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Una delle caratteristiche principali del movimento romantico è il dolore, in cui si vede il male o la malattia del diciannovesimo secolo. Questo dolore è dovuto al fatto che l'uomo sogna una realtà felice ma trova una società che frena i suoi grandi sogni.
Il dolore è un'esperienza che ci mostra via via i volti dei nostri stati effettivi. E' una condizione dell'animo, una sensazione interna del nostro essere, attraverso la quale scappiamo dal mondo. Il dolore non è solo una malattia dell'animo, ma è anche una via di accesso alla profondità e alla problematicità dell'anima. Attraverso il dolore, la superficie della conoscenza si rompe e si apre l'abisso della profondità delle cose, ci appare la loro possibile insensatezza.
Nel Foscolo è visibilissima quell'aria di irrequieto dolore, quel desiderio di pace e di oblio, che fu comune agli uomini e agli scrittori della generazione romantica.
Più di una volta affermò che l'uomo fosse nato più al dolore che al piacere, infatti sia al giovane che ama, come ai pessimisti, tutto appare sostanzialmente vano.
Infatti scrisse ad Antognetta Fagnani-Arese, con cui ebbe una relazione: « Tutto è follia e quando anche il soave sogno dei nostri amori terminerà, credimi, io calerò il sipario. La gloria, il sapere, l'amicizia, le ricchezze, tutti fantasmi, che hanno recitato fino ad ora nella mia commedia, non fanno più per me. Io calerò il sipario, e lascerò che gli uomini si affannino per fuggire i dolori di un'esistenza, che non sanno troncare ». L'infelicità è inerente alla natura dell'uomo. Anche l'uomo apparentemente felice è in realtà un misero. « Quando la malinconia si impadronisce di me - scriveva ancora alla Fagnani-Arese - io m'immagino tutto quello che potrebbe rendermi beato, e ch'è il voto di tutti i mortali; mi figuro di possederlo; e sento ch'io sarei egualmente e perpetuamente infelice» Visto che il cuore suggerisce al poeta che la vita così sostanzialmente misera ha pure in sé una qualche fonte di consolazione e gli uomini si distruggerebbero l'un l'altro se non nascesse in essi la virtù della compassione. Le Grazie saranno in gran parte l'espressione poetica di tali concetti, e diventeranno la correzione dell'Ori, che è la sintesi del pessimismo giovanile e sentimentale dell'autore.
La capacità di Leopardi di avvertire certe contraddizioni perfino della società contemporanea, era legata anche alla sua malattia, alla sua sofferenza fisica. Ecco, a Leopardi il dolore ha dato una capacità di comprensione del mondo. Però questo non significa che il dolore fosse una forma privilegiata: avrebbe preferito non soffrire. Allora, chi si serve del dolore per conoscere, riesce a farlo solo se protesta duramente contro il dolore stesso. Il dolore è un'esperienza necessaria, inevitabile degli esseri umani, che però gli uomini riescono a vivere, a capire fino in fondo solo se in qualche modo protestano anche contro di essa, cercando di uscirne. Il confronto col dolore è anche - e questo nella poesia si sente particolarmente -, è anche una lotta contro il dolore, un modo di controllarlo, di servirsene per approfondire l'esperienza, per capire l'io e il mondo, ma anche per uscirne.
L'esperienza dolorosa della vita per Leopardi giunge al suo apice nel 1819 in una lettera al Giordani parla di un crescente travaglio fisico e spirituale, di un'orrida malinconia, della fatica degli studi, dell'odio contro la famiglia e Recanati.
Per Leopardi tra gli esseri il più infelice è l'uomo, perché la sua infelicità è soprattutto coscienza dell'infelicità stessa e non c'è illusione che riesca a far tacere questa verità
Il pessimismo leopardiano può essere definito come la convinzione ferma, costante e assoluta che ogni essere ubbidisce ad una legge di dolore, alla quale è impossibile contrastare.
La concezione manzoniana della vita è simile, per molti aspetti, a quella del Foscolo. Anch'egli è convinto dell'infelicità dell'uomo e vede ovunque e in ogni tempo il dolore, a cui sono soggetti gli individui, le famiglie, interi popoli. Nel periodo della giovinezza, quando egli rimase sostanzialmente lontano dal pensiero religioso ed aderì alla filosofia illuministica, la vita umana gli apparve come dominata, oltre che dal dolore, dal mistero, dal nulla; tuttavia questo pessimismo, che occupa saldamente lo spirito del Manzoni prima della conversione, non è tale da mortificare la sua energia morale e la fede in ideali che egli si trovò ad avere spontaneamente ed irrobustì ed approfondì con le sue riflessioni e con la sua adesione all'aspetto più serio e profondo della sensibilità e del pensiero della sua epoca. La fede in Dio indusse il Manzoni a considerare il dolore non come cieco ed inutile, ma come una caratteristica naturale e significativa della condizione umana. Il poeta giunge a formulare il concetto di provvida sventura, ossia vede nella sofferenza un segno della presenza di Dio, che mette alla prova le sue creature ma non le abbandona. Il dolore è anche un segno dell'amore di Dio, poichè redime e santifica la vita, o rende degni di una vita migliore coloro che lo sopportano con rassegnazione e con fede. In effetti, nella storia del Manzoni non c'è soluzione di continuità fra il periodo che precede e quello che segue il ritorno alla fede cattolica, poichè la conversione rappresenta da una parte l'inizio di un esame più profondo della vita (che gli appare sotto una luce più severa e dignitosa, come una missione) e dall'altra determina una conferma dei suoi ideali di giustizia, di libertà e di progresso e delle sue più nobili convinzioni.
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