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GLI INDIFFERENTI
MORAVIA
La famiglia romana degli Ardengo, Mariagrazia, vedova e i due figli Michele e Carla, di estrazione alto-borghese, è decaduta economicamente, ne approfitta Leo Merumeci, affarista e libertino, di cui è infatuata Mariagrazia. Dopo aver dilapidato il patrimonio dell'amante, Leo mira ad impossessarsi della villa degli Ardengo e tenta allo stesso tempo di sedurre Carla,che si lascia corteggiare senza entusiasmo. Disgustato dal comportamento melenso e geloso della madre, Michele tende ad affermare la sua personalità mediante un gesto esemplare che smascheri Leo davanti tutta la famiglia, ma la sua inettitudine gli impedisce di prendere una qualsiasi decisione. Nel corso di una cena Michele provoca platealmente Leo, ma è costretto ad una umiliante autocritica, mentre Carla decide di concedersi a Leo,pur di cambiare vita. Il giorno successivo si festeggia il compleanno di Carla, ma l'insulso rituale del pranzo è guastato da una nuova lite tra Michele e Leo; insultato dal Merumeci, il giovane reagisce dandogli uno schiaffo, tentativo che va a vuoto.
Riuscito è invece il tentativo di Leo di far ubriacare Carla, per possederla nella rimessa del parco; ma nel momento culminante della seduzione, la fanciulla ha una crisi di vomito, provocata dalla sbornia. Nel pomeriggio, dopo aver invano tentato di riconquistare la sua ex-amante Lisa, Leo si intrattiene con gli Ardengo, nel salotto della loro villa; qui esplode di nuovo la rivolta di Michele, che si risolve in un gesto velleitario e isterico. Lancia un portacenere che invece di colpire Leo, sfiora la spalla di Mariagrazia, che fa una scenata melodrammatica.
Spinta da una volontà di distruzione Carla si reca di notte a casa di Leo. A sua volta Michele si reca da Lisa, che tenta di sedurlo, ma respinta, si vendica rivelando al giovane di aver sorpreso Leo e Carla abbracciati. Michele crede che sia finalmente venuto il momento del gesto decisivo, che lavi col sangue del seduttore l'offesa arrecata alla sorella. In realtà la sua è solo una fantasticheria di omicidio: tant'è vero che, quando spara contro Leo, sorpreso in casa sua con Carla, la rivoltella è scarica, avendo il velleitario protagonista dimenticato i proiettili in tasca. Non è successo nulla e tutti riprendono con INDIFFERENZA il loro ruolo: Leo sposerà Carla, Michele avrà un buon posto di lavoro e accetterà, sia pure di mala voglia la relazione con Lisa, Mariagrazia persisterà a vivere nella sua fatua incoscienza, e tutti insieme si avvieranno verso una festa in maschera.
Intenzione dichiarata di Moravia, quando a 22 anni scrive gli Indifferenti è "né criticare una società né manifestare idee e sentimenti pessimisti, né fare un'opera satirica o moralistica" quanto quella di scrivere un romanzo, che avesse al tempo stesso la qualità di un'opera narrativa, quelle di un dramma, fondendo la tecnica del romanzo con quella del teatro.
In effetti il romanzo sembra avere la struttura di un dramma in 16 quadri e 2 atti e ciascuno dei sedici capitoli, che lo compongono, ha il taglio di una scena teatrale, che ha inizio con l'ingresso dei personaggi, con la descrizione dell' ambiente e si conclude con l'uscita momentanea dei personaggi, di volta in volta sulla scena.
La "Quinta" di questo romanzo-commedia è rappresentata dalla villa degli Ardengo, immersa nella penombra di uno spazio chiuso, dove non penetra la luce del sole, una casa prigione, da cui i giovani protagonisti, Carla e Michele, tentano disperatamente di evadere.
Potremmo suddividere il romanzo in due parti, dal primo all'ottavo capitolo prevale una caratterizzazione drammatica, dal nono al sedicesimo, narrativa.
Anche lo scenario, man mano che si procede dalla prima alla seconda parte, muta allargandosi dagli interni domestici alla città, con l'obiettivo di focalizzare la narrazione sul singolo personaggio, concedendo ampio spazio al discorso indiretto libero.
Un momento di transizione è dato dal capitolo VIII, quando Carla, decisa a spezzare il vincolo claustrofobico della casa -prigione, rivolge un addio alla vecchia dimora.
"Addio strade, quartiere deserto, percorso dalla pioggia come da un esercito, ville addormentate nei loro giardini umidi, lunghi viali alberati e parchi in tumulto; addio quartiere alto e ricco"
E' evidente il calco del celebre addio della Lucia manzoniana del capitolo VIII dei Promessi Sposi. In Carla come in Lucia vi è la lucida e lirica consapevolezza di stare sul punto di cambiare vita, Lucia si allontana dal suo paese e dai suoi sogni, Carla crede di aprire finalmente la porta alla vita, anche se poi non sarà così.
Fin dalla cena iniziale del II capitolo si delinea il sistema dei personaggi, collegati tra loro da un rapporto conflittuale,Leo e Mariagrazia, Leo e Michele, o interrotto Leo e Carla, un sistema che si completa nel II capitolo con l'apparizione di Lisa, il cui atteggiamento è allo stesso tempo conflittuale con Leo e Mariagrazia e interrotto con Michele.
Al centro di questo sistema c'è Leo, che domina tutti gli altri personaggi con la sua forza di uomo affermato e spregiudicato.
Sesso e denaro sono gli unici valori che contano per Leo, totalmente integrato nella realtà degli affari e cinicamente volto a soddisfare le sue voglie sessuali, con spietata sicurezza da professionista del piacere.
Nella sera della seduzione i suoi gesti sono definiti "i gesti di un chirurgo durante l'operazione".
Pur nella sua negatività, Leo è la figura più compatta e a tutto tondo.
Ambigua è invece la figura di Mariagrazia "la madre", appellativo ironico dal momento che mancano al personaggio proprio le qualità necessarie ad un ruolo materno.
E' presentata, fin dal primo capitolo, come una maschera stupida e patetica, con il suo disprezzo per il popolo, che la induce a non andare a vedere "Sei personaggi in cerca di autore" di Pirandello (cap.I), perché è una serata popolare;con il suo snobismo (cap. VI "A Parigi è molto più interessante, disse al madre che non c'era stata"); con la sua conformistica osservanza delle convenzioni sociali, pronta a coprire la sua relazione con Leo, malgrado tutti, compresi i figli, la conoscano.
Mariagrazia incarna la madre borghese, chiusa nel suo miserabile egoismo e nella sua coriacea ottusità.
La sua presunta rivale Lisa, condivide con Mariagrazia l'ipocrisia erotica, ma pur cadendo nel ridicolo per le sue moine fuori età, si riscatta ai nostri occhi per la sua situazione di donna matura, innamorata di un adolescente, come Michele ( situazione patetico-umoristica tipicamente pirandelliana).
A queste due figure Moravia affida il ruolo del nuovo personaggio da lui creato, quello capace di avere un'autocoscienza, di essere consapevole oscuramente, ma debole sul piano immediatamente vitale.
Pur subendo uno svolgimento apparentemente parallelo, Carla e Michele sono incapaci di comprendersi, uno di fronte all'altro, radicalmente divisi.
Michele all'inizio del romanzo e fino alla fine è e sarà chiuso nel suo cupo e vano anelito verso una sincerità e una fede irraggiungibile, anzi infine ancora più avvilito e offuscato dalla sua visione della vita, più disperatamente cosciente.
"E' impossibile andare avanti così-Avrebbe voluto piangere; la foresta della vita lo circondava da tutte le parti, intricata, cieca; nessun lume splendeva nella lontananza. Impossibile."
Carla invece, dopo aver ceduto a Leo per cominciare una nuova vita, si dimostra alfine capace di orientarsi perfettamente nella grande selva dell'esistenza sociale, ormai perfettamente riconciliata con il mondo.
Alla fine del romanzo Carla afferma: "E' tutto così semplice, aveva pensato, infilandosi davanti allo specchio i pantaloni da Pierrot: lo prova il fatto che, nonostante quel che è avvenuto, io mi travesto e vado al ballo."
La storia di Carla diviene dunque la storia di un difficile e doloroso adattamento riuscito, mentre Michele rappresenta l'adattamento mancato.
L'agire di Michele è infatti fondato su una semplice ripetizione, una vera e propria coazione a ripetere, con un movimento di ordine quantitativo, non certo qualitativo.
Ciò è dimostrato essenzialmente negli scontri con Leo, su cui poi si fonda tutta la costruzione narrativa, dall'insulto inefficace del III capitolo, allo schiaffo mancato del VI capitolo, al lancio del portacenere, che non raggiunge il bersaglio, nell'VIII, sino al celebre colpo di rivoltella, che non spara, perché l'arma naturalmente è scarica, nel XV capitolo.
Michele vive ripetendosi, Carla invece si modifica venendosi a trovare in una situazione, pur sempre squallida, ma nuova.
Carla infatti si degrada, non dandosi a Leo, ma accettando il matrimonio decoroso con Leo, rinunciando ad ogni sforzo di esistenza: "La vita era quel che era, meglio accettarla che giudicarla, che la lasciassero in pace. "
L'attenzione di Moravia però non è puntata sulla rivolta di Carla, ma su quella inattuata di Michele, che rimane a vagare nel limbo delle intenzioni e dei sentimenti.
Perché Moravia fa di Michele il personaggio chiave, dal momento che il romanzo termina con un lieto fine?
Perché Moravia, con la sua peculiare ambiguità ama rovesciare quello che appare evidente e scontato giudizio e facendo ciò attua la sua critica nei confronti del mondo borghese.
Quando infatti Carla si veste da Pierrot per andare al ballo si accomuna alla madre, diventa con lei un'unica maschera, il travestimento finale segna la sconfitta di Carla, che crolla sotto i colpi della sua rivolta e diviene un unicum con Mariagrazia.
Comincia in effetti, proprio come fa la madre, a recitare una parte falsa e ridicola, inserendosi perfettamente in quel mondo borghese, da cui voleva fuggire, "altrimenti chissà dove si andrebbe a finire, così afferma Mariagrazia"; frase che potrebbe essere assunta come EPIGRAFE del romanzo.
Gli Indifferenti segnano quindi l'atto di morte del buon senso borghese, per svuotamento interno, per semplice deformazione, e allo stesso tempo il romanzo è una vera e propria enciclopedia delle sciocchezze delle conversazioni medio-borghesi, delle ambizioni mondane in stile familiare, un coacervo di luoghi comuni della coscienza borghese.
Il personaggio di Moravia non è più il personaggio tipico del tradizionale romanzo borghese, frutto di una proiezione ideologica univoca e compatta, non è più un eroe, in cui si configurano elementi positivi e negativi, perfettamente definiti.
La tensione eroica, comunque pretenda di caratterizzarsi, qui cede alle radici stesse del conflitto, per dissolversi spontaneamente in un'ambigua indifferenza etica.
Questa indifferenza, ancora prima di essere un dato psicologico particolare, è il carattere fondamentale, obiettivo della realtà stessa, come 30 anni dopo tornerà ad esserlo in La Noia.
L'indifferenza paradossalmente è ora sul versante della rivoluzione psicologica, la misura del solo valore residuo, della coscienza del reale stesso nella sua indifferenza, ma lo è a caro prezzo. La perdita di contatto con la vita.
Dal momento che il mondo non sembra poter mutare, dal momento che l'esistenza prima ancora del personaggio, replica sempre i modi uniformi della sua miseria, secondo un ritmo incorreggibile, dal momento che la società, in cui si vive, appare tanto salda da potersi considerare immodificabile nella struttura come nella sostanza morale, non rimane altra alternativa che questa. PRESERVARE, DA PURI SPETTATTORI, SDEGNOSAMENTE MA INATTIVAMMENTE, LA PROPRIA FITTIZIA INNOCENZA E SALVARE LA COSCIENZA ETICA.
Senza ingenue illusioni e con corrosivo realismo di fronte allo spettacolo di una società in rovina, Moravia perviene a constatare lucidamente e scetticamente che soltanto le dimensioni volgari e sgradevoli del grottesco e i luoghi comuni del romanzo di appendice, criticamente assunti e distaccatamente straniati, possono riflettere il vero lato del mondo.
Domina quindi soprattutto in Michele , la nostalgia del tragico, dell'impulso spontaneo che attuava misure estreme, senza pensare.
Sappiamo, però, bene da Pirandello in IL FU MATTIA PASCAL, che l'Oreste, l'antico uomo impavido , nel '900 è ormai un Amleto, immerso in domande esistenziali, senza risposta, l'eterno indeciso incapace di agire con determinazione.
Moravia fa dire a Michele: "Egli avrebbe voluto vivere in quell'età tragica e sincera, avrebbe voluto provare quei grandi odi travolgenti, innalzarsi a quei sentimenti illimitati.ma restava nel suo tempo e nella sua vita, per terra. "
L'impossibilità della tragedia, la perdita del senso tragico, diviene allo sguardo di Michele, con molta esattezza, la perdita di controllo con il rivale.
Michele rispecchia la nuova condizione dell'uomo borghese, nel momento in cui assume una coscienza di crisi e prova una forte nostalgia per il personaggio stesso.
Nessuna fede può ricondurre Michele a quel cosmo di valori smarriti, perché anche una qualsiasi fede sarebbe in autenticità. D'altra parte, se egli riuscisse a superare la propria indifferenza, cedendo al gioco o alle lusinghe delle passioni falsificate, credendo di creder, di vivere e di amare, approderebbe alle spiagge della vita, ma con una vitalità irrigidita e automatica del FANTOCCIO STUPIDO E ROSEO.
Se Michele trasformasse la sua impotenza in buona volontà sarebbe Leo.
Nelle pagine conclusive del romanzo Michele, rivolgendosi a Carla, afferma: I nostri errori sono stati ispirati dalla noia e dall'impazienza di vivere.Tu non ami quest'uomo, io non lo odio.eppure ne abbiamo fatto il centro delle nostre azioni opposte."
Il contegno sessuale agli occhi di Moravia appare come una delle chiavi fondamentali di ogni umano comportamento, il che vale per tutti i cinque personaggi.
E' nell'erotismo integrato con lo status economico, che i personaggi si definiscono a pieno.
La rivalità di Carla si cancella nel sesso, l'indifferenza di Michele è una cosa sola con la mancanza di comunicazione sessuale, con la sua impotenza sessuale, strettamente connessa a quella economica.
Di fronte a Lisa, Michele verifica la propria in differenza, l'ipocrisia erotica e sentimentale borghese.
Colpiscono subito, nel legger Gli Indifferenti, le descrizioni degli interni cupi e d angosciati, con finestre serrate, che immergono nell'oscurità persone e oggetti, mentre l'illuminazione ad iceberg scinde in due zone l'ambiente, una più piccola, fiocamente illuminata, l'altra più vasta e invisibile, che infonde lo sgomento del mistero dell'esistenza.
Si creano così atmosfere geometrizzanti, che comunicano la sensazione di cubi compenetranti, di scatole cinesi, di monadi senza porte né finestre. Così come gli specchi moltiplicano atrocemente le figure dei personaggi, che sono ridotti a fantocci, a manichini alla De Chirico, smarriti si aggirano in chiuso labirinto.
Proprio come nei capitoli I,II,III, dove la pseudo famiglia riunita, recita parti dovute, imposte, come tanti fantocci cristallizzati in un ruolo che accettano senza difficoltà, per continuare a vivere.
Mariagrazia, Carla e Michele assolvono la parte, che spetta loro, secondo le convenzioni borghesi, consumandosi nella falsità, allestendo una vera e propria vetrina di manichini, che manipola una falsa etica. Ma la finestra e gli specchi sono anche veicoli visivi, che riflettono un mondo interiore, che i personaggi stessi non vogliono conoscere e vedere.
Quante volte Carla, Mariagrazia e Lisa si guardano allo specchio, però, pur essendo di fronte a se stesse, mentono cercando nell'immagine riflessa quella realtà che vorrebbero trasparisse dai loro volti.
Lo specchio in Moravia, a differenza che in Pirandello e Bontempelli, non diviene mezzo di scavo interiore, di introspezione psicologica, ma riflette passivamente la falsità morale di chi vi si guarda.
Così queste donne, osservandosi allo specchio, sono proprio come quel fantoccio, che Michele invidia nel capitolo XIII,pensando per un attimo a quanto sarebbe più facile essere come lui, stupido, roseo, scintillante, con una fede nella vita, da accettare così come è, con semplicità e compromessi.
Il linguaggio è perfettamente adeguato a tale realtà, è logoro, convenzionale, infarcito di luoghi comuni, che formano un utile glossario della futile ed insulsa conversazione borghese.
Anche nei soliloqui, attraverso il DISCORSO INDIRETTO LIBERO,i personaggi esprimono la vacuità del loro mondo interiore, proiettandolo in fantasticherie i loro possibili desideri di evasione, come Michele nel XV capitolo, quando medita il delitto; Carla nel X, quando pensa alla nuova vita e Lisa nel V ,quando immagina un possibile rapporto con Michele. E' molto ricca l'aggettivazione, che svolge una funzione giudicante e tende a degradare il personaggio e a deriderlo con implacabile ironia.
Il fantoccio è l'immagine realistica dell'uomo moderno, che Moravia trae dal mondo della pubblicità.
Uomini senza rimedio sono quelli che fotografa Michele anche nell'ultimo capitolo, quando i riflessi, pur raddoppiandosi, rimandano ad un'unica ed autentica desolazione. E' proprio attraverso una finestra che Michele guarda Carla, vestirsi disinvolta, accanto alla madre, per andare al ballo, e prende coscienza del suo avvenuto adattamento. Per questo tenta un disperato contatto con la vita e va da Lisa.
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