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Giovanni Pascoli
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Nasce nel 1855 a
S.Mauro di Romagna da modesta famiglia: il padre è amministratore di una
tenuta dei principi di Torlonia. Finiti gli studi liceali, in un concorso di borse di studio, si classifica primo (lo esamina Carducci) e si può così iscrivere alla facoltà di lettere. Nel 1876 ci sono altri lutti in famiglia: muore il fratello Giacomo. |
A queste tristi esperienze che provocano in lui un senso di rivolta è in parte dovuto l'accostamento alle idee anarchico-socialiste di Andrea Costa.
Nel 1879 viene arrestato per aver partecipato ad una dimostrazione anarchica: al processo viene dichiarato innocente, ma l'esperienza del carcere ha inciso profondamente sulla sua formazione e lo ha orientato verso una dolorosa rassegnazione.
Nel 1882 si laurea e nel 1897 ottiene la cattedra di letteratura a Messina. Nel 1903 passa all'università di Pisa, e quattro anni dopo succede al Carducci all'università di Bologna.
Muore nel 1912 a Bologna.
POETICA
La poetica del fanciullino:
In un suo scritto
famoso, 'Il fanciullino', Pascoli definisce ampiamente la sua
poetica.
La poesia non è 'logos', cioè razionalità, ma consiste in una perenne
capacità di stupore tutta infantile, in una disposizione irrazionale che
permangono dentro l'uomo anche quando si è cronologicamente lontani
dall'infanzia.
Il poeta viene paragonato al fanciullino che si mette di fronte alla realtà
rendendo inattiva la ragione: sa attribuire significati alle cose che lo
circondano, estremamente soggettivi.
Il poeta, come il bambino, secondo Pascoli, è privo di malvagità, è
caratterizzato dalla condizione di stupore e dalla capacità di riflettere i
propri stati d'animo nelle piccole cose.
Il poeta-fanciullino è una figura astratta perchè non tutti i fanciulli sono
buoni e, imperfetta in quanto il poeta non riuscirà mai pienamente nel suo
tentativo di tornare bambino.
Questo fanciullino 'alla luce sogna o sembra sognare ricordando cose non vedute mai parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle; popola l'ombra di fantasmi ed il cielo di dei'.
Il fanciullino 'impicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare e adatta il nome della cosa più grande alla più piccola, e viceversa'.
' Il nuovo non si inventa: si scopre' e la poesia consiste nel trovare nelle cose 'il loro sorriso e la loro lacrima; e ciò si fa da due occhi infantili che guardano semplicemente e serenamente di tra l'oscuro tumulto della nostra anima'.
Il linguaggio:
Pascoli è perplessodi
fronte alla realtà e assume un atteggiamento vittimistico. Per questa ragione i
suoi temi, che sembrano estremamente semplici, sono carichi di simboli, in
quanto egli usa la tecnica del correlativo-oggettivo che gli permette di
trasferire i suoi stati d'animo negli oggetti che lo circondano. Perciò egli si
serve di un linguaggio simbolico, evocativo e denso si suggestione.
Contini ha individuato, nell'autore, un linguaggio pregrammaticale, uno
grammaticale, e un altro postgrammaticale. Il primo è costituito essenzialmente
dalle onomatopee, il secondo corrisponde a quello dell'uso e l'ultimo coincide
con le lingue speciali. L'uso di questo linguaggio tecnico lo avvicinerebbe
allo stile veristico, ma bisogna tenere conto della coesistenza di questi 3
linguaggi che rende possibile un'innovazione: la sua poesia è infatti evocativa
e fortemente soggettiva, assolutamente non descrittiva, come prevede la poetica
del decadentismo. Tra l'altro Pascoli si impegna in una sperimentazione che lo
porta a usare, nel poemetto Italy, un 'pastiche' linguistico di
grande originalità.
L IDEOLOGIA PASCOLIANA
La concezione pascoliana della realtà è fondata sulla dominante presenza di un mistero insondabile al fondo della vita dell'uomo e del cosmo.
Mentre il positivismo, fiducioso nella scienza, aveva concepito l'inconoscibile come una sorta di territorio ignoto da sottoporre progressivamente a una ricerca condotta col metodo sperimentale, Pascoli ne fa il centro di una sofferta meditazione. La scienza, secondo lui, ha ricondotto la mente dell'uomo alla coscienza del suo destino inesplicabile, non ha assolutamente donato libertà all'uomo, ma, anzi, la società industriale, valorizzata dal positivismo, soffoca l'uomo, gli nega ogni piacere: viene così definito il 'rifiuto della storia' secondo il quale la storia viene contrapposta al mondo campestre delle piccole cose.
L'uomo, secondo Pascoli, brancola nel buio, ignaro della sua origine e delle finalità del suo vivere, è un essere fragile mosso da impulsi ciechi che lo spingono spesso all'odio e alla violenza. Di conseguenza, l'atteggiamento del poeta di fronte alla realtà è caratterizzato dalla 'vertigine' davanti al mistero dell'essere, da una perplessità davanti al problema insolubile del dolore, del male, della morte.
Bisogna ancora inserire Pascoli nel generale orientamento del tempo, il decadentismo, che rifiutava la civiltà contemporanea: mentre autori come Huysmans, Wilde, D'Annunzio concretizzano questo rifiuto con il vagheggiamento di un mondo di pura bellezza , Pascoli lo concretizza o con il ripiegamento intimistico, spesso vittimistico, oppure nel vagheggiamento della campagna e delle umili cose, di un paradiso perduto. Nel poeta, inoltre, il rifiuto della storia dà come conseguenza amara la solitudine, l'autocommiserazione, lo smarrimento di chi non riesce a vedere altro che la Terra come un atomo opaco del male. Ne deriva, quindi, la visione di una vita tutta raccolta nell'ambito della famiglia, gelosamente custodita e difesa.
'Nascondi
le cose lontane,
nascondimi quello che è morto!
ch'io veda soltanto la siepe
dell'orto,
la mura ch'ha piene le crepe
di valeriane.
Nascondi le cose lontane:
le cose son ebbre di pianto!
Ch'io veda i due peschi, i due meli,
soltanto'
da: Nebbia
Appunti su: ideologia pascoliana, Storia dal 1855 al 1912, |
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