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Hannah Arendt nata nei pressi di Hannover, studentessa tra
il 1924 e il 1929 nell'università di Marburgo, dove fu allieva di Heidegger,
con il quale ebbe anche una relazione sentimentale. Di famiglia ebraica la sua
educazione e permeata dei valori dell'ebraismo anche se ciò si manifesterà
soltanto in età adulta. Infatti per
molto tempo Hannah si disinteressa totalmente all'ebraismo e anche quando in
età adulta avrà inizio il recuperò della sua identità ebraica, esso sarà
rivolto agli aspetti politici e storici, non a quelli prettamente religiosi. Fin
da giovanissima Hannah si interessa di filosofia e all'università avrà eminenti
maestri quali Martin Heidegger, Edmund Husserl e Karl Jaspers(quest'ultimo
rimarrà fino alla morte insostituibile amico e guida spirituale).Nel
La prima opera significativa della Arendt, pubblicata negli Stati
Uniti, è 'Le origini del totalitarismo' (1951). Questa è una
delle opere più importanti e famose di Hannah Arendt, si tratta di un'analisi
del processo di formazione di un totalitarismo, dalla sua ascesa alla conquista
del potere. L'approccio non è solo di tipo storico ma anche sociologico,
politico e psicologico, continuamente alternati e intrecciati insieme. L'opera
è articolata in tre parti: l'antisemitismo, l'imperialismo e il totalitarismo.
I primi due vengono indagati a fondo in quanto concause del formarsi del
totalitarismo e in quanto elementi interagenti con esso. L'antisemitismo viene
studiato come fenomeno rigorosamente circoscritto all'epoca moderna e non
semplicisticamente ricondotto all'odio secolare per il "popolo eletto";Hannah
delinea così le cause politiche, sociali ed economiche che hanno resuscitato
l'antisemitismo nell'epoca contemporanea. Per quanto riguarda l'imperialismo
anch'esso è delimitato storicamente e distinto in maniera precisa dal vecchio
colonialismo del cinque-sei-settecento. L'epoca contemporanea ha visto un nuovo
tipo di espansione coloniale, finalizzata non più alla conquista, ma alla
costruzione di imperi economici, alla spartizione del mondo;questo è un
assoluto capovolgimento dei valori che attribuisce l'assoluta priorità
economica anziché alla politica. L'imperialismo trova i suoi ingredienti
fondamentali nel razzismo e nella riduzione della politica a un governo di
burocrati, irrispettoso del diritto e dell'uguaglianza;gli stessi ingredienti
del totalitarismo. Caratteristica saliente del totalitarismo è non tanto una
concezione filosofica, quanto l'esistenza dei campi di concentramento: nessun
governo totalitario, infatti, può sussistere senza terrore e il terrore non può
essere edificato e mantenuto senza tali campi, nei quali gli individui sono
ridotti a entità superflue. Per questo aspetto esistono, secondo
Nel mondo moderno, il lavoro ha assunto una posizione di primato rispetto all'agire, prioritario presso i greci, e al fabbricare, dominante nell'immagine cristiana di un Dio creatore. Questo mutamento ha indebolito la distinzione tra pubblico e privato e ha generato una nuova sfera, quella del sociale, che viene ad assumere le funzioni prima pertinenti all'oikos e alla polis. I risultati sono, da un lato, una nazione amministrata burocraticamente come se si trattasse di un'unica famiglia e un generale conformismo e dall'altro, una riduzione della partecipazione politica attiva e la trasformazione della sfera privata in intimità puramente individuale. L'integrazione armonica delle varie attività, con l'attribuzione del primato all'agire e quindi, alla politica, si è invece realizzata, ad avviso di Arendt, nella polis, ma già i filosofi greci avevano minato questo modello, nel momento in cui, a partire da Platone, avevano spezzato la connessione tra la prassi e il discorso, che caratterizza la politica e subordinato la politica alla loro attività, intesa come teoria, ossia attività contemplativa.
In questa situazione, la politica veniva concepita come un ambito che
deve essere disciplinato da regole che nascono nella sfera superiore della
teoria e sono accessibili soltanto ad una saggezza superiore. Da questa
impostazione sono nate, in età moderna, le filosofie della storia e le teorie,
come quella hegeliana, che trasformano le nozioni di mezzo e di fine in
categorie politiche e interpretano la storia come un processo necessario,
finendo in tal modo per giustificare le pratiche totalitarie del XX secolo e
sollevando dalla responsabilità di giudicare gli eventi storici. In opposizione
a ciò occorre, secondo Arendt, una nuova scienza politica, che torni a porre al
centro l'azione, interpretata come inizio di qualcosa di nuovo e di
imprevedibile, non fabbricabile nè dall'uomo, nè da Dio. Infatti, quando
un'azione si perverte in una specie di fabbricazione, si può generare il male e
la distruzione degli uomini. In questa prospettiva, nello scritto ' Sulla
rivoluzione ' (1963),
Nel 1960 seguì a Gerusalemme, come corrispondente di un giornale, il processo all'ex tenete colonnello nazista delle SS Eichmann, che le apparve un uomo mediocre, incapace di distinguere tra bene e male: da ciò trasse la conclusione della "banalità" del male, che non ha di per sé profondità e attribuì una parte di responsabilità del genocidio alle stesse vittime del nazismo, ma questo sollevò nei suoi confronti accuse di antisionismo e una campagna diffamatoria che si sviluppo in tutti gli ambienti ebraici, nello Stato d'Israele, in Europa, negli Stati Uniti e nelle Germania post-nazista che la turbò profondamente. Tutti i suoi articoli furono raccolti in un unico volume pubblicato col titolo "Eichmann a Gerusalemme" (nell'edizione italiana, "La banalità del male").
Intanto, a partire dal 1956, aveva cominciato a insegnare all'università di Berkeley, per passare poi a quella di Chicago, tra il 1963 e il 1967, e infine alla 'New School for Social Research' di New York, dal 1967 sino alla morte.
L'ultima opera, rimasta incompiuta, 'La vita della mente', pubblicata postuma nel 1978, è presentata da Arendt come 'un trattato del buon governo mentale': essa descrive le attività dello spirito, ossia il pensare, il volere e il giudicare, cercando di mostrare la necessità di un controllo e di un equilibrio reciproco fra esse. Il pensare è diverso dal conoscere, che ha un oggetto e un fine: esso, invece, non ha un oggetto, ma si riferisce solo a sé e produce significati, non la verità, che è piuttosto prodotta dal consenso. Il pensare consente di affrontare i fenomeni direttamente, senza alcun sistema preconcetto e quindi prepara il terreno al giudizio, che rappresenta la vera attività politica della mente. Anche il volere è costitutivo della sfera politica, in quanto mira a produrre un riconoscimento reciproco tra gli individui. In questo senso, la Arendt critica Heidegger per aver rifiutato il volere a favore del pensiero, concepito come forma di azione: ciò equivale, infatti, a rifiutare la politica.
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