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Giovanni verga
Cenni biografici
Giovanni Verga nasce a Catania nel 1840,da famiglia nobile e agiata.
Lasciati gli studi di legge per entrare,nel 1861, nella Guardia Nazionale, manifesta fin da giovane un grande interesseper la letteratura, pubblicando a soli 22 anni il romanzo storico I carbonaridella montagna. Già in quest'opera è visibile l'ardore patriottico dell'autore,e il suo impegno politico per l'annessione della Sicilia al Regno d'Italia;questi si fanno più evidenti con il secondo romanzo, Sulle lagune (1863) e conla fondazione del giornale Roma degli Italiani.
Nel 1865 si trasferisce a Firenze,pubblicando i romanzi Una peccatrice (1866) e Storia di una capinera (1871),quest'ultimo di grande successo.
Si sposta poi a Milano, dove entra in contattocon scrittori digrosso calibro; pubblica i romanzi Eva e Tigre reale (1874),Eros (1875) e la raccolta Primavera e altri racconti (1876).
In una lettera del 1878 espone il suoprogetto di un ciclo di romanzi, il cui comune denominatore sarebbe dovutoessere la teoria evoluzionistica darwiniana e il cui modello i romanzi di Zola,dal titolo'I vinti'.
Nel 1880 esce la raccolta di novelle Vitadei campi; l'anno successivo il primo romanzo del ciclo dei vinti e il suocapolavoro, I Malavoglia; nel 1882 il romanzo Il marito di Elena; nel 1883 leraccolte di novelle Per le vie e Novelle rusticane.
Nel 1884 ha la soddisfazione di vederrappresentata in teatro una sua novella contenuta in Vita dei campi, laCavalleria rusticana.
Nel 1888 esce il secondo romanzo delciclo dei vinti, il Mastro don Gesualdo.
Raggiunta l'agiatezza economica e latranquillità sentimentale, dopo alcune relazioni amorose, nel 1894 si ritira aCatania e pubblica ancora una raccolta di novelle, Don Candeloro; nel 1903 esceil dramma Dal tuo al mio, nel 1911 inizia il terzo romanzo del ciclo, Laduchessa di Leyra, che però rimane fermo al primo capitolo.
Nel 1920 è solennemente festeggiato aRoma e a Catania in occasione del suo ottantesimo compleanno: le onoranze hannoil loro coronamento nella nomina a senatore il 3 ottobre.
Muore a Catania il 27gennaio 1922, colto da una paralisicerebrale.
Lo stile le tecniche e i temi verghiani
Per riprodurre la società nel modo più 'vero', Verga la osserva scrupolosamente, studiando l'ambiente fisico ed il dialetto, documentandosi sui mestieri e sulle tradizioni; inoltre usa uno stile impersonale in modo che il lettore si trovi - come dice lui stesso - «faccia a faccia col fatto nudo e schietto, senza stare a cercarlo fra le linee del libro attraverso la lente dello scrittore». Così sembra che i personaggi e le vicende si presentino da sé, e chi legge ha l'impressione di essere messo a diretto confronto con la realtà di cui si parla.
Per ottenere l'impersonalità Verga adotta il punto di vista della gente, di chi fa parte dell'ambiente che sta descrivendo, evita cioè di esprimere il suo personale giudizio e i suoi sentimenti. E per rendere ancora più vera e impersonale la rappresentazione, lo scrittore costruisce una lingua nuova: è la lingua nazionale (non usa il dialetto siciliano perché vuole che le sue opere siano lette in tutta l'Italia) arricchita di termini di origine dialettale, di modi di dire e proverbi, di una sintassi modellata sul ritmo della lingua parlata dal popolo.
I temi: sociali e politici.
I temi ripresi da G. Verga sono perlopiù temi "sociali", dove si parla di ingiustizie, soprusi, ineluttabilità del destino. Verga però si limita solo a raccontare i fatti senza intromettersi mai nel discorso per pronunciare la propria opinione, egli narra sempre con l'oggettività di uno scienziato.
Ma il suo linguaggio verista, le espressioni, le descrizioni violente, anche senza un giudizio esplicito dell'autore sono una chiara manifestazione della visione "populista" del Verga. La massa presa per fame è violenta come è violento il padrone[1] .
Verga legge a fondo le contraddizioni fra la forma dello stato e le reali condizioni del Sud Italia.
Fra le problematiche sociali più sentite da Verga, vi è quello dell'esclusione dalla società. Ad esempio in Rosso Malpelo, la storia di un ragazzo che vive in una cava di pietra, un emarginato della società, costretto dalla miseria a lavorar duramente, che si è inasprito e incattivito dalla durezza delle condizioni di vita e di lavoro della miniera divenuto selvatico e scontroso per il contatto con persone anch'esse ignoranti e incivili. Il tema dell'esclusione si sovrappone a quello economico: il più povero è anche il più emarginato. Il padre di Malpelo per un fatale destino era morto nella cava per la misera somma di 35 tarì. Oltre al tema economico e dell'esclusione, vi è la consapevolezza del cieco destino umano e dell'impotenza dell'uomo di fronte alla realtà dura dell'esistenza. Con questa novella il Verga ci fa capire la tragica e desolata situazione sociale dell'Italia meridionale alla fine del XIX secolo. Il tema del diverso, dell'escluso, dell'emarginato ha un netto rilievo nell'arte di Verga, dalla protagonista di Storia di una capinera e da Nedda a Rosso Malpelo sino a 'Ntoni Malavoglia. In Rosso Malpelo il diverso è anche il capro espriatorio della società, colui contro cui è lecita la violenza altrimenti interdetta nel corpo sociale. Si spiega anche così la malsana curiosità di Rosso per l'evaso e per la prigione, luogo deputato dell'esclusione sociale. L'esclusione dalla società è rappresentata anche nel ciclo dei vinti e anche "L'uomo di lusso" sarebbe stato un escluso dalla società e vittima del progresso.
I temi politici
Altro tema ripreso da Verga è il tema prettamente politico-sociale, idealizzato però quasi solo nella prima parte della sua vita. Nella novella "Libertà" Verga documenta i fatti accaduti durante la Spedizione dei Mille, a Bronte dove accadde il famoso eccidio. Anche se qui l'impersonalità di Verga è comunque presente, egli non tralascia quel sentimento per l'ottica risorgimentale e la sua ideologia politica. La novella insiste sull'assurdità delle rivoluzioni e sull'impossibilità di cambiar stato, sostanzialmente inutili, perché ciascuno mira al proprio tornaconto personale. L'ideologia politica di Verga insieme alla teoria del "Darwinismo sociale" spiegano al meglio la condizione di lotta sociale. Nel materialismo naturalistico di Verga non esiste un'idea di storia come "progresso" e neppure come sviluppo determinato dal conflitto di classe: esiste solo la lotta di individui che mirano alla sopraffazione reciproca. In essa non c'è spazio per la solidarietà di classe perché ciascuno è irrimediabilmente prigioniero del proprio egoismo.
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