GLI EBREI E LA PALESTINA PRIMA DELLA NASCITA DEL SIONISMO
Gruppi molto piccoli di ebrei avevano continuato a vivere in Palestina
anche dopo che la maggioranza della popolazione ebraica aveva abbandonato il
paese disperdendosi ai quattro angoli della Terra:
Gaza, Hebron, Gerusalemme, Nablus, Haifa, Shafer Am, Tiberiade e, soprattutto,
Safed e la zona circostante sono località nelle quali è accertata la presenza
di nuclei di ebrei ininterrottamente almeno dal XIII secolo, cioè dall'epoca
immediatamente successiva alla fine delle crociate.
Dagli inizi del XIX secolo la popolazione ebraica della Palestina era più che
raddoppiata, passando da circa 10.000 individui nel 1800 a 24.000 nel 1880.
Tuttavia, questi ebrei si accontentavano di vivere in sostanziale buona armonia
con la popolazione araba e non pensavano affatto a creare nel paese un loro
Stato, tutto ed esclusivamente ebraico. Per loro il vivere in Palestina era una
scelta religiosa positiva e qualsiasi idea di restaurazione di uno Stato
ebraico era considerata con estremo sospetto come una manifestazione di
pseudo-messianismo sacrilego.
Si trattava di un gruppo umano vivente in un quadro sociologico ancora
medievale, caratterizzato da un estremo sottosviluppo culturale e intellettuale
oltre che economico. La principale risorsa economica di questi ebrei erano le
misere sovvenzioni inviate loro dai correligionari europei e da qualche ricco
filantropo, che consideravano un pio dovere l'assistere materialmente i loro
fratelli in Terra Santa. Questo aiuto non aveva solo carattere caritatevole ma
simbolizzava anche un legame, esprimeva anche simpatia e autoidentificazione
con quanti avevano deciso di passare la loro vita in Palestina dedicandosi allo
studio e alla devozione. Tuttavia questa carità soffocava ogni spirito di
iniziativa e favoriva un modo di vita improduttivo e parassitario.
Per quanto riguarda la condizione degli ebrei all'interno dell'Impero Ottomano
è stato rilevato che 'malgrado la sua decadenza nel XIX secolo, la Turchia
restava fedele al suo atteggiamento liberale nei confronti degli ebrei i quali
non avevano di che lamentarsi né del governo né della popolazione
musulmana'.
Una preziosa testimonianza in merito ci è stata lasciata nella sua
corrispondenza diplomatica dal ministro degli Stati Uniti a Costantinopoli,
Maynard. Nel 1877, Maynard ordinava ai consoli statunitensi nell'Impero
Ottomano di 'osservare attentamente la condizione degli ebrei all'interno
dei loro distretti consolari e di riferire senza ritardo alla legazione ogni
caso di persecuzione o di altro maltrattamento, richiamando su di essi in forma
non ufficiale l'attenzione dei governatori o di altre autorità ottomane'.
In un dispaccio del 27 giugno al segretario di Stato Evarts, Maynard faceva
quella che è stata definita 'un'accurata descrizione della situazione
degli ebrei in Turchia, prima della prima guerra mondiale':
'Giustizia nei confronti dei turchi vuole che io dica che essi hanno
trattato gli ebrei molto meglio di quanto abbiano fatto alcune potenze
occidentali dell'Europa. Quando furono espulsi dalla Spagna essi trovarono
asilo in primo luogo in Turchia, dove i loro discendenti vivono tuttora,
distinguendosi dai loro correligionari per l'uso della lingua spagnola. Prevale
l'impressione che sotto il governo turco il trattamento degli ebrei sia
migliore di quello dei cristiani. Essi sono riconosciuti come una comunità
religiosa indipendente, con il privilegio di avere le proprie leggi
ecclesiastiche, e il loro rabbino capo gode, grazie alle sue funzioni, di
grande influenza.
Prima dell'Hatti Sherif di Gulhane -il rescritto imperiale del 3 novembre 1839
con il quale il sultano Abdulmecit I inaugurava il periodo delle riforme
dell'Impero Ottomano- gli ebrei (come del resto i cristiani, sia pure in misura
minore perché protetti dalle potenze europee), pur godendo di una certa
autonomia all'interno della loro comunità e pur non incontrando sostanzialmente
ostacoli nella pratica della loro religione, erano considerati e trattati come
sudditi di seconda categoria e non godevano della pienezza dei diritti
riconosciuti ai musulmani. Nulla comunque di paragonabile alle discriminazioni
e interdizioni che colpivano gli ebrei nei paesi europei.
On l'atti Sherif di Gulhane, che estendeva le riforme senza eccezione a tutti i
sudditi della Porta, 'a qualsiasi religione o setta essi
appartengano', gli ebrei ottomani avevano ottenuto l'uguaglianza giuridica
con gli altri abitanti dell'Impero.
L'Hatti Humayun promulgato dal sultano Abdulmecit I nel febbraio 1986 (alla
vigilia della Conferenza di Parigi che avrebbe messo fine alla guerra di Crimea
e avrebbe riconosciuto 'la sublime Porta ammessa a partecipare ai vantaggi
del diritto pubblico e del concerto europeo'), pose su basi giuridiche
ancor più salde l'emancipazione della popolazione non musulmana. Le norme del
decreto garantivano una completa libertà religiosa e l'eguaglianza di fronte
alla legge e al fisco. In particolare venivano abrogate le due maggiori misure
discriminatorie che per secoli avevano indicato l'inferiorità dei non musulmani:
la tassa per la protezione e il divieto di portare armi. Queste importanti
riforme incontrarono l'aspra reazione della popolazione musulmana che si
scatenò con violenza inaudita contro i cristiani. L'agitazione anticristiana,
caratterizzata da violenze d'ogni genere e da omicidi, culminò nei massacri di
Aleppo (1850), Nablus (1856) e Damasco (1860). Va però rilevato che gli
'umili e discreti ebrei', che avevano avuto la prudenza di non
ostentare l'ottenuta eguaglianza in modo da provocare la suscettibilità dei
musulmani, non vennero coinvolti nemmeno marginalmente in questi tragici
disordini.
Certo non bisogna farsi un quadro troppo idilliaco dei rapporti tra arabi ed
ebrei. Va rilevato tuttavia, che le prime significative manifestazioni di
ostilità antiebraica (o più esattamente antisionista) si avranno in Palestina
solo a partire degli anni 80 del XIX secolo, quando avrà inizio l'immigrazione
sionista nel paese.
Fino a questa data, anche se non mancheranno episodi circoscritti di violenza
individuale, gli ebrei subiranno quasi esclusivamente le molestie dei
numerosissimi missionari delle varie confessioni cristiane (verso la fine del
secolo a Gerusalemme la loro percentuale rispetto alla popolazione totale era
incomparabilmente più elevata che in qualsiasi città del mondo), che, essendo
proibito per legge far opera di proselitismo tra i musulmani, avevano scelto
come campo di evangelizzazione la comunità dei seguaci della religione mosaica
e suscitavano con il loro comportamento invadente aspre e interminabili dispute
religiose.
Gli ebrei palestinesi, in prevalenza sefarditi, originari cioè del bacino del
Mediterraneo, non costituivano un gruppo sociale omogeneo, ma erano frazionati
sulla base della diversa origine nazionale, della lingua se ne parlava un vero
mosaico: yiddish, arabo, ladino, tedesco, francese, inglese, persiano,
georgiano) e delle congregazioni di carità di appartenenza. I vari gruppi
conservavano la lingua e i costumi dei paesi d'origine, e poiché non
comprendevano la lingua gli uni degli altri, per intendersi tra loro erano
costretti a parlare l'ebraico biblico, prima ancora che Eliezer Ben Yehuda
resuscitasse l'ebraico dopo oltre duemila anni di letargo. Sul miracolo della
riesumazione della lingua ebraica e i suoi limiti si veda quanto ha scritto
Arthur Koestler: ' I genitori degli ebrei nati in Palestina nel XX secolo
erano notoriamente poliglotti; essi sono stati invece educati a una sola
lingua, ch'era in letargo da venti secoli quando è stata artificialmente
riportata in vita'.
Secondo una leggenda saldamente consolidata e ampiamente accettata, e perciò
tanto più dura a essere sfatata, gli ebrei, scacciati definitivamente dalle
legioni romane, per quasi duemila anni non avrebbero avuta altra aspirazione
che tornare in Palestina per rifondarvi il loro Stato nazionale. Nulla di più
falso.
Già dopo l'esilio babilonese, che coinvolse oltre al re di Giuda IoIachin e al
profeta Ezechiele circa 10.000 dei più importanti ebrei, nonostante
l'autorizzazione concessa nel 538 a.C. dal re di Persia Ciro a tornare nella
terra dalla quale erano stati deportati, solo una parte di ebrei optarono per
il rimpatrio in Palestina: 42360 secondo Esdra. Solo una piccola minoranza
approfittò della concessione del permesso di tornare in Palestina e di
ricostruire il Tempio e la città di Gerusalemme. La maggior parte, certamente i
più ricchi e le famiglie più influenti, furono riluttanti ad abbandonare le
loro case e le istituzioni per partire verso nuove avventure. Durante l'intero
periodo successivo ebrei vissero in gran numero in tutta la Babilonia, a sud
come a nord, sotto i loro dominatori persiani.
A dispetto di tutte le costruzioni fantastiche che sono state fatte in merito
dai suoi apologeti, il sionismo è un fenomeno moderno che non affonda le sue
radici nella millenaria storia ebraica : il sionismo, naturalmente, inteso come
aspirazione politica al ritorno a Sion, nella 'terra dei padri', dove
solo avrebbe potuto realizzarsi il 'destino' del popolo ebraico.
Dopo la prima dispersione (cattività babilonese), che era stata parziale e
dalla quale, come si è visto, erano tornati solo una parte degli esiliati e dei
loro discendenti, gli ebrei non furono più espulsi in massa dalla Palestina ma
se ne andarono spontaneamente.
Contrariamente a quanto è stato sostenuto e si continua a sostenere, la
conquista romana di Gerusalemme nel 70 non ebbe come conseguenza l'esilio dalla
Palestina degli ebrei, che continuarono a costituire la maggioranza della
popolazione in Giudea e in Galilea.
Nemmeno la rivolta antiromana di Bar Kokhba del 132-135 ebbe come conseguenza
la cacciata dalla Palestina degli ebrei, che per tutto il II secolo
continuarono a vivere in Galilea, in altre regioni della Palestina e
nell'attuale Transgiordania. Ancora al tempo della conquista musulmana vivevano
in Palestina consistenti gruppi di ebrei che ebbero una parte nel successo
arabo contro i bizantini, così come, qualche anno prima, avevano favorito la
conquista sassanide della Siria-Palestina.
Gli ebrei, quindi, non sono stati scacciati con la forza dalla Palestina, ma se
ne sono andati spontaneamente per motivi economici o di altro tipo, finendo col
fondersi con i popoli del bacino del Mediterraneo. 'Non di rado
l'emigrazione era il risultato di cause economiche come, ad esempio, i
movimenti degli ebrei dalla Palestina verso l'Egitto a causa della carestia, o
l'emigrazione moderna dall'Europa orientale verso l'America a causa delle
difficili condizioni economiche. La tendenza generale del movimento ebraico
fino al secolo XIX fu pressappoco la seguente: nella prima metà di questo
periodo gli ebrei si spostarono dai paesi di cultura economica inferiore verso
paesi di alta cultura economica, come l'Egitto e la Babilonia, mentre nella
seconda metà di questo periodo emigrarono da paesi di alta cultura economica
verso quelli di cultura economica bassa, come l'Europa orientale o l'Impero
Ottomano, dove però erano al riparo dalle persecuzioni'.
Dal canto loro, gli ebrei rimasti in Palestina si sono fusi con le altre
popolazioni del paese finendo con l'arabizzarsi. Le ricerche etnologiche
dimostrano, con buona pace dei sostenitori della 'purezza' del popolo
ebraico, che gli ebrei contemporanei discendono solo in minima parte dagli
antichi ebrei, e sono nella stragrande maggioranza elementi giudaizzati, spesso
nemmeno di origine semitica, originari del bacino del Mediterraneo e delle
regioni meridionali dell'ex Unione Sovietica, per non parlare degli ebrei neri
d'Etiopia, i falascia, solo di recente riconosciuti come ebrei a tutti gli
effetti dalle autorità civili e religiose israeliane.
Per 18 secoli la storia della Palestina è rimasta estranea agli ebrei, non per
una sorta di coatta cattività, ma per la sostanziale estraneità degli ebrei a
questa terra.
LA NASCITA DEL SIONISMO
Il nazionalismo arabo e quello ebraico (sionismo) si sono venuti formando e si
sono manifestati praticamente nello stesso periodo e, benchè siano nati a
migliaia di chilometri l'uno dall'altro e in contesti totalmente diversi, erano
destinati a incontrarsi e a scontrarsi tra di loro perché avevano in comune la
terra sulla quale ritenevano che solo avrebbero potuto affermarsi e
svilupparsi.
Esiste la tendenza diffusa a far risalire molto indietro nel tempo l'origine
dello spirito nazionale arabo ed ebraico. Il sionismo affonderebbe le sue radici
nientemeno che nell'età dei Profeti di Israele, mentre il nazionalismo arabo le
affonderebbe nel califfato arabo-musulmano che si formò subito dopo la morte di
Maometto nel VII secolo.
In realtà, sia il sionismo sia il nazionalismo arabo sono fenomeni recenti
sorti e sviluppatisi nel quadro del risveglio delle nazionalità che ha
caratterizzato la storia dei popolo a partire dal XIX secolo.
TEODOR HERZL
Il maggior artefice della rinascita ebraica e il maggior esponente del sionismo
è stato un giornalista e scrittore nativo di Budapest, totalmente assimilato
quando aveva cominciato ad occuparsi della questione degli ebrei: Teodor Herzl
(1860-1904).
Solo dieci anni della sua breve vita furono dedicati alla causa sionista, ma in
questi dieci anni egli seppe dispiegare un'attività così intensa e appassionata
da dar corpo, da trasformare in un organismo politico moderno, con un preciso
indirizzo teorico e pratico, quello che fino al suo irrompere sulla scena era
stato piuttosto uno stato d'animo diffuso ma indistinto e un pullulare di
gruppuscoli atomizzati e privi di un preciso punto di riferimento che non fosse
una vaga attesa messianica.
L'incontro di Herzl con il sionismo avvenne casualmente nel 1894 quando era uno
dei redattori capo dell'autorevole 'Neue Freie Presse', uno dei
maggiori giornali europei del tempo, e si trovava a Parigi come corrispondente
del suo giornale quando esplose il 'caso Dreyfuss' che assunse
rapidamente un carattere violentemente antisemita.
Profondamente scosso dalla constatazione che l'ostilità antiebraica fosse tanto
profondamente diffusa in Europa, Herzl maturò la convinzione che
l'assimilazione degli ebrei fosse impossibile e che, quindi, l'unica soluzione
concreta della questione che li riguardava fosse la creazione di uno Stato
ebraico indipendente.
Convertitosi agli ideali sionisti pubblicò nel 1896 un libretto intitolato
'Lo Stato degli ebrei. Saggio di una soluzione moderna della questione
degli ebrei'.
L' ideale politico di Herzl quale emerge dal suo scritto è l'ideale classista e
antidemocratico di un piccolo-borghese mitteleuropeo amante dell'ordine (la
polizia dello Stato degli ebrei avrebbe dovuto essere formata dal 10 per cento
della popolazione maschile). E' estremamente indicativo il fatto che Herzl si
rivolgerà alle masse dei diseredati ebrei dell'Europa orientale, per assicurare
un seguito di massa al suo progetto, solo dopo che sarà fallito il tentativo di
interessare al progetto sionista gli ebrei ricchi dell'Europa occidentale, con
i quale egli si identificava profondamente.
Per Herzl la questione degli ebrei non era né sociale né religiosa, ma era una
questione nazionale, perché gli ebrei, nonostante tutti gli sforzi di
assimilarsi non vi riuscivano perché avevano perso l'assimilabilità sia perché
continuavano ad essere considerati stranieri da tutti i popoli in mezzo ai
quali vivevano. L'unica soluzione possibile della questione ebraica era dunque
la creazione di uno Stato degli ebrei. Per la realizzazione di questo progetto
Herzl contava sull'appoggio delle potenze europee, in particolare di quelle
dove era più diffuso l'antisemitismo, alle quali faceva intravedere i vantaggi
economici e sociali che avrebbero tratto dall'esodo massiccio degli ebrei.
Come territori dove creare lo Stato degli ebrei Herzl prendeva in
considerazione l'Argentina e la Palestina. L'Argentina era uno dei paesi
naturalmente più ricchi della terra, molto esteso, poco popolato e con un clima
temperato. Quanto alla Palestina, scriveva Herzl, 'è la nostra
indimenticabile patria storica. Questo solo nome sarebbe un grido di raccolta
potentemente avvincente per il nostro popolo. Se sua Maestà il sultano ci desse
la Palestina, noi potremo incaricarci di mettere completamente a posto le
finanze della Turchia. Per l'Europa noi costituiremmo laggiù un pezzo del
bastione contro l'Asia, noi saremmo la sentinella avanzata della civiltà contro
la barbarie. Noi resteremmo, in quanto Stato neutrale, in rapporti costanti con
tutta l'Europa, che dovrebbe garantire la nostra esistenza. Per quanto concerne
i Luoghi Santi della cristianità, si potrebbe trovare una forma di
extraterritorialità in armonia col diritto internazionale.'
Herzl, come i suoi predecessori non si poneva nemmeno il problema
dell'esistenza di altri abitanti nei territori scelti per crearvi lo Stato
degli ebrei. Come gli altri sionisti, a parte alcune rare e perciò tanto più
lodevoli eccezioni, Herzl condivideva in pieno il pregiudizio eurocentrico
secondo cui al di fuori dell'Europa ogni territorio poteva essere occupato
dagli europei senza tenere conto alcuno dei diritti e delle aspirazioni degli
abitanti. E' questo il peccato d'origine del sionismo che, sorto come movimento
di liberazione nazionale del popolo ebraico, era costretto a cercarsi, in una
prospettiva colonialistica, un territorio al di fuori dell'Europa perché nel
Vecchio Continente non c'era un qualsiasi territorio che potesse essere
rivendicato come proprio dagli ebrei.
La realizzazione degli obiettivi del sionismo era quindi condannata a compiersi
a danno dei diritti nazionali di un altro popolo senza che, peraltro, la
creazione di uno Stato degli ebrei portasse alla soluzione sionista della
questione ebraica.
Di ciò si resero pienamente conto i teorici e i sostenitori del 'sionismo
spirituale', primo fra tutti Asher Ginzberg (Ahad Ha-am), il più lucido e
profondo pensatore ebraico dei tempi moderni.
Il libretto di Herzl venne accolto con aspre critiche e ostilità negli ambienti
ebraici. Alcuni critici lo considerarono un chimerico ritorno al messianismo
medievale. Altri, come il gran rabbino di Vienna Moritz Gudemann, contestarono
'''elucubrazione del nazionalismo ebraico'' sostenendo che
gli ebrei non costituivano una nazione e che in comune avevano solo la fede
nello stesso Dio, e che il sionismo era incompatibile con l'insegnamento del
giudaismo.
L'accoglienza fu fredda anche negli ambienti sionisti, in particolare in quelli
dell'Europa orientale per i quali era essenziale la rinascita culturale degli
ebrei.
La critica più severa e più pertinente fu quella di Ahad Ha-am, il maggiore
esponente del sionismo spirituale secondo il quale nello Stato progettato da
Herzl non era dato riscontrare nessuno di quei caratteri specificatamente
ebraici, di quei grandi principi morali per i quali gli ebrei avevano vissuto e
sofferto e per i quali ritenevano valesse la pena di operare per divenire di
nuovo un popolo. Nonostante il poco incoraggiante esito del suo esordio sulla
scena sionista nelle vesti di re-messia venuto a salvare e redimere il polo
ebraico, Herzl si dedicò totalmente alla causa sionista facendosi instancabile
ambasciatore del progetto di creazione di uno Stato degli ebrei presso il
sultano, l'imperatore tedesco, il re d'Italia, il papa, i governanti
britannici, e i potenti ministri che nell'impero zarista guidavano il movimento
antisemita. Egli diede vita alla Jewish Society creando 'l'Organizzazione
Sionista Mondiale' che guidò fino alla sua morte. Nel 1987 egli organizzò
a Basilea il primo congresso sionista mondiale e diede vita all'Organizzazione
sionista mondiale, nella quale avveniva l'unificazione organizzativa e
programmatica del sionismo orientale e di quello occidentale.
Gli sforzi principali per realizzare gli scopi del sionismo vennero fatti in
direzione dell' Impero Ottomano. Herzl propose al Sultano Abdulhamid di
risanare il debito pubblico ottomano in cambio della Palestina, ma la proposta
venne rifiutata. Herzl si risolse allora di cercare altrove il territorio sul
quale creare il focolare ebraico. Nel 1902 Herzl propose al governo di Londra
la penisola del Sinai, la Palestina egiziana o Cipro. Il governo britannico,
scarsamente entusiasta della prospettiva di un massiccio afflusso nel Regno
Unito di ebrei dall'Europa orientale, soprattutto dalla Romania, decise di
contribuire alla creazione della sede ebraica in un territorio del Mediterraneo
orientale. Scartata per ragioni strategiche l'isola di Cipro, la scelta cadde
sulla zona di ElArish, nella costa mediterranea del Sinai ma anche questo
progetto cadde perché per approvvigionarlo d'acqua si sarebbe dovuto sottrarne
in misura eccessiva da altre zone. Venne allora proposto l'insediamento ebraico
nell'Africa orientale, in Uganda. Herzl presentò questa proposta al sesto
congresso sionista e qui incontrò la decisa opposizione dei delegati
dell'Europa orientale, soprattutto di quelli russi. Il progetto dell'Uganda
venne definitivamente abbandonato nel corso del settimo congresso tenuto nel
1905, un anno dopo la morte di Herzl.
IL SIONISMO ARMATO : JABOTINSKY E IL REVISIONISMO
Nel panorama complesso ed estremamente vario delle ideologie e dei movimenti
sionisti, una posizione di eccezionale importanza è occupata dal sionismo
revisionista, la tendenza di estrema destra, sciovinista e aggressiva, con
venature non superficiali di fascismo, che ha avuto il suo massimo teorico e
organizzatore nell'ebreo russo Vladimir Jabotinsky (1880-1940). E questo non
solo per la notevole personalità del suo fondatore, ma anche perché, al di là
di tutte le apparenze e le dichiarazioni contrarie, quella estremista di
Jabotinsky ha finito con l'essere la linea vincente, e perché l'ideologia
revisionista ha permeato più profondamente di qualsiasi altra la realtà dello
Stato di Israele, fino a diventare l'ideologia ufficiale con la conquista del
potere in Israele, nel 1977, da parte di Menachem Begin che di Jabotinsky è il
maggior erede.
Il credo politico ed ideologico di Jabotinsky può essere riassunto nei seguenti
punti: cessazione del mandato britannico sulla Palestina; creazione immediata
di uno Stato ebraico sulle due rive del Giordano (quindi anche in
Transgiordania); educazione nazionalistica e militarista della gioventù;
antimarxismo, anticomunismo e e antisovietismo di principio; conservatorismo
economico; rifiuto della lotta di classe; mistica dello Stato; creazione di uno
Stato autoritario e corporativo.