.
Emerge tra tutti Masuccio De' Guardati da Salerno, autore di un Novellino, raccolta di 50 novelle; ogni racconto è preceduto da una lettera dedicatoria a personaggi della corte Aragonense ed è collegato ad una chiusa che ne mette in evidenza l'ammaestramento morale, anche se in realtà l'argomento è spesso licenzioso; egli rinnova i temi tradizionali e utilizza un linguaggio più disinvolto di quello imposto dal modello boccaccesco. Le prime dieci novelle svolgono la satira dei religiosi corrotti, da cui emerge l'indignazione del moralista; è la parte più vivace dell'opera, più delle altre che trattano dei difetti delle donne o raccontano vicende liete o tristi.
Il Novellino è il primo libro di una certa importanza scritto fuori da Firenze: esso pone quindi il problema della necessità di un idioma non più regionale, ma nazionale.
La letteratura in versi è ancor più legata alla tradizione del Trecento di quanto lo sia la prosa: l'elemento formale prevale su quello contenutistico e in tal senso riscuotono largo consenso i modelli petrarcheschi. Ma i poeti del Quattrocento non sanno esprimere il proprio mondo interiore; non cogliendo così il vero spirito della poesia del Petrarca si limitano ad un esteriore e sterile imitazione, ridotta ad un monotono gioco di parole (che nel secolo successivo darà origine al "petrarchismo").
Accanto però a questa poesia che è soprattutto ricercatezza formale, fiorisce una poesia che attinge dalla quotidianità della vita, ricollegandosi a quella tradizione borghese-familiare che fa capo a Cecco Angiolieri, Rustico di Filippo, Antonio Pucci, e i cui autori sono per lo più popolani.
Tra questi va ricordato Domenico di Giovanni barbiere fiorentino, detto il Burchiello. Tra i suoi sonetti alcuni hanno un contenuto politico serio (come quelli che scrisse durante l'esilio), altri sono satire personali allusive a casi che per lo più ci sfuggono, altri ancora propongono una serie di immagini e concetti bizzarri, in apparenza senza senso logico. Tale maniera, non nuova perché usata da qualche tardo Trecentista, era detta rimare "alla Burchia", ma non è chiaro se da tale termine derivasse il soprannome al barbiere o viceversa.
È da ricordare ancora il Pistoia (Antonio Cammelli), dalla cui poesia emerge una schietta vena caricaturista, che trae spunto dalla realtà in maniera originale; egli anticipa certamente la poesia del Berni (singolare figura del Cinquecento).
Va infine presa in considerazione la lirica popolaresca d'amore (cui è debitrice anche la migliore letteratura colta del secolo). Essa riprende con freschezza ed ingenuità di immagini il canto amoroso, arricchendolo spesso di locuzioni dialettali e di particolari atteggiamenti poetici (più meditati e profondi nel Settentrione, più vivaci e coloriti nel Meridione).
Chi maggiormente si distingue in questo campo è il patrizio Leonardo Giustinian, che si rifà alla semplice e spontanea lirica d'amore popolare, con gusto signorile (notevole è il motivo della fuggente giovinezza, che si incontra peraltro frequentemente nella poesia del tempo). Grande fortuna arriderà alla poesia del Giustinian e alla maniera da lui introdotta, tanto che successivamente tutte quelle liriche somiglianti in qualche modo alle sue, prenderanno il nome di Giustinanee o veneziane.
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