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I siciliani - rinaldo d'aquino ed altri




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I SICILIANI

RINALDO D'AQUINO ED ALTRI




Ciullo è l'eco ancora plebea di quella vita nuova svegliatasi in Europa al tempo delle Crociate, e che aveva avuto la sua espressione anche in Italia, e massime nella normanna Sicilia. Di quella vita un'espressione ancor semplice e immediata, ma più nobile, più diretta, e meno locale, è nella romanza attribuita al re di Gerusalemme, e nel «Lamento dell'amante del Crociato», di RINALDO D'AQUINO. Sentimenti gentili e affettuosi sono qui espressi in lingua schietta e di un pretto stampo italiano, con semplicità e verità di stile, con melodia soave. Cantato e accompagnato da strumenti musicali, questo sonetto, come lo chiama l'innamorata, doveva fare la più grande impressione. Comincia così:


Giammai non mi conforto

Né mi voglio allegrare.

Le navi sono al porto

E vogliono collare (21).

Vassene la più gente

In terra d'oltremare.

Ed io, oimé lassa dolente!

Come degg'io fare?

Vassene in altra contrata,

E nol mi manda a dire:

Ed io rimango ingannata.

Tanti son li sospire,

Che mi fanno gran guerra

La notte con la dia

Né in cielo né in terra

Non mi par ch'io sia.


Il seguito della canzone è una tenera e naturale mescolanza di preghiere e di lamenti, ora raccomandando a Dio l'amato, ora dolendosi con la croce:


La croce mi fa dolente,

E non mi val Deo pregare.

Oimè, croce pellegrina

Perché m'hai così distrutta?

Oimè lassa tapina!

Ch'io ardo e incendo tutta.


Finisce così:

Però ti prego, Dolcetto,

Che sai la pena mia.

Che me ne facci un sonetto

E mandilo in Soria:

Ch'io non posso abentare (22)

La notte né la dia:

In terra d'oltremare

Ita è la vita mia.


La lezione è scorretta; pure questa è già lingua italiana, e molto sviluppata ne' suoi elementi musicali e ne' suoi lineamenti essenziali.

L'amante che prega e chiede amore, l'innamorata che lamenta la lontananza dell'amato o che teme di essere abbandonata, le punture e le gioie dell'amore, sono i temi semplici de' canti popolari, la prima effusione del cuore messo in agitazione dall'amore. E queste poesie, come le più semplici e spontanee, sono anche le più affettuose e le più sincere. Sono le prime impressioni, sentimenti giovani e nuovi, poetici per se stessi, non ancora analizzati e raffinati.

Di tal natura è il «Lamento dell'innamorato per la partenza in Soria della sua amata», di RUGGERONE DA PALERMO, e il canto di ODO DELLE COLONNE da Messina, dove l'innamorata con dolci lamenti effonde la sua pena e la sua gelosia. Eccone il principio:


Oi lassa innamorata,

Contar vo' la mia vita,

E dire ogni fiata

Come l'amor m'invita,

Ch'io son senza peccato

D'assai pene guernita

Per uno che amo e voglio,

E non aggio in mia baglia (23)

Siccome avere lo soglio;

Però pato travaglia.

Ed or mi mena orgoglio,

Lo cor mi fende e taglia.

Oi lassa tapinella

Come l'amor m'ha prisa!

Come lo cor m'infella

Quello che m'ha conquisa:

La sua persona bella

Tolto m'ha gioco e risa,

Ed ammi messa in pene

Ed in tormento forte:

Mai non credo aver bene,

Se non m'accorre morte,

E spero, là che vene,

Traggami d'esta sorte.

Lassa! che me dicìa

Quando m'avia in celato:

«Di te, o vita mia,

«Mi tegno più pagato,

«Che s'i' avessi in balia

«Lo mondo a signorato».


Sono sentimenti elementari e irriflessi, che sbucciano fuori nella loro natìa integrità senza immagini e senza concetti. Non ci è poeta di quel tempo, anche tra' meno naturali, dove non trovi qualche esempio di questa forma primitiva, elementare, a suon di natura, come dice un poeta popolare, e com'è una prima e sùbita impressione colta nella sua sincerità. Ed è allora che la lingua esce così viva e propria e musicale, che serba una immortale freschezza, e la diresti pur mo' nata, e fa contrasto con altre parti ispide dello stesso canto. Rozza assai è una canzone di ENZO re, ma chi ha pazienza di leggerla, vi trova questa gemma:


Giorno non ho di posa,

Come nel mare l'onda:

Core, ché non ti smembri?

Esci di pene e dal corpo ti parte:

Ch'assai val meglio un'ora

Morir, che ognor penare.


Rozzissima è una canzone di FOLCO DI CALABRIA, poeta assai antico; ma nella fine trovi lo stesso sentimento di una forma certo lontana da questa perfezione, pur semplice e sincera:


Perzò meglio varrìa

Morir in tutto in tutto,

Ch'usar la vita mia

In pena ed in corrutto

Com'uomo languente.


Nella canzone a stampa di FOLCACCHIERO DA SIENA, fredda e stentata, e pure qua e colà una certa grazia nella nuda ingenuità di sentimenti, che vengon fuori nella loro crudità elementare. Udite questi versi:


E' par ch'eo viv in noja della gente:

Ogn'uomo m'è selvaggio:

Non pajono li fiori

Per me, com' già soleano,

E gli augei per amori

Dolci versi feceano - agli albori.


Questi fenomeni amorosi sono a lui cosa nuova, che lo empiono di maraviglia, e lo commuovono e lo interessano, senza ch'ei senta bisogno di svilupparli o di abbellirli. Narra, non rappresenta e non descrive. Non è ancora la storia, è la cronaca del suo cuore.

Però niente è in questi che per ingenuità e spontaneità di forma e di sentimento uguagli il canto di Rinaldo di Aquino e di Odo delle Colonne. Sono due esempi notevoli di schietta e naturale poesia popolare.

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