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IL FUTURISMO - I parte
Con il Futurismo si entra nell'area delle avanguardie novecentesche. L'Avanguardia è, in effetti, una delle anime proprie del Novecento artistico e letterario.
Essa presuppone forte tensione innovativa, disponibilità alle sperimentazioni tecniche e formali più avanzate e inoltre, sul piano della comunicazione, impegno propagandistico con elaborazione di slogans sintetici ed efficaci, e atteggiamenti anche sgradevoli di provocazione e di sfida.
Questi connotati si riconoscono nel celebre Manifesto del Futurismo del 1909, col quale Tommaso Filippo Marinetti sul parigino 'Figaro' dette l'avvio al movimento. Il Manifesto sviluppa una serie di schematiche proposte in negativo e in positivo: rifiuto indiscriminato della vecchia cultura, identificata nel mondo morto delle accademie e dei musei e nelle acquiescenti certezze dei 'professori'; esaltazione della vita come energia, della velocità, del dinamismo simboleggiato dai nuovi mostri tecnologici (automobili, aereoplani, ecc), della guerra 'sola igiene del mondo'.
A parte l'affermazione di questa nuova mitologia, il Manifesto sollecitava l'invenzione di nuove tecniche e di nuove soluzioni formali, da sperimentare nelle attività creative più diverse. Perciò la risonanza fu grande e il Futurismo assunse presto carattere interdisciplinare o, meglio, interartistico. Dal 1910 erano coinvolti nel programma marinettiano i pittori Umberto Boccioni (1882-1916), Carlo Carrà (1881 - 1966) e Luigi Russolo (1885 - 1947) che con Giacomo Balla (1871-1958) e con Gino Severini (1883-1966) redigevano il Manifesto dei pittori futuristi, coerente col manifesto generale nella volontà di 'rendere e magnificare la vita odierna, incessantemente e tumultuosamente trasformata dalla scienza vittoriosa'. Ebbero i loro manifesti la musica (1911), la scultura (1912), l'architettura (1914), il teatro (1915), la cinematografia (1916).
IL FUTURISMO - II parte -
In questo quadro di fermenti innovatori e di mobilitazione intellettuale non mancarono certo le discussioni e le manifestazioni interne di dissenso.
L'alleanza tra il gruppo dei cosiddetti 'milanesi' Boccioni, Marinetti e Carrà e quello dei 'fiorentini' Palazzeschi, Papini e Soffici, maturata dopo clamorosi contrasti (persino una rissa a Firenze, al Caffè delle Giubbe Rosse) e caute mediazioni, trovò una prima consacrazione in 'Lacerba', rivista fiorentina d'arte e letteratura pubblicata dal 1913. Ma in seguito i 'fiorentini' cominciarono a prendere le distanze dalle posizioni di Marinetti, considerate estremistiche e soprattutto povere di riferimenti culturali, viziate da un'ansia cieca e distruttiva di novità, mentre tuttavia si continuavano a riconoscere i salutari fermenti del Futurismo nelle sue istanze originarie.
Fra il 1914 e il 1915 si ebbero su 'Lacerba' scambi
polemici in tal senso (Papini: Il cerchio si chiude, 1914 e Futurismo e
Marinettismo, 1915; Boccioni: Il cerchio non si chiude, 1914). Ma, al di là di
questi contrasti, il Futurismo come istanza di continua avanguardia, di
modernismo e di sperimentazione, si fece sentire ancora per decenni, fino agli
anni Quaranta. Almeno nella prima fase, si mosse in un quadro di riferimenti
europei, trovando riscontri in movimenti come il Cubismo, il Dadaismo e il
Surrealismo. La stessa intelligente versatilità di un Marinetti o di un Soffici
contribuì alla carica sprovincializzazione del movimento.
Nel campo più specificamente letterario, il testo fondamentale è il Manifesto
tecnico della letteratura futurista del 1912 di Marinetti, seguito a un
anno di distanza da Distruzione della sintassi - Immaginazione
senza fili - Parole in libertà.
Si tratta di una poetica della disintegrazione delle strutture, dell'espressività violenta e caotica e, come per le altre attività creative, del 'dinamismo'.
Vi si teorizza la distruzione della sintassi e della flessione verbale, la disposizione casuale delle immagini, la fine della punteggiatura e di tutti gli strumenti linguistici deputati all'ordine e alla simmetria. E inoltre, la morte dell'io letterario, cioè l'abolizione del punto di vista umano e psicologico nella rappresentazione poetica, per dar luogo esclusivo all'oggettività della materia, sede di tensioni e di energie misteriose (ossessione lirica della materia). Sul piano della scrittura e della versificazione si va dalla dichiarazione di morte del verso libero, che spingerebbe a facili effetti sonori e a cadenze monotone, all'affermazione delle parole in libertà.
Si prospetta anche una rivoluzione tipografica, con soluzioni d'impaginazione 'visiva', di collages e composizioni di vario effetto. Si dà infine grande importanza innovativa alla tecnica dell'analogia, svincolata dai tradizionali nessi linguistici della comparazione, ipotizzando relazioni fra termini lontanissimi, e addirittura l'omissione dei primi termini e quindi la cessazione di ogni collegamento (immaginazione senza fili).
All'intelligenza ordinatrice e 'miope' si oppone il dono creativo dell'intuizione.
IL FUTURISMO - III parte -
Dal complesso di questa poetica emergono dati interessanti. Teorizzando la novità, il Futurismo percepisce tendenze già in corso nell'esperienza letteraria del primo Novecento.
Dal Pascoli ai Crepuscolari - e più in generale con il Decadentismo - si avviava un processo di disintegrazione delle forme poetiche. Inoltre, gli stessi Crepuscolari ironizzavano sul ruolo dell''io' come soggetto dell'operazione letteraria. Dalle irregolarità pascoliane al verso libero di Corazzini o di Govoni, si affermava la tendenza a disintegrare anche le forme metriche codificate.
L'analogismo predicato da Marinetti si inquadra nell'esperienza simbolista, e più generalmente nel processo della poesia contemporanea europea che intuisce relazioni e corrispondenze fra termini lontani e inconciliabili. Occorre dire che per molti intellettuali il Futurismo costituì un'avventura temporanea, uno stimolo per esperienze successive. Le adesioni furono varie e variamente motivate. Al paroliberismo programmatico di Marinetti e di Govoni di Rarefazioni o di Folgore di Ponti sull'Oceano, fa riscontro il versiliberismo di Cavacchioli o di Soffici.
Palazzeschi interpretò nelle Poesie la demolizione futurista dell''io', in forma di clownismo e di funambolismo. Molto diffuso lo strumento dell'analogia e della metafora, fino al gioco barocco, in gran parte dei poeti che attraversarono queste esperienze. In alcuni testi risuona la mitologia modernista delle forme dinamiche, delle macchine, del vitalismo cosmico; oppure il vilipendio delle cose vecchie e desuete, in attrito col mondo delle 'cose' crepuscolari. E' anche avvertibile (per esempio nell'Arcobaleno di Soffici) una ricerca di sintesi interartistica, con richiami all'universo musicale e pittorico.
Il Futurismo trovò stimolanti occasioni storiche nella guerra libica (1911-12), nella propaganda per l'intervento e poi nel primo conflitto mondiale. Guerre e bombardamenti sollecitarono esperimenti di 'simultaneità delle immagini' o di rappresentazione visiva dei rumori.
In generale, il movimento nacque e si consumò tra confusioni ideologiche piuttosto evidenti. Il conclamato antiborghesismo, libertario e dissacrante, si accompagnava alla celebrazione del progresso, del mondo tecnologico, della civiltà industriale organizzata. Le rivoluzioni ebbero, per Marinetti, lo stesso valore spettacolare delle fabbriche in piena attività. Si magnificarono insieme le masse tumultuanti e il genio solitario, la scienza e l'intuizione irrazionale. In ogni caso, il vitalismo futurista sentì assai più il fascino della Guerra e dell'Ingiustizia che non quello dei loro contrari. Trovò naturalmente motivazioni comuni con il fascismo. Ma come avanguardia cessò di esistere fino dagli anni Trenta, col mussoliniano 'richiamo all'ordine' che liquidava le avanguardie.
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