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Henry Bergson (1859-1941)
Opere principali
Saggio sui dati immediati della coscienza (1889), Materia e memoria (1896), n riso (1900), L'evoluzione creatrice (1907), Durata e simultaneità (1902), Le due fonti della morale e della religione (1932).
Considerazioni introduttive
Bergson è un filosofo di orientamento spiritualistico e si inserisce in quella corrente del pensiero francese che era sorta all'inizio dell'Ottocento con Francois-Pierre Maine de Biran (1766-1824) e aveva avuto come esponenti significativi, tra gli altri, Félix Ravaisson (1813-1900) e Jules Lachelier (1832-1918). Già ai suoi esordi il movimento spiritualistico aveva ravvisato nella coscienza umana qualcosa che non si può ridurre agli elementi sensibili e al substrato organico. La volontà e la spontaneità, in particolare, non potevano essere ricondotti, secondo gli esponenti di questo indirizzo, alla sensibilità.
Secondo Maine de Biran il fondamento della coscienza doveva essere posto, nello 'sforzo' (effort): esso era il dato primitivo e indubitabile della coscienza e, come tale, doveva prendere il posto del cogito cartesiano . Questo principio fondamentale venne sviluppato da Ravaisson. La vita, dinamica e protesa al cambiamento, si contrapponeva, a suo parere, alla materia, inerte e statica. Lo spazio corrispondeva alla materia, mentre il tempo era la condizione che rende possibile la vita. Ma la stessa materia appariva, secondo Ravaisson, come un prodotto degradato della spontaneità vitale. E' evidente l'affinità di queste tesi filosofiche con l'idealismo di Schelling; ma risulta chiara anche l'originalità di questa concezione che identifica lo spirito, non con il pensiero, ma con l'energia spontanea e i processi vitali. La stessa impostazione era presente anche in Lachelier, che vedeva a fondamento di ogni essere, anche materiale, una forza di natura essenzialmente spirituale e da studiare nell'ambito della metafisica. D'altra parte, prendendo in esame le varie leggi scientifiche nei diversi ambiti della conoscenza naturale, Emile Boutroux (1845-1921) aveva proposto una visione complessiva della realtà in cui i tratti più caratteristici erano l'irriducibilità dei fenomeni complessi rispetto a quelli semplice e l'emergere della novità all'interno dei processi naturali. Bergson fa propria l'idea fondamentale dello spiritualismo francese secondo cui l'esame introspettivo della coscienza permette di cogliere una forza vitale caratterizzata da assoluta spontaneità e non riducibile ai processi materiali. Ma le nuove concezioni evoluzionistiche fanno da sfondo allo spiritualismo. Tutta la realtà appare attraversata da un impulso vitale che determina l'apparire del nuovo e che conferisce alla natura stessa una ricchezza destinata a sfuggire alla conoscenza scientifica. Ma la realtà naturale, quella che è fatta oggetto di studio da parte delle scienze, è pur sempre un prodotto dell'attività spirituale, un'attività che nella materia ha perduto il suo slancio originario e appare cristallizzata in forme inerti e ripetitive.
Ci sono, dunque, due diverse maniere di comprendere la realtà. Una è basata sull'intelletto e scompone le totalità nelle parti costitutive, lasciandosi sfuggire l'irriducibile elemento di novità proprio di ogni prodotto della natura. L'altra è basata sull'intuizione ed è propria della filosofia. L'intuizione coglie la forza produttiva operante all'interno di ogni essere, in primo luogo della coscienza umana. Deriva da tutto ciò il primato attribuito nell'ordine della conoscenza alla filosofia, basata sull'intuizione, nei confronti della scienza, basata sull'intelletto. La conoscenza filosofica in questo modo riesce ad afferrare tutto ciò che alla conoscenza scientifica necessariamente sfugge, in primo luogo la libertà dell'uomo, e trova nell'analisi introspettiva della coscienza un terreno ad essa proprio su cui può fondare la propria interpretazione generale della realtà.
Tempo omogeneo e durata concreta
Una rigorosa analisi introspettiva dei dati che si manifestano alla coscienza mostra che il tempo così come viene assunto nella fisica, costituito da una successione di istanti perfettamente omogenei l'uno all'altro, è in realtà soltanto il prodotto di un'astrazione intellettuale. La durata interna alla coscienza (durée réelle, temps concret) che viene percepita all'interno della coscienza, sostiene il lavoro del 1889, Saggio sui dati immediati della coscienza, è costituita da momenti 'che non sono esterni gli uni agli altri', così come al contrario sono i numeri o i punti dello spazio, ma che si fondono l'uno con l'altro in un processo continuo di crescita qualitativa. Ciascun momento, infatti, unendosi alla durata fino ad ora già trascorsa, dà origine a qualcosa che prima non esisteva ed è qualitativamente eterogeneo rispetto al passato. Nella durata non ci possono essere due momenti uguali, se non altro perché ciascuno di essi si fonde alla durata già trascorsa, che, a causa del trascorrere stesso del tempo, è differente per ciascun momento. La durata interna alla coscienza è, dunque, una molteplicità qualitativa, costituita da momenti che sono l'uno all'altro eterogenei, ma non sono reciprocamente separati.
Esiste il tempo al di fuori della coscienza? Al di fuori di noi, risponde Bergson, esiste soltanto il presente, ovvero la relazione di simultaneità tra gli eventi. Solo questa simultaneità, infatti, noi percepiamo nella realtà esterna alla coscienza. Nel mondo degli oggetti, infatti, uno stato di cose non conserva alcuna traccia degli stati di cose precedenti. Il mutamento sussiste solo in relazione alla memoria, che conserva il ricordo di stati di cose differenti.
Si dovrebbe, dunque, trarre la seguente conclusione: 'Al di fuori di noi esteriorità reciproca senza successione; all'interno successione senza reciproca esteriorità'. Ma subentra a questo punto un 'compromesso' che falsifica la realtà. Quelle cose che in se stesse sono soltanto simultanee e che si succedono l'una all'altra solo in relazione alla nostra coscienza noi le consideriamo come se si succedessero realmente in se stesse, indipendentemente dalla nostra memoria. Sorge in tal modo un tempo costituito da istanti reciprocamente distinti, corrispondenti ai differenti stati del mondo oggettivo. La fisica procede per intero sulla base di questo equivoco e spesso anche la filosofia, basti citare come esempio la dottrina del tempo sostenuta da Kant, propone un'immagine del tempo che non mantiene nulla della durata reale e che corrisponde, in realtà, allo spazio degli oggetti fisici reciprocamente distinti e simultanei. Il tempo spazializzato, in realtà, può essere soltanto il tempo che è già trascorso, trattenuto nella memoria e ormai privo di mutamento. Ma allorché consideriamo il tempo nel suo stesso scorrere, cioè nella sua concretezza, apparirà di nuovo con chiarezza l'irriducibilità qualitativa del momento presente ai momenti precedenti.
L'esame dei fatti psicologici profondi fa dunque emergere la considerazione del tempo come molteplicità qualitativa e la memoria come fattore distintivo proprio della coscienza, in antitesi alla realtà fisica, caratterizzata dallo sola simultaneità. Ma da queste premesse Bergson intende ricavare una conclusione che avvalora la prospettiva filosofica dello spiritualismo. L'uomo è libero. Non è possibile, infatti, applicare alla coscienza il determinismo causale valido nel mondo fisico. Le leggi causali sostengono che, tutte le volte che si verifica un certo fenomeno, un altro fenomeno necessariamente segue come suo effetto. Ma non possono valere leggi causali nell'ambito della coscienza, giacché in essa non c'è momento che sia uguale a un altro momento precedente e rispetto a cui sia possibile applicare una legge causale. La libertà è un fatto di cui la coscienza umana è immediatamente consapevole. L'esistenza di questo fatto può apparire oscura solo quando si pretende di rappresentare la durata concreta attraverso la forma spaziale.
Ma nello sviluppo dell'argomentazione di Bergson a questo punto sopraggiunge una precisazione importante. La nostra esistenza di esseri umani si svolge per lo più nella dimensione dell'esteriorità spaziale. Noi viviamo per lo più per il mondo esteriore, noi di regola parliamo e non pensiamo. Del nostro io percepiamo in tal modo soltanto la pallida ombra che si proietta sugli oggetti esteriori. Così, se è vero che possiamo essere liberi, solo raramente siamo autenticamente tali. Piuttosto che agire attivamente assai spesso 'siamo agiti'. Appare in tal modo la tematica dell''esistenza inautentica'. Mentre l'analisi introspettiva del tempo aveva accostato l'indagine di Bergson a quanto già da alcuni anni emergeva nelle ricerche condotte da William James (vedi cap. Il pragmatismo americano), il tema dell'inautenticità anticipa le riflessioni che nel corso del Novecento emergeranno, in particolare con Heidegger, nelle filosofie dell'esistenza (vedi cap. L'esistenzialismo).
Materia e vita
Già il Saggio sui dati immediati della coscienza aveva mostrato con chiarezza che nella coscienza si trova qualcosa di cui la materia distribuita nello spazio è totalmente priva: la memoria. Le successive indagini di Bergson approfondiscono questa tematica e, oltrepassando il campo più specifico dell'indagine psicologica introspettiva, delineano un'interpretazione metafisica complessiva della realtà.
Il problema fondamentale che si pone nell'opera del 1896, Materia e memoria è quello del rapporto tra pensiero e cervello. Dobbiamo dire che, conoscendo tutti i processi interni al cervello, conosceremmo con ciò stesso la totalità del pensiero? Dobbiamo dire, in altre parole, che il pensiero è un epifenomeno del cervello? La risposta a questo interrogativo era stata anticipata da Bergson già nel saggio del 1889. Se per 'materia' noi intendiamo né più né meno ciò che si presenta come tale, non c'è dubbio che essa è soltanto quella che è esattamente al tempo presente, senza conservare memoria del passato. Posto, dunque, che la materia realmente esiste così come appare e che il cervello è materiale, quello che non possiamo trovare nel cervello è precisamente la memoria. Il pensiero, dunque, non è un semplice epifenomeno del cervello in quanto esso comprende la memoria e tutto ciò che si riconduce ad essa. Al corpo, in particolare al cervello, deve essere attribuita la percezione, che sorge dal rapporto del pensiero con la realtà materiale . Ma la memoria non può essere funzione del corpo. Nel sostenere questa tesi Bergson si avvaleva anche dei recenti studi sulle lesioni cerebrali (in particolare quelle responsabili dell'afasia), da cui risultava che alle funzioni della memoria non corrisponde alcuna localizzazione precisa sulla corteccia cerebrale. C'è, dunque, un ricordo puro che trattiene il passato nella sua interezza, senza omettere alcun dettaglio. Il cervello, tuttavia, 'seleziona' solo alcuni dei ricordi, quelli che sono funzionali alle esigenze del corpo, cioè all'azione, e determina l'attualizzarsi delle ricordi-immagini con cui rammentiamo gli aspetti del passato che ci appaiono più rilevanti. Il cervello funge, dunque, da organo selettivo, che non produce la coscienza, ma piuttosto la inibisce, selezionandone i contenuti e volgendola alle esigenze dell'azione. Anche la percezione sensibile è finalizzata all'azione; ma essa stessa è guidata e indirizzata dalla memoria verso gli oggetti che possono rispondere ai bisogni del corpo e alle esigenze dell'azione.
Con la memoria, dunque, si manifesta una realtà spirituale che trascende la materia e che ha la sua esistenza nella dimensione della durata. Ma la riflessione filosofica di Bergson nei suoi ulteriori sviluppi rifiuta ogni dualismo che contrapponga spirito e materia come due realtà radicalmente eterogenee. La chiave per comprendere il principio che produce l'intera realtà è ancora una volta offerta da un'analisi introspettiva della coscienza. All'interno di essa avvertiamo come principio costitutivo della sua durata uno slancio vitale (élan vital) che crea il nuovo in forme imprevedibili e conserva il ricordo del passato.
Assumendo come ipotesi che questo slancio vitale esista in tutta la realtà possiamo per mezzo di esso spiegare i processi evolutivi che si verificano nella natura e il sorgere al suo interno di forme che non si potrebbero in alcun modo spiegare con i principi del meccanicismo. Questa sorta di impeto crea i suoi prodotti vincendo la resistenza che ad esso oppone la materia inerte e percorre strade sempre nuove e imprevedibili.
Ma quella stessa materia che ostacola l'impeto della vita appare come un prodotto dello slancio vitale. Essa appare allorché l'impulso si arresta e inverte il suo corso, abbandonando la dimensione della durata per solidificarsi in forme spaziali. La materia spaziale e inerte appare, in questa prospettiva spiritualistica ed evoluzionistica, come un prodotto degradato dell'energia spirituale che la pervade e si oppone alla sua resistenza. In tal modo Bergson non nega l'esistenza alla realtà materiale, ma la considera totalmente inerte e incapace di originare dal proprio interno i processi evolutivi.
Istinto, intelligenza, intuizione
Lo slancio vitale nel corso del suo sviluppo si indirizza lungo cammini diversi. Produce le piante e gli animali. All'interno del mondo animale, poi, l'impulso evolutivo si orienta lungo due linee differenti: quella dell'istinto, che giunge al suo culmine nell'insetto, e quella dell'intelligenza, che culmina nell'uomo.
Istinto e intelligenza sono entrambe facoltà che operano per mezzo di strumenti. Ma l'istinto si avvale degli organi corporei; l'intelligenza, al contrario, si avvale di strumenti artificiali. L'uomo, osserva Bergson è originariamente homo faber. Grazie all'intelligenza e al pensiero cosciente che essa comporta l'uomo si adatta all'ambiente delle cose materiali e riesce ad operare con profitto su esso.
L'intelligenza, tuttavia, proprio a motivo della sua origine essenzialmente pratica si trova a mal partito quando deve abbandonare il mondo degli oggetti materiali e volgersi alla vita. La conoscenza delle cose materiali avviene secondo una procedura analitica, che compone il tutto assommando le parti e conosce la realtà mediante una successione di immagini distinte, quasi fossero istantanee fotografiche. La vita, al contrario, essendo durata e slancio creativo, non può essere compresa secondo le modalità proprie del pensiero analitico. Già i paradossi del movimento scoperti nell'antichità da Zenone di Elea mettono in evidenza le difficoltà in cui si imbatte l'intelletto allorché si tratta di capire il movimento e la sua continuità.
I limiti della conoscenza intellettuale sono superati dall'intuizione. Questa unisce in sé i caratteri propri dell'istinto e quelli dell'intelletto. Come quest'ultimo, infatti, essa è consapevole; ma come l'istinto essa è 'naturale', non artificiale e stabilisce un rapporto immediato con gli oggetti a cui si volge. Mentrel 'intelligenza conosce per mezzo di simboli l'intuizione conosce per simpatia e si immedesima nell'oggetto conosciuto, cogliendone l'irriducibile singolarità con cui la forza creatrice in esso si esprime. L'intuizione, in tal modo, si spinge fino al nucleo più profondo della realtà e attinge le sue sorgenti vitali. Per questo essa, al di là dell'intelletto, è l'organo privilegiato della conoscenza filosofica e può condurre la metafisica all'immedesimazione mistica con la forza divina che pervade la realtà.
Morale e religione
Per quanto riguarda il mondo umano le concezioni di Bergson, espresse soprattutto nell'opera del 1932, Le due fonti della morale e della religione, riprendono i temi già sviluppati a proposito della realtà e della conoscenza in generale. C'è, innanzitutto, una morale, basata sull'obbligazione, che è necessaria al mantenimento dei vincoli sociali. Il rispetto di questa morale che si colloca a un livello infra-razionale, affine a quello dell'istinto, richiede all'uomo essenzialmente la contrazione di abitudini Tale morale, basata su norme esterne alla coscienza, è la morale chiusa. Analogamente viene detta società chiusa la società che favorisce questo tipo di morale.
Ma esiste anche un altro tipo di morale, che è di natura soprarazionale, e che deriva da un atto di intuizione da parte di qualche personalità capace di collocarsi al di sopra degli obblighi dettati dalla società. Essa si proietta verso l'amore dell'umanità e viene detta morale assoluta. E' propria dei santi, dei grandi saggi e di coloro che ne seguono l'esempio. Il tipo di società che favorisce il manifestarsi di tale morale è detta società aperta. In essa, tuttavia, le due forme della morale coesistono, in quanto anche la morale chiusa svolge una funzione positiva per il mantenimento dei vincoli sociali.
Non dissimili sono le tesi sostenute da Bergson a proposito della religione. Esiste una religione statica, di carattere infra-intellettuale, che si oppone direttamente all'intelligenza e al carattere dissolvente che il suo esercizio può avere nei confronti della società. Questa forma di religione, che è una reazione difensiva nei confronti dell'intelligenza e che si basa sul mito, è nata nelle società primitive, ma si mantiene anche nelle società civilizzate. Esiste però anche una religione dinamica, che è sopraintellettuale e che si identifica con il misticismo. Il genio mistico riesce a superare i limiti dell'esistenza individuale e a immedesimarsi, almeno in parte, con lo spirito divino che governa la realtà. Il misticismo, in effetti, così come si è manifestato nelle varie religioni, è l'unica prova possibile dell'esistenza di Dio.
GLOSSARIO
DURATA
La 'durata' o, più precisamente, la 'durata reale' (durée réelle) è il 'tempo concreto', così come si manifesta all'indagine introspettiva della coscienza. Si caratterizza per il fatto che ciascun momento si aggiunge a quelli precedenti fondendosi con essi. Poiché il momento presente si fonde con il proprio passato e poiché tale passato è, per lo scorrere stesso del tempo, diverso da momento a momento, ne segue che non ci possono essere momenti uguali. I momenti sono tra loro eterogenei, ma non sono separati. Per questo essi costituiscono una molteplicità qualitativa. Al contrario il tempo utilizzato dalla fisica e in genere dalla conoscenza degli oggetti materiali è costituito da istanti separati e omogenei. Questo tempo ha in realtà i caratteri propri dello spazio (costituito da punti omogenei ed esterni l'uno all'altro) ed è il prodotto dell'astrazione intellettuale.
INTELLIGENZA
E' originariamente uno dei modi secondo cui l'essere vivente agisce sul mondo. La sua natura è essenzialmente pratica. Essa si avvale di strumenti artificiali e di simboli; è, inoltre, capace di riflettere consapevolmente su se stessa. Considera la realtà come un aggregato di elementi separati. Per questo motivo non è in grado di comprendere tutto ciò che comporta la continuità
INTUIZIONE
E' una forma di conoscenza grazie a cui il soggetto conoscente si immedesima nell'oggetto conosciuto cogliendone l'individualità irripetibile. Essa, come l'intelligenza, è consapevole, ma, come l'istinto si volge direttamente al proprio oggetto senza la mediazione di simboli. E' la forma più alta della conoscenza, propria della filosofia e del misticismo.
ISTINTO
E', insieme con l'intelligenza, uno dei modi secondo cui il vivente agisce sul mondo. Esso si avvale di organi corporei e si rapporta alla realtà senza la mediazione di simboli, senza essere in grado di riflettere su se stesso.
MEMORIA
E' la capacità di trattenere il passato. La memoria pura, il cui ambito coincide con quello della durata trattiene tutto il passato, senza omettere alcun particolare. Il ricordo che si forma come immagine particolare è selezionato dal cervello sulla base delle esigenze connesse all'azione. La memoria, secondo Bergson, non può essere funzione del cervello, perché nella materia non esiste il passato. Essa è, per questo motivo, il caposaldo teorico dello spiritualismo bergsoniano.
SLANCIO VITALE
E' l'impulso creativo che si rivela all'interno della coscienza e che pervade tutta la realtà. Esso determina il sorgere di forme sempre nuove non riconducibili a quelle precedenti. Nella metafisica di Bergson funge da principio divino. Anche la materia inerte è prodotta dallo slancio vitale allorché si è arrestato e ha invertito il suo corso solidificandosi in forme spaziali.
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