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Gabriele D'Annunzio: Essenza poetica ed Essenza politica, possono coincidere ?




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Gabriele D'Annunzio: Essenza poetica ed Essenza politica, possono coincidere ?

Il D'Annunzio fu ritenuto il vate del fascismo per le sue idee politiche che convergevano in un nazionalismo ed individualismo superomostico talvolta esasperati. Era ritenuto la forma poetica dell'essenza ideologica fascista, e proprio per questo Mussolini, infastidito per l'ascesa popolare della figura del D'Annunzio, lo relegò nella villa di Gardone, trasformata dal poeta nel "Vittoriale degli Italiani". Quindi è possibile che l'essenza poetica possa coincidere con quella politica o sia la stessa cosa ? La risposta potrebbe risultare complessa e ardua, tuttavia, possiamo dire che non esistono espressioni poetiche che diano origine ad ideologie politiche, poiché l'una e l'altra sono due essenze differenti, dunque, spetta agli uomini stessi trovare dei punti in comune per fonderli, anche se molte volte vengono fraintesi. Il procedimento inverso, invece, sembra più possibile, in quanto un ideologia affermatasi nel suo manifestarsi reale "contagia" in vari modi la cultura, in modo positivo, in modo negativo e in modo strumentale come nel caso del realismo socialista dell'Unione Sovietica di Stalin. Tuttavia il caso di D'Annunzio sembrerebbe singolare in quanto il poeta con la propria poetica cerca di affermare il suo pensiero politico e sociale non solo intellettualmente e nel campo della cultura, ma anche nel sociale e nel reale. Egli stesso diventa un superuomo ai suoi occhi, e lo diventerà in epoca fascista anche a quelli degli altri,  per delle imprese che lo caratterizzano nel contesto storico: il volo su Vienna, l'impresa fiumana. Fu forse il primo poeta-filosofo che cercò di applicare il proprio pensiero nel reale. D'Annunzio non fu fascista e neanche nazionalista, era un individuo che cercava di sollevarsi sulla moltitudine per far valorizzare i proprio pensieri ed interpretazioni; il poeta accettò il regime fascista solamente perché vide nel fascismo un'opportunità migliore per affermare il proprio pensiero. In questo caso la poesia non si serve del Totalitarismo per affermarsi, ma è il Totalitarismo che si serve della poesia per affermarsi. Purtroppo nel suo divenire la stessa impresa fiumana divenne un simbolo di un Europa che stava cambiando, costituì, insieme alla Marcia su Roma, dei gravi precedenti di sminuimento del sistema democratico sulla cui falsa riga si arrivò in Italia e in Germania all'instaurazione di regimi totalitari, illiberali, reazionari ed imperialisti.

  Come D'Annunzio fraintese Nietzsche

Gabriele D'Annunzio, nella sua fase superomistica, è profondamente influenzato dal pensiero di Nietzsche, tuttavia, molto spesso, banalizza e forza entro un proprio sistema di concezioni le idee del filosofo. Dà molto rilievo al rifiuto del conformismo borghese e dei principi egualitari, all'esaltazione dello spirito 'dionisiaco', al vitalismo pieno e libero dai limiti imposti dalla morale tradizionale, al rifiuto dell'etica della pietà, dell'altruismo, all'esaltazione dello spirito della lotta e dell'affermazione di sé. Rispetto al pensiero originale di Nietzsche queste idee assumono una più accentuata coloritura aristocratica, reazionaria e persino imperialistica. Le opere superomistiche di D'Annunzio sono tutte una denuncia dei limiti della realtà borghese del nuovo stato unitario, del trionfo dei princìpi democratici ed egualitari, del parlamentarismo e dello spirito affaristico e speculativo che contamina il senso della bellezza e il gusto dell'azione eroica. D'Annunzio arriva quindi a vagheggiare l'affermazione di una nuova aristocrazia che si elevi al di sopra della massa comune attraverso il culto del bello e la vita attiva ed eroica. Per D'Annunzio devono esister alcune élite che hanno il diritto di affermare se stesse, in sprezzo delle comuni leggi del bene e del male. Queste élite al di sopra della massa devono spingere per una nuova politica dello Stato italiano, una politica di dominio sul mondo, verso nuovi destini imperiali, come quelli dell'antica Roma.

La figura dannunziana del superuomo è, comunque, uno sviluppo di quella precedente dell'esteta, la ingloba e le conferisce una funzione diversa, nuova. Il culto della bellezza è essenziale per l'elevazione della stirpe, ma l'estetismo non è più solo rifiuto sdegnoso della società, si trasforma nello strumento di una volontà di dominio sulla realtà. D'Annunzio non si limita più a vagheggiare la bellezza in una dimensione ideale, ma si impegna per imporre, attraverso il culto della bellezza, il dominio di un'élite violenta e raffinata sulla realtà borghese meschina e vile.

D'Annunzio applica, in un modo tutto personale, le idee di Nietzsche alla situazione politica italiana. Ne parla per la prima volta in un articolo, La bestia elettiva, del '92, e presenta il filosofo di Zarathustra come il modello del 'rivoluzionario aristocratico', come il maestro di un 'uomo libero, più forte delle cose, convinto che la personalità superi in valore tutti gli attributi accessori,forza che si governa, libertà che si afferma.. le plebi restano sempre schiave e condannate a soffrire tanto all'ombra delle torri feudali quanto all'ombra dei feudali fumaioli nelle officine moderne. Esse non avranno mai dentro di loro il sentimento della libertà..si andrà formando una oligarchia nuova, un nuovo reame della forza; questo gruppo si impadronirà di tutte le redini per domare le masse a suo profitto, distruggendo qualunque vano sogno di uguaglianza e di giustizia..." Il suo è un fraintendimento, una volgarizzazione fastosa ma povera di vigore speculativo. Ciò che il D'Annunzio scopre in Nietzsche è una mitologia dell'istinto, un repertorio di gesti e di convinzioni che permettono al dandy di trasformarsi in superuomo e fanno presa immediatamente in un mondo di democrazia fragile e contrastata, soprattutto quando al cronista del 'Mattino' e della 'Tribuna' si sostituisce lo scrittore insidioso del Trionfo della Morte('Noi tendiamo l'orecchio alla voce del magnanimo Zarathustra, o Cenobiarca, e prepariamo nell'arte con sicura fede l'avvento dell'Uebermensch, del Superuomo') o quello, fra lirico e decadente, delle Vergini delle rocce, il nuovo romanzo del '95, presentato dapprima sul 'Convito'('Il mondo è la rappresentazione della sensibilità e del pensiero di pochi uomini superiori, i quali lo hanno creato e quindi ampliato e ornato nel corso del tempo e andranno sempre più ampliandolo e ornandolo nel futuro. Il mondo, quale oggi appare, è un dono magnifico largito dai pochi ai molti, dai liberi agli schiavi: da coloro che pensano e sentono a coloro che debbono lavorare.'). Come dirà poi Gramsci, la piccola borghesia e i piccolo intellettuali sono particolarmente influenzati da tali immagini romanzesche che sono il loro 'oppio', il loro 'paradiso artificiale'.

Non è ancora un'ideologia, ma è un'oratoria dell'attivismo verbale in cui fermenta la scontentezza dell'Italia borghese, il cruccio dell'avventura africana, il fastidio della mediocrità democratica e della burocrazia parlamentare, dall'esplosione dei Fasci siciliani al rovescio di Adua. Come sempre, il D'Annunzio avverte d'istinto questi stati d'animo confusi e li amplifica nei bassorilievi della sua eloquenza floreale, li traspone nello specchio del proprio personaggio e dei suoi gesti stravaganti o stupefacenti.

Il superuomo nei romanzi di D'Annunzio

Il primo romanzo in cui si inizia a delineare la figura del superuomo è il Trionfo della morte, dove non viene ancora proposta compiutamente la nuova figura mitica, ma c'è la ricerca ansiosa e frustrata di nuove soluzioni. Il romanzo ha una debole struttura narrativa ed è articolato in sei parti ('libri'). E' incentrato sul rapporto contraddittorio ed ambiguo di Giorgio Aurispa con l'amante Ippolita Sanzio, ma su questo tema di fondo si innestano e si sovrappongono altri motivi e argomenti: il ritorno del protagonista alla sua casa natale in Abruzzo è il pretesto per ampie descrizioni (nella seconda, terza e quarta parte) del paesaggio e del lavoro delle genti d'Abruzzo. Giorgio cerca di trovare l'equilibrio tra superomismo e misticismo, e aspira a realizzare una vita nuova (è il titolo del quarto libro). Per questo vive il rapporto con l'amante come limitazione, come ostacolo: per il suo fascino irresistibile, Ippolita Sanzio è sentita come la 'nemica', primigenia forza della natura che rende schiavo il maschio. Solo con la morte Giorgio si libererà da tale condizione: per questo si uccide con Ippolita, che stringe a sé, precipitandosi da uno scoglio. Giorgio Aurispa, il protagonista, l'eroe, è ancora un esteta simile ad Andrea Sperelli: ha una sete di dominio sulla gente comune, ma ha caratteri contraddittori, tant'è che più che la potenza mostra tutta la debolezza del suo essere giungendo al suicidio nel tentativo non riuscito di liberarsi dalla schiavitù dei sensi.

Sulla figura del superuomo si incentra anche Le Vergini delle Rocce, qui però La complessità metafisica e ideologica del superuomo subisce una sostanziale semplificazione nella direzione di un superomismo a impronta esclusivamente estetica che s'intride di valenze politiche reazionarie. E' qui riscontrabile l'esito di una lunga ricerca sul versante stilistico e formale, che nel momento stesso in cui agganciava le posizioni più innovative del Simbolismo europeo, si rimmetteva nel solco della tradizione trecentesca e rinascimentale. Il nucleo drammatico del romanzo, fondato sull'aspirazione di Claudio Cantelmo a generare un figlio in cui si distillassero le mirifiche qualità di una illustre progenie e che sarebbe dovuto diventare il futuro re di Roma, appare del tutto gratuito e incapace di sostenere una dinamica narrativa di lungo respiro. In questo senso il romanzo esprime i limiti dell'interpretazione che D'Annunzio diede di Nietzsche. Questo libro composto da Gabriele D'Annunzio nel 1895 in cui meglio si esprimo la vocazione dell'autore ad una scrittura totale che riassuma in sé il genere lirico e quello narrativo, è un romanzo - poema. D'annunzio era solito annunciare la pubblicazione di un'opera mentre ancora era in fase di progettazione quindi si conoscono molti titoli ipotizzati per questo romanzo, fino all'indicazione definitiva tramite una lettera il traduttore francese Georges Herelle (attraverso le lettere a quest'ultimo si può risalire a vere e proprie dichiarazioni di poetica): "Gli avvenimenti reali vi appaiono trasfigurati da significazioni alte e complesse. Le tre figure delle vergini si muovono su un fondo di paesaggio che è in accordo con l'ardore e con la desolazione delle loro anime. Una catena di rocce acute si svolge sul loro orizzonte disegnandosi nel cielo, ora azzurre, ora bianche e raggianti, ora purpuree come fiamma, ora delicate e rosee come: Le vergini delle rocce".

Come scelte stilistiche rifiuta una trama in favore della libera invenzione di uno spazio e di un tempo assoluti, vuole un'opera di grande stile, di pura bellezza. Più una cosa è poetica, e più essa è reale. E'  comunque possibile trovare un filo narrativo su cui si impernia il racconto: il romanzo si apre con un lungo prologo dove l'autore descrive le tre vergini, Massimilia, Violante e Anatolia in attesa dello Sposo. Lo sposo è il protagonista Claudio Cantelmo, giovane che vive a Roma e si rende conto della situazione in cui si trova questa grande città: "vi era un vento di barbarie su Roma che sembrava volerle strappare la raggiante corona di ville gentilizie a cui nulla è paragonabile nel mondo delle memorie e della poesia". Quelli di Roma vengono definiti dal D'Annunzio, che in romanzi come il Piacere li aveva inneggiati, tempi nemici dell'arte, a cui l'autore oppone la figura di Cantelmo. Egli, però, non può salvare l'arte compiendo una vera e propria apologia della strage e della lussuria ma, è necessario che dopo trascorsa la sua vana esistenza ricominci a vivere, e riveda il sole, le piante, le rupi, gli uomini con altri occhi. È proprio per questo motivo che Cantelmo, disgustato dalla corsa alle speculazioni, si rifugia nei possedimenti di un'antica famiglia aristocratica, i Capece Montaga, ancora in fede borbonica. È guidato dal desiderio di divenire un dio, è alla ricerca di una genitrice per il futuro re di Roma quando in questa famiglia conosce le tre vergini. Il ritorno di Cantelmo a Rebursa, paese abruzzese il cui nome è però inventato per procreare insieme a una creatura eletta, il terzo re di Roma, può essere avvertito come un'allegoria dell'impulso creatore contro il fantasma del disfacimento e della fine, che stava invadendo Roma stessa. Cantelmo vede le grazie delle tre vergini ed è sicuro che tra le tre vi sia l'eletta, senza rendersi conto che su di loro incombe un oscuro destino familiare che compromette le loro virtù: la madre Aldoina è uscita di senno, è una principessa demente. I fratelli, Antonello e Oddo così come le tre vergini vivono nel dolore e si sono votati a questo: Massimilla, che ha intenzione di prendere i voti, non fa che pregare, Violante tenta di uccidersi con i profumi mentre Anatolia è l'unica che sembra portare un po' di gioia di vivere. Cantelmo per prima cosa cerca vanamente di impedire a Massimilla di prendere i voti, poi estasiato dall'amore con cui Anatolia cura la madre propone a lei di aiutarlo nella sua missione, ma ella si è votata alla famiglia e al sostegno della madre, Violante infine è troppo bella e troppo fragile, Cantelmo deve ammettere che ella può essere amata solo da un Dio o morire senza permettere che la sua bellezza sfiorisca (motivo decadente). Quindi alla fine tutte e tre si rileveranno inadatte al compito e Cantelmo dovrà rinunciare. Come si può notare l'involucro narrativo è molto fragile, quasi un pretesto perché il vero protagonista è lo stile e le idee portate avanti dal protagonista, il superuomo. Quest'opera esalta i miti della forza e della razza ed è l'interprete di un' "oligarchia nuova" nata per governare sui deboli, in lui si materializza l'aspirazione ad una grandezza che a quel tempo coinvolgeva la borghesia italiana ed europea.

Ma il vero superuomo sarà, invece, Stelio Effrena nel romanzo il Fuoco, perché egli sarà trionfatore e centro dell'universo, non come Cantelmo che finisce per rinunciare alla sua missione. Stelio, inoltre è un artista per questo lo stesso D'Annunzio vi si identifica, è la proiezione di un essere eccezionale nato per dar vita all'opera immortale, invasato dalla creazione, che accomuna indissolubilmente l'Arte con la Vita.

Nel romanzo Forse che sì forse che no invece si presenta un nuovo strumento di affermazione superomistica inedito e in linea con i tempi: l'aereo. Il protagonista Paolo Tarsis realizza la sua volontà di affermare il suo dominio assoluto tramite le sue imprese di volo. Egli è senza dubbio la reincarnazione dei vari superuomini presenti ne IlTtrionfo della Morte o nelle Vergini delle rocce, ma a differenza di questi, non appartiene ad una nobile casata ma è un borghese estraneo agli influssi decadenti e dedito all'azione; affiancata a questo superuomo troviamo Isabella Inghirami, la prima figura femminile capace di contendere il primato all'egotismo del superuomo di turno. Tra i due personaggi c'è un rapporto di amore-passione che talvolta arriva fino alle degenerazioni dell'incesto e del masochismo. Questo romanzo rappresenta la piena adesione del D'Annunzio alla contemporaneità: è possibile infatti ritrovare personaggi che si muovono tra aeroplani, automobili, telefoni. Vi si ritrova un amore, quindi, per la macchina e la velocità.


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