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I. Svevo - L'identità risiede nel fluttuare della coscienza in un continuo monologo interiore




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I. Svevo - L'identità risiede nel fluttuare della coscienza in un continuo monologo interiore



Essere padroni di se stessi. orientare il proprio comportamento alla luce di ideali e valori, proporsi come modelli alla società o comunque assecondare stili di vita convalidati: ecco cosa l'uomo del Novecento non è più in grado di fare, travolto dalla crisi di quegli stessi valori che dovrebbe incarnare e oggettivare nel suo agire. Il romanzo psicologico o della crisi presenta in effetti personaggi alienati, scissi, ripiegati su se stessi, riflessivi ed autocritici, sempre pronti a sostituire l'azione con la meditazione e con gli interrogativi esistenziali.

Svevo, in questo processo di dissoluzione delle personalità monolitiche, introduce un procedimento inventivo e narrativo sorprendente che affianca alla strategia del ricordo e dell'introspezione il pretesto ( alla fine abbandonato ) della cura psicanalitica, come tentativo oggettivo di dare un senso clinico, una spiegazione psicanalitica alla nevrosi, intesa come lacuna della personalità. Il fatto che la narrazione si regga tutta sul ricordo e sulla rimeditazione autoironica del passato - e non invece sulla sua interpretazione simbolica - permette di ridare credibilità anche alle più irrazionali manifestazioni dell' io, consentendo di inquadrarle nella stessa incomprensibile stranezza della relazioni umane. Di qui la sostanziale accettazione dell'uomo nuovo, che fa della complessità del vivere, una palestra per il lucido esame dei suoi processi psicologici e delle sue scelte apparentemente contraddittorie.





R. Magritte - La condizione umana





R. Magritte, Gli amanti, 1923



La coscienza di Zeno ( 1925 )


Il più noto tra i libri di Italo Svevo e considerato il primo romanzo psicologico del Novecento, già dal suo inizio sconvolge le regole narrative tradizionali: esso si presenta, infatti, come l'attuazione di un consiglio dato dal suo medico psicoanalista al protagonista Zeno Cosini: quello di scrivere la propria autobiografia come di preparazione per una più profonda terapia analitica.

Introdotto da una nota polemica dello stesso dottore, si apre al lettore il diario del passato di Zeno.. Già dalle prime pagine si capisce, però, che non si tratta di un'autobiografia cronologicamente ordinata quanto di un "monologo interiore" in cui il protagonista accenna alla tappe significative della sua esistenza. Alla sua infanzia,; alla dolorosa morte del padre che, proprio in punto di morte, riconferma ulteriormente il rapporto conflittuale e problematico con il figlio, al suo matrimonio con una delle due sorelle Malfenti (quella che amava meno), alla sua relazione con una povera ragazza, all'amicizia con Guido Spaier (che si suiciderà per debiti) e al suo ruolo nella società commerciale dell'amico. Ne appare un insieme fatto di mediocrità, occasioni mancate, propositi mai attuati che fungono da alibi dell'incapacità di tener loro fede (esempio tipico di tali ondeggiamenti della coscienza il proponimento mai attuato di smettere di fumare). Il tutto situato in un tempo indefinito:: questo infatti, nella memoria di Zeno, si dilata e si restringe a seconda delle sue esigenze interiori (il protagonista, che termina le sue memorie nel 1916, racconta eventi accaduti tra il 1890 e il 1895, ma non dà notizia del resto degli anni trascorsi) e la sua voce in prima persona non garantisce l'attendibilità delle cose narrate. E non perché Zeno menta, ma perché il suo io "malato" non è più il possessore della verità e la coscienza manipola i contenuti che le arrivano dall'inconscio, come insegna Freud, ed anche il filosofo Bergson, scopritore del tempo psicologico, soggettivo, oltre a quello logico e oggettivo.

Nelle pagine finali, intitolate proprio Psicoanalisi, Zeno dichiara di voler abbandonare la terapia psicanalitica, frutto di ulteriore tormento e abulia per l'animo, che rimane come imprigionato nell'eccessiva presa di coscienza e non riesce a reagire. Nella finzione del romanzo è lo psicanalista a pubblicare il diario di Zeno, per vendicarsi dell' abbandono del paziente. E allora nel finale il romanzo prende un tono apocalittico: vi si immagina l'uomo che, in possesso di un "esplosivo incomparabile", dopo averlo collocato al centro della terra, assisterà a una violenta esplosione in cui essa, "ritornata alla forma di nebulosa, errerà nei cieli priva di parassiti e malattie".


tratto da https://www.sapere.it/tca/minisite/scuola/Grandi_Classici/html/id8013.html



Preambolo


Vedere la mia infanzia? Piú di dieci lustri me ne separano e i miei occhi presbiti forse potrebbero arrivarci se la luce che ancora ne riverbera non fosse tagliata da ostacoli d'ogni genere, vere alte montagne: i miei anni e qualche mia ora.

Il dottore mi raccomandò di non ostinarmi a guardare tanto lontano. Anche le cose recenti sono preziose per essi e sopra tutto le immaginazioni e i sogni della notte prima. Ma un po' d'ordine pur dovrebb'esserci e per poter cominciare ab ovo, appena abbandonato il dottore che di questi giorni e per lungo tempo lascia Trieste, solo per facilitargli il compito, comperai e lessi un trattato di psico-analisi. Non è difficile d'intenderlo, ma molto noioso.

Dopo pranzato, sdraiato comodamente su una poltrona Club, ho la matita e un pezzo di carta in mano. La mia fronte è spianata perché dalla mia mente eliminai ogni sforzo. Il mio pensiero mi appare isolato da me. Io lo vedo. S'alza, s'abbassa ma è la sua sola attività. Per ricordargli ch'esso è il pensiero e che sarebbe suo compito di manifestarsi, afferro la matita. Ecco che la mia fronte si corruga perché ogni parola è composta di tante lettere e il presente imperioso risorge ed offusca il passato.

Ieri avevo tentato il massimo abbandono. L'esperimento finì nel sonno piú profondo e non ne ebbi altro risultato che un grande ristoro e la curiosa sensazione di aver visto durante quel sonno qualche cosa d'importante. Ma era dimenticata, perduta per sempre.

Mercé la matita che ho in mano, resto desto, oggi. Vedo, intravvedo delle immagini bizzarre che non possono avere nessuna relazione col mio passato: una locomotiva che sbuffa su una salita trascinando delle innumerevoli vetture; chissà donde venga e dove vada e perché sia ora capitata qui!

Nel dormiveglia ricordo che il mio testo asserisce che con questo sistema si può arrivar a ricordare la prima infanzia, quella in fasce. Subito vedo un bambino in fasce, ma perché dovrei essere io quello? Non mi somiglia affatto e credo sia invece quello nato poche settimane or sono a mia cognata e che ci fu fatto vedere quale un miracolo perché ha le mani tanto piccole e gli occhi tanto grandi. Povero bambino! Altro che ricordare la mia infanzia! Io non trovo neppure la via di avvisare te, che vivi ora la tua, dell'importanza di ricordarla a vantaggio della tua intelligenza e della tua salute. Quando arriverai a sapere che sarebbe bene tu sapessi mandare a mente la tua vita, anche quella tanta parte di essa che ti ripugnerà? E intanto, inconscio, vai investigando il tuo piccolo organismo alla ricerca del piacere e le tue scoperte deliziose ti avvieranno al dolore e alla malattia cui sarai spinto anche da coloro che non lo vorrebbero. Come fare? È impossibile tutelare la tua culla. Nel tuo seno - fantolino! - si va facendo una combinazione misteriosa. Ogni minuto che passa vi getta un reagente. Troppe probabilità di malattia vi sono per te, perché non tutti i tuoi minuti possono essere puri. Eppoi - fantolino! - sei consanguineo di persone ch'io conosco. I minuti che passano ora possono anche essere puri, ma, certo, tali non furono tutti i secoli che ti prepararono.

Eccomi ben lontano dalle immagini che precorrono il sonno. Ritenterò domani.





Si tratta di un autoironico tentativo di riappropriarsi del proprio passato. C'è la consapevolezza che la psicanalisi, come forma di cura delle nevrosi, non può essere utile all'uomo, ormai coinvolto dalle mille contraddizioni del vivere all'inteno di in una società complessa e caotica. L'unica salvezza, per ridare unità alla propria coscienza è riapproprirasi in modo intelligente ed indulgente del proprio passato attraverso la scrittura, che consente di dare veste artistica alla banalità ed alla casualità delle varie esistenze.

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