GIOVANNI PASCOLI (1855-1912)
LA VITA
Nasce a S.Mauro di Romagna nel 1955. Nel '62 entra nel
collegio dei padri Scolopi a Urbino, dove rimane fino al '71. E' il quarto di
otto fratelli e il padre è l'amministratore della tenuta "La Torre" dei principi
Torlonia. Nel '67 accade l'episodio che segna indelebilmente la sensibilità del
piccolo Pascoli: viene assassinato il padre da ignoti, mentre ritorna a casa .
Non si seppe mai chi fu l'assassino, ma il Pascoli crede di individuarlo
nell'amministratore che successe a suo padre nell'amministrazione della tenuta
dei Torlonia e nella sua poesia lo rappresenta come il "cuculo", uccello che
non si crea il suo nido, ma che occupa quello degli altri. L'anno seguente
muore una sorella, poi, di seguito, la madre e due fratelli. La morte della
madre viene considerata dal Pascoli la tragedia maggiore, perché viene meno il
nucleo familiare, il "nido". D'ora in poi il suo proposito sarà sempre di
riformare il nido originario. Questa precoce esperienza di dolore e di morte
sconvolge profondamente l'anima del Pascoli; rimane una ferita non chiusa, che
si traduce in un senso sgomento del destino tragico e inesplicabile dell'uomo,
e segna il crollo di un mondo d'innocenza e di infanzia serena a cui sempre il
poeta aspirerà con immutata nostalgia. Nel '73 il Pascoli vince una borsa di
studio all'università di Bologna, dove si iscrive alla facoltà di lettere. Il
periodo bolognese lo mette in contatto con il movimento anarchico e si avvicina
così agli ideali socialisti. Aderisce all' Internazionale e inizia a
frequentare Andrea Costa, capo dell'anarchismo romagnolo. Nel '79, in seguito a
dimostrazioni connesse all' attentato dell'anarchico Passannante contro il re
Umberto I, subisce alcuni mesi di carcere preventivo; quando vi esce riprende
gli studi e da questo momento in poi non si occuperà più di politica, essendone
rimasto evidentemente spaventato. Non è più un ribelle, ma un uomo che china il
capo davanti all'oscuro destino. L'unico rimedio al male gli appare ora la
pietà e l'amore fraterno fra gli uomini, solo conforto al mistero insondabile
della vita. Nello stesso tempo, nasce in lui l'ideale di ricostruire il proprio
focolare domestico, con le due sorelle superstiti, Ida e Maria, di ritrovare
così nella quiete appartata e nell'intimità degli affetti la pace. Laureatosi
nell'82, ottiene una cattedra presso il liceo di Matera, Massa e Livorno. Nel
frattempo, per più anni, partecipa a concorsi di poesia latina ad Amsterdam,
vincendoli. Lo troviamo presso varie università: a Bologna, dove inizialmente
insegna latino e greco, a Messina ed infine, nel 1906, succede al Carducci
nella cattedra di letteratura italiana all'università di Bologna, dove muore
nel 1912. Viene sepolto a Castelvecchio, in una casa di campagna che dal '95
era stata il suo rifugio più caro insieme alle sorelle.
LA POETICA
Il carattere dominante della poesia del Pascoli è costituito dall'evasione
della realtà per rifugiarsi nel mondo dell'infanzia, un mondo rassicurante,
dove l'individuo si sente isolato ma tranquillo rispetto ad una realtà che non
capisce e quindi teme.
Il Pascoli esprime questa sua poetica in uno scritto che intitola "Il
fanciullino". Egli afferma che in tutti noi c'è un fanciullo che durante
l'infanzia fa sentire la sua voce, che si confonde con la nostra, mentre in età
adulta la lotta per la vita impedisce di sentire la voce del fanciullo, per cui
il momento veramente poetico è in definitiva quello dell'infanzia. Di fatti il
fanciullo vede tutto per la prima volta, quindi con meraviglia; scopre la
poesia che c'è nelle cose, queste stesse gli rivelano il loro sorriso, le loro
lacrime, per cui il poeta non ha bisogno di creare nulla di nuovo, ma scopre
quello che già c'è in natura. Il fanciullino è quello che parla alle bestie,
agli alberi, alle nuvole e scopre le relazioni più ingegnose che vi sono tra le
cose, ride e piange per ciò che sfugge ai nostri sensi, al nostro intelletto.
La poesia si presenta quindi con un carattere non razionale, ma intuitivo e
alogico. L'atteggiamento del fanciullo gli permette di penetrare nel mistero
della realtà, mistero colto non attraverso la logica, ma attraverso
l'intuizione ed espresso con linguaggio non razionale ma fondato sull'analogia
e sul simbolo. La funzione del simbolo è proprio quella di far comprendere il
senso riposto nella realtà, per mezzo di collegamenti apparentemente logici fra
oggetti diversi, attraverso l'associazione di colori, profumi, suoni di cui si
può percepire la misteriosa affinità, attraverso la scelta delle parole non per
il loro significato concreto ed oggettivo, ma per le suggestioni che sono in
grado di evocare. La poesia quindi può avere una grande utilità morale e
sociale; il sentimento poetico che è in tutti gli uomini gli fa sentire
fratelli nel comune dolore, pronti a deporre gli odi e le guerre, a corrersi
incontro ed abbracciarsi. Da un lato egli concepisce la poesia come ispiratrice
di amore umano, le assegna il compito di rendere gli uomini più buoni, ma il
poeta non deve proporselo come fine, perché non è un oratore o un predicatore,
ma ha unicamente il dono di pronunciare la parola nella quale tutti gli altri
uomini si riconoscono. In definitiva il poeta è l'individuo abbastanza
eccezionale che, pur essendo cresciuto, riesce ancora a dare voce al quel
fanciullo che c'è in ogni uomo.
La situazione tipica della poesia pascoliana è quella del poeta solitario,
immerso nella campagna vasta e silenziosa ed inteso a descrivere le rivelazioni
delle cose. Di fatti gli eventi tragici della vita del Pascoli ne condizionano
la vita stessa ed anche la poesia, creando vari miti; tra questi vediamo il
"nido", che rappresenta la famiglia , che lo preserva dalla vita violenta e
difficile da affrontare, solo nel nido può trovare tranquillità e serenità. Al
di là del nido troviamo la "siepe", che recinge uno spazio che dà autarchia.
Con il mito della siepe il Pascoli rappresenta la situazione o il desiderio
della piccola borghesia contadina che mira ad una vita indipendente
dall'esterno e quindi autarchica. Oltre la siepe vi troviamo il "campo santo":
una strada dritta porta dal podere al campo santo, ove giacciono i morti,
presenze costanti nella vita del Pascoli e che ritornano continuamente
confondendosi con i vivi. A questi tre elementi di fondo il Pascoli circoscrive
tutta quanta la sua esistenza.
IL LINGUAGGIO
Fu completamente nuovo, soprattutto per la letteratura italiana, in cui
persiste ancora la tradizione classica. Qui la frase si spezza; il soggetto è
spesso da solo, senza bisogno di un verbo che lo specifichi. Il tutto è
affidato a parole che riproducono suoni (frequentissime sono le onomatopee)
oppure a immagini che evocano sentimenti. Possiamo quindi definirlo un
linguaggio completamente innovativo nella letteratura italiana, che nel Pascoli
forse è più intuitivo che non una semplice imitazione del Decadentismo; è
qualcosa di istintivo, che risponde perfettamente al suo modo di esprimersi e
alla sua visione della vita. Possiamo definirlo inoltre un linguaggio
pittorico: si affida molto al colore, come anche alla musicalità e unendo
queste due componenti realizza spesso delle sinestesie (mescolando sensazioni
che provengono da sensi diversi).
Il Pascoli influisce fortemente sulla letteratura italiana proprio per la
particolare innovazione del linguaggio. Mentre D'Annunzio influisce molto con
la sua esperienza personale, quindi sul costume italiano, il Pascoli è un
importante innovatore del linguaggio poetico.
L'Ermetismo
Col
termine Ermetismo si indica un tipo di poetica che sorge intorno agli anni '20
e si sviluppa negli anni compresi tra le due guerre mondiali. Fondatori della
poesia ermetica sono considerati Giuseppe Ungaretti ed Eugenio Montale e la
definizione fu coniata in senso dispregiativo dalla critica tradizionale che
intendeva condannare l'oscurità e l'indecifrabilità della nuova poesia,
ritenuta difficile in confronto alle chiare strutture della poesia classica. Il
nome deriva da Ermete o Mercurio, il dio delle scienze occulte, e fu adoperato
in senso dispregiativo appunto da Francesco Flora nel suo saggio 'la
poesia Ermetica'.
Di tutte le poetiche sorte nell'ambito del decadentismo la poesia ermetica fa
sua e sviluppa quella dei simbolisti francesi (Rimbaud, Mallarmé, Verlaine).
Perciò è detta anche poesia neosimbolista. I poeti ermetici perseguono l'ideale
della 'poesia pura libera', cioè libera non solo dalle forme metriche
e retoriche tradizionali, ma anche da ogni finalità pratica didascalica e
celebrativa.
Il tema centrale della poesia ermetica è il senso della solitudine disperata
dell'uomo moderno che ha perduto fede negli antichi valori, nei miti della
civiltà romantica e positivistica e non ha più certezze a cui ancorarsi
saldamente. Egli vive in un mondo incomprensibile sconvolto dalle guerre e
offeso dalle dittature per tanto il poeta ha una visione della vita sfiduciata,
priva di illusioni. Altri temi della nuova poesia che ci fanno accomunare gli
ermetici a Pirandello e Svevo sono: l'incomunicabilità, l'alienazione (la
coscienza di essere ridotto ad un ingranaggio nella moderna civiltà di massa),
frustrazione (deriva dal contrasto fra realtà quotidiana che è sempre deludente
e i nostri sogni).
I loro temi sono desolati e intimistici, i poeti ermetici rifiutano il
linguaggio e le forme della poesia romantica e positivistica a scopo
celebrativo, in quanto il poeta dell'800 aveva miti e certezze da porre e
celebrare. Il nuovo poeta non ha più miti e certezze in cui credere, perciò va
alla ricerca di parole essenziali, scabre e secche che meglio descrivano il
loro stato d'animo; per poter far questo ricorrono all'analogia e alla
sinestesia. L'analogia si può considerare una metafora in cui è stato soppresso
il primo termine di paragone (es.: da 'accarezzo i tuoi capelli neri come
la notte' a 'accarezzo la tua notte'). La sinestesia è
l'accostamento di parole appartenenti a diverse aree sensitive (es.:
'l'urlo nero').